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Autore: Ksyl    07/01/2019    5 recensioni
Seguito di Crossroads, qualche mese dopo
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Sarebbero usciti a cena, decise Castle all'improvviso, spinto da un'ispirazione fulminea o forse mosso dal bisogno di sfogare le energie in eccesso, dovute all'euforia di essere tornato padrone del proprio corpo e le sue reazioni.

Sì, rifletté, mentre valutava in silenzio l'effetto delle sue parole precipitose che rimbalzavano tra le mura dello chalet, attendendo la reazione di lei, trascorrere una serata fuori era proprio quello che ci voleva, senza pensieri negativi - senza ansia, possibilmente -, con quella rinnovata armonia ricreatasi tra loro che, sospettava, aveva contribuito non poco a farlo sentire magnificamente. In forze. Sereno. Tutto stava filando liscio e il mondo non poteva essere più pieno di promesse.
Non sapeva di preciso che cosa fosse successo, che cosa avesse placato il malessere prima che diventasse temibile e spaventoso, ma non aveva nessuna intenzione di starci a rimuginare troppo.
Voleva solo godersi ogni istante nel migliore dei modi, per quanto banale potesse apparire una risoluzione del genere.

Se l'era ripromesso spesso, d'accordo, e altrettanto spesso non era riuscito a essere fedele a quell'intento, in cui aveva sempre creduto e a cui si era allineato per gran parte della sua vita, con notevole soddisfazione.
Era solo incespicato in qualche ostacolo nell'ultimo periodo, tutto qui. Si sarebbe impegnato di più. Anzi, non c'era bisogno che si sforzasse, sarebbe bastato ricontattare la sua natura più autentica, senza farsi distrarre o, peggio, intimorire, da quel mondo esterno che ultimamente gli aveva messo dei bastoni tra le ruote. Ma non aveva rimpianti, o recriminazioni da fare. Tutto aveva contribuito a renderlo più saggio, ad apprezzare nel profondo quello che aveva, quello che di certo sarebbe arrivato.

Ma non era il caso di perder tempo con riflessioni filosofiche, non quando si prospettava la possibilità di un'ottima cena in piacevole compagnia, il che naturalmente escludeva chiunque altro tranne sua moglie.
Quest'unica condizione – assolutamente non negoziabile – portava con sé l'obbligo di scegliere una meta che non fosse troppo vicina allo chalet, nel timore concreto di imbattersi in una delle loro recenti ed entusiaste conoscenze. Considerava ancora prioritario, a quel punto, rimanere da solo con lei. Non che trovasse possibile smettere di desiderarlo – o averne bisogno -, ma, dopo le recenti avventure, trovava che non fosse necessario inibirsi a favore di una presunta salutare socialità. L'eremitaggio sarebbe andato benissimo.

Non avevano più ripreso quel discorso, come se si fossero accordati per concedersi una tregua, forse per non rovinare quell'intimità che si era creata nello spazio di una carezza al pancione.
A dirla tutta lui era ancora un po' stranito da quell'approccio diretto da parte di lei, quando la loro abituale linea comunicativa si era sempre basata sul prendere alla lontana argomenti possibilmente catastrofici senza affrontarli di petto, sfiorandoli appena con qualche accenno, attraverso il quale interpretare e dipanare grovigli emotivi che partivano da lontano. E questo nei casi in cui era fortunato e lei non si chiudeva a riccio, tagliandolo fuori. Era più avvezzo a un lavoro interpretativo certosino, che a questa improvvisa chiarezza che lo aveva decisamente tramortito.
Visti gli effetti, lei a quel punto doveva essere seriamente preoccupata del rischio di provocargli un'altra crisi, per cui aveva forse deciso di soprassedere, limitandosi a scrutarlo in silenzio. Anche ora se ne stava a fissarlo piuttosto guardinga, dopo che lui le ebbe annunciato la sua proposta.

Erano in vacanza, aggiunse per convincerla, dovevano comportarsi come avrebbero fatto in qualsiasi altra circostanza del genere, non dovevano starsene chiusi in casa solo perché lui poteva stare male all'improvviso. Aveva molto chiaro nella mente che si trattava di un pericolo reale - la spinta a ritrarsi in una zona confortevole sempre più ristretta che l'avrebbe isolato, per timore di altre temibili crisi ansiose, la famosa paura della paura -, ma non aveva nessuna intenzione di modificare le sue abitudini o di lasciare che quell'evento condizionasse la sua vita.
Non pensava, in tutta onestà, che guidare per qualche chilometro in un paesaggio da cartolina totalmente deserto – sempre che la temperatura non fosse scesa troppo al punto da trasformare la neve in ghiaccio, nel qual caso potevano tornare subito indietro, l'aveva rassicurata – potesse disturbarlo. Anzi, tornare alla normalità gli avrebbe fatto molto bene. Lei mostrò visibile sollievo, indotto, per quel che poteva intuire, dal fatto che lui stesse esprimendosi ragionevolmente, senza più negare l'evidenza di essere in qualche modo stressato o stanco o vittima di un trauma che non aveva mai voluto affrontare.
Dopo qualche istante di riflessione dubbiosa, che lesse perfettamente nel suo sguardo, si riscosse e accettò con esagerato entusiasmo, grazie al quale Castle ebbe la certezza che si stesse sentendo in colpa per quello che era successo e che questo le avrebbe imposto di dar corda a qualsiasi idea, anche quelle più azzardate. Chissà quando avrebbe ricominciato a sbeffeggiarlo come al solito. Era piacevole che fosse tanto conciliante, per una volta, ma gli mancava la vecchia Beckett.

"Se siamo entrambi d'accordo...", si fermò per cercare sul suo volto qualche segno di scetticismo, ma non ne trovò. "Possiamo iniziare a prepararci". Era ancora in parte sicuro che l'avrebbe fermato, posta di fronte alle necessità concrete che quella decisione comportava, come mettersi qualcosa di meno comodo, per esempio, e affrontare l'idea di lasciare lo chalet, ma rimase ferma nella sua posizione. Gli sorrise, anzi – a lui sembrò che nascondesse un po' di malizia, ma poteva trattarsi di un'allucinazione-, e scomparve in camera da letto.

Dopo aver atteso qualche istante, convinto che sarebbe tornata indietro a dirgli che lo scherzo era stato bello, ma lui doveva necessariamente starsene sdraiato a riposare guardando un vecchio film e consumando con mestizia la minestrina che lei in persona gli avrebbe preparato, si convinse che avrebbe mantenuto la parola. Sarebbero usciti. Come se fossero una coppia normale. Che in effetti erano, o quantomeno stavano tornando a essere, con imprevista velocità.

Una volta entrato in bagno – l'aveva lasciata a trafficare assorta dentro la sua valigia-, si spiacque nuovamente che lo chalet presentasse l'unica pecca di non essere provvisto di una vasca, magari idromassaggio e con suggestiva vista sulle montagne, che lui considerava un diritto civile prioritario, soprattutto in vacanza. Avevano a disposizione solo una normalissima doccia, che trovava di una banalità imbarazzante, per quanto lussuosa e di dimensioni superiori alla media, con un'ampia gamma di getti d'acqua regolabili che avrebbero forse soddisfatto le richieste di qualcuno con standard meno pretenziosi dei suoi.
Forse lì avevano idee più pratiche sulle necessità corporee, idee che necessitavano di una spolverata di romanticismo in più, tenendo soprattutto conto che, nelle nuove indicazioni mediche, era scomparso uno tra i divieti che aveva faticato a rispettare durante il corso della gravidanza. Era stato perennemente impegnato a temere l'insorgere di altri e sconosciuti motivi di apprensione, ma questo non gli aveva impedito di trovare intollerabile la distanza fisica che era stata loro severamente imposta fin dall'inizio.
Aveva sopportato con onorevole silenzio, naturalmente, facendo attenzione a non esprimersi mai in tal senso, non sentendosi esattamente fiero di quei pensieri che, teneva a sottolinearlo anche con se stesso, erano stati assolutamente sporadici e che mai avrebbe ammesso ad anima viva. Con tutto quello che avevano avuto da pensare, di cui aver paura, con gli alti e bassi che si erano susseguiti, era l'ultima cosa di cui si sarebbe mai lamentato. Piuttosto, si sarebbe sottoposto a delle torture fisiche autoinflitte, previste da qualche ordine religioso, che non erano molto dissimili da quello che aveva provato standole lontano per tanto tempo.

La doccia sarebbe andata benissimo, si rassegnò, una volta che il getto bollente lo raggiunse e gli fece formicolare ogni centimetro di pelle, generando un'istantanea sensazione di benessere che dissolse parte della tensione che si trovava ancora incuneata tra le scapole. Se ne stette per qualche minuto a occhi chiusi ad assaporare la sensazione di appagamento, visualizzando tutto ciò di cui desiderava liberarsi finire giù per lo scolo, quando sentì un cigolio sospetto che lo avvertì che non era più solo. Aprì gli occhi, senza badare ai rivoli d'acqua che gli offuscavano la vista, temendo che fossero di nuovo alle prese con un'altra emergenza – non era da lei presentarsi a quel modo senza un motivo valido. Purtroppo.
Si rasserenò solo quando si rese conto che andava tutto bene, ma rimase comunque sconcertato nel trovarsela davanti. Era qualcosa di assolutamente straordinario e inaspettato, per usare un eufemismo. Gli era impossibile riandare con la mente all'ultima volta in cui era successo, prima di quella giornata di maggio che aveva trasformato le loro vite. C'era stato il lungo ricovero in ospedale, la scoperta della gravidanza e tutto quello che ne era conseguito, di cui ancora portavano i segni.
Lei era cambiata, gli sembrava quasi che si fosse un po' ritratta, come chiusa in se stessa e lui aveva accettato tutto, perché non avrebbe potuto fare altro. Non avrebbe trovato giusto fare altro.

Non ne avevano mai parlato. Lo avevano considerato entrambi un argomento off-limits che nessuno aveva osato affrontare per primo, una sorta di tabù, come tanti altri. Zone d'ombra che avevano temuto di illuminare, per timore di risvegliare ricordi troppo dolorosi, con la vita della loro bambina appesa a un filo, non troppo sicuri di essere ancora in vita loro stessi. Erano andati avanti, semplicemente. Era l'unica cosa che avevano potuto fare, l'unica che erano stati in grado di fare con un certo successo e il resto era stato messo da parte, quasi per scaramanzia. Avevano a malapena respirato, per paura di rovinare equilibri precari, con una posta in gioco troppo alta per poterci scherzare sopra con troppa leggerezza.

A differenza di quanto era stato gioiosamente in uso tra loro fino a quel punto, lei era stata restia a permettergli di vederla nuda. Era, molto brutalmente, andata così. Lui aveva cercato di non aversene male, comprendeva benissimo che non era niente di personale, non significava che non lo amasse più, tutt'altro. Era anzi normale che andasse in quel modo, con i repentini cambiamenti fisici che aveva subito e le cicatrici lasciate dalla sparatoria. A quello si era sommato il divieto assoluto da parte dei medici, che si erano espressi con fermezza riguardo a un argomento che lui aveva trovato bizzarro dovesse essere discusso con estranei tanto determinati a tenerli lontani al punto da offenderlo, quasi credessero che avrebbero gettato all'aria ogni precauzione appena girato l'angolo. Era in grado di controllarsi, avrebbe voluto gridare, ma si era trattenuto. Che genere di uomo pensavano che fosse?

O forse aveva reagito così male perché dentro di sé aveva tremato. L'idea che fosse loro preclusa una vicinanza che aveva sempre trovato stupefacente nella sua naturalezza, una parte tanto integrante del loro rapporto fin dagli inizi, o il fatto stesso che lei fosse così a disagio con se stessa da temere il suo sguardo – quando lui l'amava con un'intensità fuori da ogni logica – gli avevano procurato un dolore sordo sempre presente, che aveva tentato di camuffare.
Era stato zitto, parlarne gli sarebbe sembrato irrispettoso, non voleva apparirle petulante. Ogni tanto si era permesso di farle qualche complimento, senza esagerare, senza soprattutto porre troppa attenzione su qualcosa che la metteva in imbarazzo. D'altro canto sperava che il suo modo d'agire non la convincesse che lui non la desiderava più come un tempo, perché non era così. Non sarebbe mai stato possibile.

Si era aperta con lui un'unica volta, prendendolo alla sprovvista, quando gli aveva confessato a fatica, - intabarrata in un maglione a collo alto-, quanto fosse insopportabile la sensazione che il suo corpo non le appartenesse più, sottoposto com'era a controlli ravvicinati, analisi più o meno invasive, aghi, iniezioni e soggiorni ospedalieri dalla durata imprevedibile in cui era stata attorniata da un discreto numero di medici pronti ad analizzare reazioni e processi fisiologici come se lei fosse stata la somma di parti meccaniche da tenere in funzione, e non più una persona con paure, sogni, speranze. Con una propria identità.
Non era stupida, aveva aggiunto frettolosamente, era consapevole che era stato fatto per il suo bene. L'avevano salvata e avevano tenuto in vita la bambina, compiendo quasi un miracolo, non era difficile rendersene conto. Però era stato difficile, svilente, snaturante. Era come se non fosse stata più padrona di qualcosa che, fino a quel punto, era stato suo e basta. E che aveva generosamente condiviso con lui.
Lui ne era stato profondamente toccato. Anche se non ne aveva esperienza diretta, era riuscita a fargli comprendere intuitivamente quella sorta di violazione a fin di bene che aveva dovuto subire e che era stata impossibile da evitare, per il bene di tutti, lei per prima. Nessuno aveva colpe, era qualcosa che la situazione imponeva, e che avevano avuto solo il potere di gestire nei migliore dei modi, non di eliminare dalla loro vite, ma non per questo era meno difficile da sopportare, anche se lei non aveva nessuna intenzione di lamentarsene, aveva sottolineato più e più volte, come se temesse di passare per ingrata.

L'aveva presa tra le braccia con estrema delicatezza e le aveva detto che capiva, che era normale che si sentisse così, che erano stati travolti da qualcosa di enorme, che avevano gestito come avevano potuto, senza esserne pronti, navigando a vista. Non era colpa di nessuno, soprattutto non sua. Il fatto che fosse andato tutto bene – aveva occultato silenziosi scongiuri – non significava che fosse stato semplice o che non avesse comportato dei costi, che avevano accettato responsabilmente di pagare, ma che non avevano certamente alleggerito la situazione. Ma non sarebbe durato per sempre quel continuo allarme, i continui timori, la paura strisciante. La bambina sarebbe nata e loro avrebbero potuto rilassarsi, anche se la vita sarebbe stata stravolta, in un modo completamente diverso, più gratificante, più gioiso e rumoroso.

D'istinto avrebbe voluto aggiungere, per rassicurarla, che per lui non era cambiato niente, la trovava splendida esattamente come prima, anzi forse di più. Ma il problema non era quello e sarebbe stato indelicato porlo in quei termini, un segno di insensibilità che avrebbe messo al centro lui e non i bisogni di lei. E sarebbe stato completamente sbagliato. Il problema non era che lei temeva di non piacergli più, anche se probabilmente lo credeva davvero. Si trattava di qualcosa di più sottile, la cui risoluzione sarebbe passata attraverso la riconquista del proprio corpo come qualcosa di unico e personale, dentro il quale sentirsi a suo agio.

Per questo motivo inizialmente si pietrificò, perché non aveva idea del motivo per cui avesse deciso di raggiungerlo sotto la doccia e questo lo rese dolorosamente consapevole di quanta distanza si fosse creata, per motivi legittimi ma non per questo meno penosi.
Si rese conto che la sua reazione poco tempestiva l'aveva resa titubante e, prima che decidesse di andarsene e forse divorziare per manifesta mancanza di empatia e vicinanza umana, si avvicinò e la avvolse in un abbraccio. Era fredda, o forse era lui a essere quasi ustionato, e la tenne stretta per trasmetterle il suo calore e tutto quello che poteva, in silenzio, sperando che la telepatia per la quale erano famosi continuasse a funzionare.
La sentì tremare, ma non mollò la presa.

Tornare a riassaporare il contatto tra i loro corpi si rivelò un'esperienza molto più estatica di quanto ricordasse. Benedisse, anzi, il fatto di essere stato graziato da un'amnesia sensoriale che gli aveva reso possibile sopportare la lontananza, perché non poteva immaginare di averne fatto a meno tanto a lungo.
Sarebbe rimasto così per sempre, anche se si rese conto, con il passare dei minuti, che trattenersi dal fare gesti inconsulti e trattarla con la sensibilità che si era ripromesso sarebbe stata un'impresa, e non di poco conto.
La baciò su una tempia, stringendola, sperando che non si allontanasse e lasciasse invece che quella vicinanza li guarisse.

Cercò di annullare il lavorio incessante della sua mente, abbandonandosi alle sensazioni irresistibili che stava sperimentando, senza però esagerare, perdere il controllo, e interrompere malamente quell'assaggio paradisiaco. Si trattava di un equilibrio difficile da gestire, forse avrebbe dovuto ricevere un encomio. Si fece coraggio e glielo sussurrò a un orecchio, facendola ridere forte. Rise anche lui con l'acqua che gli entrava in bocca, scivolava tra i loro corpi e il vapore che aveva ormai inondato la stanza.
Prese lei l'iniziativa e lo baciò, e lui ne fu felice e sollevato, perché per quanto lo riguardava, avrebbe rispettato in eterno il suo status di sacra rappresentante della Madre universale immacolata.

Aver riconosciuto la vecchia Beckett, ritrovarla intatta, maliziosa e invitante era stato quasi sconvolgente, dopo tutto quello che avevano passato, che lei aveva sopportato. Era una benedizione che non fossero dentro a una vasca, pensò fuggevolmente accarezzandola - sorprendendosi quasi dal fatto che riuscisse ancora a ragionare-, perché a quel punto forse l'idea della cena sarebbe evaporata del tutto e non pensava che l'avrebbe rimpianta affatto.

.

Bentornati/e, grazie di essere ancora qui dopo una lunga pausa. In realtà questo capitolo era già pronto da tempo, ma, vista la delicatezza dell'argomento, ho voluto rivederlo più volte e con calma. Silvia

   
 
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