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Autore: pattydcm    06/01/2019    3 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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29 novembre
 
John osserva il tabellone sul quale ha appuntato tutte le informazioni che è riuscito ad ottenere in questi quattro giorni di ricerca.
Sherlock ha lasciato lo Ski Club alle tre del pomeriggio del 10 novembre. La bufera ha avuto inizio mezz’ora dopo, con un’ora d’anticipo sulle previsioni. Ci vuole un’ora per raggiungere il comando di polizia dal Club e quindi, tenuto conto delle condizioni della strada, dell’auto che guidava e del suo stile di guida ha dedotto (grazie agli infallibili calcoli matematici di Mycroft) l’incidente sia avvenuto all’incirca alle tre e quaranta. Le strade erano già imbiancate, ma non ancora del tutto impraticabili. Ha cercato di capire chi potesse essere passato da quelle parti, partendo dal presupposto che, data la stagione, possono essere stati solo abitanti del posto. Quella pista, però, è stata un buco nell’acqua, perché tutti coloro che lui e Mycroft hanno interpellato o dei quali hanno chiesto si sono trovati, sì, a passare da quella strada, ma o molto prima dell’orario riscontrato o molto dopo.
John è passato, quindi, a valutare chi potesse averlo soccorso o da chi si possa essere recato, nel caso in cui fosse stato in grado di camminare sulle sue gambe. C’erano solo quattro abitazioni nella zona e nessuna nelle immediate vicinanze. Certo raggiungibili da un uomo nelle piene forze fisiche anche con quel tempo, ma dalle condizioni dell’abitacolo e dalla quantità di sangue ritrovata al suo interno, Sherlock sembrava essere messo parecchio male.
Con l’aiuto di Hataway, che gli è stato dietro più che pena che per senso del dovere, John ha contattato tre delle quattro abitazioni, benchè avesse già parlato con tutti e quattro gli abitanti, anche se in momenti diversi. I tre raggiunti hanno ribadito di non aver visto nessuno, né tanto meno soccorso e dalle ricerche condotte dalle squadre di volontari messe insieme dagli uomini di Hataway non era venuto fuori nulla.
Nulla nemmeno verso la fattoria degli Abbott, unica che non sono riusciti a contattare date le comunicazioni che sempre si interrompono laggiù con queste condizioni climatiche. L’ispettore ha cercato di convincerlo dell’impossibilità di un coinvolgimento di Mary in questa storia.
<< L’ha vista anche lei, Capitano. Quella ragazza è si grande e grossa, ma ha l’animo di una bambina di appena sei anni. Se avesse soccorso qualcuno me lo avrebbe detto >>.
<< Anche se poi le fosse morto in casa? >> gli ha chiesto provocatoriamente.
<< Ma certo, a maggior ragione >>.
<< Ne è sicuro? Non potrebbe essersi spaventata al punto da nasconderne il corpo da qualche parte? Come ha detto lei stesso è una bambina di sei anni e le bambine a quell’età hanno paura di essere rimproverate e mi pare di aver capito che quella donna abbia avuto un padre parecchio severo >>.
<< Cosa vuole che faccia allora? Che mi inerpichi fin lassù o mandi qualcuno dei miei per un sopralluogo? >> ha ribattuto l’uomo esasperato. << Se davvero avesse sotterrato un cadavere in preda alla paura potrebbe averlo fatto ovunque. Ha a disposizione un bel po’ di terreno, sa? >>.
<< Non dovrebbe essere difficile far parlare una bambina, ispettore >>.
<< Certo, non lo è. Ad ogni modo non possiamo fare nulla. Ha visto come sta nevicando? Non metto a rischio l’incolumità di nessuno, neppure a bordo del migliore dei gatti delle nevi >>.
L’ispettore è stato categorico e gli ha dovuto dare atto del fatto che, effettivamente, la nevicata si è fatta più fitta e il vento più forte nel giro di poco tempo. Essere là fuori sarebbe stato un suicidio. Nonostante questo, John  non riesce a darsi pace.
<< E’ lì, Mycroft, lo sento >> dice ora al suo insolito compagno di stanza, che, fermo alle sue spalle, osserva lo schema, attento quanto lui.
<< Un’indagine non si risolve con le sensazioni, John ci vogliono lo prove >> gli ricorda piccato. << Come mai hai questa sensazione? Ti stai facendo fuorviare dal deficit cognitivo di quella donna? >>.
<< No, non è questo! Non sono così meschino >>.
<< Allora è possibile che questa che tu chiami ‘sensazione’ sia in realtà un dettaglio che il tuo occhio ha colto, ma che la tua coscienza non ha registrato.
<< E se così fosse tu potresti aiutarmi a recuperare i dati? >>.
<< Tentar non nuoce >> dice Mycroft accomodandosi sul letto che aveva occupato Greg. << Prego >> lo invita a sedere sul suo letto davanti a lui. John esegue sentendosi un po’ teso. << Torna con la mente al momento in cui hai incontrato quella donna e osservala. Cosa ti colpisce di lei? Dì tutto quello che ti ritrovi davanti agli occhi della mente, senza escludere nulla >>.
<< Indubbiamente la prima cosa che mi salta agli occhi è la stazza >> inizia John, ma Mycroft lo interrompe subito.
<< Stai ragionando, non va bene. Limitati a osservare. Elenca ciò che vedi >>.
John strizza forte gli occhi e poi, piano piano, rilassa il volto. Richiama alla memoria il momento esatto in cui i suoi occhi si sono posati su Mary Abbott.
<< Vedo una donna alta quasi un metro e ottanta, dagli arti spessi e muscolosi come mi è capitato di vederli solo in chi è avvezzo a spaccar legna. Ha il viso quadrato, la fronte ampia e capelli finissimi tenuti stretti in un croccia che le fa sembrare la testa ancora più grossa. Quando ha indossato il cappello di pelliccia ho faticato a definirne il genere. Il cappello è vecchio, sebbene sia ben tenuto, così come tutti gli altri abiti che indossa. Una persona pulita, niente da dire, ma trasandata. Infreddolita, anche. Continua a tirare su la sciarpa a coprire le guance arrossate dal freddo. Indossa un paio di guanti di pelle che, sebbene siano grandi, da uomo, risultano piccoli per le mani enormi che si ritrova. Ehi… un momento >>.
John apre gli occhi e fissa attonito Mycroft.
<< Che succede? >> gli domanda questi incuriosito.
<< Oh, cazzo, Myc! >>.ohn scatta in piedi come colpito dalla scossa imitato da Mycroft. << Ecco cosa mi ha colpito di lei! Oh, cristo! >> dice portando le mani ai capelli. << Quella sciarpa. Spiccava non solo per il colore, ma anche per il tessuto pregiato. Una pashmina Armani jeans blu cobalto! Ti rendi conto? Quella rozza donnona con vestiti vecchi di anni come si è procurata una sciccheria simile per la quale ci lasci come minimo 80 sterline? E i guanti? Erano in pelle di cervo foderati in cashmere, sempre del nostro stilista italiano preferito al quale lasciare un centinaio di sterline. Dove ha potuto procurarseli quella donna accessori simili? Non può essere una coincidenza il fatto che, guarda caso, Sherlock sia solito indossare la stessa sciarpa e gli stessi guanti, non credi? >>.
<< L’universo non è mai così pigro da perdersi in coincidenze, John >> risponde Mycroft annuendo soddisfatto.
<< Esatto! Ecco cosa mi aveva colpito di lei. Continuavano a tornarmi in mente il suo viso avvolto dalla sciarpa e le mani enormi costrette nei guanti. Persino in sogno… >> si interrompe bruscamente al ricordo di quello che poi si è trasformato in un incubo. << E’ lì, Mycroft. Quella donna l’ha trovato e dio solo sa perché non abbia detto nulla >>.
<< Pensi che sia… morto e che lei ne abbia occultato il cadavere spaventata? >>.
<< E’ quel che temo >>.
<< Ma non lo pensi. E neppure io >>.
<< Per quel che mi riguarda questo è ciò che sento >> rimarca John convinto, sostenendo lo sguardo inquisitore del Governo Inglese. << Io sento che è vivo, Mycroft. Malridotto, forse. In pericolo, persino, ma vivo. E quello che mi da in testa è non poter andare là e trarlo in salvo >>. Passa la mano sul volto e la lascia sulle labbra improvvisamente tese. << Anche se potrebbe non voler avere più nulla a che fare con me. Non importa. Purchè sia al sicuro, poi… il resto non conta >>.
<< Davvero? >> gli domanda incredulo Mycroft.
<< Ovviamente no >>, ridacchia, << ma ho combinato un casino. Come sempre. E non posso pretendere di farla franca. Non da lui >>.
<< Mio fratello sa essere magnanimo, John. Tu meglio di chiunque altro dovresti saperlo >>.
<< Infatti lo so, Mycroft. Ma è lapidario con chi si macchia di un reato e io ho tradito la sua fiducia. No. E’ qualcosa di molto peggio. O meglio, io gliel’ho venduta come qualcosa di peggio, scemo che sono. Gli ho dato a intendere di averlo usato >> si rende conto solo dopo averlo detto di ritrovarsi al cospetto del fratello dell’uomo che ha appena ammesso di aver usato. Uomo che muove mari e monti per la salvaguardia del fratello minore. Al suo posto gli salterebbe al collo e lo riempirebbe di pugni per l’offesa arrecata al suo protetto. Mycroft, invece, si limita a sospirare. Un lungo e lento sospiro.
<< Fin dalla prima volta che vi ho visti insieme sono stato preso dal dubbio che tuo potessi essere per mio fratello o una benedizione o una disgrazia. Fino a qualche giorno fa’ pensavo la prima. Ora mi rendo conto che è sempre stata la seconda >>.
<< Sempre? Perché sempre? >> gli domanda incredulo.
<< Sono sicuro, mio caro dottore, che hai dentro di te la risposta a questa domanda, un po’ come avevi questi dettagli di mio fratello indosso alla sua potenziale carceriera già da giorni. Non voglio sapere altro di quanto è successo tra voi. Se è vero, però, che gli hai lasciato intendere di averlo usato, beh, allora temo proprio tu lo abbia perso, John. Io mi domando perché dovergli mettere in testa una simile idea se questa non corrisponde a verità. Mi domando perché dobbiate, voi comuni esseri umani, essere così dannatamente idioti! >> sbotta, colpendo il palmo della mano sinistra col pugno destro. John non ha mai visto Mycroft così arrabbiato, neppure nei momenti di maggiore discussione col fratello. << Problemi di autostima. La tua ex terapeuta era pessima, ma in questo ci ha preso. Hai rovinato non solo la tua vita, ma quella di un altro uomo, al quale per giunta tieni, solo per i tuoi maledetti problemi di autostima >>. Mycroft sospira e cerca di ridarsi un contegno. Scuote il capo più volte. << Mi dispiace. Davvero. Non se lo meritava. Ne ha già passate così tante >>.
“Anche io” vorrebbe ribattere John, ma si rende conto che ci farebbe solo una magra figura. Non ha idea di quali siano le cose alle quali si riferisce Mycroft. Non può, quindi, fare un paragone. E anche potesse farlo, questo non lenirebbe la sua colpa. Si è comportato da stronzo. Da grandissimo stronzo. Ed egoista anche. E sì, Sherlock non se lo meritava. Può meritarsi tante cose, dato il suo carattere, ma non questo. No.
 
***
 
Sherlock osserva la fossa comune dal bordo della stessa. La sciarpa blu cobalto gli protegge la gola dal vento tagliente. Ha tirato su il bavero del cappotto e sente appena le dita farsi fredde dentro i guanti di pelle di cervo.
“Oh, ma guarda un po’! Sei tornato il mister sexy di sempre” applaude Moriarty, guardandolo con fin troppo sfacciato interesse. “ Deduco tu abbia risolto il caso”.
<< Sì, l’ho risolto >> annuisce.
“Questo, però, non cambia di una virgola la tua situazione, amico mio” gli dice questi battendogli la mano sulla spalla. Si sporge a sua volta a osservare i corpi congelati dal freddo. “Risolto o no, tra poco ti ritroverai anche tu a far parte di quest’allegra combriccola”.
Colpi secchi spezzano il fischiare del vento. Non lo disturbano neanche più. Sono diventati parte del contesto, ormai.
“Finirà col buttare giù la porta, prima o poi” sbuffa James infastidito. “Insomma, sai cosa vuole da te, cosa aspetti ad accontentarla?” lo sprona premendo le mani sulle orecchie.
<< Sono pentito. Mi pento di tutti i miei peccati, Mary >> le borbotta Sherlock.
“Un po’ di enfasi sarebbe cosa gradita” lo rimprovera il criminale.
<< E perché mai? Credi farebbe davvero la differenza? Se deciderà di aprire la porta è qui che mi porterà. Lo ha già deciso. Attende solo che finisca la bufera >>.
“Non temi la morte, dunque?” gli domanda Moriarty incredulo.
<< Sì, la temo. Credo, però, che, ormai, non mi importi più molto di vivere >>.
Il criminale inizia a ridere. Una risata sguaiata, priva di alcun senso dinanzi a quanto gli ha appena confessato.
“Questa è la cazzata più grossa che abbia sentito” dice ridendo. “Tutto questo per colpa di quel John Watson?” dice pronunciando con disgusto quel nome. “Sei serio? Solo perché ti ha scopato giusto per togliersi lo sfizio? Oddio, come sei drammatico!”.
<< Ti prego, sta zitto! >> ringhia lui infastidito dalla sua presa in giro.
“Perché devi tirarla così tanto per le lunghe, dico io?” continua quello, ignorandolo. “Ti è piaciuto? Ti ha fatto godere? Bene, tieni questo e butta via tutto il resto. Sapevi bene quanto fosse un idiota come tutti gli altri, lui te lo ha solo confermato. Sai che novita? Quotidianamente le persone ti confermano la loro idiozia”.
<< Ti ho detto di stare zitto! >>.
“Tu, invece, devi per forza attaccarti alle parole che ti ha detto. Parole, parole… bah, sono solo parole che stai trasformando in un problema. Il problema finale, potremmo dire, data l’importanza che gli stai dando. E per questo ‘problema’ sei disposto a lasciare che una pazza furiosa faccia di te ciò che vuole. Oddio, passi il nostro caro dottore, ma quella donna… uff!” sbuffa inorridito. “Una donna, cristo! Eccoti di nuovo messo in pericolo a causa di una donna”.
<< Adesso basta! >> grida, saltando al collo del consulente criminale. Questi ride divertito, mentre lui lo colpisce con pugni e calci che sembrano, però, non causargli alcun danno.
“Oh, sì, finalmente un po’ di vitalità! È per qualcosa che ho detto, vero? Qualcosa che non ha niente a che fare con il nostro Johnny boy!”
<< Zitto! Sta zitto! >> continua a gridare stringendo sempre di più le mani intorno alla gola di lui.
“Avanti, non tenerti tutto dentro! Risolviamo il nostro problema finale”.
James gli afferra entrambi i polsi e fa un balzo verso di lui. Sherlock non riesce a mantenere l’equilibrio e insieme cadono nella fossa. Questa, però, è molto più profonda. Infinita. Cadono giù per un tempo che sembra eterno, un tempo nel quale dinanzi ai suoi occhi Sherlock ha solo il sorriso folle del suo acerrimo nemico.
Toccano poi terrà, finalmente. L’impatto è forte al punto da creargli una fitta di intenso dolore alla schiena. Il contraccolpo del corpo di Moriarty che piomba su di lui gli toglie il fiato.
“Ma dai? Guarda dove siamo finiti” dice questo, sedendosi comodamente sulla sua pancia.
Sherlock apre gli occhi e non gli ci vuole molto per rendersi conto che sono a Baker street, sdraiati l’uno sull’altro sul pavimento del salotto.
“Wow, non sapevo fossi anche un contorsionista” gli dice malizioso, osservando compiaciuto quanto sta accadendo sul divano. “A vederti non si direbbe. Dai l’idea di essere rigido, legnoso. Guarda, invece, quanta interessante flessibilità” gli dice voltandogli a forza la testa in direzione della scena.
Vista da fuori, Sherlock deve ammettere sia raccapricciante. Non ci trova nulla della piacevolezza che ha provato. Vede solo un corpo nudo accanirsi su un altro e quest’altro incitarlo a continuare.
“Visti da fuori i rapporti sessuali sono atti violenti” sussurra James al suo orecchio. “Si fa quasi fatica a distinguere uno stupro da un rapporto consenziente. L’espressione facciale del piacere è del tutto simile a quella del dolore. Le grida che si producono anche. Quando, poi, i due soggetti sono stretti così tanto l’uno contro l’altro si fa ancora più fatica. L’uno stringe l’altro per impedirgli di fuggire o per trattenerlo piacevolmente a sè? E l’altro gli affonda le unghie nella carne nel disperato tentativo di difendersi o per un voluttuoso gesto animalesco? Ma sto facendo troppe domande” ride, il fiato caldo a lambirgli il volto, “Io penso solo tu sia bellissimo. Così libero, privo di alcuna inibizione, votato all’esclusiva ricerca del piacere carnale. Vivo! Oddio, sì, vivo per una volta, almeno, nella tua vita fatta di continue deduzioni”.
Sherlock vorrebbe distogliere lo sguardo ma non ci riesce. Resta lì a guardare se stesso incitare John e avvicinarsi sempre più inesorabilmente al momento in cui ha perso ogni controllo.
“E’ stato bello, vero?” gli chiede James privo di alcun pudore.
<< Sì >> ammette lui e solo ora riesce a chiudere gli occhi. Ora che sa cosa sta per dire.
“Oh” esclama Moriarty allontanandosi stupito. “Lo hai detto davvero?” chiede, portando teatralmente entrambe le mani al volto. “Sherlock, ma non si fa! Non si fa! Non c’è cosa più ingenua che dichiarare il proprio amore sull’onda dell’orgasmo” dice incrociando le braccia al petto.
Lo sa. Sherlock sa bene di aver sbagliato. Se non gli avesse dichiarato il suo amore forse John non si sarebbe tirato indietro. Troppo impegnativo l’amore, soprattutto se dichiarato così presto.
“Dici?” gli chiede James, osservandoli mentre si scambiano baci ora più dolci e lenti. “Penso che lo avrebbe fatto comunque. Voleva solo scoparti e lo ha fatto. Anche bene a quanto vedo. Cosa te ne frega di una cosa così umana e inutile come l’amore?” chiede inorridito. “Sai bene cosa questo porta. Solo morte e distruzione. L’amore è solo un problema”.
<< Sì >> annuisce lui. Questo assurdo sentimento è in grado di portare solo problemi. Enormi problemi.
“Non è questo, però, il problema finale” sussurra James facendosi nuovamente vicino.
 
La porta si apre e la luce che entra violenta a fendere l’oscurità nella quale è intrappolato lo strappa al suo Mind Place.
<< Presto, dobbiamo fare in fretta! >> sussurra Mary bambina. << Lo solleva dal suo giaciglio fatto di escrementi e vomito con la stessa semplicità con la quale una bambina raccoglierebbe una bambola da terra. Sherlock si lascia trasportare da quelle braccia dure come la roccia che lo adagiano delicatamente nella vasca. I morsi dell’astinenza sono passati ormai, ciò vuol dire che deve essere trascorso molto tempo da quando è iniziata la punizione dell’isolamento. Benchè il dolore allo stomaco e i conati siano passati ora è preda di una grande stanchezza. La gamba gli fa ancora male, benchè meno rispetto all’inizio. L’osso deve essersi ormai quasi saldato. In che modo non è dato saperlo. Resterà zoppo. Irrimediabilmente zoppo. Ride come un idiota dinanzi a quella constatazione. Frammenti di ricordi legati alle prime ore trascorse con John, quando ancora viaggiava aggrappato al suo bastone, gli tornano in mente. Quella del dottore era una zoppia psicosomatica. La sua, invece, sarà dolorosamente vera. Eccolo, di nuovo, il riassunto di tutta la sua vita espresso in un pensiero. Agli altri situazioni fastidiose, sì, ma passeggere. A lui, invece, solo danni permanenti per i quali non c’è alcun rimedio.
“Vi prego date un Oscar a questa regina del dramma!” esclama Moriarty. Il fatto che la sua voce si insinui nei suoi pensieri anche adesso che non è nel suo Mind Palace dovrebbe preoccuparlo, invece non gli da molto peso. Porta avanti quella doccia che lo scalda appena, consapevole del fatto che tra poco Mary tornerà a riportarlo in cella, sussurrando la necessità di fare in fretta. Si avvolge nell’accappatoio ruvido e si accoccola a bordo vasca ed è così che lei lo trova.
<< Hai già finito? >> gli chiede stupita, porgendogli la ciotola piena del solito brodo di pollo bollente. Gli si siede accanto e come sempre lo osserva mangiare piano. Quando ha finito si alza con la solita urgenza, pronta a caricarlo sulle braccia e riportarlo dentro.
<< No, Mary, aspetta >> la blocca, lasciandola senza parole. << Sta per finire, non è vero? >>.
<< La bufera, dici? Sì. Il vento è calato e nevica già molto meno >>.
<< Non la bufera, Mary. La mia vita. Mi porterà alla fossa appena la neve smetterà di cadere >>.
<< Io… come lo sai? >> gli domanda spaventata allontanandosi da lui.
<< Oh, si ha molto tempo per ascoltare quando si è chiusi in uno stanzino buio >>.
Mary annoda in modo convulso la brutta treccia che si è fatta oggi e che le scende sulla spalla.
<< Ho tentato di farla ragionare, ma è tanto arrabbiata con te e non crede al tuo pentimento >> tenta di giustificarsi sull’orla del pianto.
<< No, Mari. Io penso che sapesse già cosa fare di me fin dal momento in cui mi ha trovato. La stessa cosa che era solito fare tuo padre. Tu lo sapevi e volevi portarmi a valle, ma la bufera ti ha impedito di salvarmi >>.
La bocca della donna disegna una buffa ‘O’ perfetta di stupore. La mano che annoda la treccia si blocca del tutto, preda dello stupore. Il viso, poi, le si strizza come una spugnetta e esplode nel pianto.
<< Mi spiace, Edward >> singhiozza accarezzandogli i capelli umidi con la mano. << Io non ho mai voluto che a nessuno fosse fatto del male. Tremavo sempre quando mio padre o i miei fratelli portavano a casa uno sconosciuto ferito. Sapevo che non avrebbe fatto ritorno a casa, che ci fosse stata o meno la neve. Loro lo ripulivano di tutto e poi, quando lo portavano alla fossa, lo lasciavano lì a morire >>.
<< Per questo li hai uccisi, Mary? >>.
Rabbrividisce, ora, dinanzi a questa ennesima deduzione.
<< Come fai a saperlo? >> gli chiede, il viso pallido e teso.
<< Perché sei buona e volevi solo la smettessero. Sia di uccidere estranei che di punire te. Non è bello quello stanzino. È buio, stretto e freddo >>.
<< Ho dovuto farlo >> tenta ancora di giustificarsi mentre le lacrime le rotolano sul viso quadrato.
<< Lo so, lo capisco >>.
<< Non sei arrabbiato con me, Ed? >>.
<< No, Mary. Hai giustiziato degli assassini. Mi spiace solo tu non abbia potuto eliminarli tutti >>.
<< Ci ho provato, ma non ci riesco >> ammette tra le lacrime.
<< Oh, è difficile, lo so. Ma va bene così. Non lascio nessuno. Sono pronto >>.
<< Come non lasci nessuno? E Molly? >> gli domanda. Gli occhioni lucidi che mette su ogni volta che le parla di lei lo guardano sconvolti.
<< Troverà una persona più presente di me e capace di amarla >> risponde, pensando a quanto sia assurdo quel pensiero, quella conversazione, tutta quanta questa situazione.
<< No! Soffrirà. Soffrirà tanto, invece >> ribatte disperata portando le mani ai capelli.
<< E’ possibile, ma… non possiamo fare nulla. Quando la bufera finirà, con lei avrà termine la mia vita >>.
 
Per oggi mi fermo qui. Penso che prima di domenica prossima non riuscirò a postare altro. Vi auguro ancora una buona conclusione di queste feste e un buon inizio 2019
A presto
Patty
   
 
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