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Autore: Parmandil    07/01/2019    1 recensioni
“L’utopia come obiettivo è il fuoco nel motore nucleare. L’utopia come pratica è stagnazione, putrefazione; alla fine è la morte. Che è precisamente dove troviamo la Federazione Unita dei Pianeti, un secolo dopo il termine dell’Età dell’Esplorazione”.
Siamo nel XXVI secolo, anno 2550. La Federazione sembra passarsela bene, ma i più accorti, come il Capitano Chase, sanno che non è così. La Federazione, infatti, sta ristagnando: i confini sono statici e l’esplorazione langue. Gli Umani si sono impigriti: nessuno vuole più rischiare la vita lontano da casa. Le poche esplorazioni sono condotte con sonde automatiche, mentre le astronavi – ormai antiquate – si limitano a pattugliare lo spazio federale. Gli equipaggi sono sotto organico, male addestrati e poco motivati.
In quest’epoca decadente, le crisi aumentano: sia esterne (guerriglie oltreconfine), sia interne (mondi insoddisfatti dalla soffocante burocrazia federale). Oggetto di contesa è anche la Prima Direttiva, che molti ritengono superata. Per reagire alla pericolosa stagnazione, la Flotta Stellare vara un progetto rivoluzionario: la USS Enterprise-J, di classe Universe, una “città nello spazio” che ripropone i valori della Federazione. Ma nemmeno l’Enterprise potrà arginare l’oscura minaccia che riemerge dal passato, per frantumare la Federazione e tutto ciò che rappresenta.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jonathan Archer, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 1: La dodicesima regina
Data stellare 2550.012
Luogo: Hangar Spaziale Terrestre (Sol III)
 
   «In principio furono i velieri» disse la voce nel buio.
   «Poi vennero le navi a vapore, le portaerei nucleari, le prime navicelle spaziali. Ogni tanto, quel nome faceva capolino. Quando gli esseri umani si avventuravano in una nuova frontiera, quando testavano nuove tecnologie e cercavano ardimento, quel nome li confortava. Enterprise, l’impresa. La capacità di andare oltre, di sognare un futuro migliore. Il primo shuttle sperimentale si chiamò così. E nei due secoli successivi molte altre navicelle portarono quel nome. Alcune si rivelarono vicoli ciechi. Ma ce ne fu una, la prima astronave del suo genere, che entrò nella leggenda.
   Fu l’Enterprise NX-01, la prima nave terrestre a curvatura 5. Comandata da Jonathan Archer, stabilì fondamentali rapporti diplomatici con altri popoli e protesse la Terra da gravissime minacce, come la Crisi Xindi e le Guerre Romulane. In soli dieci anni, gettò le basi per la nascita della Federazione e di tutto ciò che siamo ora».
   Con queste parole il vasto salone cominciò a rischiararsi. I pannelli d’illuminazione erano ancora spenti. Ma una forma lucente era apparsa a mezz’aria, sopra il podio dell’oratore, e si muoveva lentamente verso gli spettatori. Quando passò sopra le loro teste, molti trattennero il fiato, emozionati. Era l’Enterprise NX-01, o per meglio dire il suo ologramma. Passò maestosamente, con un soffio appena percettibile, andando verso il fondo della sala. Lì giunta, si dissolse.
   «Per un secolo nessuna nave federale osò fregiarsi di quel nome» riprese l’oratore. «Poi fu varata una nave di classe Constitution: l’USS Enterprise NCC-1701. Nel corso degli anni fu comandata da tre grandi Capitani: Robert April, Christopher Pike, James T. Kirk. Le loro missioni quinquennali proiettarono la Federazione in una nuova frontiera. Fu Kirk a compiere le imprese maggiori, come l’incontro con V’Ger e la battaglia con Khan. Così, quando l’Enterprise fu distrutta nella Battaglia di Genesis, la Flotta Stellare gli affidò un’altra nave della stessa classe. In segno d’onore il numero di registro rimase invariato; fu solo aggiunta la A. Con questa nave Kirk difese gli Accordi di Khitomer, ponendo fine a un secolo di ostilità tra Federazione e Klingon».
   Le due Enterprise, la 1701 e la 1701-A, comparvero una dopo l’altra, mostrando la prima versione della classe Constitution e quella aggiornata. Anche loro mossero lentamente dal podio al fondo del salone, sollevando grandi applausi. E si dissolsero alla fine del tragitto.
   «Ma la tradizione delle Enterprise era appena all’inizio» riprese l’oratore. «Seguì l’Enterprise-B, di classe Excelsior. Al comando di John Harriman e poi di Demora Sulu, portò avanti le missioni esplorative della Flotta Stellare. Le subentrò l’Enterprise-C, di classe Ambassador, al comando di Rachel Garrett. Questa nave s’immolò nella Battaglia di Narendra III, difendendo i Klingon dai Romulani e consolidando la loro alleanza con la Federazione».
   Le due navi citate seguirono le altre, sorvolando il pubblico sempre più emozionato. Ogni Enterprise era più grande e moderna della precedente. Gli ologrammi, molto realistici, mostravano ogni minimo dettaglio dello scafo.
   «Ed ecco l’Enterprise-D, classe Galaxy, e l’Enterprise-E, classe Sovereign, entrambe comandate da uno dei nostri Capitani più saggi e amati, Jean-Luc Picard. Ma non dimenticate che anche William Riker ed Edward Jellico furono al comando della D, mentre Riker e Data comandarono la E. Queste due navi svolsero con successo innumerevoli missioni: testarono nuove tecnologie, scoprirono nuovi mondi e civiltà, mediarono la pace fra i popoli e difesero la Federazione dalle più tremende minacce della sua storia, come i Borg».
   Le navi di Picard sorvolarono l’auditorio, sotto scroscianti applausi. Alcune mani, chele e tentacoli si sollevarono, nel tentativo di toccarle, ma loro volavano troppo in alto.
   «Seguì l’Enterprise-F, di classe Odyssey, al comando dell’Ammiraglio Shelby, vittima del tragico attacco Borg del 2401. Le subentrò l’Enterprise-G, di classe Neo-Constitution, comandata da Annika Hansen. Questa nave fu cruciale per proteggere la Federazione nel confuso periodo di conflitti all’inizio del XXV secolo. Più tranquille furono le missioni dell’Enterprise-H, di classe Endurance. Per la Federazione fu un periodo di pace e stabilità, certo ben meritate» proseguì l’oratore.
   Le tre Enterprise citate sorvolarono lentamente la folla. Ci furono altri applausi, ma molti trattennero il fiato, perché si avvicinava la fine della lista.
   «E ora, un monito» disse l’oratore, facendosi più solenne. «L’Enterprise-I, di classe Altair, del Capitano Vorix. La sua tragica distruzione, avvenuta dieci anni fa, ci rammenta che la pace non può mai essere data per scontata. Deve essere sempre rinnovata, conquistandola giorno per giorno».
   Stavolta non ci furono applausi, solo un triste mormorio. L’Enterprise-I passò come un pallido fantasma, con la sua inconsueta forma a boomerang, per dissolversi in fondo al salone.
   «Ma la vita va avanti e le lezioni del passato, per quanto dure, ci rendono più forti» riprese l’oratore, dopo una lunga pausa. «Signore e signori, vi presento la nuova ammiraglia della Flotta Stellare: l’USS Enterprise NCC-1701-J, di classe Universe!».
   I pannelli d’illuminazione emisero un soffuso chiarore, che rese visibili i contorni della sala. Apparve il podio, dove l’Ammiraglio Nelscott stava tenendo il suo discorso. Era un uomo alto e imponente, dalla pelle scura e lo sguardo profondo. Indicò la finestra di trasparacciaio che copriva tutta una parete del salone, affacciandosi direttamente sullo spazio. La folla trattenne il fiato. Poi, nell’angolo in basso a sinistra, apparve uno spicchio di sezione a disco.
   Lenta e regale, l’Enterprise-J entrò nel campo visivo, fino a riempire tutta la vetrata. Era un sogno divenuto realtà: la più grande, la più evoluta, la più sorprendente astronave mai uscita dai cantieri navali della Federazione. Aveva un’immensa sezione a disco ovale, molto sottile in rapporto al diametro. La sezione motori era ridotta al minimo e si agganciava al disco senza strozzature né dislivelli. Nella sua parte terminale si apriva l’hangar principale, mentre ai lati si allungavano i piloni delle gondole quantiche, lunghe e sottili. Data la struttura della nave, che riprendeva il design dell’antica classe NX, il deflettore di navigazione si trovava sulla parte anteriore del disco. Da lì al termine delle gondole erano più di tre chilometri. Nemmeno nei loro sogni più selvaggi le generazioni passate avevano immaginato una simile città nello spazio. La folla andò in delirio: applausi, fischi, urla in decine di lingue.
   «Cinque anni di progettazione e cinque di costruzione, da parte delle migliori menti della Flotta, per questo capolavoro di tecnologia e stile!» proseguì Nelscott, sprizzando orgoglio da tutti i pori. In fondo era stato lui a patrocinare il progetto fin dall’inizio e a supervisionarlo personalmente nell’ultimo anno. «Questa nave segna un balzo tecnologico senza precedenti nella storia della Flotta Stellare. È progettata per essere una nave generazionale, una città nello spazio che accoglierà diecimila persone, tra ufficiali e civili. I suoi motori a cavitazione quantica e il propulsore cronografico estenderanno la frontiera sino agli estremi confini della Via Lattea e oltre, nelle sterminate vastità dell’Universo. Salutiamo il Capitano che accoglierà questa sfida: Alexander Chase!».
   Chase strinse gli occhi grigi, quando un cono di luce lo illuminò. Un ingresso da star non era nel suo stile, ma non poteva certo esimersi dal dire qualche parola. Si diresse verso l’Ammiraglio, l’uomo al quale doveva la vita. Dopo la distruzione dell’Enterprise-I era stato Nelscott a trovarlo nella capsula di salvataggio, svenuto e semi-congelato. Era una fortuna che la sua nave, la Ascension, transitasse da quelle parti. Sebbene fosse vecchia di oltre cent’anni, i suoi sensori erano ancora ottimi. Chase era stato curato nell’infermeria di bordo e aveva fatto rapporto, avvertendo il Comando di Flotta. Una volta chiarita la sua posizione, aveva ripreso servizio proprio sulla Ascension. Vi era rimasto per dieci anni, divenendo Primo Ufficiale di Nelscott. Infine, un anno prima, era diventato Capitano. Mentre l’Ammiraglio supervisionava le ultime fasi costruttive della nuova Enterprise, Chase comandava la vecchia Ascension, pur sapendo che stava per essere messa in disarmo. Credeva che l’Enterprise-J sarebbe stata di Nelscott e che lui sarebbe finito chissà dove, su qualche altra vecchia nave. Non immaginava che l’Ammiraglio avesse deciso altrimenti. Quando lo aveva richiamato sulla Terra per affidargli la sua creatura, Chase era rimasto incredulo e frastornato. Mai avrebbe pensato di comandare l’ammiraglia... né di mettere ancora piede su una nave chiamata Enterprise.
   «Grazie, signore» disse, stringendo la mano a Nelscott. «È stato un onore servire con lei sulla Ascension, e sono ancor più onorato di questo incarico». Si rivolse alla folla, composta dagli ufficiali superiori dell’Enterprise e dalle loro famiglie, oltre che dai giornalisti. Molti parenti erano lì per salutare i propri cari, prima che prendessero servizio. Parecchi altri, invece, li avrebbero seguiti sull’Enterprise. Sulle diecimila persone che erano previste a bordo, ben settemila sarebbero state civili, la percentuale più alta di sempre.
   «Signore e signori... altre forme di vita...» esordì Chase. «Avete sentito l’Ammiraglio ricordare il lignaggio delle Enterprise. Quella che vedete là fuori» disse indicando la J «è l’undicesima nave della Flotta Stellare a portare questo nome glorioso. La dodicesima, se contiamo anche l’Enterprise NX-01. Rispetto alle sue antesignane, ospiterà una maggior varietà di specie, anche non umanoidi, e molti più civili. La loro sicurezza sarà garantita da armi e scudi di nuova generazione.
   L’Enterprise-J è stata costruita così per un motivo. Come sapete, da dieci anni combattiamo una dura lotta contro i Parassiti Neurali che infettarono l’equipaggio dell’Enterprise-I, provocandone la distruzione. I loro scopi sono ancora poco chiari, ma non la loro strategia. I Parassiti s’infiltrano fra noi per minare la fiducia reciproca, per diffondere il sospetto e la paura del tradimento. Ci vogliono divisi e impauriti, perché sanno che così siamo più vulnerabili.
   La risposta può essere una sola. Mentre affrontiamo il nemico, dobbiamo riscoprire la fiducia nei nostri amici. Possiamo coesistere pacificamente, se rispettiamo le leggi federali, basate sulla democrazia e sui Diritti dei Senzienti. L’Enterprise-J è questo: un luogo per chi crede che questi valori non siano negoziabili. Decine di specie diverse dovranno contare una sull’altra. Nessuna s’imporrà, ma tutte rispetteranno le regole comuni. Se vinceremo questa sfida, nessun ostacolo sarà insormontabile, fra quelli che troveremo alla frontiera.
   Sì, ho detto frontiera... perché la classe Universe vuole anche riportare in auge l’esplorazione. Noi beneficiamo delle scoperte dei nostri avi. E le prossime generazioni dovranno beneficiare delle nostre. Come disse Zefram Cochrane... questa nave ci porterà coraggiosamente là dove nessuno è mai giunto prima. Perciò facciamo un applauso all’Enterprise-J; alla dodicesima regina!».
   E gli applausi scrosciarono, finché tutto il salone ne rimbombò. Anche Chase batté le mani, ammirando l’Enterprise, mentre Nelscott inseriva una bottiglia di champagne in una piccola camera stagna. Era un’annata vecchia di secoli: l’aveva imbottigliata la famiglia Picard, all’epoca in cui Jean-Luc comandava l’Enterprise-D. La bottiglia, risucchiata nello spazio, roteò verso la nuova Enterprise. Divenne sempre più piccola per la distanza, finché s’infranse sullo scafo scuro e lucido della sezione a disco. Così battezzata, la nave arrestò il suo moto, fermandosi proprio accanto all’Hangar Spaziale. Era così grande che dal salone dei ricevimenti non si riusciva nemmeno a vederla tutta. Ed era pronta a raccogliere la sua eredità.
 
   Poco alla volta, gli applausi e le grida terminarono. Le luci si accesero del tutto e gli altoparlanti diffusero una bella musica moderna, ma non assordante. Chase e Nelscott scesero dal palco per unirsi al pubblico. La cerimonia era terminata, ma la serata proseguiva come un party di classe. Centinaia di persone si presentavano, conversavano; alcune si misero persino a ballare. Gli ufficiali dell’Enterprise facevano conoscenza con quelli che, nei prossimi anni, sarebbero stati i loro colleghi.
   «Se l’è cavata bene, Alexander» sorrise Nelscott, dando una pacca sulla spalla a Chase. «Ricordo che, quand’eravamo sulla Ascension, non le piaceva parlare in pubblico».
   «In realtà mi mette ancora tensione, ma...» lasciò in sospeso Chase.
   «... un Capitano non può tentennare» annuì Nelscott. «Lo tenga a mente».
   «Ammiraglio, posso farle una domanda?» disse Chase a bassa voce.
   «L’ha già fatta» ridacchiò Nelscott. «Ma scherzi a parte, so che vuol chiedermi: perché ho scelto lei».
   «Sono dieci anni che lei segue questo progetto. L’Enterprise è la sua creatura. Era logico che assumesse lei il comando» commentò Chase.
   «Già, dieci anni... cioè da quando trovai un giovane Tenente mezzo assiderato in una capsula di salvataggio» rispose Nelscott. «Fino ad allora non mi ero reso conto dello stato in cui versava la Flotta. Fu la sua testimonianza, Alexander, a farmi aprire gli occhi. Capii che avevamo perso qualcosa, che non sapevamo più affrontare le minacce. Tutto quel che ho fatto nell’ultimo decennio, per rimodernare la Flotta, è la conseguenza del nostro primo incontro» disse gravemente, guardando Chase negli occhi.
   «E adesso?» mormorò il Capitano.
   «Adesso non posso mollare tutto e partire con l’Enterprise, anche se ne avrei una voglia matta» fece Nelscott malinconico. «Se vado ora, i lavori ai cantieri spaziali ristagneranno. Qualche ottuso burocrate potrebbe persino fermare i progetti, o rinviarli a tempo indeterminato. Non posso permetterlo... non ora che siamo a un punto cruciale. Nuove classi di navi stanno venendo varate: Nautilus, Theseus, Sagittarius, Paladin. Sa quanto ce n’è bisogno: non possiamo continuare a rappezzare navi di cento, centocinquanta anni. Ecco perché devo restare, almeno per un po’. Stiamo anche riciclando quelle deludenti classi Altair...».
   «Sì, ho visto i progetti» annuì Chase. «Volete usarle come sezioni motori, da unire ai dischi Universe, creando un ibrido...».
   «Modificando i dischi sarà fattibile» assicurò Nelscott. «Basta eliminare il deflettore e abolire la sezione motori, che sarà sostituita dalla Altair. Così risolveremo tutti i problemi: spazio, strumenti, armi e difese. Certo, considerando la stazza dei dischi Universe, non riusciremo a costruirne così tanti da trasformare tutte le Altair. Ma sarà comunque un bel salto in avanti. Secondo le simulazioni, questa nuova classe ibrida – la Celestial – potrebbe superare la Universe in termini di prestazioni. Ma lo sapremo con certezza solo quando saranno varate le prime navi, fra circa un anno. Ho già in programma di prendere la Majestic come nave ammiraglia. Se tutto andrà bene, a quel punto potrò lasciare i cantieri» si augurò.
   «Allora spero d’incontrarla fra un anno, nello spazio profondo» sorrise Chase.
   «Speriamo, Alexander... anzi, Capitano Chase. E ora vada a familiarizzare col suo nuovo equipaggio» lo esortò Nelscott, accennando a un gruppetto di ufficiali che conversavano a poca distanza.
   «Ammiraglio...» si congedò Chase, con un cenno del capo. E andò in esplorazione.
 
   «Lei dev’essere il Consigliere di bordo» esordì Chase, stringendo la mano a un uomo corpulento, dalla corta barba nera. Di lui sapeva solo che, come talvolta accadeva per i Consiglieri, non apparteneva alla Flotta Stellare, ma prestava servizio in virtù di una partnership con le autorità civili.
   «Esatto, sono il dottor Navarro» sorrise l’interessato. «Lieto di conoscerla, signore».
   «Benvenuto nell’equipaggio dell’Enterprise».
   «Ah, sì... l’Enterprise» disse il Consigliere, con quella che sembrava un’aria dispiaciuta.
   «Qualcosa non va?» si stupì il Capitano.
   «Nulla che lei possa risolvere, temo» disse Navarro, con aria complice. «Vede, trovo che chiamare ancora Enterprise l’ammiraglia di Flotta sia stata una scelta alquanto infelice».
   «E perché, di grazia?» s’indispettì Chase, che invece ne era lieto.
   «E lo chiede? Ha sentito il discorso dell’Ammiraglio... ha parlato della storia terrestre come se fosse tutta la storia federale» sospirò il Consigliere. «Non le pare oltraggioso che, con centinaia di culture facenti parte della Federazione, le nostre navi abbiano sempre nomi attinenti alla storia umana? È come se le altre tradizioni non esistessero, o non fossero importanti!».
   «Non credo sia quella l’intenzione» borbottò Chase, che non gradiva la piega presa dal discorso. «Vede, il lignaggio delle Enterprise è il più rinomato della Flotta. Le navi così chiamate si sono sempre distinte in missione, quindi trovo sensato chiamare così la nuova ammiraglia, perché sia d’ispirazione all’equipaggio...».
   «Ai membri Umani dell’equipaggio, magari. Quelli alieni è probabile che si sentano avviliti» corresse lo psicologo.
   «Vorrei capire perché insiste tanto sull’argomento» s’innervosì il Capitano. «Dopotutto è Umano anche lei...».
   «Quindi la cosa non dovrebbe darmi fastidio, intende? E invece è proprio il motivo per cui m’infastidisce doppiamente!» rivelò Navarro in tono querulo. «È desolante constatare come la nostra specie si veda ancora al centro di tutto e consideri le altre come degli accessori. Sa, sto conducendo uno studio a lungo termine sull’effetto depressivo che l’onnipresente cultura umana ha sugli alieni, e sui modi per contrastarlo. Penso che l’esperienza sull’Enterprise mi permetterà di fare osservazioni interessanti al riguardo. E anche di porre qualche domanda. Ad esempio mi dica, Capitano: ritiene che il fatto d’essere Umano l’abbia aiutata a fare carriera e a ottenere il comando?».
   «Certo che no!» sbottò Chase. «Nella Flotta Stellare non si fanno favoritismi. Lo saprebbe, se fosse dei nostri» disse, rimarcando il fatto che lo psicologo era un civile.
   «Già, già... vedo che lei ha adottato immediatamente un diniego difensivo, per proteggere il suo ego. Molto interessante... un tipico esempio di Fragilità Umana» disse il Consigliere. Prese un drink offertogli da un cameriere e lo sorseggiò con gusto.
   «Sembra che lei non abbia una grande opinione della nostra specie» si accigliò il Capitano. «Se può confortarla, sappia che la stragrande maggioranza dell’equipaggio e dei passeggeri è costituita da alieni».
   «Sì, alieni che ancora una volta devono sottostare a un Umano» commentò Navarro, con un sorrisetto ironico. «Sono curioso di vedere come gestirà la situazione... spero non le dispiaccia, se prenderò appunti sul suo stile di comando».
   «Faccia come ritiene meglio. L’importante è che non divulghi informazioni riservate della Flotta» ammonì Chase.
   «Non si preoccupi... io sono qui per aiutarla, non certo per crearle problemi. Quando avrà dubbi, venga pure da me; la mia porta è sempre aperta per chi cerca consiglio» promise Navarro, e si ritirò.
 
   «Intendente Dahut!» sibilò Chase, dirigendosi sparato verso l’aiutante. Era una Sauriana dalla testa calva e violacea, con occhi arancioni e sporgenti, grossi come pompelmi.
   «Zì, zignore?» rispose Dahut, fischiando le parole dalla minuscola boccuccia.
   «Quel Navarro là, che ci fa sulla mia nave?!» protestò Chase, accennando allo psicologo.
   «Uh, è il Conzigliere di bordo, zignore» rispose l’Intendente.
   «Lo so!» esclamò Chase, furibondo. «Ma non mi pare una personalità molto equilibrata. Ho la sensazione che quello abbia una precisa agenda politica, e che sia qui solo per coglierci in fallo. Lei è l’Intendente, conosce il ruolino... come ha fatto quell’uomo a diventare il nostro Consigliere?» volle sapere.
   «Vediamo, Navarro... uh... credo zia ztato caldamente raccomandato da una famoza Univerzità di Zan Francizco. Forze l’Ammiraglio zi è fidato e non ha letto fino in fondo la zua zcheda perzonale. Za, con tremila ufficiali...».
   «Ma Navarro è un ufficiale superiore! Potrebbe... frell! Non sarà mica un ufficiale di plancia? Uno di quelli che partecipano alle riunioni?!» chiese Chase, terrorizzato.
   «Temo di zì, zignore» annuì l’Intendente, sconsolata. «Ma – uh! – lei ha ampie facoltà di rimpazto, zignore. Il Medico Capo, Korriz Vrel, è laureato in pzicologia: può rimpiazzare il Conzigliere nelle riunioni più rizervate, ze vuole. Uh-uh!».
   «Splendido, informi il dottore. E anche Navarro!» gongolò Chase, fregandosi le mani. «Non so che combinerà, facendo da strizzacervelli all’equipaggio... ma tenerlo fuori dalla sala tattica è già qualcosa. In caso contrario, temo che lo strozzerei al primo giorno. Si occupi lei di tutto, ha la mia piena autorizzazione!».
   «Zì, zignore!» fischiò l’Intendente, e trottò via.
 
   Chase aveva fatto pochi passi, quando si trovò di fronte uno Xindi Insettoide. L’alieno si chinò su di lui, osservandolo con gli enormi occhi composti e schioccando i cheliceri nel suo linguaggio. Il traduttore universale rese comprensibile il suo discorso apprensivo.
   «Sì, stia tranquillo, professore. L’Enterprise ha una stanza attrezzata per gli Insettoidi, potrete deporre lì le vostre uova. L’ambiente è termoregolato» assicurò Chase. «Certo, tutte le specie mangiatrici di uova e larve saranno tenute lontane. I sistemi di sicurezza... va bene, metterò anche un paio di guardie» promise, per scrollarselo di dosso.
   «Capitano! È una cosa scandalosa!» disse un Vedek bajoriano, dal lungo abito talare e l’elaborato orecchino, precipitandosi verso Chase.
   «Sì, eminenza? Che c’è di scandaloso?» sospirò Chase.
   «Ci sono Orioniane a bordo! Orioniane, capisce? E anche Deltane! La loro condotta immorale e lasciva sarà un pessimo esempio per i miei fedeli. Li distoglierà dai Profeti!» protestò il Vedek, con la barba bianca che tremava per l’indignazione.
   «E che dovrei fare, metter loro il burqa? Segregarle nei ponti inferiori?» rispose Chase seccamente. «Insegni ai suoi fedeli a controllarsi, piuttosto. Se i Profeti vi rendono così puri, saprete dominare i vostri istinti; altrimenti siete solo chiacchiere» tagliò corto. Il Vedek se ne andò sdegnato.
   «Onorato di conoscerla, Capitano. Sono il Tenente Hod, della sezione ingegneria» si presentò un Elaysiano, che per camminare doveva indossare un esoscheletro meccanico. «Signore, a nome della mia gente vorrei chiederle se è possibile tenere le piastre gravitazionali a mezzo g».
   «Ha idea di cosa accade a certe specie, con quella gravità?» rispose Chase. «Vuole che alcuni passeggeri esplodano, o che altri non riescano più a riprodursi? Ma stia tranquillo, c’è un settore apposta per le specie a bassa gravità. State solo attenti a non uscire senza esoscheletri o sedie levitanti. E per l’amor del Cielo, non pasticciate coi controlli degli altri settori!» raccomandò.
   «Grazie, Capitano! Informo subito la mia gente» disse l’Elaysiano, e se ne andò con il sorriso sulle labbra.
   Chase, invece, aveva difficoltà a sorridere. L’Enterprise si annunciava molto più ardua da comandare rispetto all’Ascension. «Beh, sarà meglio che cerchi qualche ufficiale» borbottò, guardandosi attorno.
   «Eccone uno, signore» disse una Trill dagli occhi verde-acqua e i lunghi capelli biondi, raccolti in una coda di cavallo. Le macchie viola ai lati del viso erano piccole e nette. «Comandante Ilia Dax a rapporto, signore» aggiunse, mettendosi sull’attenti.
   «Riposo, Comandante... non siamo ancora in servizio» sorrise Chase, porgendo la mano al suo Primo Ufficiale. Ilia si affrettò a stringerla. «Mi spiace incontrarla solo ora» disse Chase, «ma il comando dell’Enterprise mi è giunto inaspettatamente, pochi giorni fa. Pensavo sarebbe toccato all’Ammiraglio Nelscott, visto che se ne occupa da anni».
   «Ed è stato l’Ammiraglio a selezionare gli ufficiali superiori. Capisco, signore; in circostanze normali questo sarebbe spettato a lei. Ma le assicuro che darò il meglio» promise Ilia. Aveva una voce armoniosa, ma più profonda del tono solito di una donna; era come se molte voci parlassero con la sua bocca.
   «Non era una critica» precisò Chase. «Intendevo solo che, altrimenti, avrei incontrato prima i miei ufficiali. Ma non avrei potuto desiderare un Comandante più esperto di Dax. Le sue imprese sono leggendarie».
   «Col dovuto rispetto, signore, io non sono Curzon, o Jadzia, o Ezri. Sono solo Ilia. Ho le memorie dei precedenti ospiti di Dax e alcuni loro vezzi caratteriali» spiegò la Trill, incrociando le mani dietro la schiena, «ma la mia personalità è distinta. So bene di non essere stata io a negoziare gli Accordi di Khitomer, o a pilotare la Defiant nella Guerra del Dominio, o a capitanare l’Aventine».
   «Però conserva le memorie di quei fatti» insisté Chase.
   «Capitano, io ricordo dodici vite, dipanate in oltre cinquecento anni. Il mio Simbionte, Dax, nacque nel 2018. In tutto questo tempo è stato portato da ospiti molto diversi. I più famosi sono certamente i tre ufficiali federali, ma i miei ricordi più freschi sono degli ospiti successivi, Martis e Zarden. Loro erano civili... in effetti è da un secolo che Dax non presta servizio nella Flotta Stellare» ammise.
   «Immagino che siano cambiate molte cose, dai tempi dell’Aventine» commentò Chase. «A proposito, volevo farle le condoglianze per Zarden. Era un eccellente architetto... la sua morte ha rattristato tutti».
   «La ringrazio, Capitano... anche se è strano ascoltare le condoglianze per la mia vita passata. Cioè, la vita di Zarden» si corresse Ilia.
   «Almeno le sue opere architettoniche gli sopravvivranno. Sopravvivranno a tutti noi... salvo forse Dax» notò Chase.
   «No, nemmeno a lui» disse Ilia, facendosi malinconica. «I Simbionti non vivono più di 600 anni, e Dax ne ha 532. Quindi, se vivrò a lungo, alla mia morte Dax sarà troppo vecchio per poterlo impiantare con sicurezza in un nuovo ospite. Potrebbe anche morire lui per primo... nel qual caso avrei seri problemi di salute. Comunque vada, i preziosi ricordi di Dax hanno trovato in me la loro ultima beneficiaria».
   «Oh, mi... mi addolora sentirlo» disse Chase, commosso.
   «È tutto a posto, Capitano» sorrise Ilia. «Prima dell’Unione sono stata informata dei rischi. Ma ne valeva la pena... per le memorie di Dax. Sa, lui aveva proprio voglia di tornare nella Flotta, dopo due vite da civile. Io ero la sua ultima occasione per sperimentare il brivido dell’ignoto».
   «Già, l’esplorazione... ma con una nave vasta come l’Enterprise, dovremo stare attenti a non perderci nei corridoi!» ridacchiò Chase.
   «Sarà mia premura evitarle quest’inconveniente, Capitano» disse una voce femminile lì accanto. Chase si girò e vide un’esile donna dai lineamenti orientali. Aveva grandi occhi scuri e corti capelli neri con riflessi corvini. Due ciocche incorniciavano il viso pallido e ovale, quasi da bambina. Indossava un elegante abito da sera argenteo, che lasciava scoperta una spalla. Sul braccio in evidenza portava una sorta di bracciale cromato, che Chase scambiò per un ornamento.
   «Lieto di conoscerla, signorina...?» chiese il Capitano, colpito dalla nuova arrivata.
   «Enterprise. Sì, proprio quella là fuori» sorrise la giovane indicando la nave, che stazionava oltre la finestra di trasparacciaio.
   «Oh, ma allora lei è...».
   «L’Intelligenza Artificiale dell’Enterprise, esatto. La mia designazione completa è AI 12-J-4739 MARK VII, ma può chiamarmi semplicemente Terry, come fanno i miei progettisti».
   «Mi sa che farò così» convenne Chase. «Quindi lei è un ologramma... e quello è il suo emettitore» aggiunse, indicando il bracciale cromato.
   «Ologramma? Nulla di così rozzo... sono una proiezione isomorfa, che imita l’organismo umano fino a livello cellulare» spiegò Terry. «Mi consideri l’avatar dell’Enterprise, il suo modo per interagire con l’equipaggio. Il mio mainframe è sulla nave, ovviamente, ma questo Emettitore Autonomo mi fornisce una considerevole libertà di movimento».
   «Sulla vecchia Ascension non avevamo niente del genere... e nemmeno sull’Enterprise-I» commentò Chase. «Ma i computer di quelle navi erano obsoleti. Mi parli un attimo delle sue – ehm – specifiche. Niente dettagli tecnici, solo l’essenziale».
   «Volentieri, signore» sorrise Terry. «Sono stata creata assieme alla nave, al Daystrom Institute of Technology di Utopia Planitia. La mia prima attivazione risale a cinque anni fa, all’inizio dei lavori, ma ho subìto update fino a tre giorni fa. In missione svolgerò il ruolo di Ufficiale Scientifico e come Tenente Comandante sarò terza in linea di comando».
   «Come?! L’hanno promossa Tenente Comandante, anche se questa sarà la sua prima missione?» si stupì Chase.
   «Correzione: non sono stata promossa. Sono stata programmata per svolgere le mansioni di Tenente Comandante. E se per qualsivoglia ragione lei e il Comandante Dax foste inabili al comando, passerò in modalità Capitano Olografico d’Emergenza» spiegò Terry.
   «Fantastico, affidiamo la nave al tostapane» commentò Ilia, acida.
   «Come dice, prego?» chiese Terry, sbattendo le palpebre perplessa.
   «Dico che ho vissuto per cinquecento anni, per dodici vite, e ancora mi capitano imprevisti. Ma tutte le volte che ho fatto carriera nella Flotta, ho cominciato dall’Accademia. Sono stata promossa solo se e quando lo meritavo. Nessuno mi ha detto: “Ehi, questa ragazza ha le memorie di un ufficiale, promuoviamola subito!”» disse la Comandante. Chase notò un cambiamento nel suo tono di voce e anche nella postura: di colpo sembrava meno Ilia e più Dax, malgrado il suo precedente discorso.
   «La memoria pregressa del suo Simbionte è notevole, ma non comparabile all’ampiezza del mio database» rispose prontamente Terry. «E temo che gran parte dei suoi ricordi siano troppo... vintage per essere utili in questo secolo».
   «Mi sta dando della vecchietta?!» protestò Dax, strabuzzando gli occhi.
   «Mantenete la calma» intervenne Chase, prima che la situazione sfuggisse di mano. «Ilia, nessuno mette in dubbio la sua competenza. Terry... la capacità di comandare una nave non dipende solo dall’ampiezza del nostro database. Quando siamo là fuori, nello spazio, siamo responsabili delle vite dei nostri ufficiali. E dei civili; sulla Ascension non ne avevo, ma sull’Enterprise a pieno carico ce ne saranno settemila. E non importa cos’hanno messo nel suo programma, quante subroutine di analisi tattica, quanti algoritmi euristici: ogni missione è diversa, ogni decisione porta delle conseguenze. Noi scegliamo al meglio delle nostre capacità; ma poi accettiamo quel che viene, e impariamo a convivere con le conseguenze.
   Le hanno spiegato come ci si sente, a perdere dei colleghi? A me è successo. Ne ho persi 824, sull’Enterprise-I. Quando ti accade una cosa del genere, continui a ripensare a quei momenti, cercando di capire se potevi agire meglio. Ti senti persino in colpa per essere sopravvissuto. E se a morire sono degli ufficiali sotto il tuo comando, che avevi mandato in missione, è ancora peggio: lì sei direttamente responsabile».
   Chase osservò gli occhi a mandorla di Terry, imperscrutabili, chiedendosi se quei discorsi avevano un senso per l’Intelligenza Artificiale. Lui non aveva mai avuto esseri sintetici sotto il suo comando, tantomeno ufficiali superiori. Decise tuttavia d’insistere, sperando di far passare il concetto: «Ogni nave della Flotta Stellare, prima o poi, passa dei brutti momenti. E l’Enterprise non è una nave qualunque. È l’ammiraglia, la nave che deve riuscire dove le altre falliscono. Dobbiamo rappresentare la Flotta al meglio, sapendo che i nemici della Federazione ci odieranno a maggior ragione per questo, e tanto più si accaniranno contro di noi. Perciò non faccia troppo affidamento sul suo aggiornatissimo database. Impari piuttosto a conoscere i suoi colleghi, e a fidarsi di loro, se può».
   «Capisco, signore... almeno credo» disse Terry, inclinando leggermente la testa. «Sono stata programmata per prendermi cura di tutti i miei passeggeri, sia ufficiali che civili. L’effetto di un fallimento sarebbe... molto rilevante, sulle mie subroutine emotive. Le garantisco che non desidero più responsabilità di quelle che ho già. E so che non potrei funzionare adeguatamente, se non avessi colleghi organici a bordo. Da me avrà sempre il massimo, signore» promise.
   «Bene» disse Chase, abbozzando un sorriso. «Con l’esperienza di Dax e le sue analisi probabilistiche, saprò sempre dove mi trovo».
 
   Quella sera non fu solo Chase a incontrare le persone decisive per il suo futuro. Quasi tutti gli ufficiali superiori partecipavano alla cerimonia inaugurale e cercavano di conoscersi, sperando di poter lavorare bene assieme. Non tutti furono soddisfatti. Alcuni rimasero perplessi, altri delusi; qualcuno persino spaventato. Ma pochi erano tesi come Korris Vrel, l’Ufficiale Medico Capo. Non gli era mai piaciuta la folla, e lo metteva in ansia conoscere nuovi colleghi, ma ovviamente non poteva prescindere da queste cose. Così costeggiava le pareti, con l’aria un po’ smarrita, e si guardava intorno. Cercava il coraggio di attaccare bottone con qualcuno. Ma temeva che la sua faccia grigia di Cardassiano avesse un effetto repulsivo.
   «Desidera un drink, signore?» chiese un olo-cameriere, sgusciandogli a fianco così repentinamente che il medico sobbalzò.
   «Eh? Uhm, sì, grazie. Prendo una Cardassian Sunrise... calda, mi raccomando» disse.
   «Subito, signore». Sul vassoio dell’olo-cameriere si materializzò la bibita richiesta. Korris capì perché il vassoio era così spesso: si trattava di un replicatore alimentare.
   «Grazie» disse Korris, prendendo il bicchiere. Se lo scolò in un sorso, ma quando fece per restituirlo si accorse che l’olo-cameriere se n’era andato, evidentemente chiamato altrove. Non riuscendo a ritrovarlo, in mezzo alla ressa, dovette tenersi il bicchiere vuoto in mano.
   «Devo sembrare un vero idiota» si disse, guardandosi attorno sconsolato. C’erano due persone che aveva invitato a quell’evento e che sperava ardentemente di vedere. Ma no, di loro nemmeno l’ombra. «Sono stato uno sciocco a credere che sarebbero venuti qui per me; sono io il motivo per cui non vogliono più vedersi!» rifletté.
   Continuò a guardarsi attorno, finché il suo sguardo fu attirato da una giovane donna. Era alta e atletica, con la pelle di un bel tono ambrato. Aveva un viso piacevole, con piccole fossette ai lati della bocca. Sembrava Vulcaniana: le orecchie a punta uscivano dal caschetto di capelli neri e lucidi, le sopracciglia terminavano all’insù. Però rideva e scherzava con i colleghi, come se provasse emozioni.
   «Forza, Korris… che medico sei, se non capisci nemmeno a quale specie appartengono i tuoi pazienti?» pensò il dottore. «Avanti, sfodera il tuo occhio clinico!». La studiò per qualche secondo, notando che i suoi occhi erano nerissimi, come se avesse le pupille enormi. C’era un volto del genere, fra le centinaia di schede personali che aveva letto a razzo nei giorni precedenti. Quello di un tenente... forse un timoniere? Korris non ricordava altro.
   Naturalmente la donna si accorse d’essere osservata. Si congedò dai colleghi e gli venne incontro a passo svelto, sorridendo divertita. Quando gli fu vicina, il medico si sentì obbligato a rompere il ghiaccio.
   «Salve, lei deve essere il timoniere» esordì Korris.
   «Tenente T’Vala Shil, signore» annuì la giovane. «E lei l’Ufficiale Medico Capo. Lunga vita e prosperità, dottor Vrel» disse, levando la mano nel tradizionale saluto vulcaniano a V.
   «Dottor Korris, in realtà. I Bajoriani antepongono il nome di famiglia a quello personale» precisò il dottore.
   «Bajoriani? Oh, mi scusi... non avevo notato il corrugamento nasale» disse T’Vala.
   «Non si nota molto» convenne Korris. «Quand’ero su Bajor, tutti pensavano che fossi un Cardassiano purosangue. E quando stavo su Cardassia, beh... i Cardassiani hanno un grande occhio per i dettagli. Loro se ne accorgevano subito, che ero un Mezzosangue» ironizzò.
   «Capisco cosa intende» disse T’Vala, comprensiva. «La vita non è semplice, per noi meticci».
   «Noi? Quindi lei non è interamente Vulcaniana» disse Korris, trovando conferma ai suoi sospetti.
   «Suvvia, dottore, l’avrà notato. I miei occhi mostrano chiaramente l’ascendenza Betazoide» disse T’Vala, indicandoli con due dita.
   «Già, le grandi pupille... con questa luce non ne ero del tutto sicuro. Mezza Vulcaniana e mezza Betazoide... il suo indice di telepatia sarà alle stelle» osservò il dottore.
   «Mi è stato certificato un livello ESP 11» confermò T’Vala.
   «Empatica e telepatica... notevole!» riconobbe Korris. «È mai riuscita a effettuare una Fusione Mentale a distanza?».
   «Non ancora» rispose T’Vala, divertita da quelle domande. «Scusi, ma... non ha letto la mia cartella clinica?».
   «Ho circa diecimila cartelle cliniche da leggere» si giustificò Korris, assumendo un tono professionale. «Tra l’altro mi è stato comunicato da poco il mio ingaggio sull’Enterprise. Quando ho fatto domanda, non osavo sperarci».
   «Già... pensava che le avrebbero dato il comando della Phlox, la nave medica su cui ha lavorato in questi anni. Come, una classe Olympic?! Non credevo ce ne fossero ancora in servizio!» si meravigliò T’Vala.
   «Lei ha decisamente un ESP 11» constatò Korris.
   «Mi scusi, se n’è avuto a male? Cerco di non leggere nelle menti altrui, senza prima chiedere, ma a volte i pensieri sono così chiari che è come avere un cartellone davanti. Ops... non intendevo criticare la sua disciplina mentale» si corresse T’Vala, imbarazzata. «Vedo che ha il simbolo dell’IDIC sulla giacca... segue qualche pratica vulcaniana?» chiese, per cambiare argomento.
   «Oh, niente di che» si schermì Korris, con un sorriso modesto. «Pratico giusto la meditazione, come forma di distensione mentale. Del resto anche i Bajoriani meditano. Più che altro apprezzo l’IDIC come filosofia... Infinite Diversità in Infinite Combinazioni, è l’essenza della Flotta» notò.
   «Già, immagino che abbia trovato un ambiente più tollerante qui, che non nelle sue patrie. Non le leggo la mente, parlo per esperienza» precisò T’Vala. «Anch’io so cosa vuol dire trovarsi in bilico fra due mondi. I Betazoidi, il popolo di mia madre, sono così emotivi... tutto l’opposto dei Vulcaniani, la gente di mio padre».
   «Almeno non sono mai stati in conflitto» la confortò Korris, studiando in controluce il suo bicchiere. «Invece Bajoriani e Cardassiani... beh, non siamo più nel XXIV secolo, ma certe cose non cambiano mai. Saranno anche sotto l’egida federale, ma continuano a pensare che certi incroci siano da evitare. E quando una cantante bajoriana si mette con un chimico cardassiano, la miscela non può che essere... beh, esplosiva».
   «Ecco da dove viene la sua tristezza... mi perdoni, ma non ho potuto fare a meno di percepirla fin da quando si è avvicinato. Lei si stava guardando intorno... cercava qualcuno... oh, capisco. Mi spiace» disse T’Vala, commossa.
   «Non posso nasconderle niente, vero?» sospirò Korris. «Ma sì, ha visto giusto. L’incarico sull’Enterprise è arrivato così all’ultimo minuto che non ho fatto in tempo a tornare né su Bajor, né su Cardassia. Ecco perché avevo invitato i miei genitori qui, a questa cerimonia. Chissà, magari si sarebbero parlati un po’, dopo tutto questo tempo».
   «Sento che la loro mancanza la delude molto, ma non deve...» cominciò T’Vala.
   «Lasci stare. La mia unica casa sarà l’Enterprise, ora. E suppongo che la mia unica famiglia saranno gli amici e i colleghi di lavoro» tagliò corto Korris. «Ma parliamo di lei, visto che non posso leggerle la mente. È entrata nella Flotta per evasione o per vocazione?» chiese in tono arguto.
   «Forse entrambe le cose» ammise T’Vala, dopo averci pensato un attimo. «Ho trascorso l’infanzia su Betazed, viziata da mia madre. Trasferirmi su Vulcano, a sette anni, fu un bello shock. Tutta quella disciplina...» disse, scuotendo la testa.
   «Sua madre... aspetti, ha detto di chiamarsi Shil?» chiese il dottore, strabuzzando gli occhi. «Quindi sua madre era...».
   «Xilana Shil, della Settima Casa di Betazed» confermò T’Vala.
   «La famosa ambasciatrice!» fischiò Korris. «Ricordo che l’Olonet parlò a lungo dell’incidente...».
   «Parlò dell’attentato» precisò T’Vala, indurendosi. «Si dice così, quando qualcuno piazza una bomba al tricobalto sulla tua navetta, per prolungare la disputa su qualche asteroide di dilitio». La giovane sospirò. «Sa, è strano... mia madre non voleva che mi arruolassi nella Flotta, perché avrei corso dei rischi. Però voleva che conservassi le emozioni. Invece mio padre Sirok – un astronomo dell’Accademia delle Scienze – voleva esattamente il contrario: che seguissi il mio interesse per la Flotta e che completassi il kolinahr, purificandomi dalle emozioni. Ho cercato di accontentarli entrambi... ma forse li ho delusi tutti e due» sospirò.
   «Quindi lei non segue gli insegnamenti di Surak» commentò Korris. «Lo immaginavo: da quando l’ho vista ha manifestato un’ampia gamma d’emozioni. È una V’tosh ka’tur, una Vulcaniana Senza Logica» diagnosticò.
   «Niente affatto!» protestò T’Vala, punta sul vivo. «Sono perfettamente capace di usare la logica, quando serve. Anche se non ho fatto il kolinahr, conosco la filosofia di Surak, T’Plana-Hath e degli altri Maestri di Logica. Ho studiato a fondo il Kir’Shara e gli altri scritti. Però sono giunta alla conclusione che si può essere logici quando occorre, senza per questo sacrificare le emozioni di una vita intera» dichiarò con trasporto.
   «Ben detto!» esclamò un Tellarita, intervenendo nella conversazione. Come tutti quelli della sua specie era basso e grassoccio. Aveva occhi piccoli e cisposi, un naso porcino e grosse zanne da cinghiale. I lunghi capelli color fango si confondevano con la barba folta. «Tutte le specie devono bilanciare ragione e passione, in qualche modo. Noi Tellariti, ad esempio, non abbiamo mai avuto problemi!» affermò soddisfatto.
   «Lei deve essere Grenk, l’Ingegnere Capo» lo salutò T’Vala. Korris si chiese se la timoniera aveva già memorizzato nomi, volti e gradi degli innumerevoli colleghi. Forse sì; la sua metà vulcaniana doveva garantirle una memoria fotografica.
   «Già, sono quello che farà funzionare i motori che lei userà» grugnì l’ingegnere. «Quindi le raccomando di avere garbo. Tenga a mente i limiti di tolleranza, o sarò io a sgobbare... sempre che l’Enterprise sia ancora intera! Uhm, a proposito dei Vulcaniani Senza Logica... pensavo che quelli come lei esistessero già. Pensavo che vivessero nel Quadrante Beta e si chiamassero Romulani» la provocò.
   «Moderi il linguaggio!» insorse Korris. «Lo perdoni, T’Vala... i Tellariti amano le discussioni accese, anche se non portano a nulla di costruttivo. Questo li rende ottimi politici, ma pessimi colleghi di lavoro».
   «Lo so; è un modo per rompere il ghiaccio. Dire subito all’altro quel che si pensa è una bella prova di fiducia» ribatté T’Vala. Si rivolse di nuovo a Grenk: «Io, per esempio, sto pensando che voi porcellini dovreste stare attenti: sull’Enterprise c’è un ponte allagato, riservato agli Xindi Acquatici. Se qualcuno di voi sbagliasse portellone e ci cascasse dentro, rischierebbe di lavarsi. Voi il bagno lo fate solo nel fango, giusto?».
   «È l’unico modo sensato di farlo. Acqua, docce soniche... andranno bene per voi spilungoni!» rimbeccò Grenk. «Tu piuttosto, saputella dalle orecchie a punta... sicura che durerai sull’Enterprise? Ho sentito che il ristorante principale è diretto da un Gorn. Oltre alla cucina carnivora del suo mondo, fa piatti Klingon e Ferengi... tutta roba a base di carne, vermi, molluschi e larve. Il tuo delicato stomaco vegetariano non reggerà a lungo!» gongolò.
   «Ci sono altri ristoranti. C’è la mensa ufficiali. E ci sono i replicatori negli alloggi. Non patirò certo la fame» obiettò T’Vala.
   «Ma scommetto che convincerò la crema della nave a venire con me dal Gorn. Dovrai adattarti, se vuoi cenare con gli ufficiali superiori! Sempre che t’interessi... in fondo sei solo un Tenente» notò Grenk.
   «Voi Tellariti non siete contenti, se ogni tanto non sgranocchiate un bell’arrosto di cane... ma stai attento, ci sono alcuni colleghi Fiboniani che hanno pressappoco quell’aspetto. E con la vista corta che ti ritrovi, potresti non notare la differenza» avvertì T’Vala.
   «Già, sembra che questa nave sia un bello zoo!» ridacchiò Grenk. «Il tuo delicato olfatto vulcaniano andrà in sovraccarico dopo mezza giornata!».
   «Meglio, così non sentirò più la tua puzza» rimbeccò T’Vala. Entrambi stavano prendendo sempre più gusto al giochetto.
   «Vedo che state già facendo amicizia» commentò Korris, che cominciava a sentirsi di troppo. «Vi lascio... ci sono tanti altri colleghi che devo conoscere» spiegò. Mentre si allontanava, sentì che T’Vala e Grenk continuavano a insultarsi, con grande soddisfazione reciproca.
 
   Trascorsero le ore. Gli incontri, le presentazioni, le chiacchiere più o meno piacevoli furono innumerevoli. Varie musiche furono suonate e talvolta ballate. Infine, a notte fonda, il salone cominciò a svuotarsi. Gli invitati lasciavano la festa, soli o a piccoli gruppi. Arrivò il momento in cui anche Chase si diresse verso l’uscita.
   «Un momento, signore; non può ancora andare» lo richiamò Terry.
   «Perché no?» chiese Chase, soffocando uno sbadiglio. «Forse ho bevuto troppi drink... ma il sintalcool non dovrebbe impedire la sbornia?» si chiese.
   «È una questione della massima sicurezza, Capitano» avvertì Terry, in tono formale. Due robusti ufficiali della Sicurezza circondarono Chase.
   «Che succede, ci sono Parassiti Neurali in sala?!» s’inquietò Chase, guardandosi attorno. «Hanno piazzato una bomba?».
   «Niente del genere. Deve visionare una registrazione. Da questa parte, prego» lo invitò Terry, indicando un corridoio.
   «Ed è così urgente?» si meravigliò il Capitano, avviandosi. Terry gli camminava a fianco, mentre le due guardie li seguivano a breve distanza.
   «È indicato come messaggio di priorità 1» si giustificò l’Intelligenza Artificiale.
   «Aspetti... ha detto che è una registrazione? Perché non ne sono stato informato prima?» volle sapere Chase.
   «È complicato. Questa registrazione è in possesso della Flotta Stellare da molto tempo, ma può essere visionata solo adesso e solo da lei» spiegò Terry. Accelerò il passo, tanto che Chase dovette trottare per starle dietro. «Io sono stata avvertita poco fa: i servizi segreti mi hanno inviato un messaggio, ma ignoro tuttora il contenuto della registrazione. Qualunque cosa sia, è solo per i suoi occhi e le sue orecchie» concluse Terry, svoltando in un corridoio laterale.
   «Ma... quant’è vecchia questa registrazione?» domandò Chase, confuso.
   «Risale a 388 anni, 6 mesi e 12 giorni fa» rispose l’IA senza scomporsi.
   «Cioè... è vecchia quanto la Flotta Stellare!» esclamò Chase, incredulo.
   «Corretto: risale a tre giorni dopo la firma della Costituzione federale» annuì Terry, entrando in una sala teletrasporto. Tutti e quattro si disposero sulle pedane, mentre un altro ufficiale della Sicurezza digitava le coordinate di arrivo.
   «Ma di chi è la registrazione, si può sapere?» chiese il Capitano. Ci fu un ronzio e i quattro si dissolsero in un bagliore azzurro. Pochi attimi dopo si ricomposero in una sezione bunker del Comando di Flotta Stellare, a San Francisco.
   «Del Capitano dell’Enterprise, naturalmente» sorrise Terry. «È pronto a incontrare Jonathan Archer? Di qua, prego» lo invitò, indicando l’ingresso di una camera blindata che si stava aprendo lentamente.
   «Lei non viene?» chiese Chase, indugiando davanti alla porta corazzata. Dentro c’era un lungo corridoio buio.
   «Negativo, il messaggio è solo per il Capitano dell’Enterprise-J» rispose Terry, scuotendo la testa.
   «Ma Archer come sapeva... va beh, credo di stare per scoprirlo» lasciò perdere Chase, e varcò la soglia. Immediatamente il portone blindato si chiuse alle sue spalle, come una mandibola.
   Per un attimo Chase si trovò immerso nella completa oscurità. Poi si accese una successione di luci bianche sul soffitto. Il corridoio ne fu appena rischiarato. Chase lo percorse con il cuore che gli martellava in petto. Jonathan Archer! Il padre della Flotta Stellare, l’artefice della Federazione stessa! Una delle personalità più importanti nella storia umana! Chase aveva visto moltissime foto e filmati d’epoca. Lo aveva persino osservato in azione, in qualche ricostruzione olografica. Ma niente poteva eguagliare un messaggio originale, registrato da Archer proprio per lui. Chissà perché l’aveva fatto?
   «Forse è solo un messaggio di auguri, registrato per tutti i futuri Capitani di navi chiamate Enterprise» si disse Chase. Già, forse tutte quelle misure di sicurezza erano superflue. Forse la sua apprensione era inutile. Forse...
   Chase raggiunse una camera blindata, la cui parete di fronte era occupata in gran parte da un  maxi-schermo. La sua tecnologia era incredibilmente antiquata. Il Capitano si rese conto che niente, in quella stanza, era cambiato negli ultimi quattro secoli. Diamine, poteva darsi che l’ultimo a entrare fosse stato proprio Archer!
   «Prego, fornire identità» disse una voce computerizzata da un piccolo altoparlante.
   «Capitano Alexander Chase, nave stellare USS Enterprise NCC-1701-J» rispose l’uomo.
   «La registrazione inizierà tra dieci secondi» avvertì il computer, mentre le luci si oscuravano. «Non sono previste repliche. Il messaggio si auto-cancellerà subito dopo la visione. Cinque... quattro... tre... due... uno...».
   «Inizio registrazione!» disse prontamente Chase, premendosi il comunicatore sul petto. Quell’utile dispositivo, che faceva anche da mostrina della Flotta Stellare, poteva registrare tutto il discorso di Archer. A Chase dispiaceva un po’ barare, ma era troppo stanco e assonnato: non voleva rischiare di dimenticarsi qualcosa d’importante. Strano che non gli avessero tolto il comunicatore all’ingresso: forse non si aspettavano che il discorso si auto-cancellasse. O forse Terry aveva notato la sua stanchezza.
   Lo schermo s’illuminò, mostrando un uomo di mezz’età, dalla faccia lunga e vissuta. Indossava un’antiquata uniforme azzurra da Ammiraglio. Un’uniforme della Flotta Astrale terrestre, prima che fosse riformata nella Flotta Stellare della Federazione. Chase si sentì il cuore in gola: quell’uomo era proprio Jonathan Archer! Sulla spalla sinistra aveva persino la mostrina dell’Enterprise NX-01.
   Archer guardò dritto verso lo schermo – verso Chase – e si schiarì la voce. «Salve, Capitano» esordì. «Mi scusi se mi rivolgo a lei solo così: non conosco il suo nome. In effetti non so quasi niente di lei. Ignoro se sia uomo o donna, se sia nato sulla Terra o su un altro pianeta. Ignoro persino se sia Umano o appartenga a qualche altra specie della Federazione. Eppure so una cosa, sul suo conto, che lei ignora. Buffo, vero? Io sto registrando questo messaggio nel 2161. Pochi mesi fa è terminata la guerra contro i Romulani, con la Battaglia di Cheron. L’Enterprise se l’è cavata bene, grazie a tutti i miglioramenti di Trip. Purtroppo quel Falco da Guerra romulano ha ridotto male lo scafo. Dopo dieci anni di onorato servizio, l’Enterprise sta per andare a nanna. Dicono che diventerà un museo. Beh, ormai ha fatto il suo dovere» sospirò.
   «Con la fine della guerra, molte cose stanno cambiando. Tre giorni fa ho pronunciato un discorso davanti ai rappresentanti della Coalizione di Pianeti che ha ricacciato i Romulani nel loro spazio. Sembra sia piaciuto, visto che tutti gli ambasciatori hanno firmato. Umani, Vulcaniani, Andoriani, Tellariti, Denobulani, Rigeliani... tutte specie che prima si odiavano, e ora stanno imparando a collaborare. A condividere scoperte e idee. Certo, c’è ancora molta strada da fare. Credo che morirò di vecchiaia, prima di vedere queste specie andare veramente d’accordo. Perché le dico questo? Perché io sapevo che avrei pronunciato quel discorso. Sapevo che l’avrei fatto qui sulla Terra. Conoscevo persino l’aspetto della sala conferenze. Aspetti, non mi dia subito del matto. Non sono pazzo e non sono neanche un veggente. La realtà è più... complicata di così.
   Sette anni fa, al termine della missione nella Distesa Delfica, abbordai la Superarma Xindi per distruggerla dall’interno, prima che quella distruggesse la Terra. L’avrà letto nei libri di storia. Quel che i libri non dicono è che, subito prima, io ebbi un’esperienza di viaggio nel tempo. Un marinaio della mia nave, Daniels, non era quello che pensavamo. Era un Agente Temporale del XXXI secolo. Mi ha sentito bene, Capitano: veniva da 900 anni nel futuro per me e 500 per lei. Poco dopo essersi rivelato, sembrò che fosse stato ucciso da un Sulibano di nome Silik; ma non era così. Negli anni seguenti lo incontrai diverse altre volte... in vari periodi temporali. Ogni volta che voleva parlare con me, Daniels mi portava in epoche diverse. Qualche volta nel passato, prima che l’Enterprise fosse varata. Altre volte nel futuro: anni o persino secoli avanti. Adesso penserà che sono proprio matto, vero? Ma aspetti, prima di giudicare!» sorrise Archer.
   Chase notò che l’Ammiraglio camminava su e giù e spesso guardava il pavimento. Ma nei momenti più importanti alzava la testa e lo fissava dritto negli occhi. In quegli attimi, Chase quasi dimenticava l’abisso di quattro secoli che li separava.
   «Come dicevo, una volta Daniels mi portò avanti di sette anni, facendomi assistere da lontano alla firma della Costituzione federale» riprese Archer. «Mi disse che la Federazione crescerà per secoli, fino a contare decine, persino centinaia di specie diverse. Ma avrà anche dei nemici. Alcuni li ho già incontrati: i Romulani, i Klingon. Ma ce ne sono altri di più... sfuggenti. Fazioni che combattono una Guerra Fredda Temporale, come la definì Daniels. Alcune fazioni possono viaggiare direttamente nel tempo. Altre devono accontentarsi d’inviare messaggi nel passato, trovando lì degli adepti. Nell’ultimo decennio ho incontrato fazioni di entrambi i tipi. Sono tutte pericolosissime, malgrado i colleghi di Daniels si sforzino di preservare la Storia». Archer tacque per qualche attimo. Fissò il pavimento con la fronte aggrottata, come se si sforzasse di ricordare.
   «Oggi voglio parlarle di una fazione in particolare. L’abbiamo affrontata in quell’anno infernale che passammo nella Distesa Delfica. Ma attenzione: anche se parlo della Crisi Xindi, i nemici non sono gli Xindi. Sono i loro maestri, i loro Custodi, come si definivano. Noi li chiamiamo semplicemente Costruttori di Sfere. Non so quanto, delle cronache di questi anni, sarà accessibile a lei, Capitano. Mi auguro che non sia stato dimenticato o censurato nulla d’importante. Ma devo pensare al caso peggiore, cioè che lei non sappia quasi nulla di ciò che accadde realmente nella Distesa. Perciò lasci che le racconti una storia, la mia storia». Archer fece un’altra pausa, richiamando i ricordi, e Chase si predispose ad ascoltare con ancora più attenzione.
   «Nel 2153, mentre l’Enterprise festeggiava il suo secondo anno nello spazio, una sonda Xindi attaccò la Terra» riprese l’Ammiraglio. «Il suo raggio a particelle tracciò una scia distruttrice dalla Florida al Venezuela; le vittime furono oltre sette milioni. L’Enterprise fu richiamata immediatamente sulla Terra, dove la sonda si era schiantata. Il suo pilota, deceduto, era uno Xindi Rettile, ma all’epoca non conoscevamo la sua specie. Scoprimmo però che veniva dalla Distesa Delfica, una regione di spazio sconvolta da pericolose anomalie. Convinsi il Comando di Flotta a inviare l’Enterprise laggiù, per prevenire un secondo e peggiore attacco.
   Il nostro anno nella Distesa fu una tremenda lotta per la sopravvivenza. Gli attacchi dei pirati, i combattimenti con gli Xindi e le continue anomalie misero a durissima prova la nave e l’equipaggio. Ma col tempo riuscimmo a mettere assieme le tessere del puzzle. Capimmo chi c’era realmente dietro l’attacco alla Terra». Archer trafisse Chase con un altro dei suoi sguardi penetranti.
   «Non era stato il Consiglio Xindi a prendere autonomamente questa decisione. Gli Xindi erano stati manipolati dai Costruttori di Sfere, esseri provenienti da un dominio trans-dimensionale... una dimensione parallela, insomma. Erano apparsi agli Xindi all’indomani della distruzione del loro mondo natale. Avevano guidato i superstiti verso pianeti abitabili, gli avevano indicato risorse preziose per sopravvivere. Erano praticamente venerati. Uno Xindi Primate, Degra, il progettista dell’arma, mi disse d’aver insegnato ai suoi figli a pregare i Custodi prima di dormire. Purtroppo questa premura non era disinteressata. Faceva parte del piano più diabolico nel quale mi sia mai imbattuto» avvertì Archer, e Chase ne percepì il livore.
   «I Costruttori di Sfere avevano aiutato gli Xindi solo per renderseli fedeli e approfittare della loro riconoscenza. Apparvero al Consiglio Xindi per avvisarlo di una fantomatica minaccia. Gli dissero che, in futuro, gli Xindi sarebbero tornati a radunarsi su un solo pianeta, per ricostruire appieno la loro civiltà. E mentirono, dicendo che noi Umani avremmo distrutto quella nuova patria. Gli mostrarono persino un’immagine delle navi terrestri che bombardavano il loro mondo fino a distruggerlo. I Costruttori, infatti, avevano una tecnologia che gli permetteva di sondare le linee temporali. Potevano prevedere i futuri possibili, riconoscere il più vantaggioso e agire di conseguenza, indirizzando gli eventi in quella direzione. Avevano persino alcune capacità di viaggio nel tempo diretto: un pezzo della sonda Xindi che attaccò la Terra proveniva dal 2573. E alcuni Xindi Rettili furono trasferiti dai Costruttori nella Detroit del 2004, per realizzare segretamente un’arma biologica da affiancare alla Superarma. Daniels mi portò da loro, e con l’aiuto di T’Pol riuscii a fermarli».
   Chase si massaggiò le tempie, sconvolto. Aveva letto i rapporti di molti viaggi nel tempo, alcuni dei quali davvero pazzeschi. Ma quello che gli stava raccontando Archer era senza paragoni.
   «Dunque i Costruttori persuasero gli Xindi che, per impedire agli Umani di distruggerli, dovevano colpire per primi» proseguì Archer, camminando furiosamente avanti a indietro. «Li convinsero a costruire la Sonda e a testarla sulla Terra, provocando milioni di vittime. Li convinsero a realizzare l’arma biologica che fermai a Detroit. Li convinsero a costruire una seconda Sonda, molto più potente, che distrussi con l’aiuto degli Andoriani. E li convinsero a costruire la Superarma finale, che avrebbe annientato la Terra. Gli dissero persino che dovevano inseguire ogni colonna di rifugiati, bombardare ogni colonia e avamposto. Insomma, che dovevano sterminarci completamente.
   Nel frattempo i Costruttori portavano avanti la seconda parte del loro piano. Già da millenni avevano costruito le Sfere della Distesa Delfica: 72 stazioni sferiche, ciascuna di 19 km di diametro. Ogni Sfera era circondata da una barriera occultante per nasconderla, aveva un guscio resistente e sistemi interni anti-intrusione. Ognuna emetteva potenti onde gravimetriche, che riconfiguravano lo spazio, cambiando le leggi della fisica. L’intera Distesa Delfica, compreso il perimetro di nubi termobariche, era il prodotto delle Sfere. Le anomalie erano letali per le specie che ci vivevano: interi pianeti erano divenuti inabitabili e i loro popoli erano fuggiti o erano morti. Per proteggere le astronavi bisognava schermarle col Trellium-D: una sostanza rara e preziosa, che i popoli della Distesa si litigavano. Il Trellium era anche tossico per i Vulcaniani: fece impazzire l’equipaggio della Seleya e fece quasi lo stesso con T’Pol. Più passava il tempo, più le anomalie s’intensificavano e la Distesa cresceva, inglobando altri pianeti. Se nessuno l’avesse fermata, sarebbe cresciuta a dismisura, devastando l’intera Galassia. Ma nessuno prima di noi aveva compreso l’entità del pericolo».
   Archer smise di camminare e tornò a fissare Chase. «Le dico tutto questo, Capitano, perché lei comprenda quanto sono insidiosi i Costruttori di Sfere. Ma fu solo quando ne trovammo uno che iniziammo a comprendere i loro piani. Se ne stava privo di sensi, in un piccolo guscio di salvataggio – o così ci parve – dentro un addensamento di anomalie. Lo portammo sull’Enterprise, dove il dottor Phlox scoprì che, fuori dalle distorsioni, il suo organismo si disintegrava. Lo spazio normale aveva su di lui l’effetto che le anomalie hanno su noi. Cercammo di curarlo, ma lui ci attaccò a tradimento, riuscendo quasi a distruggere il nucleo di curvatura dell’Enterprise. Infine svanì, risucchiato nell’Universo da cui proveniva. Il suo “guscio di salvataggio” si rivelò una complessa apparecchiatura per scansioni mediche.
   Ora comprende, Capitano? Quell’essere era una cavia da esperimento. Un “canarino”, come quelli che i minatori portavano nelle miniere, per capire se c’era abbastanza ossigeno. Se il canarino moriva, allora c’era pericolo anche per loro; ma finché lo sentivano trillare, continuavano a scavare. Quell’individuo aveva la stessa funzione: il suo popolo lo usava per capire se lo spazio era abbastanza trasformato da poterlo invadere».
   Chase ragionò febbrilmente. Che aspetto avevano i Costruttori? Sarebbe stato capace di riconoscerne uno, se l’avesse avuto davanti? Doveva raccogliere tutti i dati possibili sulla missione di Archer.
   «La nostra missione nella Distesa giunse a una svolta quando localizzammo la Superarma nel sistema di Azati Primo» continuò l’Ammiraglio. «Gli Xindi Acquatici l’avevano costruita in fondo al mare e ora la sorvegliavano con l’aiuto di Rettili e Insettoidi. Un attacco diretto era fuori questione, gli Xindi erano troppi. Così montai su una navetta degli Insettoidi che avevamo catturato, presi con me le cariche di alcuni siluri fotonici e partii per distruggere la Superarma, senza aspettarmi di tornare».
   Chase provò ammirazione per l’uomo che aveva davanti. Si chiese se, al suo posto, avrebbe avuto lo stesso fegato. Forse sì... sull’Enterprise-I si sarebbe sacrificato, se Serleen non gli avesse sparato alle spalle. Ma sentì che quegli uomini e donne del passato avevano una tempra che pochi, nel presente, potevano comprendere; figurarsi eguagliare.
   «Anche in questo caso, Daniels cercò di fermarmi» sospirò Archer. «E qui arriva la parte più interessante: ora capirà perché ho fatto questa registrazione per lei, Capitano. Quell’Agente Temporale mi trasportò 400 anni nel futuro, nel corridoio di una nave stellare. All’inizio non capii dove mi trovavo, l’aspetto della nave mi era estraneo. Poi la vidi tutta intera, su un’interfaccia del computer. Somigliava alla mia Enterprise, ma era molto più grande. Aveva un’ampia sezione a disco, gondole lunghe e sottili. Daniels mi disse che era l’Enterprise-J, una lontana erede della mia nave. Proprio così, Capitano: io ho camminato sull’astronave che lei ha appena varato».
   Chase provò un senso di vertigine. Archer, un uomo morto da secoli, aveva davvero camminato a bordo della sua nave, in un prossimo futuro? E quando esattamente? Se si fosse appostato in un corridoio nel momento opportuno, avrebbe potuto sorprenderlo?
   «Mi spiace doverla informare che le sue missioni non saranno sempre rose e fiori... come le mie, del resto» avvertì Archer. «Deve essere il destino delle navi Enterprise. La sua, in quel momento, non faceva che tremare. Quando raggiunsi una finestra, capii il perché: l’Enterprise era in battaglia. Fuori c’erano centinaia di navi che lottavano furiosamente. Alcune sembravano lontane eredi delle navi che conosco: immagino fossero della Federazione. Lottavano contro altre a forma di sigaro, con una strozzatura al centro e protrusioni ai lati: le navi dei Costruttori. In tutte le direzioni si estendeva la Distesa Delfica, che in quei secoli era cresciuta a dismisura.
   Daniels rivelò che stavamo assistendo alla Battaglia di Procyon V, uno dei momenti chiave della storia galattica. In quella battaglia, la Federazione avrebbe sconfitto i Costruttori di Sfere, ricacciandoli nel loro Universo. Per renderlo possibile, occorreva che Umani e Xindi ne facessero parte. Daniels mi consegnò la medaglietta d’iniziazione di uno di loro, spiegandomi che gli Xindi prestavano servizio sull’Enterprise-J. Ovviamente molte altre specie dovevano aiutarci contro i Costruttori... intravidi persino delle navi Klingon. Senza questa potente alleanza, la Distesa avrebbe continuato a crescere, inglobando tutta la Via Lattea. E i Costruttori avrebbero distrutto ogni cosa» ammonì Archer.
   Chase lo fissò con occhi stralunati. Era la minaccia più allucinante che la Galassia avesse mai corso. Com’era possibile che ne sentisse parlare solo ora?
   «Ignorando le raccomandazioni di Daniels, secondo cui dovevo sopravvivere per creare la Federazione, tornai alla mia missione suicida» proseguì Archer. «Però fui catturato dagli Xindi e gli eventi presero un’altra piega. Mostrai a Degra la medaglietta che avevo preso nel futuro e lo convinsi a fermare la Superarma che lui stesso aveva progettato. Degra mi portò davanti al Consiglio Xindi, aiutandomi a perorare la mia causa, anche se questo gli costò la vita. Purtroppo la Superarma fu lanciata ugualmente. L’attaccammo assieme a tre specie Xindi, che avevamo portato dalla nostra: i Primati, gli Arboricoli e gli Acquatici. Solo i Rettili e gli Insettoidi proteggevano ancora la Superarma. Potevamo vincere... ma quei bastardi dei Costruttori usarono le anomalie per distruggere i nostri alleati e consentire alla Superarma di fuggire. Dovemmo inseguirla ancora, con la nave di Degra, e combatterla nel cuore del sistema solare. Alla fine la distrussi dall’interno, quando ormai era nell’orbita terrestre e si apprestava a colpire». Lo sguardo di Archer si appannò, mentre ricordava quei momenti terribili.
   «Nel frattempo l’Enterprise era ancora nella Distesa Delfica, essendo troppo lenta per inseguire la Superarma» continuò Archer dopo un momento. «T’Pol e Trip scoprirono come distruggere l’intera rete di Sfere. Colpendo la Sfera 41 con un impulso del deflettore, crearono una reazione a catena nel subspazio, che le fece implodere tutte. Così le anomalie si dissolsero: la Distesa non esisteva più, era tornata spazio normale. Dopo quell’ultima battaglia, anche gli Xindi Rettili e Insettoidi convennero che i Costruttori li avevano ingannati. Le cinque specie ricomposero il Consiglio Xindi. Il loro leader Mallora disse che forse quel futuro di alleanza di cui gli avevo parlato stava cominciando». Archer fece un’altra pausa e per la prima volta sembrò incerto.
   «Ma da allora in poi, non ho più rivisto gli Xindi. Vivono lontano da noi e hanno ancora molti problemi. Ci vorranno decenni, forse secoli perché la Federazione cresca tanto da incontrarli di nuovo. Forse per allora avranno trovato la loro nuova patria» ipotizzò.
   «E ora vengo a lei, Capitano. Quando ascolterà questo messaggio, io sarò morto da secoli. Non so in che stato è la Federazione nel XXVI secolo, né se gli Xindi ne fanno parte. Ma temo che i Costruttori torneranno. Ricorda? Loro possono vedere il futuro e impostare le loro azioni di conseguenza. Sconfitti in un tentativo, ci proveranno di nuovo. Sa perché i Costruttori aizzarono gli Xindi contro la Terra? Tutto era partito dalla Battaglia di Procyon V. I Costruttori, già nel XXI secolo, videro quel futuro e decisero di cambiarlo. S’ingraziarono gli Xindi e poi ce li mandarono contro perché sapevano che, senza gli Umani, la Federazione non sarebbe mai esistita. E loro avrebbero potuto invadere la Galassia, riplasmandola a loro capriccio. Tutto ciò che le ho raccontato non è che l’attuazione di questo piano. Ma quando la mia Enterprise distrusse le Sfere, qualcosa cambiò nella linea temporale. Quel futuro che ho visto con Daniels non potrà verificarsi, almeno non come l’ho descritto. Senza le Sfere, la Distesa Delfica non esiste più. Quindi non arriverà a inglobare il sistema Procyon e quella famosa battaglia non avrà luogo». Archer tentennò di nuovo.
   «Oppure sì? Francamente non so che pensare» ammise. «Se la Battaglia di Procyon V non ci sarà, si creerebbe un paradosso temporale. Io sospetto che ci sarà ugualmente uno scontro. Forse non a Procyon V, forse non come l’ho visto io. Ma considerando la caparbietà dei Costruttori... la loro capacità di preveggenza... temo che, in un modo o nell’altro, torneranno all’attacco. E spetterà alla sua Enterprise sconfiggerli definitivamente.
   Ecco perché le lascio questa testimonianza. Non posso darle consigli precisi; è il suo tempo, non il mio. Le dico solo questo: stia attento ai Costruttori di Sfere! Cerchi tutte le informazioni possibili su di loro: le testimonianze della mia epoca, ma anche le tracce del loro ritorno. E cerchi gli Xindi, se non sono ancora entrati nella Federazione. Se ci sono, tenga ben stretta l’alleanza! Ricordi: solo insieme, Umani e Xindi hanno la forza di respingere i Costruttori. Ma quei bugiardi potrebbero ancora cercare di dividervi. Potrebbero spargere menzogne e sospetti fra i membri della Federazione. Divide et impera. Li sconfiggerete solo se sarete sinceri e leali uno con l’altro» avvertì Archer. Respirò a fondo e tornò a fissare intensamente Chase.
   «Addio, Capitano; ripongo le mie speranze in lei» disse in tono di commiato. «Sappia che, assumendo il comando dell’Enterprise, l’aspettano le decisioni più difficili e le battaglie più dure della sua vita. Spero che la nave e gli ufficiali non la deluderanno, così come il mio equipaggio non ha deluso me. Ricordate ciò di cui siete parte; siate all’altezza del nome Enterprise, e buona fortuna!».
   Archer allungò la mano fuori dall’inquadratura, per toccare un comando, e lo schermo si spense. L’Ammiraglio se n’era andato.
 
   Le luci si accesero, più forti di prima, e la voce meccanica del computer trillò dall’altoparlante: «Fine registrazione. Il messaggio si è auto-cancellato. Prego, recarsi all’uscita». Le luci del corridoio pulsarono verso la porta esterna.
   «Fine registrazione» disse Chase con voce roca, premendosi il comunicatore. Per un po’ rimase fermo, intontito, sebbene le luci lo invitassero a uscire. Tutti i problemi che aveva incontrato finora, discutendo con gli ufficiali e i civili dell’Enterprise, gli apparvero piccoli e insignificanti. Di colpo non aveva più solo una nave a cui pensare. L’intera Galassia sembrava pesargli sulle spalle. Tutto poteva dipendere da quel breve messaggio di Archer, che lui solo aveva ascoltato. Per fortuna era riuscito a registrarlo, pensò, sfiorandosi il comunicatore. Se gli fosse successo qualcosa, bisognava che altri ne fossero informati.
   Chase si riscosse, girò sui tacchi e percorse a grandi passi il corridoio. Il portone blindato gli si aprì davanti e lui lo varcò d’impeto, finendo quasi addosso a Terry. L’Intelligenza Artificiale lo aveva atteso pazientemente, assieme alle due guardie.
   «Tutto bene, Cap...» cominciò Terry, ma Chase la zittì.
   «Terry, voglio che raccolga immediatamente tutti i dati disponibili sulla Crisi Xindi e le Sfere della Distesa Delfica. Tutte le fonti di quegli anni, umane e aliene. Cerchi ogni informazione, anche quelle che sembrano insignificanti» ordinò Chase.
   «Sì, signore... posso saperne il motivo?» chiese Terry, vagamente perplessa.
   «È riservato... per adesso. Ne discuteremo sull’Enterprise, quando tutti gli ufficiali saranno a bordo» rispose Chase, ancora incerto sulle prossime mosse.
   «Capitano, rilevo alti livelli di stress nelle sue inflessioni vocali e nella sua mimica corporea» commentò Terry.
   «E che vuol fare, rilassarmi con un po’ di musica?» ribatté Chase, ricordando il suo battibecco con il primitivo computer nella capsula di salvataggio della vecchia Enterprise. «No, mi scusi, non volevo essere scortese» si corresse, ricordando che quell’IA era anche un ufficiale superiore.
   «Raccoglierò i dati che ha richiesto, Capitano» garantì Terry. «Mi sto già interfacciando con gli archivi della Flotta Stellare e con il database di Memory Alpha. Posso fare qualcos’altro, signore?».
   «Si assicuri che i sistemi tattici siano al massimo: armi, scudi. E intensifichi i controlli all’imbarco: voglio che le misure di sicurezza contro i Parassiti Neurali siano raddoppiate!» ordinò Chase. Gli era appena venuto in mente che la loro misteriosa nave, incontrata dieci anni prima, somigliava ai vascelli dei Costruttori, così come li aveva descritti Archer.
   «Che ci sia un collegamento fra le due minacce? È possibile che i Parassiti siano l’avanguardia dei Costruttori, dato che hanno difficoltà a manifestarsi nel nostro spazio? E forse c’entra qualcosa il mio incubo del laboratorio?» si chiese. Quante domande! Come avrebbe trovato le risposte? Dove poteva cercarle?
   «Sì, signore» disse Terry, annotandosi alcune centinaia di procedure. C’era parecchia gente che doveva contattare al più presto. Uno in particolare aveva la massima importanza. «Capitano, vorrà contattare il suo Ufficiale Tattico, Lantora, per discutere con lui l’innalzamento delle misure di sicurezza» disse.
   «Già, Lantora!» esclamò Chase, agitato. «Non c’era, al ricevimento. Dove si trova?».
   «Signore, molti ufficiali devono ancora arrivare» si scusò Terry. «Sebbene io sia stata varata stasera, la mia partenza è prevista solo tra sette giorni. Per allora saranno imbarcati tutti. Il signor Lantora arriverà domattina, con un volo da Nuova Xindus» aggiunse. «Vuole che lo contatti subito?».
   «Sì, è megl... frell, mi ero dimenticato che è uno Xindi Primate!» esclamò Chase, dandosi una pacca sulla fronte. Aveva così tanti pensieri in testa che gli era sfuggita la cosa più ovvia di tutte. Archer e il suo equipaggio erano stati in guerra contro gli Xindi. Il loro Ufficiale Tattico, Malcolm Reed, aveva personalmente ucciso degli Xindi in combattimento. E ora... l’Ufficiale Tattico della nuova Enterprise era proprio uno Xindi. Diamine, la medaglietta citata da Archer poteva essere la sua!
   «Posso arrischiarmi a discutere con lui di queste cose?» si domandò Chase. «D’altra parte, posso dirigere l’Enterprise verso un probabile pericolo senza informarne l’Ufficiale Tattico?». Il Capitano socchiuse gli occhi, riflettendo furiosamente. Era bello parlare di lealtà e fiducia in termini generali. Ma quando bisognava vedersela con i singoli individui, era un altro paio di maniche. Chissà che pensava Lantora dei Costruttori di Sfere, i Custodi dei suoi antenati! Chase doveva rileggersi a fondo la sua scheda personale. Poi doveva vedersela con lui: faccia a faccia, senza altre persone.
   «Signore, vuole che contatti Lantora? Al momento è su una nave trasporto, in rotta verso la Terra...» ripeté Terry.
   «No, aspettiamo che arrivi» decise Chase, facendo un gesto secco con la mano. «Poi me lo faccia incontrare fuori dall’Enterprise. Devo parlargli in privato» disse con uno strano sguardo, che nemmeno Terry seppe interpretare. 
 
   
 
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