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Autore: Sesquiplebe    06/01/2019    1 recensioni
Decise di combattere l'odio con l'odio bruciando ciò che gli era rimasto.
«C'è qualcosa di sbagliato in tutto questo.
Puzza di marcio, come la fossa comune dei cadaveri di guerra.»
»I disegni appartengono ai rispettivi artisti. Gli edit sono miei invece«
»Storia principalmente con Oc di Master«
Genere: Azione, Comico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I tenui raggi dell'alba cominciarono a irradiare fievolmente i fianchi della collina più alta. Il cielo, ancora bluastro, stava già assumendo toni più chiari in lontananza macchiato dal forte arancio del sole mattutino che con gli alberi morenti d'autunno regalava un perfetto carpe diem da non poter essere lasciato fuggire in quel modo. Sollevò allora la fotocamera e, alzandosi dallo sgabello, l'avvicinò al proprio occhio scattando quattro foto consecutive all'intero paesaggio. Svegliarsi presto era ormai diventato un vizio incrollabile, quindi perché non approfittarne in qualche modo. Del resto, non c'era molto da fare in famiglia a parte allenarsi e studiare. Routine insomma. Sospirò e inserendo l'oggetto nell'apposito astuccio rientrò in stanza aprendo la porta-finestra del balcone.
Ah, la sua vecchia camera.
Nonostante fosse appena ritornata nella casa paterna dopo anni la nostalgia non perse tempo a infastidirla. E doveva pure sistemare gli indumenti degli armadi, aveva lasciato tutto dentro le valigie abbandonate sul pavimento. Avrebbe dovuto fare il lavoro ieri sera, ma si era rifiutata data la pessima ora. Mise le mani sulla vita analizzando per bene la situazione.
«Beh, sarebbe meglio iniziare.»
Diana Livia Iuli era la figlia maggiore del pater familias -la figura più importante dell'intera famiglia, una specie di re. Poteva decidere chi cacciare o quali bambini tenere oppure dare in adozione-, maga destinata a diventare Master e addestrata per tale incarico nella Guerra dall'età di dieci anni come ogni primogenito. Dei fratelli non ne aveva più sentito parlare da quando, nella Selezione, il pater familias precedente optò l'adozione per entrambi. Non si era nemmeno curato da chi venissero presi. Anche lei fu separata dal padre, però nel suo caso serviva affinché si concentrasse sui suoi allenamenti fisici, mentali e magici.
Così le avevano detto. Sapeva che il padre aveva tentato di persuadere il nonno a non porli sotto giudizio, però fallì. E quando giunse il suo tempo per rimediare ai danni, era tardi. Anzi, forse in verità non avrebbe rimediato in nessun caso. Serviva un nuovo Master alla famiglia.
In ogni caso era storia passata e non valeva la pena ripensarci.
Piuttosto doveva dare un senso al casino che aveva davanti a lei. Riflettendo, se lo avesse fatto prima non avrebbe tutto quel disastro. Scosse immediatamente la testa, rimanere lì ferma a osservarli non avrebbe portato a nulla. Si rimboccò le maniche e cominciò l'impresa.
Non conosceva bene i motivi per i quali il padre l'aveva chiamata, tuttavia sicuramente aveva a che fare con la Guerra del Graal. Probabilmente ne stava iniziando una. Il prediletto dei Nakamura durante una sua visita le aveva accennato qualcosa ma non credeva si riferisse a quello.
Tra le famiglie partecipanti alla Guerra vi erano gli Iuli -la sua-, gli Schreiber, gli Lloyd -soprannominati gli “inglesini” da loro-, i Roux e i Nakamura. La fama di quest'ultimi, siccome utilizzavano un tipo di magia ambiguo, non era affatto una delle migliori. Esperti in veleni e maledizioni questo li rendevano forti alleati o temibili avversari. Inoltre il fatto che avessero tra le mani il Graal non aiutavano le voci a migliorare. Molti, in famiglia, sparlavano di loro affermando persino che la strana scomparsa dei Master era senza dubbio opera loro.
Lei contrariamente non li vedeva in tale modo.
Ryota Nakamura, il figlio prescelto per la Guerra, era stato un suo grande amico fin dall'adolescenza. Si vedevano spesso durante le riunioni tra le due casate passando il tempo nel salone o fuori a godersi le giornate di sole e di neve anno dopo anno. Il padre non lo approvava molto temendo che potessero farle del male usando il loro stesso figlio, però doveva pure lasciar correre siccome si era andata a creare un'alleanza per indagare sugli strani eventi succedutisi nella precedente Guerra -e il loro rapporto avrebbe potuto intensificare il loro.
Tutti sospettavano di tutti.
E questo aveva teso come la corda di un violino le relazioni tra le famiglie e tra i membri stessi. Chissà se avevano già iniziato a cacciare via qualcuno dal proprio albero genealogico.
“Questo odio insensato ci porterà solo all'autodistruzione.” recitò una volta Lorenzo nel bel mezzo di un incontro generale “Quindi credo che sia meglio per tutti noi trovare la causa di questo disastro insieme.”
Inutile dire che l'appello non ebbe i risultati sperati.
Solo i Nakamura si vollero aprire a un'alleanza poiché, come gli Iuli, anche loro avevano perso fisicamente un Master. Agli altri -ancora- non interessava stringere amicizie col “nemico”. Nessuno aveva la certezza se fossero morti oppure no i Master restanti.
Stranamente, gli unici a non essere venuti -e a non aver accettato di venire- furono i Roux. Loro dovevano essere i più coinvolti dato che la Master scelta era stata una bambina di sette anni, scomparsa anche lei. La maggior parte preferì non obbiettare il loro rifiuto -avevano perso una bambina pure molto cara ai genitori, probabilmente il lutto li stava distruggendo- eppure al contrario, proprio perché ci avevano rimesso la loro bambina, dovevano essere lì a capire il motivo.
O forse semplicemente non si fidavano degli altri.
Il mondo delle famiglie di magi era sempre stato così difficile. Un po' come l'aristocrazia di un tempo: tutti amici col pugnale nell'altra mano.
Per questo se n'era andata.
Non sopportava quella continua atmosfera di paura, e di freddezza.
Omini senza vita che sorridevano e piangevano solo se necessario. Consolavano per riempire di bugie la testa di qualcuno.
L'era passata la voglia di riordinare quel macello.
Si sedette lasciandosi andare sul letto rifatto, fissando un punto della camera con lo sguardo perso.
Perché tornare in quel castello di vetro.
Poteva benissimo declinare la proposta, starsene dov'era. E se a loro serviva un Master se lo sarebbero procurato tra le fila “secondarie” della famiglia.
Sospirò.
Il danno lo aveva fatto, ormai. Tanto valeva compiere l'ultimo obbligo di famiglia che aveva e mettere un punto alla storia. Avrebbe ceduto marchio e Magic Crest a qualcun altro.
Solo per questa volta li avrebbe assecondati.
«Sei sveglia?»
Domandò un uomo alla porta facendola sobbalzare. Di solito nessuno circolava a quell'ora, a meno che non fosse qualcuno che la conosceva bene svegliandosi di proposito presto per vederla.
Quanta seccatura.
Quasi sicuramente si trattava del suo vecchio “personal trainer” il quale la seguiva durante gli allenamenti. Era l'unico a conoscere le abitudini mattutine acquisite da lei.
Aprì allora la porta, confermando le ipotesi fatte poco prima.
«Non è un po' presto?»
L'altro non rispose, si avvicinò di più a lei nel tentativo di abbracciarla. Diana in risposta indietreggiò mostrando evidente fastidio nei confronti dell'azione.
«Dimmi solo che vuoi.»
Affermò la castana con un tono pieno di astio. Lo zio perse subito il sorriso, pressapoco scandalizzato. Restò balbettante un po' prima di parlare.
«...Tuo padre ti vuole per l'evocazione.»
Di già.
Si era bevuto il cervello. Non avrebbe fatto il rituale in quel momento, l'ora in cui i suoi circuiti magici raggiungevano il picco più alto era passata e di rischiare di partire in svantaggio non ne voleva sapere.
«Dica a mio padre che se lo scorda. Se devo partecipare a questa guerra lo voglio fare per bene.»
Afferrò la maniglia spingendo la porta in dentro per chiuderla, ma lui la fermò con un piede.
«Siamo indietro coi tempi. Sono già stati evocati Saber, Assassin, Caster e questa notte Berserker. Rischiamo di rimanere fuori se aspettiamo un altro giorno. Per favore, devi venire. Inoltre, non rimettere in ordine i tuoi indumenti. Domani partirai per Fuyuki.»
Era da poco tornata e già era costretta ad andarsene.
Che strazio.
Non erano affatto messi bene. A quanto pare hanno avuto tutti la stessa idea di correre.
Male.
Se avessero atteso di nuovo c'era una grande percentuale di restare in disparte. Però evocare un Servant ora avrebbe diminuito la possibilità di guadagnarsi un'arma potente. Se non munita di un catalizzatore.
Per essere così sicuro il padre indubbiamente possedeva qualcosa estremamente potente.
O estremamente efficacie.
«Che cosa si è procurato mio padre?»
Chiese, incuriosita questa volta.
Non gliene aveva neanche accennato.
«È una sorpresa.»
Quindi aveva qualcosa tra le mani, forse davvero un buon catalizzatore.
In ogni caso, pur avendo un ottimo catalizzatore, non era affatto certo l'esito della chiamata.
Lo zio non stette ad aspettarla incamminandosi verso le scale del piano sotto. Diana pertanto fu costretta a seguirlo lungo il percorso.
La casa natia non era cambiata di una virgola. Emanava la stessa aura di grandezza e sicurezza di quando era bambina. Un involucro dorato creato appositamente per le nuove generazioni, un sistema di immagini mentali in grado di inculcare nelle menti giovani l'amore indiscusso per la famiglia e per la gloria. Un metodo d'educazione spudoratamente ripreso dai loro antichi, i Romani, in modo da non crescere serpenti in seno. Decidevano perfino le scuole che le generazioni future erano obbligate a frequentare esercitando più efficacemente il controllo. La piramide di carta reggeva, finché uno dei pezzi non veniva tirato via. In tal caso finiva per crollare su se stessa demolendo le idee e gli ideali che si erano andati a costruire.
Tanto stabile quanto fragile.
Si bloccò di punto in bianco davanti a un portone sbarrato. Se ricordava bene quella era l'entrata del seminterrato utilizzato anche dal Consiglio per discutere in pace e isolati. Il moro estrasse dalla tasca interna della giacca la copia della chiave inserendola nel lucchetto. La girò due volte scattando il meccanismo. Infine lo tolse, spalancando lentamente l'entrata.
«Siamo quasi arrivati.»
L'avvertì voltandosi dietro. Diana annuì solamente, riprendendo a seguirlo.
Le dimensioni della stanza erano gigantesche, come tutto ciò che era in quella villa. Non vi era nulla all'interno, sennò cianfrusaglie nascoste da un velo accantonate ai muri affinché avesse abbastanza spazio per fare il rituale.
Notò poi qualcosa, coperto da un lenzuolo bianco.
Aveva la forma allungata dalla quale, alla fine, uscivano due punte arrotondate mentre all'inizio una specie di collina. Fece qualche passo nella direzione dell'oggetto e, ora che poteva esaminarlo meglio, pareva una sottospecie di essere umano disteso in rilievo con le braccia incrociate.
Un sarcofago.
Prese un lembo del velo tirandolo e rimuovendolo.
Sì, era un dannato sarcofago.
«...Di chi è?»
Impressionate. Il padre si era veramente impegnato per quella Guerra. L'uomo sorrise, fermandosi accanto a lei.
«È un pezzo da museo. Letteralmente.»
Girò intorno a esso sfiorando molto delicatamente con la punta delle dita la superficie rovinata.
«Apparteneva al più grande faraone che abbia mai regnato sul Basso e Alto Egitto. Direttamente dal Cairo, eccoti il sarcofago del grande Ramses II.»
Oh, il grande Ramses II.
Un faraone tanto intelligente e saggio quanto egocentrico. Stava per formare un contratto con qualcuno che non avrebbe sopportato fino alla fine.
«Come lo avete ottenuto? Voglio dire, non è la tomba di un qualsiasi faraone. Il denaro non sarebbe bastato a convincerli di darvelo.»
Ed effettivamente non aveva torto. Si trattava di Ramses II, nessun museo lo avrebbe ceduto a gente a caso per un po' di mazzette. Era merce troppo preziosa.
«Un semplice trucchetto che insegnano anche là a Londra: l'ipnosi. Sono tutti convinti di star esponendo il vero sarcofago, quando invece è un falso. Abbiamo fatto le cose in fretta e furia in modo da riportarlo appena possibile. Per il trasporto è bastato -e basta- un aereo privato.»
Se l'Associazione lo avesse saputo sarebbero stati tutti messi sotto giudizio.
A questo punto, se il padre aveva sudato così, significava che anche lui aveva un desiderio per il Graal.
L'avrebbe obbligata a rinunciare al suo.
No, assolutamente no.
Non si sarebbe fatta da parte per lui.
«...Provvederò al rituale.»
Aggiunse distaccata sopprimendo la propria rabbia. Farsi prendere dalla furia non avrebbe portato a nulla.
L'obbiettivo era un altro ora.
Sotto i suoi piedi si trovava come inciso sulla pietra il cerchio magico utilizzato per le evocazioni da quando il primo Master degli Iuli aveva combattuto nella prima Guerra.
«Perfetto.»
Si posizionò al centro di esso. Allungò in seguito la mano all'altro il quale, capendo il messaggio, prese da un tavolo appoggiato alla parete vicino al catalizzatore una custodia nera ben decorata. Sollevò il coperchio prendendo il suo contenuto: il pugnale di famiglia. Lo porse infine a Diana che, distendendo il braccio, situò la lama sul palmo dell'altra mano.
Un taglio netto.
Il sangue cominciò a gocciolare sul cerchio, attivandolo a poco a poco.
«Nudo argento e ferro. Sangue della fondazione e Granduca dei contratti. Il mio grande maestro Giulio come mio antenato. Un muro per i venti discendenti. I quattro cancelli devono chiudersi e la corona uscire fuori. Lascia la triforcata strada al ciclo del regno.»
Un innaturale calore pervase il suo corpo. Ecco che l'energia aveva iniziato a scorrere dentro di sé, bruciando ogni fibra della sua carne.
Si sentiva tra le fiamme pur essendo in una stanza gelata.
Deglutì.
«Chiudi. Chiudi. Chiudi. Chiudi. Chiudi. Cinque volte per ogni ripetizione. Distruggi semplicemente il tempo rinchiuso.»
La luce aumentò, come il fuoco all'interno di sé.
Bruciava, bruciava, bruciava, stava facendo impazzire i suoi nervi provocandole un lento dolore sempre più atroce.
Quanto faceva male.
Non era ora di mollare.
Piegò il braccio al petto, tenendo la mano chiusa in un pugno.
«...Dichiaro. Il tuo corpo deve essere sotto il mio controllo, il mio fato guidato dalla tua spada. Segui la chiamata del Santo Graal. Se obbedisci a questa mente e a questa ragione, ascolta allora la mia chiamata.»
Digrignò i denti.
Le fitte aumentavano parola dopo parola spremendo i suoi circuiti magici ardenti e pizzicando in continuazione i nervi del sistema nervoso.
Glielo avevano detto che sarebbe stato faticoso e doloroso. Stava liberando ogni briciola del suo Od forzando il fisico fino allo strenuo.
E se voleva il meglio del meglio era dovere superare ogni proprio limite.
Fortunatamente possedeva un catalizzatore il quale le faceva da una sorta di guida permettendole di convogliare le proprie energie nella chiamata di un Servant specifico.
Mancava poco.
«Giuro qui. Io sono colei che diventerà la virtù di tutta l'aldilà. Sono colei che sconfiggerà il male di tutta l'aldilà. Tu che sei il rivestimento dei Sette Cieli nelle Tre Grandi Parole-»
Riprese fiato concentrandosi al massimo.
Tra poco avrebbe assistito al risultato della sua fatica.
«Emergi dall'anello del controllo, guardiano dell'armonia!»
Perse la vista.
Conclusa la frase non vide più nulla, a parte una luce accecante affiorare dal basso.
Le gambe le cedettero.
Si accasciò in ginocchio sul freddo pavimento ansimando.
Fu per brevi secondi.
Tornò in piedi subito, anche perché fare una brutta figura prima ancora di conoscersi non era una buona cosa.
Esaminò la figura comparsa davanti a lei. Aveva la pelle oliva delle sabbie del deserto, consumata dal sole cocente. Non vi erano cicatrici visibili sul corpo nonostante Ramses II fosse stato un grande guerriero. Di conseguenza o non era lui ma uno dei suoi figli -tra quei cento e passa progenie uno di loro deve essere passato alla storia-, o risaliva fisicamente a un tempo precedente alle guerre. Il che poteva essere, poiché a occhio non sembrava avere la stessa altezza vantata in vita. Nella mano destra teneva l'Hekat, il famoso bastone del potere egiziano, tipico dei regnanti. Per essere un faraone lo era. Gli indumenti stessi non erano visibilmente occidentali: indossava un lungo mantello bianco circondato da una larga corona d'oro su cui erano stati incastonati dei grandi zaffiri. Sugli avambracci aveva un paio di bracciali d'oro -gli stessi che gli circondavano un quarto del busto a destra e a sinistra-, mentre le braccia erano coperte da manopole e cubitiere dello stesso materiale sulle quali spiccavano strisce e punti azzurri. Dalle orecchie sbucavano degli orecchini pendenti, oro ovviamente. Del resto non aveva la benché minima idea di cosa fosse, tranne quei larghi pantaloni neri il quale spacco metteva in luce le ginocchia e parte delle gambe.
Aprì di colpo i suoi occhi.
Iridi immensamente dorate, colme di fierezza, di un oro scintillante.
«Il mio nome è Ozymandias*, il re al di sopra di ogni re.»
Scandì per bene le parole con un forte tono ferino.
«Ho risposto alla tua disperata chiamata, magus.»
Non c'era rispetto nella sua voce. Neanche si era curato di sapere chi fosse il suo o la sua Master. Oppure già lo sapeva. Il marchio di Diana si notava sulla sua mano.
«Che catalizzatore hai usato? Ce ne sono molti che avresti potuto utilizzare, come il mio carro da guerra o le mie armi o l'armistizio che feci con gli Ittiti.»
E ora era tranquillo. Lo sguardo stesso si mostrava più rilassato benché non avesse perso l'ardente orgoglio. Il cambio repentino aveva insospettito la castana temendo che una risposta sbagliata l'avrebbe condannata. Fece cenno allo zio di abbandonare stanza in modo da poter chiacchierare da soli. Lui obbedì.
«...La tua mummia, in breve.»
Preferì raccontargli la verità. Tanto lo avrebbe scoperto comunque, stava dietro di lui. L'altro non mutò né espressione facciale né umore.
«Bene!»
Gridò senza un'apparente spiegazione. Lo scettro sparì dalla mano e si diresse all'uscita. Le dedicò una semplice e veloce occhiata per poi andarsene.
Non aveva le forze per attivare una delle magie di comando e obbligarlo a eseguire i suoi ordini. Le aveva prosciugato più della metà del suo Od se non contava il fatto che seguitava ad alimentarlo.
«Ho bisogno di dormire»
Sollevò la testa guardando l'ora: le sette di mattina appena passate.

Qualcosa non quadrava.
Fino a quel momento non l'era venuto in mente perché costantemente distratta, ma ne aveva la certezza.
Il Santo Graal aveva impiegato meno tempo a ricaricarsi del previsto.
Di solito dall'ultima guerra necessitava di circa sessant'anni per riempirsi di nuovo. Invece ne erano passati venti. L'attivazione del Graal non poteva essere accelerata in nessun modo che non sia un massacro.
Un massacro.
Avrebbe senza dubbio colmato un bel po' il Sacro oggetto con tutta quella energia assorbita.
I Master di vent'anni fa, presumibilmente erano tutti morti.
Accompagnati da innocenti.
Valeva seriamente la pena sacrificare vite per un singolo desiderio. Ammesso che era capace di esaudire veramente i desideri.
Non riusciva a chiudere occhio. Si era addormentata per un'oretta scarsa con i pensieri a pungerle la testa. Tanti piccoli fastidiosi aghi.
Si girò dalla parte opposta del letto.
Di buono per adesso aveva solo lo Spirito Eroico evocato del quale, ragionando, la classe le era ignota. Si presentò col nome e il soprannome, nient'altro.
Un altro problema.
Problemi, problemi, problemi.
Sperava almeno che non avrebbe fatto storie se gli avesse chiesto la classe. Indubbiamente odiava venir chiamato con essa o non l'avrebbe omessa.
Sarà difficile convivere con un tipo come lui, soprattutto se aveva la testa ferma al 1300 a.C.

*Ozimandia/Osimandia/Ozymandias: versione greca del nome intero di Ramses II, cioè Usermaatra Setepenra Ramess Meriamon


 
  
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