Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Alicat_Barbix    06/01/2019    4 recensioni
Trama:
John, forse il migliore agente a servizio dell'MI6, viene inviato sotto copertura ad indagare in uno dei più eminenti Night Club di Londra, per stanare la mente criminale più pericolosa che il mondo abbia mai conosciuto. A questa missione John è pronto, sa che non può fallire, che nelle sue mani vi è il destino di Londra e non solo. O almeno, crede di essere pronto, ma un bizzarro incontro con uno dei dipendenti del locale ha il potere di ribaltare le carte in tavola.
Sherlock, decisamente il miglior prostituto all'interno del Morningstar, vive felicemente la sua vita densa di sesso, avventure e disinibizione. Sherlock ama il suo lavoro, lo trova divertente e sa di essere il migliore e che niente potrebbe mai cambiare la sua vita da condannato all'Inferno che però tanto adora. O almeno, crede che niente possa cambiare la sua vita "perfetta", ma un bizzarro incontro con un ex medico militare così facile eppure difficile da leggere con le sue deduzioni ha il potere di stravolgere la sua intera esistenza.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
BEYOND
EVERYTHING

 
by Alicat_Barbix
 
 


Epilogo
Yours, Beyond Everything
 
Vi erano tanti che desideravano rivolgere un ultimo saluto a quella straordinariamente contraddittoria persona che era Sherlock Holmes. John osservava i presenti da un angolino della chiesa, seduto in disparte, lontano da tutto, lontano da tutti. Il rito funebre era stato organizzato il più minuziosamente possibile dalla famiglia Holmes, nonostante fossero tutti distrutti dal dolore. Mycroft si era presentato a casa sua due giorni dopo il decesso di Sherlock e gli aveva proposto di prepararsi un discorsetto in vista dei funerali. Ovviamente, aveva rifiutato.
Furono, comunque, in molti a salire di loro sponte e a prendere in mano il microfono, ricordando Sherlock Holmes. Irene Adler prima fra tutti. Non vi erano lacrime sul suo volto, ma il suo aspetto rispecchiava quasi quello di una vedova dignitosa, dagli occhi gonfi per le molte notti trascorse a piangere al capezzale del suo defunto marito ma dall’animo caparbio e statuario anche nella sofferenza. E la gente forse trasse a sua volta quelle conclusioni, perché un lievissimo e rispettoso brusio si spanse per l’ambiente.
“Sarà di certo la fidanzata.” bisbigliò un’anziana donna accanto alla sua panca, giunta lì per chissà quali vie traverse. E lui tacque, nonostante dentro esigesse giustizia, nonostante Sherlock fosse il suo promesso sposo, nonostante fosse il suo cuore ad esser stato fatto a brandelli. Ma Irene parlò schietta del proprio rapporto con Sherlock: nient’altro che una mera competizione, un’eterna lotta tra titani i cui risultati erano noti già dall’inizio della battaglia. Poi, ridiscese i gradoni che conducevano al presbiterio e tornò al suo posto, accanto ad una giovane donna dai capelli biondi che le prese gentilmente la mano, senza pudore.
Fu poi, il turno di Victor. Victor che piangeva e parlava tra le lacrime. Victor che scoccava continue occhiate alla bara del suo più caro amico, di quello che sarebbe dovuto essere il suo testimone di nozze… Vi era rabbia mista al dolore, nelle sue parole. Perché Victor pretendeva di avere una spiegazione per quel silenzio, per quel segreto e John sapeva benissimo che nei momenti in cui quegli occhi chiari scrutavano come impazziti la folla, stava cercando lui per quel diritto di sapere. Ma rimase nascosto dietro alla colonna, seduto mentre tutti gli altri erano in piedi, nero nel nero. Anche il sermone di Victor si concluse in un silenzio paludoso, spezzato unicamente dai passi di quello nel dirigersi verso Celine, il cui ventre era ormai prominente.
E vi furono anche altri che ebbero l’ardire di parlare e ricordare Sherlock Holmes. Parenti, forse. Vecchi amici. John non li conosceva. Con un sorriso triste, si chiese se si sarebbero mai presentati al loro matrimonio. Furono in tanti a salire. Ma di quei tanti, nessuno fu John Watson. Sherlock non l’avrebbe voluto. Sherlock avrebbe ritenuto ogni discorso simile vacuo ed ipocrita. Inutile.
Durante la comunione, scorse la figura tremante di Molly Hooper arrancare lungo la navata principale, il trucco completamente colato e i capelli acconciati in maniera terribile, lugubre quasi come l’urlo muto che echeggiava silenzioso tra quelle pareti.
Lo seppellirono all’ombra di un immenso salice piangente, come se anche la Natura si fosse piegata a quei tragici eventi. Tutto ciò che rimaneva dell’uomo che aveva amato e che continuava ad amare, non era altro che una lapide di marmo nero con poche lettere in ottone: Sherlock Holmes. E di fronte a quella tomba, quando tutti se ne furono tornati alle loro vite in cui quella mancanza avrebbe più o meno portato un vuoto, si lasciò andare al dolore e alle lacrime. Si era ripromesso di non nascondere il suo dolore. Se l’avesse soffocato, sarebbe scoppiato. E lui aveva promesso a Sherlock che avrebbe vissuto. Non solo per sé, ma anche per lui.
“Ti amo… Ti amo, Sherlock.”
 
Tre mesi dopo, il campanello trillò insistentemente alla sua porta. Quando aprì, non poté dirsi esattamente sorpreso nel ritrovarsi davanti Victor. Fu un iniziale reciproco squadrarsi. John aveva sempre indugiato su quella rubrica dove Sherlock teneva annotati tutti i numeri di telefono, ma il coraggio di chiamare Trevor non era mai arrivato. Si accomodarono nell’ampio salotto della villetta e lui si assentò un paio di minuti per preparare il the. Non potevano essere più diversi, pensava mentre l’acqua bolliva. Victor era il ritratto della soddisfazione personale, il viso colorito, disteso, gli occhi vivi, brillanti, privi di occhiaie, il sorriso caldo – sebbene imbarazzato –, un completo elegante a fasciargli il corpo snello e una fede d’oro al dito. Victor era padre, Victor era marito, Victor era vivo. John, invece, percepiva la vecchiaia gravargli sulle sue spalle nonostante non avesse neanche raggiunto i quarant’anni. Non era il lutto ciò che gli martoriava quella precaria esistenza che conduceva dalla scomparsa del suo amore e nemmeno i ricordi. Mycroft l’aveva più volte contattato per richiedere nuovamente i suoi servigi, ma John aveva chiuso con quella parte di sé. Ora lavorava in un piccolo ambulatorio medico e la sua esistenza si riduceva a prescrivere ricette e ad attaccarsi ad un bicchiere di cristallo col whiskey. Non aveva uno scopo, un’ambizione, un futuro. Di fronte a sé, l’unica certezza era il capolinea, dove avrebbe rivisto e riabbracciato Sherlock.
“Come sta Celine?” chiese gentilmente porgendo al suo ospite una tazza col the fumante.
“Meravigliosamente. La maternità l’ha resa ancora più bella e solare.”
“Il piccolo? Maschio o femmina?”
“Abbiamo avuto un bel maschietto, sì… William Scott.”
John si immobilizzò, la tazza sospesa a pochi centimetri dalle sue labbra, e per un attimo non proferì parola. Un sorriso mesto, però, si delineò sul suo viso nel momento in cui poggiò la tazza intonsa sul piattino, depositandolo sul basso tavolino di fronte al divano. “Capisco… William Sherlock Scott Holmes.”
“Volevo che mio figlio portasse sempre con sé qualcosa di lui, perché… beh, senza Sherlock probabilmente non sarebbe mai nato. Chi lo sa…” Anche Victor appoggiò la tazza con tanto di piatto sul tavolino e sprofondò più comodamente nei cuscinoni del divano in pelle. “Abbiamo deciso di utilizzare il primo e il terzo nome, anziché quello che lui adorava e con cui si faceva chiamare perché sarà riservato per un altro scopo.” Inarcò un sopracciglio e attese spiegazioni. Dopo poco, infatti, Victor affondò una mano nella borsa di cachemire che si portava appresso e la tirò fuori con una cartellina.
“Che cos’è?” chiese accettando quest’ultima, quasi per routine più che per curiosità.
“Un progetto. Stiamo mettendo su un’associazione di volontariato che ospiti i bisognosi – drogati, senza tetto, prostituti, orfani – ed eravamo curiosi di-”
Stiamo chi?” interruppe John, sfogliando insofferentemente le pagine bianche imbrattate di ideali e sogni, nonostante una scintilla di interesse si fosse appena accesa in lui.
“Siamo in molti. Io e, ovviamente, Celine, poi c’è anche Irene con Kate – la sua compagna –, Bill Wiggins, Angelo, Molly… Persino Mrs Hudson e, ultimo ma non per importanza, Moran.”
“Moran ha sposato la causa? Sul serio?”
“E’ cambiato.” sospirò Victor sporgendosi verso di lui e studiandone le reazioni. “Andy… Anzi, John.” John alzò gli occhi su di lui e, per un attimo, fu come rivivere ogni istante in quel bordello, accanto ad ognuno di quelli che aveva conosciuto là dentro, Sherlock compreso. Gli sembrava passata un’eternità… Quanto cambia in un anno… La vita intera.
“Andrò dritto al punto senza girarci intorno… Quest’associazione porterà il nome di Sherlock e ospiterà ragazzi e ragazze come lui. E chi, meglio di te, potrebbe portare avanti questo lavoro?”
“Che cosa mi stai proponendo, Vic?”
“Di divenire il presidente. Sherlock lo apprezzerebbe.”
“Sherlock è morto.”
Victor abbassò gli occhi, passandosi una mano sul viso, e forse, forse John sbagliava ad atteggiarsi con tale fredda diffidenza. In fondo, anche Victor aveva dovuto combattere con quell’assenza incolmabile, come lui. Per altro, lui e Sherlock si conoscevano sin da bambini, erano stati amici, fidanzati – a quanto pareva dalla confessione del moro – e fratelli. E infine, Victor non aveva avuto la possibilità di salutarlo un’ultima volta, di stargli accanto un’ultima volta…
“Proprio perché è morto, ritengo che tu debba dare una svolta alla tua vita, vendicare la sua scomparsa.”
“Perché ne parli con me?” chiese ad un tratto. “Cosa ti fa pensare che a Sherlock possa essere importato a tal punto di me?”
Trevor sospirò e gli scoccò un’occhiata allusiva. “Beh, la lettera.”
“Quale lettera?”
“La lettera di Sherlock. Mi è stata recapitata tre giorni dopo il funerale. La stessa cosa per Irene, per Molly e per tutti coloro che conoscevano Sherlock.” John lo guardò senza capire, così Victor proseguì. “E’ di Sherlock l’idea di creare quest’associazione. Ha scritto che vuole che ragazzi come lui, come noi, vengano tutelati e strappati dalle mani della vita di strada, dall’abbandono e dal rifiuto. Vuole che portiamo luce nelle loro vite… come tu hai portato luce nella sua.”
Tacque e così anche lui. Stentava a credere che Sherlock avesse scritto una lettera a tutti meno che a lui. E sì, era un pensiero sciocco, sciocco ed egoista, ma stava brancolando nel buio da mesi interi e ora non anelava ad altro se non a ricevere un barlume di speranza proprio dall’uomo che amava. Aveva accarezzato così tante volte quelle pagine su cui erano state incollate le fotografie della vacanza in Italia… In esse cercava un messaggio, un codice, un miracolo… Ma di miracoli, in vita sua, ne aveva ricevuti fin troppi. E Sherlock era uno di loro.
“Tieni.”
Si riscosse all’esortazione di Trevor, il quale gli stava porgendo una busta di carta. “Che cos’è?”
“Prendila e lo scoprirai.”
E così la prese e la volse. Sul retro, il nome di Sherlock. Il suo cuore perse un battito alla vista di quella calligrafia piccola e ordinata che avrebbe riconosciuto fra mille. Victor, nel mentre, s’era alzato, sussurrando un vi lascio soli, dunque si levò in piedi a sua volta, accompagnandolo alla porta, la busta ancora stretta in mano.
“Vic.” sussurrò all’ingresso, prima che l’altro potesse allontanarsi verso il taxi che lo attendeva davanti al cancelletto. “Mi dispiace non averti avvisato quando… beh, hai capito. Lui non voleva che si spargesse la notizia, capisci?”
Il sorriso che Victor gli indirizzò fu carico di dolcezza e calore, così dannatamente simile a quello di Sherlock, la cui differenza risiedeva semplicemente in quella punta di eterna malizia che lo caratterizzava. “A me dispiace di non aver avuto le palle di passare prima. Ti confesso che… prima di ricevere la lettera di Sherlock, ti ho odiato profondamente. Mi chiedevo perché lui ha avuto la possibilità di rimanergli accanto e io no? Poi, grazie a Sherlock, ho capito e… le cose si sono semplicemente fatte complicate con Celine incinta e poi il bambino… Insomma, tutte scuse per rimandare questo momento. Non so perché Sherlock abbia chiesto proprio a me di consegnarti la sua lettera, ma mi ha fatto il regalo migliore che io abbia mai ricevuto in tutta la mia vita. E’ un po’ come se mi avesse affidato il suo amore per te.”
John, a quelle parole, arrossì appena, gli occhi che fuggirono sul nome scritto sulla busta. “Beh, allora… Grazie.”
Victor non rispose. Si riavvicinò rapidamente a lui e gli circondò il corpo con un abbraccio dolce e confortante. L’abbraccio di un fratello. Anche Sherlock era stato fra quelle braccia e aveva trovato in quelle braccia la forza di sopportare le asperità della vita al Morningstar. Ora era John a trovare conforto in quella stretta tremendamente dolorosa che gli scucì le labbra in un singhiozzo a malapena trattenuto. E se Trevor lo udì, non ebbe cuore di farglielo notare e preferì lasciarlo solo con il suo dolore, salendo in taxi urlando un semplice: “Pensaci per l’associazione! Ah, e John? Il nome sarà Il cuore di Sherlock. Non puoi non farne parte!” Infine, svanì.
John rientrò, gettandosi su ogni finestra sprangandola con le serrande, bloccando ogni singola lama di luce. Quando l’intera casa fu ottenebrata, accese una candela – un gesto abituale che compiva ogni sera, prima di sdraiarsi per cercare di dormire – e si sedette sulla sponda del letto.
 
Caro John,
se stai leggendo questa lettera vuol dire che sono morto. Ho incaricato Mycroft di consegnare ogni mia lettera alla mia morte. Ma la tua, voglio che ti sia consegnata da Victor. Non so quanto sarai informato circa le cause della mia morte, ma… ho l’AIDS, John. L’ho saputo da poco, il giorno in cui mi hai trovato nella mia suite con la faccia piena di lividi. Ad ogni modo… non intendo raccontarti di queste cose, sai? Sto già sviluppando chiari sintomi di un carcinoma polmonare e non credo che mi rimanga molto, perciò che senso ha parlartene? Basta solo uno di noi che soffra. Vorrei, non lo so, avere la forza di andarmene, di sparire dalla tua vita ed evitarti di soffrire. Perciò, se da un giorno all’altro non mi troverai più, spero che non mi odierai o che una delle tue stupide idee non prenda a frullarti in quella tua adorabile testolina – l’ho scritto davvero?
Ascoltami, John… Ho bisogno che tu mi faccia un favore. Voglio che venga creata un’associazione per ragazzi che potrebbero commettere gli stessi errori commessi da me e dalle persone che, nel bene e nel male, mi hanno accompagnato nel mio Inferno. Ho pensato a te. Sei l’unico che riesco a figurarmi davvero in testa, accanto a giovani ribelli come lo ero io, col tuo sorriso, il tuo amore… Voglio che sia tu a gestirla, John. Ti prego, per quanto arrabbiato, deluso, addolorato tu possa essere per la mia morte, ti scongiuro di fare quello che ti chiedo.
John, io… Devo dirti un’ultima cosa prima di salutarti una volta per tutte. E’ una cosa che ho capito da un po’ e che sono costretto a trattenere dal confessartelo di persona… John, io ti amo. Ti amo, John. Sei l’unica persona che non sarò mai pronto a lasciarmi indietro. Sei l’unica persona che ho una paura tremenda ad abbandonare. Mi trema la mano nello scrivere queste cose, John…
Spero… sì, insomma, spero che tu possa essere felice. Su questo almeno, covo abbastanza speranze. Ora che ti ho liberato, John, puoi riprendere da dove avevi interrotto quando sono comparso nella tua vita coi miei casini e la mia maledizione. Puoi trovare una persona da amare, che non ti farà mai promettere di non innamorarti di lei. Che ti accompagnerà ogni giorno della tua vita. Chissà se ce la farò anche io. Questo, ovviamente, è qualcosa che solo io saprò, una volta morto, ma io ci proverò, John, a guardarti. Ovunque andrò, se andrò da qualche parte.
Abbi cura di te, John. Hai reso la mia vita migliore, per quanto breve possa esser stata. Grazie, amore mio. Sii forte, lo faresti per me?
Tuo, oltre ogni cosa,
Sherlock.
 
Erano passati tre anni. Tre lunghi anni in cui John era riuscito, con non poche difficoltà, a riattaccare le pezze di quel cuore strappato che Sherlock gli aveva lasciato.
Quella, era una mattina assolata di Luglio. Era il giorno del suo compleanno. Passeggiava per il cortile del Morningstar, da cui era scomparsa ogni traccia di quello squallido night club, e teneva sottobraccio un album di fotografie. Il suo album.
Passò di fronte a una Molly intenta a giocare a campana insieme ad un gruppetto di bambine della casa famiglia, affiancata dalla figura di Sebastian Moran che sulle spalle teneva un ragazzino di non più di nove anni. Sorrideva, Moran, e nonostante gli anni, ancora faceva strano. Così come non si sarebbe mai abituato all’espressione fintamente schifata che Irene rivolgeva ai mostriciattoli – come li chiamava lei – quando cercavano di abbracciarla.
John proseguì per quei vialetti piastrellati fino ad arrivare ad una sorta di terrazza circondata da un roseto. Il vecchio posto segreto di Sherlock. Da tre anni a quella parte, il suo posto segreto. Si appoggiò alla ringhiera e prese un respiro profondo. Non l’aveva mai ammesso apertamente neanche con se stesso, ma fermarsi lì per qualche minuto, respirando a fondo, cercando l’odore di una notte lontana vissuta accanto ad una persona ancora più lontana, era come un rituale. Un riavvicinamento con quello che era stato e non sarebbe più stato. Era un po’ come ritornare a Sherlock e riviverlo.
Il suo Sherlock.
“Doc?”
Si volse. Di fronte a lui, la faccia lentigginosa di un ragazzotto di diciassette anni che lo fissava con disinibizione.
“Charles. Qual buon vento ti porta qui?”
Charles scrollò le spalle. “Niente, in realtà. Ti ho visto passare e ho pensato di raggiungerti.”
“Come stai?”
“Al solito.”
“E come stai al solito?”
Charles lo guardò con la fronte seccamente aggrottata. Probabilmente stava pensando ad una scappatoia. John aveva imparato a conoscere quel ragazzino che si fingeva un gradasso menefreghista, ma che in realtà dentro nascondeva un magma di emozioni diverse. Non rispose, Charles e distolse semplicemente lo sguardo. Faceva così quando si sentiva messo alle strette. Deglutiva a vuoto, si tormentava le mani dietro la schiena, evitava gli occhi di John… Così simile a Sherlock, si trovò a pensare John.
“Sai, Charles, mi ricordi tanto una persona. Una persona a cui tenevo molto.” disse mentre invitava il ragazzo a prendere posto accanto a sé. “Anche lui mi nascondeva tante cose. Fingeva di essere forte, spavaldo, ma in realtà era la persona più sofferente che avessi mai conosciuto.”
“Sì, doc, non sei il primo a raccontare una storia del genere. Ce la sorbiamo ogni volta da Victor o Irene o Seb… Per voi siamo tutti destinati ad essere fottuti come lo siete stati voi, vero? Anche ammesso che fosse effettivamente così, non avreste comunque alcun potere per salvarci.”
John sorrise tristemente di fronte a quella mezza eruzione di rabbia da parte di un adolescente ribelle. “Hai ragione. Noi non possiamo fare niente. La vita va così. Vuoi essere fottuto nella vita, Charles?”
“No.”
“E allora non hai bisogno di me.” concluse John facendo per voltarsi e andarsene, ma la mano del ragazzo lo trattenne.
“Aspetta… Hai detto che la vita va così. Non basta la volontà, non è così?”
John sospirò. “La volontà fa molto, direi che è essenziale… Ma ci sono altri fattori. Bisogna essere… diciamo così, fortunati. Non tutti nella vita lo sono. Ci sono alcuni che vogliono valere, prendersi la loro rivincita nei confronti della vita, ma che semplicemente sono sfortunati.”
“E se fossi sfortunato? Se volessi con tutto me stesso non restare fottuto e mi impegnassi, ma poi semplicemente non ci riuscissi?”
“Beh, allora si vede che era così che doveva andare. Niente succede per caso, Charles. Chiamala Provvidenza, chiamalo destino, ma tutto segue uno schema. E anche nelle difficoltà, anche quando ci sembra che la vita sia stata ingiusta con noi, che ci abbia tolto tutto senza ragione, che ci abbia schiacciati a terra, dobbiamo avere la forza di rialzarci, perché se rimaniamo a terra non saremo che pasto per il nostro passato.”
Charles inarcò scetticamente un sopracciglio. “Parli strano, eh.”
John ridacchiò. “E va bene. Allora… cercherò di farmi capire. Sai la persona di cui ti ho accennato? Ecco, quella persona importante è morta.” Il ragazzo sussultò impercettibilmente a quelle parole. “Quella persona io… l’amavo con tutto me stesso e l’ho vista distruggersi pezzo dopo pezzo. Aveva fatto molte cazzate, nella vita, è vero… ma aveva deciso di levarsi in piedi nonostante tutta la merda che gli era precipitata addosso. Bene, quella persona c’era riuscita a riprendere in mano la sua vita, ma poi è arrivata la malattia, incurabile, e le difficoltà. Non voleva dirmi nulla. Voleva andarsene dalla mia vita senza accennarmi nulla, per il mio bene.”
“E tu… tu lo hai scoperto dopo?”
“No. Ho ricevuto un piccolo aiuto da parte di un’altra persona molto vicina a quella che amavo e questa persona mi ha spronato a non arrendermi, a pretendere una spiegazione. Ma quando questa spiegazione mi venne data… stentavo ad accettarla.”
Charles tirò fuori dalla tasca dei jeans un pacchetto di sigarette, porgendone una a John. Gli occhi del medico si assottigliarono un istante, contrariati, ma alla fine accettò la cicca e se la portò alle labbra, mentre il ragazzo la accendeva. Sbuffò una nuvoletta di fumo. Quella lontana notte, appoggiato alla ringhiera, c’era Sherlock a fumare, a raccontare la sua storia.
“Alla fine lui morì.” sputò assieme al fumo.
Charles sussurrò un oh triste. John osservò il volto del ragazzo adombrarsi. Trascorsero diversi secondi in silenzio, separati da una coltre di amarezza, il retrogusto di un ricordo per John e una scottatura improvvisa per Charles.
“Quindi, doc… sei gay.”
John non poté evitarsi di scoppiare a ridere e rivolgergli un’occhiata allegra. “Più o meno… Ti turba?”
“No, no, macché… siamo nel ventunesimo secolo, è normale… Solo, insomma, lo sanno tutti qui che le ragazze hanno una cotta per te.”
“Per me? Ma ci sono altri molto più-”
“Seb è uno inquietante, Bill ha due occhiaie tremende, Vic è sposato con un figlio… Non ne restano molti.”
“Ah, grazie. Quindi sono il meno peggio?”
“Direi di no, vista la situazione.”
“Che sono gay?”
“No, che ami un uomo morto ancora così vivamente.”
John osservò il profilo del centro di Londra, in lontananza. “Si capisce così tanto?”
Charles annuì. “E tu? Tu ti sei risollevato dalla… caduta?”
“Non lo so. Ma di una cosa sono certo: che questo centro è il frutto del lavoro mio e della altre persone che volevano bene all’uomo che amavo. Insieme abbiamo trovato una ragione per andare avanti. E’ questo quello che cercavo di dirti prima. Nonostante la bruttezza della vita, nonostante le ingiustizie, lotta sempre, Charles. Lotta ogni secondo, di ogni minuto, di ogni giorno, sempre. Anche quando ti sembra che lottare sia inutile. Io lo rimpiango, sai? Forse avrei avuto qualche mese in più accanto a lui… se mi fossi intestardito a…” Tacque, soffocando un groppo di lacrime di cui non si era neanche accorto nel corso del discorso. Charles gli strinse una spalla, osservandolo comprensivo.
“Era una persona fortunata. Il tuo… partner.”
“Ero io quello fortunato.”
“Lo eravate entrambi.”
Altro silenzio, altro conforto nei propri pensieri. Si sedettero sulla panchina a sfogliare l’album delle foto raccolte da Sherlock. Per la prima volta da quando vi metteva occhio, John si poté concedere di ridere di fronte ad alcune scene che prima non aveva potuto guardare senza scoppiare in lacrime. E’ vero, alla fine stava piangendo, ma un sorriso caldo gli dipingeva le labbra.
“Doc?”
John scosse la testa per rassicurare il ragazzo. “Va tutto bene, Charles. E sai una cosa? Mi hai appena fatto capire che ce l’ho fatta ad andare avanti e… a rialzarmi.”
E allora anche Charles sorrise.
Arrivò Victor, con il piccolo William Scott in braccio. Chiese a John se era pronto, ma a quella domanda il medico inarcò entrambe le sopracciglia. Fu nel corso del frangente seguente che accadde. Coriandoli, stelle filanti, palloncini, alcol – dall’odore…. John si ritrovò madido di quello che ipotizzò essere spumante. Un coro di urla festose lo assordò.
Riaperti gli occhi, li vide tutti, dal primo all’ultimo. C’erano tutti. Davvero tutti. Tutti i bambini, i ragazzi e le ragazze, i collaboratori… Persino Mycroft. Happy birthday to you recitava uno striscione colorato e intonavano le bocche di tutti.
Ciò che accadde dopo, beh… potete immaginarlo. John vagava per quella folla che era diventata la sua casa, stringendo mani, abbracciando, baciando… C’era gioia, nell’aria. E c’era gioia, nella sua vita. John aveva creduto che dopo di Sherlock non ne avrebbe più trovata, e invece eccolo lì. Si era rassegnato. Era stato bravo, alla fine. Sherlock era morto, ma non se n’era mai andato davvero. Ogni giorno ne percepiva la presenza. Aveva quasi la sensazione di avere i suoi occhi cristallini su di sé. E quindi, anche Sherlock era stato bravo. Ce l’aveva fatta ad ottenere il permesso di vegliare su di lui, ovunque fosse andato…
Nel coro di risa, nel marasma di pacchi, nella scompostezza degli abbracci… John lo trovò Sherlock. Era vicino a sé, sorridente. Non lo vedeva, però c’era.
“Ce l’ho fatta. Hai visto, amore mio?”

---

SPAZIO AUTRICI
Eeeee THE END! Cavolo, gente, che parto... Ce l'abbiamo fatta! *cantano we are the champions ma vengono colpite da pomodori volanti* Che fatica, mamma mia.

Alloraaaa.... Dai, alla fine John ce l'ha fatta ad andare avanti. E la cosa bella è che è stato proprio Sherlock a permetterglielo - Sherlock sa sempre cosa è meglio per il suo Jawn, o almeno pensa di saperlo... *coff coff Mary*. Insomma, ci piace tantissimo anche il fatto che tutti coloro che hanno amato Sherlock si ritrovano dove in realtà si è compiuto il destino fatale di questo, ma che non è più un luogo di dolore e rimpianti, ma un cumulo di cenere da cui rinascere. Insomma, alla fine tutto è andato bene - più o meno... 

Scusateci per il ritardo clamoroso, ma eravamo in giro sulle nostre scope (fra l'altro è pure il compleano di Sherly, quindi questo capitolo ci sta proprio che è un amore - se non consideriamo il fatto che Sherlock qui è morto, ma va beh). Vi ringraziamo infinitamente per averci seguito in questo cammino pieno di ostacoli e di esserne usciti vivi - la maggior parte, per lo meno, forse un po' meno...

Domani inizia la scuola, uffa, che palle, non abbiamo voglia, *urla, gemiti, pianti blah blah blah*, okay, stiamo delirando. Vi aspettiamo per non sappiamo cosa - abbiamo una long fic AU, anzi un crossover in corso, ma non è completo ed è lungi dall'esserlo, quindi onde evitare vittime per le lunghe attese o addirittura l'abbandono totale della storia, se pubblicheremo lo faremo quando o la storia è ultimata o quasi. 

Bene, direi che è tutto! Buona ripresa per chi riprenderà - l'aggettivo buono e il sostantivo ripresa non vanno d'accordo, soprattutto se c'è di mezzo la scuola... Addio a tutti, è stato bello conoscervi, venite al nostro funerale *riferimenti puramente casuali col capitolo coff coff*

*kiss*
Alicat_Barbix
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Alicat_Barbix