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Autore: ViolaClegane    06/01/2019    0 recensioni
Viktor, il guardiano della Torre dell'Orologio, veglia sulle lancette e sulla luna, mentre una ragazzina ostinata cerca di scappare di casa. In un mondo notturno e allusivo, strani fiori bianchi inducono il sonno e i sogni intrecciati dei personaggi svelano un inquietante mistero. Una favola notturna sul senso del perdersi e ritrovarsi, fra innocenza e disincanto.
Genere: Malinconico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Altri sogni.
Martina va in chiesa. Tutte le domeniche. Nel primo banco prega con ardore. Prega il buon Dio e la misericordiosa Madre, prega Gesù e i Santi. Martina non è Martina, come negli altri sogni, e di conseguenza non prega per sé, ma per quell’altra. Quell’altra che nel sogno ha avuto l’indecenza di prendere il suo posto. Quell’altra che mi riconosce senza saperlo e che ama di un amore folle e impossibile l’uomo di Dio dietro l’altare.
 
Martina è una donna felice, con una casa felice e una vita felice. Martina prova un affetto sincero per suo padre, che è la persona più importante al mondo per lei. Gli sta sempre vicino. Quando lui invecchia, lei lo accudisce fino alla fine dei suoi giorni e piange, piange l’amato padre.
 
Martina è rimasta sola. Nessuno l’avrebbe detto: una bellezza così... Vive con la sorella sposata, in casa con la sua famiglia e fa da precettrice ai figli che non ha avuto. È la zia preferita, s’intende. Soprattutto del pargoletto biondo che vuole sempre salire sulle sue ginocchia e farsi accarezzare. Zia, zia! Come le vuole bene. Un affetto di nipote, s’intende.
Pensa la zia Martina, giovane e bella. Possibile che non c’è nessuno al mondo cui riesca a volere bene più di così?
 
Decise di farmi provare il rimedio per il sonno, e di annotare anche i miei sogni su un piccolo taccuino. Diventava sempre più inquieta: erano gli stessi sogni che aveva fatto lei, solo da un altro punta di vista. Così decise di trovare la parte mancante del manoscritto.
 
 

 
 
Frugò ovunque, fino a che Malera ci disse di sapere dove si trovava.  L’aveva salvato una volta dalla furia distruttiva dello zio in uno dei sui attacchi di panico.
 
Messo insieme il manoscritto, Martina lo lesse.
Lo zio diceva di avere ricevuto questi fiori da uno sciamano che ne ricavava un estratto in grado di avvicinarti alla tua stessa essenza. Lo zio l’aveva provato e usato per dormire per un certo tempo, poi aveva iniziato  fare strani sogni.
 
No, non strani. Inquietanti, ecco. Sognava sempre la stessa donna, in continuazione. No, diceva a un certo punto, non la stessa donna. Molte donne diverse, che lui sapeva essere la stessa donna. Chi fosse, nessuna idea. Poi aveva incontrato Malera e l’aveva riconosciuta. Era lei la donna vapore, che prendeva forma sogno dopo sogno. A quel punto vuole scoprire dove sarebbe arrivato, se ci fosse una conclusione alle trasformazioni dello spirito di Malera. Poi seguono pagine confuse, lo zio sembra fuori di sé. Dice di non voler più prendere il fiore, poi invece continua. A un certo punto dice di avere visto il futuro e che Malera c’è ancora ma ha altre forme, altri significati.
Lo zio sta crollando, le visioni notturne lo terrorizzano. Qual è il fondo del vortice?
La nostra anima non è destinata al Paradiso. E all’inferno, nemmeno. Prima ci sono altri passaggi e poi non si sa.
 
- Passaggi? – avevo chiesto dubbioso - Non capisco, cosa intendi dire?
 
Per me era davvero troppo.
 
- Altre vite, Viktor. Lo zio dice che, dopo ogni vita, ce n’è un’altra, in cui cambiamo forma, assumiamo un altro corpo, avremo un’altra storia. Il fiore è in grado di riportare alla memoria i ricordi dell’anima trasmigrata. E il filo conduttore di tutte le nostre vite è un’altra persona. Una sola, che cambia e assume forme diverse.
 
- E come si fa a riconoscerla?
 
- Non si può, a meno che non si abbia il fiore. Dice che esiste un punto di arrivo ma per arrivarci bisogna vivere. Più e più volte. Il punto di arrivo, scrive lo zio, è la realizzazione perfetta. Questa realizzazione significa aver vissuto in tutti i modi, avere amato il nostro Koibito –la persona destinata - in tutti i modi possibili. È una sorta di guida, senza la quale nell’immensità del tempo saremmo smarriti. È quella che fa del nostro vivere un percorso e non una camminata nel deserto.
 
Martina continuò leggendo una pagina del manoscritto:
 
-  se non l’abbiamo amato in tutti i modi, come padre, fratello, amante, marito, nipote, zio, amico, in salute e in malattia, in buona e in cattiva sorte (ma la morte non ci separa del tutto), in ogni forma di amore possibile, come potremo realizzare l’amore completo? Lo scopo di tutte le vite è portare a termine il percorso, raggiungere l’amore perfetto, e l’amore perfetto si realizza solo dopo che abbiamo saputo amare il Koibito di tutti gli amori possibili.
 
- Lo zio-  continuò Martina - spiega poi alcuni fenomeni, alla luce della sua scoperta. Noi siamo sempre stati abituati a considerare certi tipi di rapporti legittimi e giusti, altri no. Per esempio, consideriamo innaturale che fratello e sorella si amino, che vogliano stare insieme come una coppia di innamorati. Eppure esistono casi di amore di questo genere. Si tratta di persone... Come le chiama lo zio? Illuminate, ecco. Si tratta di persone che hanno una coscienza sommersa più forte, che percepiscono la verità, al di là delle apparenze della vita contingente, con più nitore. Persone che hanno in qualche modo riconosciuto il Koibito e che si trovano nella condizione di non poterlo amare come vorrebbero. Sentono il biasimo delle persone che li circondano, dell’epoca, della società in cui devono vivere, ma il legame con l’anima originale, quella che ha vissuto già molto e che loro soltanto riconoscono, è troppo forte. Per questo accadono alcuni amori che sembrano uno sbaglio totale, un orrore, un accidente forse evitabile, di sicuro senza senso. Perché la loro ragione è più profonda, meno visibile.
 
- E lo zio aveva visto il futuro? Sapeva dove e quando sarebbe rinato, in che forma, e come sarebbe arrivata Malera di nuovo?
 
- Sì, lo sapeva. Dice di averlo visto ma non scrive nulla a riguardo. È comprensibile, che gli sia parsa un’enormità, mettersi a scrivere una cosa del genere. L’ha tenuta per sé. E Malera non sa nulla, a quanto pare, né dello Studio né di quello che è successo allo zio.
- Tu credi che dovremo dirglielo?
- No, io credo di no.
- E cosa ne facciamo, del fiore?
   
 
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