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Autore: pattydcm    06/01/2019    2 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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 24 novembre
 
<< No, Jason. Non ho visto questo tipo. Sai bene quanto il paese sia piccolo e quanto la gente mormori qui. Uno straniero… questo straniero avrebbe dato nell’occhio e io sarei, per un verso o per un altro, venuto a saperlo >>.
<< E nessuno, invece, le ha parlato di stranieri in visita da queste parti >> chiede John al titolare dell’emporio dell’ennesimo paesino che ha diligentemente annotato nel suo taccuino.
<< No, Capitano. Né questo né nessun altro. Come ho detto il paese e piccolo e le voci corrono veloci >> ribatte l’uomo facendo spallucce.
<< Grazie comunque, Leslie. Appendo uno di questi in bacheca, se non ti dispiace >> dice l’ispettore, mostrandogli una delle locandine che hanno preparato nella quale la foto di Sherlock con in testa il deerstalker campeggia sopra la scritta ‘scomparso’.
<< Certo, fai pure >> gli dice il vecchio, portandosi alla cassa dove un donnone enorme si appresta a depositare il contenuto del cestino stracolmo sul bancone.
John non riesce a distogliere lo sguardo da lei. Ho un viso così strano e un corpo talmente massiccio da destare una curiosità priva di alcuna educazione, se ne rende conto, ma difficile da ricacciare giù.
<< Sì, non passa certo inosservata >> ridacchia Hataway, che ha notato l’effetto che quella donna ha scatenato in John .
<< Non ci riuscirebbe neppure volendolo >> borbotta John, che ancora la osserva mentre parlotta gioviale con il vecchio.
<< E’ la figlia di Abbott >>.
<< Il mio collega trapassato? >>.
<< Sì, proprio lui. Il vecchio Liland ha avuto quattro maschi prima di mettere al mondo lei. Purtroppo la neonata era grossa e ci sono state delle complicazioni durante il parto che l’hanno resa un po’ tarda. Ha vederla può fare paura, ma è una creatura timorosa e riservata >>.
John annuisce meccanicamente alle parole dell’ispettore. Le mani di questa donna, enormi e piene di calli lo catturano totalmente. Esce dal negozio proprio mentre Hataway strapazza per bene l’ultima puntina sul quarto angolo della locandina.
<< Oh… buongiorno ispettore >> borbotta lei tenendo lo sguardo basso. Fa impressione vedere tanta remissività in una creatura così grande da dare l’idea di potere con un colpo solo atterrare uomini della stazza sua e di Hataway.
<< Buongiorno, Mary. Hai approfittato della tregua per scendere a fare spese, vedo >>.
<< Oh… sì. Gli animali hanno bisogno di cibo e di qualcosa ho bisogno pure io >> risponde arrossendo vistosamente. Scocca occhiate furtive a John che fatica ad abbozzare un sorriso di cortesia.
<< Tutto bene lassù? Avete avuto danni dalla bufera? >>.
<< Nessuno, per fortuna, ispettore >> dice sorridendo imbarazzata. << Può pure risparmiarsi il giro di ronda fin su da noi >> aggiunge rimboccando la sciarpa sulle guance arrossate dal freddo.
<< Ti ringrazio, cara. Avrò più tempo per le ricerche che sto portando avanti con il Capitano Watson. Lui è medico, sai? Come lo era tuo padre >>.
John porge la mano alla donna presentandosi educatamente. Una spiacevole sensazione lo avvolge quando vede la sua mano, già di per sè piccola, scomparire inghiottita da quella enorme e massiccia di Mary.
<< Perché è capitano se è medico? >> domanda curiosa con una vocetta da bambina. John scambia una rapida occhiata con l’ispettore.
<< Perché è stato medico nell’esercito >> risponde al suo posto Hataway con la dolcezza che un padre userebbe ad una figlia.
<< Oh >> esclama stupita. Stringe le mani l’una contro l’altra e i guanti di pelle che ha indosso sfregano tra loro, creando uno scricchiolio poco piacevole. John nota quanto gli vadano stretti. Certo deve comunque essere difficile per lei trovare guanti che non risultino piccoli, anche tra le taglie da uomo.
<< Deve aver nevicato parecchio se hanno mandato l’esercito, ispettore >> osserva, continuando a guardare furtivamente John. Queste sue occhiate brevi e sfuggenti infastidiscono non poco il dottore, cosa alquanto strana data la sua rinomata pazienza proprio con le persone più deboli.
<< Oh, no, Mary >> ridacchia Hataway, porgendo le sue scuse a John con lo sguardo. << Non è più in servizio ed è qui alla ricerca di un suo amico che risulta essere scomparso >> dice indicando la locandina.
La donna si volta e fissa a lungo la fotografia prima di esplodere in una fragorosa risata.
<< Che cappello buffo! >> esclama, trillando come una bambina.
<< Lui non lo sopporta >> ribatte John, che sente il fastidio farsi sempre più.
<< Allora perché lo mette? >>.
<< Perché la prima volta che un giornalista lo ha fotografato lo indossava per cercare di camuffarsi. È dell’idea che un consulente investigativo non debba avere un’immagine pubblica. Gli comprometterebbe il lavoro >> le spiega consapevole del fatto che poco capirà di quel che le ha detto. La donna, infatti, lo fissa attonita. Il dottore, però, si rende conto di non provare alcun rimorso per aver usato parole fin troppo complicate per questa donna con un ritardo mentale evidente.
“Cristo, e la fanno andare in giro da sola” sospira mentre i suoi occhi sono sempre più attirati dai lineamenti parzialmente coperti dalla sciarpa blu e dalle mani enorme costrette nei guanti di pelle.
<< E’ un poliziotto? >> domanda la donna, uscendo dal suo silenzio, mentre riporta lo sguardo alla foto alla quale si avvicina.
<< Non proprio >> risponde John, che vuole solo andare via da lì, dove stanno perdendo fin troppo tempo. La sente tentare di leggere il nome, sbagliando clamorosamente la pronuncia, cosa che gli manda il sangue alla testa.
<< Sherlock. Si chiama Sherlock Holmes >> scandisce. Fulminea sente la mano di Greg posarsi sulla sua spalla sinistra e stringerla. Gli causa una fitta di dolore, affondando le dita proprio nella vecchia ferita di guerra, ma riesce a distoglierlo dalla voglia di riempire di improperi quella mentecatta. Il fatto che questa inizi a ridere di nuovo come una bambina non aiuta per nulla i tentativi del suo buon amico.
<< ha un buffo nome il tuo amico >>
<< Sì, ha un buffo nome e porta un buffo cappello e se anche tu vivessi con lui noteresti tante altre cose dannatamente buffe >> ringhia e questa volta anche l’ispettore sente di dover posare una mano sul suo braccio.
<< Vivete insieme? >> gli chiede, cambiando improvvisamente espressione. Un brivido percorre la schiena di John dinanzi a quegli occhi seri e al viso teso. Non c’è più alcuna traccia della bimbetta timida in questa donna, ora, e ciò che ne ha preso il posto placa i bollenti spiriti del dottore.
<< Siamo coinquilini >> risponde e frammenti di quel sabato sera gli si ripresentano prepotenti alla mente.
“Cosa dovrei fare? Dirle ‘Sì, siamo amanti?’ Non capirebbe, è troppo stupida!” pensa benchè non ci trovi più nulla di stupido in questa donna che si è avvicinata ancora di più alla foto che osserva attenta.
<< Sai, Mary, gli affitti a Londra sono cari e capita che persone che non si conoscono si ritrovino a condividere un appartamento per smezzarsi l’affitto >> interviene Hataway, che non sembra per nulla sorpreso dall’atteggiamento della donna. Questa, però, pare non averlo sentito. A dirla tutta da l’idea di essere divenuta un’enorme, gigantesca statua. John scocca un’occhiata all’ispettore che si ravvede della stranezza di quell’immobilità.
<< Mary, cara, tutto bene? >> le chiede sporgendosi appena verso di lei. Improvvisamente la donna si rianima, muovendosi con una velocità che non ci si aspetta da una persona della sua stazza.
<< Devo andare. Devo dare da mangiare agli animali. Farà buio a breve >> borbotta allontanandosi da loro senza degnarli di uno sguardo. Caracolla a passo pesante e spedito verso un furgoncino. Ne apre il portellone laterale gettando all’interno in malo modo quanto ha acquistato. Sale poi al lato guida e mette in moto.
<< Povera creatura >> sospira l’ispettore.
<< Non mi dirà che vive da sola? >> gli chiede Greg, ancora voltato nella direzione verso la quale si è diretto il furgone.
<< Praticamente sì. I fratelli sono continuamente in viaggio e da quando il padre è morto hanno preso l’abitudine di trascorrere l’inverno altrove. La lasciano a badare alla madre allettata. Un ictus l’ha colpita solo qualche mese dopo la morte del marito. Lei tira avanti come può e le dirò che non se la cava neppure così male. Ha la forza di quattro uomini e certo a volte resta imbambolata in modo inquietante e poi cambia repentinamente umore, ma non è un pericolo né per gli altri né per se stessa >>.
<< Se lo dice lei >> borbotta John che continua ad avere davanti agli occhi quel volto squadrato parzialmente coperto dalla sciarpa blu e quelle mani enormi, forti, possenti.
 
***
 
La porta sbatte e passi pesanti, veloci e che non promettono nulla di buono aggrediscono i gradini. Sherlock posa il violino nella custodia, la chiude e lo fa scivolare a terra.
“Non vedo perché dovresti rimetterci anche tu” pensa, prima di tornare a fissare la porta. “Sapevo che sarebbe successo” sospira, passando una mano tra i capelli. La ricrescita è ormai più che visibile e in paese avrà sicuramente sentito parlare del londinese scomparso. Paddington e Hataway non hanno sue notizie da giorni e, ora che le comunicazioni si sono ricostituite, sarà stato loro possibile parlarsi e rendersi conto che non è mai giunto alla centrale. Avrebbe dovuto impedire a Mary di andare in paese a fare acquisti, ma infondo a cosa sarebbe servito? Solo a ritardare l’inevitabile.
“Tanto vale farla finita adesso”.
Non sobbalza neppure quanto la vede entrare in camera come una furia. Gli occhi fuori dalle orbite, sbuffa come un toro pronto a caricare. In una di quelle mani enormi che si ritrova stringe la cinghia del suo trolley, quello che gli aveva detto non aver recuperato.
<< Io ho perso i miei stivali buoni per salvarti e tu, maledetto, mi hai mentito! >> dice lanciandogli addosso il trolley, che lui prontamente afferra, salvando miracolosamente la sua gamba dal subirne le conseguenze.
<< Anche tu mi hai mentito >> ribatte serafico lui. << Avevi detto di non essere riuscita a recuperare la mia valigia >> dice indicandola ancora stretta tra le sue mani.
<< Questo cosa c’entra? >> ringhia lei facendo un passo in avanti.
<< Quindi è così che funziona? Se mento io non va bene e se invece lo fai tu è lecito? >>.
<< Io ti ho salvato la vita! >>.
<< E io te ne sono grato! >> ribatte a tono, lo sguardo fermo su di lei. << Sì, sono un consulente investigativo, mi chiamo Sherlock Holmes e sto indagando su un caso di omicidio per conto di Paddington, il titolare dello Ski Club. Quando mi sono svegliato non sapevo dove fossi, non sapevo chi fossi né perché mi tenessi qui. Ho mentito per proteggermi, Mary. Tu perché lo hai fatto? >>.
La donna resta immobile, ferma nella formulazione del pensiero complicato che la sua domanda deve aver strutturato in lei. Non ha nessun’arma custodita nel trolley, ma, benchè possa essere poca cosa contro la sua furia, può comunque tentare di usarlo come scudo per proteggersi dai suoi pugni.
“E a cosa servirebbe? Questa potrebbe andare avanti a pestarmi per ore. Non è il tempo quello che le manca” sospira nuovamente apatico dinanzi alla situazione in cui si trova. Con un grugnito Mary torna in sé e batte forte i piedi per terra.
<< L’ho visto il tuo coinquilino >> dice pronunciando con disgusto quell’ultima parola. << E’ lì che ti cerca insieme all’ispettore. Vuole riportare a casa il suo amichetto e io non ce lo voglio un porco pervertito sotto il mio tetto! Il demonio in casa, ecco cosa ho portato, maledetta me >> grida gettandosi su di lui, i pugni chiusi come due martelli che cala feroce sulle sue povere membra.
Sherlock non sente alcun dolore. Tenta di difendersi come può, usando il trolley come uno scudo, ma ben poca copertura gli garantisce quella piccola arma. Mary è su un altro pianeta. Sfoga la sua furia, ecco cosa fa e lui deve solo resistere.
“Per fortuna sono totalmente fatto di morfina!” pensa, sentendo appena un fastidio sordo alle gambe. È come se stesse guardando la scena di un film, uno di quelli in 3D che ti portano a vivere in prima persona la situazione. Osserva con distacco il suo corpo, vede quelle mani calare su di lui, sul trolley che preme contro il suo torace, ma non sente nulla. L’audio è un inarticolato ammasso di grugniti, mugolii e strilli che si mescolano ai cadenzati tonfi dei pugni.
<< Punizione! >> grida Mary, pronunciando finalmente una parola di senso compiuto. Lo afferra per la gamba rotta e lo trascina giù dal letto. Sherlock sente un dolore sordo, ma sopportabile e mugugna appena quando cade giù dal letto. Le flebo alle quali è attaccato si staccano dal supporto e lo seguono come lo strascico del carretto di un robivecchi. La donna borbotta parole prive di significato mentre lo trascina giù per una rampa di scale. Sherlock tiene stretto il trolley al petto e cerca di fare forza sugli addominali per non crollare a peso morto su ogni singolo gradino. Dalle scale viene poi trascinato sulla moquette impolverata che ricopre l’intero corridoio. Sente appena il pizzicore che questa gli provoca sulle natiche nude e sicuramente graffiate dallo sfregamento col terreno.
Finalmente si ferma. Si volta verso di lui e un sorriso terribile le si disegna sulle labbra.
<< L’hai fatta grossa questa volta. Grossa grossa, oooooh sì! >> esclama e spalanca la porta di uno stanzino. Strattona la gamba ingessata scaraventandolo dentro. << Resterai qui a riflettere sui tuoi peccati, ingrato senza dio >> dice dando un calcio alla flebo che prontamente Sherlock afferra e trae a sé un attimo prima che lei chiuda la porta, lasciandolo nello spazio angusto, polveroso e buio di quella piccola stanza.
Mary colpisce la porta con quei martelli che ha per pugni, grugnendo e ridendo insieme. Va a vanti non sa neppure per quanto tempo, dando sfoggio di colorite parole volgari, alcune di sua sicura invenzione. Si interrompe all’improvviso. Smette sia di colpire la porta che di fare qualunque altro rumore. Dopo un lungo silenzio, Sherlock la sente allontanarsi, scendere al piano di sotto e uscire dalla porta d’ingresso.
“Sembra proprio che le cose si siano messe moooolto male per te, mio caro consulente” ridacchia Moriarty nella sua testa. Lo ignora. Cerca una posizione più comoda e un appiglio dove appendere le sacche della flebo.
“Finiranno prima o poi. Cosa farai quando accadrà?”.
<< Ci penserò a suo tempo >> ribatte serafico.
“Ti verrà fame e avrai sete”.
<< Posso controllare entrambe >>.
“E sai controllare anche pipì e pupù?” lo canzona divertito. “Dovrai fartele addosso e se tanto mi da tanto la tua benefattrice si incazzerà e darà di matto e allora…”.
<< Mi ammazzerà, lo so >> constata annoiato.
Tutto tace per un lungo istante. Pare che con le sue parole abbia messo a tacere il Napoleone del crimine.
“Johnny boy ti sta cercando” riprova questi, riprendendo il gioco da tutt’altro fronte.
<< Non mi importa >>.
Tace nuovamente. Sembra esserci rimasta male della sua indifferenza.
“Come sarebbe a dire non ti importa?” chiede, infatti, spezzando il suo stesso silenzio.
<< Rimorsi di coscienza. Senso del dovere. Un’altra missione carica di adrenalina. Questo sta facendo John. Non mi sta cercando. Non è me che cerca. Se stesso, forse, ma ormai non mi importa più >>.
“Oh” esclama Moriarty sconsolato. “Non era propriamente così che intendevo bruciarti il cuore”.
<< Spiacente, è arrivata prima Mary Abbott >>.
“Già. Lo ha congelato”.
<< Anche il ghiaccio brucia. Più del fuoco. Ed è più subdolo e sai perché? >> gli chiede e gli sembra quasi di vederlo seduto in un angolo nel buio di questo buco. << Perché prima di uccidere scalda. Un calore piacevole che nasce da un pizzicore doloroso. È come se volesse cullare prima di uccidere. È così che mi sono sempre immaginato la morte, James. Un dolore pungente seguito da un calore dolce, appagante come un orgasmo >>.
“E’ un peccato, però, che finisca così, non credi?” gli domanda e immagina nascere sul suo volto l’espressione da cucciolo bastonato.
<< Così, per mano tua o con un ago nel braccio cosa cambia? Lo hai detto tu no? In qualche modo si deve morire >>.
 
   
 
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