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Autore: pattydcm    06/01/2019    2 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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25 novembre
 
Sherlock si alza dal divano ridendo, il suo laptop in mano. Barcolla su gambe malferme e John teme già di vederlo crollare per terra, distruggere il computer e magari rompersi anche qualcosa.
<< Vieni qui, cosa fai? >> ride alzandosi a sua volta. Lo afferra per i fianchi e lo riporta sul divano. Il consulente grida e ride tentando di divincolarsi.
<< Così lo farai cadere, Sherlock! >> lo richiama seriamente preoccupato.
<< Non sarà una grave perdita. Niente più blog né filmetti porno per allietarti la serata >> lo canzona, tentando di tornare in piedi .
<< Se ne conosci l’esistenza vuol dire che li hai guardati anche tu >> dice strappandogli finalmente il laptop dalle mani. Sherlock tenta di tornarne in possesso, ma lui, prontamente, gli blocca le mani e la schiena contro la seduta del divano.
<< Mi è bastato leggere i titoli della cronologia e la fonte. Io quella roba non la guardo! >>.
<< Oh, santarellino! >> lo prende in giro vincendo i suoi tentativi di fuga.
<< Non ne capisco il senso. Che te ne fai se puoi solo guardarli? Voglio dire, ritrovarsi in una situazione simile è un conto, ma stare a guardare… a che serve? >>.
<< Oddio, non starai dicendo sul serio, spero? >> ridacchia John incredulo.
<< Sono serissimo >> dice, biascicando la esse. Chiaro segno di ubriachezza, se proprio c’è bisogno di trovarne i segni. John ride forte e Sherlock si imbroncia offeso. << Stai ridendo di me, John Watson? >> gli chiede. Solleva il bacino, facendo leva sui polsi bloccati dal soldato. Cerca di richiamare le ginocchia al petto per poterlo scalciare via, ma con movimenti fin troppo naturali il dottore si insinua tra quelle lunghe gambe bloccandolo a sé.
<< Hai iniziato tu, Sherlock, ricordi? >>.
<< Non è vero >> ribatte piccato muovendo il bacino nel tentativo di divincolarsi. Lo sfregamento che ne produce è piacevole e con soddisfazione John vede le guance di lui tingersi di rosso. << Vuoi lasciarmi libere le mani o no? >> gli chiede imbarazzato.
<< Solo per fare questo >> risponde John che svelto gli lascia i polsi e inizia a percorrergli i fianchi e l’addome alla ricerca di un punto sensibile.
<< Stai solo perdendo tempo, io non soffro il solletico >> dice, cercando di fermare le mani di lui. Con molta poca convinzione, in realtà.
<< Ah, sì? >> domanda John, che lo afferra per i fianchi portando le ginocchia sotto i suoi glutei, giusto per crearsi lo spazio adatto a ghermire la sua schiena (e avere il suo bacino ancora più vicino al proprio, ovviamente). Gli basta insinuarsi appena sotto la camicia sgusciata fuori dai pantaloni per sentirlo esplodere in una bordata di risate. Sguaiate e sgraziate. Lontane anni luce dal suo solito aplomb da perfetto uomo tutto testa e privo di emozioni.
La schiena si inarca, le gambe si stringono attorno ai fianchi di lui, le mani battono sulle sue spalle, le unghie gli arpionano la schiena e la voce lo implora di fermarsi, di smetterla, cosa che lui fa solo quando le mani di lui gli afferrano i polsi. Si guardano allora entrambi affannati, il volto rosso dalle risate e dalla finta lotta appena avvenuta.
<< Vuoi davvero che smetta? >> gli domanda John, con una tensione nella voce pari solo a quella che avverte nei pantaloni di entrambi.
Sherlock smette di respirare. Morde il labbro, gesto che fa fare un guizzo al cuore e alla patta dei pantaloni del soldato. Senza dire nulla, restando in apnea, avvicina appena le lunghe dita della sua mano destra a sfiorare le labbra di lui.
<< Jawn >> sussurra riprendendo fiato. Il sibilo dell’aria che entra dentro di lui attira John verso quelle labbra. Ci sono solo loro, adesso. Le labbra che bacia e che lo ribaciano, che morde e sorridono. Le unghie di Sherlock che affondano nella carne, le sue dita affusolate che gli spettinano i capelli, le lunghe gambe che gli stringono i fianchi e il desiderio di John di spogliarlo e farlo suo. Farlo subito, prima che quella magia svanisca e che si svegli dal sogno.
<< E’ bellissimo tutto questo, Jawn >> sussurra Sherlock al suo orecchio, mentre lui gli costella il collo di morsi.
<< Sì, è bellissimo >> ribatte lui, strappandogli senza alcun ritegno la camicia di dosso, cosa che fa ridere di gusto il suo coinquilino, mentre i bottoni tintinnano cadendo sul pavimento.
Dovrebbe fermarsi. Sa che dovrebbe perché il suo amico è ubriaco fradicio e in circostanze più sobrie sarebbero entrambi seduti davanti a un film o ognuno nei propri letti. Però non si ferma. Non ne ha alcuna voglia.
<< Ti voglio. Dio, come ti voglio >> gli dice lasciando scivolare le mani nei suoi pantaloni ad afferrare i suoi glutei sodi.
<< Allora prendimi >> sussurra lui abbandonandosi totalmente alla sua mercé.
Dovrebbe fermarsi. Sì, dovrebbe davvero, perché lui è troppo bello, i suoi occhi troppo languidi e il suo sorriso troppo dolce. Invece si avventa nuovamente su quelle labbra arrossate dei baci e dei morsi che gli ha dato. Le dita di Sherlock disegnano complesse linee sulla sua schiena, ognuna capace di dargli i brividi. Le sente farsi più pesanti, più grandi. Si sposta sul collo e la risata di lui risuona argentina come quella di una bambina.
<< E’ davvero un buffo nome >> sente dire e nel riaprire gli occhi si ritrova stretto a quel donnone terribile incontrato all’emporio. << E dov’è adesso il tuo coinquilino? >> gli domanda. Gli impedisce la fuga tenendolo nelle ganasce forti che ha per gambe.
<< Era qui… era qui fino a un attimo fa’ >> esclama lui inorridito, cercando di liberarsi dalla stretta. Più ci prova, più, però, le cade addosso facendola ridere, ridere sempre più forte.
<< Continua pure con me, io non mi offendo >> dice quella donna in tono malizioso. Gli posa una manona sulla nuca e lo spinge a sé schiacciando le sue labbra contro quelle di lui.
 
John si risveglia urlando. Cade dalla sedia sulla quale si era appisolato ritrovandosi sul pavimento.
<< Ehi, John, che ti prende? >> gli domanda Greg che subito accorre ad aiutarlo a rimettersi in piedi.
<< Un incubo. Un maledetto incubo >> borbotta strofinando le labbra sulle quali sente ancora la pressione di quelle del donnone raccapricciante.
<< Dovresti andare a sdraiarti su un letto vero >> gli dice l’amico battendogli la spalla.
<< No, non se ne parla. Ho osato anche troppo. Ci sono novità? >> gli domanda volgendo altrove la conversazione.
<< Mycroft sta per arrivare >>.
<< Cosa? >> chiede stupito. << Perché lo hai chiamato? >> .
<< Non l’ho chiamato, John, lungi da me dal farlo. Penso abbia fatto due più due e abbia scoperto che fa ancora quattro >>.
<< Non ce lo voglio qui >>.
<< Non puoi impedirglielo. È suo fratello, oltre che l’uomo più potente d’Inghilterra >>.
<< Me ne frego della sua potenza! >>.
<< Lo so, e ti ammiro per questo. Sono passati due giorni da quando abbiamo trovato la macchina e, nonostante le ricerche, non siamo venuti a capo di niente >> sospira Greg passando la mano sul volto stanco.
<< E credi che avere qui il governo inglese possa fare qualche differenza? È forse in grado di sciogliere la neve a comando? >>.
<< Non lo so, John, ma per il punto in cui siamo io sono disposto ad accettare qualunque tipo di suggerimento >>.
Lo sguardo di Greg non da spazio a repliche e anche John deve convenire che la situazione è talmente disperata da rendere necessaria qualsiasi forma di aiuto. Potrà sempre sbandierargli in faccia quanto avesse ragione ad essere allarato.
“Magra consolazione” sospira portando le mani al viso.
<< Greg, senti… lui non sa. Cioè, sicuramente lo sa, ma io non gli ho confermato quello che ho detto a te >>.
<< E io baderò bene a tenerlo per me >> conclude il detective dando a intendere di non avere alcuna intenzione di tornare sull’argomento.
<< Grazie >> sussurra John posandogli una mano sulla spalla. La sente contrarsi sotto le dita. Greg è lontano. Lo può toccare, gli può parlare, ma è lontano. Non stanno condividendo lo stress e il dolore per quella brutta situazione. Il detective ha deciso di tenere per sè le sue preoccupazioni. Quel segreto che gli ha confidato è stato un colpo basso.
<< Mi dispiace davvero >> borbotta tra sé e forse Greg lo sente anche, ma decide di non dargli corda.
<< Ehi, gente, è arrivato un tizio del governo che dice di essere il fratello del vostro amico scomparso >> dice Hataway irrompendo spazientito nella sala ristoro della piccola stazione di polizia. Al di là del vetro smerigliato, John intravede la sagoma inconfondibile di Mycroft Holmes. Prende un profondo respiro e con Greg al seguito segue l’ispettore.
Mycroft indossa un cappotto marrone che scende a coprirlo fino alle caviglie. Le mani, protette da guanti di pelle della stessa tinta, sono appoggiate all’immancabile ombrello. Una sciarpa bordeaux gli protegge la gola dal freddo e la allenta appena quando li vede arrivare.
<< Dottor Watson devo farle le mie scuse >> esordisce impacciato. << A quanto pare aveva ragione su mio fratello >>.
<< A quanto pare >> si limita a ribattere John.
<< Non ci sono notizie? >>.
<< Nessuna >>.
Mycroft annuisce e allenta un po’ di più la sciarpa, accompagnando il gesto con due secchi colpi di tosse.
<< Una notizia invece c’è, signori >>, irrompe Hataway, << ma non è buona >> aggiunge rompendo le loro speranze. << Una nuova bufera sta per abbattersi su queste montagne. Avrà inizio stanotte e dio solo sa quando scemerà. Io… non voglio fare il menagramo, ma temo che per il vostro amico non ci sia nulla da fare. Se qualcuno lo avesse trovato e ospitato a questo punto ce lo avrebbe detto. A che pro tenersi un infermo e magari moribondo sconosciuto in casa? >> si domanda l’ispettore.
“Già a che pro?” si scopre a chiedersi il dottore.
<< Anche il caso sul quale era stato chiamato a indagare è congelato, come tutto qui attorno, del resto. Signori, io vi consiglio di tornare a Londra. Qui non si potrà fare nulla se non guardarsi le mani davanti al fuoco per i prossimi giorni >>.
<< No, io non me ne vado! >> sbotta John risoluto.
<< Beh… il posto in camerata per lei c’è sempre, Capitano. Per me non è un problema se vuole rimanere. E anche lei signor Holmes >> dice rivolgendosi, suo malgrado, al governativo. << Ho qui per lei, collega, una comunicazione da Scotland Yard >> aggiunge, porgendo a Greg una circolare. Questi la prende, la legge e sbuffa alzando gli occhi al cielo.
<< Io, invece, devo rientrare, maledizione! >> sbotta restituendo la comunicazione al collega. << Quel maledetto caso. Pare che qualcosa di nuovo si sia verificato e hanno bisogno di me sul campo. Cristo, Mycroft, non ti immagini quanto l’aiuto di tuo fratello mi manchi in questo momento >> dice portando una sigaretta alle labbra. Fa per accenderla, ma l’accendino non collabora e prima che lo colga una crisi di nervi interviene in suo aiuto Mycroft, che fa scattare la miccia del suo accendino dorato proprio sotto al suo naso.
<< Grazie >> gli dice il detective dopo aver acceso la sigaretta.
<< Torni a Londra, Lestrade. Riprenda in mano i suoi appunti e focalizzi l’attenzione su quell’indizio che tanti pensieri le ha dato. Lì è la chiave di ogni cosa. E si ricordi che la risoluzione di un problema la si ottiene scegliendo sempre la soluzione più semplice >>.
<< La soluzione più semplice >> annuisce Greg, già calato nel suo ruolo.
<< La faccio accompagnare alla stazione, collega >> si intromette Hataway, dando ordine a uno dei suoi uomini di preparare l’auto.
John vorrebbe dirgli tante cose, ma si limita a chinare il capo imitando il saluto che lui stesso gli fa prima di lasciare la centrale.
<< A quanto pare siamo rimasti solo lei ed io, dottore >> dice Mycroft, prendendo una sigaretta da un pacchetto nascosto nella tasca interna del cappotto.
<< Non sapevo fumassi >> gli dice John sinceramente stupito della cosa.
<< Pessima abitudine, in effetti >> ribatte Mycroft, osservando la brace incandescente della sigaretta.
<< Hai anche tu qualche umana debolezza, allora >>.
Mycroft si limita a mostrare quel suo sorriso tirato e a prendere una lunga boccata dalla sigaretta.
<< Allora, dottore, pensa che avremo mai il piacere di rivedere sano e salvo quello stolto che ho per fratello? >>.
<< Io… so che va contro ogni logica, cosa che non mancherai di farmi notare, ma io… io so che è ancora vivo >>.
<< Trovo sia un buon punto di partenza per strutturare un’indagine >> gli sorride e sembra anche sollevato dalla sue parole. << Lei consoce i suoi metodi. Penso sia arrivato il momento di usarli per risolvere il caso, John >>.
<< Mi stai dicendo che… che devo essere io ad indagare? >>.
<< Precisamente >> annuisce serio, prendendo un’altra boccata dalla sigaretta.
<< Mycroft >>, sospira John, portando la mano agli occhi. << io non ho la sua… la vostra intelligenza. Sono un comunissimo idiota, come posso venire a capo di questa situazione? >>.
<< Perchè conosci i suoi metodi. Da un anno lo vedi all’opera, lo aiuti a ragionare, lo segui nei suoi deliri e nei suoi pedinamenti >>.
<< Tu sei più intelligente di Sherlock, persino lui lo ha ammesso. Non dire, però, che te l’ho detto, per favore >> aggiunge mordendosi la lingua dinanzi a quella che doveva restare una confidenza. Mycroft ride divertito in un momento in cui una risata è del tutto fuori luogo. Proprio come suo fratello. << Visto? Siete uguali! >> esclama alzando gli occhi al cielo. << Posso fare da assistente a te come ho fatto a lui >>.
<< No, John. Posso essere più intelligente di Sherlock, è vero, ma non ho metodo. Lui tiene conto di cose che a me sfuggono perché non le considero. Il più delle volte perché le trovo superflue >>.
<< E sarebbero? >>.
<< Le emozioni. I rapporti umani. Il coinvolgimento >>.
John si sente chiamato in causa e distoglie lo sguardo da quello perennemente giudicante di lui.
<< Senti, Mycroft, quel che è successo tra me e tuo fratello… >>.
<< Non è di mio interesse >> lo interrompe lui. << Non lo era quando tentai di assoldarti come spia all’interno di Baker Street e non lo è adesso. L’unica cosa che mi auguro è che possiate avere l’occasione di chiarirvi e  per farlo dobbiamo prima trovarlo, John >>.
<< Già >> sospira, passando la mano sul viso stanco. << Beh, allora non resta che iniziare il gioco, come dice sempre lui >>.
 
***
 
Il vento soffia forte qui nella fossa. È gelido e inclemente. Graffia la pelle senza alcuna pietà, come una bestia. Ride, poi, delle sue malefatte, avvolgendo nelle sue spire prima di passare oltre. Sherlock trema da capo a piedi. Giace tra i corpi putrescenti ricoperti di brina, che li imbianca rendendoli ancor più tetri.
“Non sono ancora morto” pensa, mentre cerca di fregare gli arti congelati e nudi. Una stretta dolorosa gli arpiona lo stomaco facendolo vomitare a intervalli quasi regolari.
“Non ancora, ma ci siamo quasi” ridacchia Moriarty in piedi sul limitare del bordo della fossa. Le mani in tasca, gli occhiali scuri a coprire quei suoi occhietti vuoti e il sorriso beffardo sulle labbra. “E’ bello morire, Sherlock” gli dice saltando dentro la fossa. “Nessuno viene a disturbarti” aggiunge facendo spallucce. “Guarda tutti questi corpi” dice, indicando col dito i cadaveri che li circondano. “Sono rimasti qui tranquilli e al sicuro per taaanti anni. Poi, sì, sono venuti a disturbarli, in effetti, ma è anche una situazione insolita la loro, non trovi?”.
<< Decisamente insolita, sì >> ammette tremando sempre di più. Un altro conato lo sorprende e quella che rigetta ora è una schiuma bianca e maleodorante.
“Oh, ma guardati!” esclama James disgustato. “Ammetto che se al nostro primo incontro ti avessi trovato ridotto così ci avrei pensato due volte prima di coinvolgerti nel nostro simpatico gioco. Avanti, stupiscimi, consulente investigativo. Perché queste carcasse di trovano qui?”.
<< E’ la discarica di un seriale, questa >> risponde riprendendosi a fatica dall’ultimo conato.
“Ma dai? Sai dirmi qualcosa che non so? Come, ad esempio, chi sia?”.
<< Non qualcuno incoraggiato da te,questa volta >> borbotta tentando di mettersi in piedi. La gamba, però, non lo regge e gli cade tra le braccia.
“Oh, ti prego, non qui davanti a tutti!” esclama James guardandosi attorno fingendo imbarazzo. Lo allontana da sé malamente e lui cade giù a sedere. La gamba, che lentamente si sta risvegliando, gli manda una stilettata di dolore talmente forte da farlo urlare. “Oh, suvvia, quanta scena per un po’ di dolore”.
<< Tu non provi mai dolore, non è così? >> gli domanda tra i denti.
“Oh, Sherlock. Il dolore si prova sempre, ma non ti deve fare paura” ridacchia. “Tornando a cose più serie” dice, scavalcando con un balzo uno dei corpi. “Sì. confermo che questa non è opera di nessuno dei miei clienti. Quindi di chi stiamo ammirando le gesta?”.
<< Io… non ne ho idea >> ammette vinto dai tremiti. << Non sono infallibile. Alcuni casi proprio non mi riesce di risolverli >>.
Moriarty sospira, mettendo su una delle sue espressioni da cucciolo. Si inginocchia davanti a lui e con teatralità gli accarezza il viso addolorato.
“Neppure quando hai la soluzione sotto il naso?” gli domanda in un sussurro portandosi a un palmo dal suo viso. Lui lo guarda confuso e questi alza gli occhi al cielo, infastidito dalla sua lentezza. “Ricordi cosa hai detto tu stesso alla piccola Molly Hooper? Dai, avanti! Lei aveva detto che non avevano nulla in comune questi corpi, mentre tu le hai fatto notare che li accumunava il loro essere…”.
<< Nudi >> .
“Bingo!” esclama James divertito. “E, guarda un po’, nudo ora lo sei anche tu. Hai anche tu questa cosa in comune con loro” gli dice invadendo il suo spazio personale. “E’ stato Johnny boy a spogliarti, Sherlock? Ti ha strappato la camicia di dosso, ha fatto volare i bottoni dappertutto, quel birichino, e tu hai riso. Oh, se hai riso. Ce l’ho ancora nella testa la tua risata. Eri eccitato. Talmente eccitato che ti faceva male il modo in cui premeva contro la patta dei pantaloni, ammettilo” dice strizzandogli l’occhio malizioso. “Quando ti ha strappato di dosso anche quelli è stato un dolce sollievo, nonché l’inizio della parte più bella”.
<< Sta zitto! Non è stato lui! Se sono nudo, ora, non lo devo a lui >>.
“Ah no? Allora chi è stato, Sherlock? Non mi dirai che sei anche tu il tipo che dopo la prima volta inizia a darlo in giro senza alcuna pietà? Guarda un po’ come si fa in fretta a passare da verginello a puttana”.
<< Non sono una puttana! >> esclama. Richiama a sé tutte le sue poche forze per compiere un balzo verso di lui. Gli stringe le mani al collo intenzionato a farlo tacere una volta per tutte.
“Ah no? Eppure mi pare ti sia sentito proprio così negli ultimi tempi” ribatte Moriarty, liberandosi facilmente dalla sua stretta. “Quante stupide distrazioni dal caso! Quante energie sprecate che ti allontanano dalla soluzione così evidente che hai sotto al naso!” dice scuotendo il capo deluso da lui. “Sbarazzati di quanto è successo con quell’insulso omuncolo e torna ad essere il consulente infallibile che ho conosciuto” grida nel suo modo folle.
 
<< Edward… ehi, Eddy, che succede? >>.
La voce di Mary bambina lo richiama dal suo Mind Palace. Non ha idea di quanto tempo sia trascorso dal momento in cui la Mary pericolosa lo ha rinchiuso là dentro. Sa solo che la morfina è finita e che la crisi d’astinenza è iniziata ed è al momento al suo picco maggiore. Si ritrova circondato dal suo stesso vomito, sdraiato nell’urina e nelle feci che non si è neppure reso conto di aver evacuato. Brividi e sudori freddi lo percorrono da capo a piedi e la gamba, oddio, la gamba gli fa male come se folletti dispettosi si stessero divertendo a pungolargliela in continuazione con spilloni arroventati.
<< Mary! Oh, piccola Mary, ti prego aiutami >> singhiozza posando una mano sulla porta.
<< Non posso >> risponde questa tirando su col naso. Sta piangendo in silenzio, riesce a immaginare i suoi occhioni arrossati e gonfi. << Perché mi hai mentito, Edward? >> .
 << Io ho avuto paura, Mary. Non sapevo dov’ero e poi sono venuto qui sotto copertura per lavoro >>.
<< Non sei un insegnante di sci. Sei un poliziotto, uno di quelli che porta via le persone >> lo accusa arrabbiata.
<< Non sono un poliziotto, Mary. Io sono solo una persona in grado di osservare e dedurre. È la mia condanna >> constata, ormai addossato alla porta che in queste lunghe ore di dolore è stata percossa spesso dalle grandi mani della mary cattiva.
<< Io pensavo fossi mio amico >> sussurra la bambina piangendo.
<< E lo sono. Noi siamo amici, Mary. Le cose che ti ho raccontato, i miei incubi, le mie storie andate male sono vere, Mary >>.
<< Però non sei un maestro di sci e non ti chiami Edward >>.
<< No. Sono un consulente investigativo, l’unico che esista al mondo e mi chiamo Sherlock >>.
<< Che buffo nome >> ridacchia tirando su col naso.
<< E’ stata mia madre a darmelo. Significa ‘uomo dai bei capelli’ >>.
<< Sono neri, non biondi. Hai mentito anche su quelli >> lo rimprovera piccata.
<< Sì, è vero, ho mentito e vorrei non averlo fatto. Vorrei non aver mai accettato questo maledetto caso >>.
<< Però così non ci saremmo mai conosciuti >> constata lei triste.
<< Sì… è vero >> dice tra le lacrime, continuando a maledire la telefonata di Paddington.
<< Non avremmo cantato insieme ‘Molly Malone’ >>.
<< Già non lo avremmo fatto >>.
Ridono entrambi finche un crampo allo stomaco più forte degli altri strappa un grido a Sherlock.
<< Cosa succede? >>.
<< Sto male, Mary >> borbotta Sherlock con un filo di voce. Percepisce l’esitazione della donna al di là della porta. Poi avverte la serratura girare e la porta aprirsi piano. La luce gli ferisce gli occhi benchè sia flebile.
<< Oddio, cosa hai combinato, Eddy? >> esclama Mary bambina arricciando il naso dinanzi all’odore che l’ha colpita in pieno.
<< Mi dispiace, Mary. Non ho potuto fare altrimenti. Non sto bene. Perdonami >> si rende conto di stare piangendo senza alcun ritegno. Allunga le mani fino a toccare le enormi pantofole che ha ai piedi, nella disperata richiesta di aiuto.
<< Dobbiamo sbrigarci! >> esclama la donna con un’urgenza preoccupante nella voce. Lo solleva di peso facendo fare un giro al suo stomaco, tanto che deve trattenersi dal vomitarle addosso. Sembra non patire di nessuno sforzo nel trasportarlo lungo il corridoio. Lo deposita su una superficie fredda e liscia e solo quando aziona il doccino si rende conto di trovarsi in una vasca da bagno. L’acqua ci mette un po’ a scaldarsi e quando finalmente diviene calda è talmente piacevole da riuscire a rilassarlo. Si abbandona del tutto sotto il getto e con mano tremante afferra una saponetta raggrinzita e priva di alcun profumo e la usa per lavarsi. La gamba rotta penzola fuori dalla vasca e continua a pulsare onde dolorose e rabbiose. Cerca di isolare questo dolore. Di chiuderlo in una qualche stanza del suo Mind Palace e grazie a questa doccia calda un po’ ci riesce.
<< Svelto, esci da lì >> gli intima Mary strappandolo all’abbraccio caldo dell’acqua. Gli getta un asciugamano ruvido addosso e con quello Sherlcok tampona il corpo fino ad asciugarlo. Mary lo osserva di sfuggita, imbarazzata. Gli da le spalle appoggiata allo stipite della porta.
“Potresti colpirla in testa con qualcosa e liberarti di lei” gli suggerisce James.
“No” ribatte lui deciso. Rossa in viso, Mary tormenta un’unghia con i denti mentre si ostina a non guardarlo.
<< Non puoi restare qui >> gli dice tirando su col naso, segno di un pianto imminente.
<< Non posso andare da nessuna parte in queste condizioni, Mary >> le fa notare lui, stringendosi addosso l’accappatoio umido.
<< Io… non so per quanto ancora riuscirò a tenerla a bada, Ed. L’hai fatta davvero grossa questa volta >> gli dice voltandosi rattristata verso di lui.
<< Non puoi portarmi da Hataway? Gli diremo che mi hai trovato mentre vagavo per la strada. Non ti metterò nei guai  >> le dice congiungendo le mani sotto il mento. Lei sembra pensarci su per qualche istante. Poi, però, scuote il capo energicamente.
<< E’ troppo pericoloso >>.
<< Allora cosa possiamo fare? >> le chiede rammaricato e un crampo gli artiglia lo stomaco. Si piega sulla tazza appena in tempo. Sputa ancora quella sostanza schiumosa e maleodorante.
<< Stai proprio male, povero caro >> gli dice avvicinandosi a lui. Gli accarezza incerta la testa umida, tornata quasi del tutto del colore originario. Sherlock si abbandona a quelle carezze rozze, sgraziate, ma capaci di rincuorarlo come l’acqua calda della strana doccia appena fatta. Si ritrova stretto nel suo abbraccio caldo, il volto posato sul petto prosperoso di lei. La circonda con le braccia e nella sua mente si apre un ricordo lontano.
Si vede bambino, non più di otto anni. Prende la rincorsa deciso a fare un bel salto. Mycroft è talmente rapito dal suo libro da accorgersi di lui solo all’ultimo istante, o almeno così gli lascia credere. Una buffa espressione di stupore e rassegnazione dinanzi alla sua infantile idiozia gli si disegna sul volto. Salta e il suo corpo magro e piccolo impatta contro quello grasso e morbido di lui. Cadono a terra, l’uno a imprecare e l’altro a ridere allegro. Era grasso Mycroft da bambino. Grasso e morbido ed era un piacere per lui stargli addosso. Trovava rassicurante quella massa di adipe che lo circondava da capo a piedi.
“Myc” singhiozza adesso contro il petto di Mary.
“Sono qui, fratellino” .
Apre gli occhi stupito di sentire la sua voce dopo così tanto tempo.
“Cosa devo fare, Myc?”.
“Sopravvivi, Sherlock” risponde questi e il tono non è distaccato, anzi. “Ti sto cercando. Lo sai che io mi preoccupo per te costantemente. Devi avere pazienza e fare il possibile per restare vivo”.
Non mette in dubbio la veridicità delle parole del fratello. Nessuno più di lui smuoverebbe mari e monti pur di ritrovarlo e accertarsi che stia bene. Certo è un grandissimo rompiballe che si insinua nella sua vita pretendendo di essere informato di tutto e di controllarlo. È anche vero, però, che è l’unico che abbia un valido motivo per salvarlo. Fosse anche solo per impedirgli di gettare altro fango sulla reputazione degli Holmes, come era solito gridargli dietro suo padre. Per questo decide di dargli retta questa volta.
<< Io credo che sia meglio rimettere le cose come stavano. Che ne pensi, Mary? >> le propone.
<< Cioè farti tornare nello sgabuzzino? >>.
<< Sì. Così non ci saranno problemi. Se ti sarà possibile mi aiuterai come hai fatto oggi. Altrimenti in qualche modo me la caverò >>.
<< Quel posto è buio e spaventoso, non voglio chiuderti di nuovo lì >> singhiozza lei stringendolo ancora di più al petto.
<< Lo so, ma che alternativa abbiamo? Fuori morirei assiderato e tu non te la senti di portarmi da Hataway. Cos’altro possiamo fare? >>.
<< Sei davvero tanto coraggioso, Eddy >> gli dice stampandogli un bacio sulla fronte.
<< Anche tu, Mary >> ricambia stringendola forte tra le braccia.
 
   
 
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