Anime & Manga > I cinque samurai
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Autore: shirupandasarunekotenshi    07/01/2019    0 recensioni
Questa fanfic va inserita subito dopo la nostra "Namida no rhapsody". Gli eventi descrivono il nostro modo di interpretare l'apparente distanza che si è instaurata tra i cinque ragazzi all'inizio del terzo OAV.
Il titolo della fanfic significa "La fine prima della fine"
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Cye Mouri, Kento Rei Faun, Rowen Hashiba, Ryo Sanada, Sage Date
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Threesome
Capitoli:
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CAPITOLO 1
 
 
“Non fare quella faccia. Dovresti ringraziarmi che sono venuto a prenderti e che sono anche in orario. Tu non l'avresti mai detto”.
Un sospiro, uno scuotersi di testa, e Shu guardò con aria arrendevole Touma: si era presentato da lui bel bello, come se fosse la cosa più normale del mondo viaggiare da Osaka a Yokohama saltando Tokyo. Quando Tokyo era sulla strada e, soprattutto, la loro meta.
“Non avrei mai detto che passassi da me per andare da Shin. Ti piace viaggiare in treno?”.
“Non più del solito. Non quanto te, immagino”.
Un sorriso, il solito sorriso alla Touma, quello da faccia da schiaffi.
“Non più di tanto...”.
Gli occhi dell'arciere si fecero scettici, poi scesero sul viso di Shu, sbuffò, e li fece scendere ancora.
“Shu... ti sei messo a dieta?”.
Il ragazzo interpellato arretrò di mezzo passo, con espressione inorridita.
“Ma di che parli?!”.
Una mano molesta di Touma andò a pizzicarlo sul fianco, ottenendo un'esclamazione di pura indignazione.
“Ma la smetti?! Che ti metti a pensare?!”.
“Beh, lo dicevo solo per te” le mani di Touma tornarono al loro posto, aggrappate ai propri fianchi. “Lo sai che Shin ti preferisce come sei... morbido”.
A quel punto gli occhi di Shu riflessero una serie incredibile di emozioni, prima che la sua bocca mandasse sistematicamente al diavolo il compagno.
Però poi si accorse che Touma lo guardava fin troppo seriamente ed era sul punto di chiedergli spiegazioni, quando il compagno lo prevenne:
“Davvero Shu... mi devo preoccupare? Mangi poco?”.
“Touma!”.
L'altro sospirò, intrecciando le mani dietro la nuca:
“Nostalgia? Gran brutto nemico la nostalgia...”.
“Ma... ma io...”.
Deglutì, perché in effetti non sapeva come rispondere, anche se era dura ammetterlo... che Touma aveva ragione...
Certo che soffriva di nostalgia e, senza una fochetta adorabile a sorridergli, a prenderlo in giro, a coccolarlo con le sue mani e le sue premure, anche solo per telefono, il cibo non aveva più lo stesso sapore. Non l'avrebbe mai detto, fino a poco tempo prima, che ci sarebbe stato qualcosa al mondo in grado di fargli perdere il proverbiale appetito e invece...
Trovare la cosa più bella e preziosa... e poi perderla... faceva smarrire il senso stesso della vita e tutto il resto perdeva ogni attrattiva.
Perderla...
Perché ragionava così? Come se avesse perso Shin? Stavano andando da lui, no?
Già... ma da quanto non si sentivano loro due soli, non si vedevano loro due soli... e da quanto, Shin, non era più quel Shin? Da quanto gli faceva quasi... paura?
Il suo pesciolino tenero, il suo porto sicuro trasformatosi in qualcosa che riconosceva sempre meno, non più rassicurante come Ryo: almeno con Ryo poteva ancora incontrarsi e sentirsi benvoluto, mentre con Shin...
“Shin sarà felice di vederti, scimmietta”.
Sarebbe stato davvero felice? L'avrebbe accolto col sorriso? Oppure quella maledetta tristezza sarebbe stato tutto ciò che avrebbe rivisto in lui?
Desiderare qualcuno e temerlo ... sembrava una maledizione.
“A che ora è il prossimo treno?”.
 
Eccola lì la scimmietta Shu, ora più simile a un timido lemure: poteva non essere ricettivo quanto Seiji, ma Touma sapeva riconoscere quando uno dei suoi nakama sviava i discorsi. O mentiva.
E Shu non aveva fatto altro che quello, da quando si erano rivisti.
“Mezz'ora. È un espresso”.
Dieci minuti dopo erano già sulla strada per la stazione, argomento di conversazione la scuola.
“Da noi hanno già consegnato i documenti per l'Università. Dicono che è meglio prepararci in anticipo...”.
“È sempre meglio cominciare prima per la scelta. Anche se io ho le idee chiare”.
“Davvero Shu? E cosa?”.
“Informatica”.
Touma alzò un sopracciglio, stupito.
“Non pensavo...”.
Una smorfia di disappunto colorò il viso di Shu.
“E a cosa pensavi? Non dire cucina!”.
Il ragazzo sbuffò, indignato.
“Non so perché, ma ti vedevo bene a insegnare letteratura”.
E stavolta Shu si liberò di una risata sincera.
“Io e letteratura? Cosa te lo fa pensare? Non sono molto ferrato”.
“Saresti un buon insegnante. Credo che mi divertirei ad averti”.
Un sorrisetto e Shu replicò con cuore leggero, mentre mettevano piede in stazione.
“Io per niente ad avere te”.
“Che cattivo. Io sono buono con i professori che mi piacciono”.
 
***
 
Un frastuono di stoviglie e cocci infranti in cucina interruppe bruscamente il silenzio in cui la casa era immersa, il tutto seguito dall'imprecazione di una voce giovanile e acuta, in quel momento lievemente tendente a tonalità isteriche.
Il proprietario di quella voce uscì di corsa dalla cucina e tornò con tutto il necessario per pulire, senza smettere un solo istante di inveire contro se stesso.
Si chiedeva soprattutto perché dovesse essere così nervoso da essere in grado di fare solo danni in giro per casa, quando tutto ciò che desiderava era renderla ordinata ed accogliente per gli amici che sarebbero giunti di lì a poco.
E lui era felice, certo, li avrebbe rivisti tutti... tutti insieme...
Su quell'ultima parola si bloccò, mentre si chinava a raccogliere i frammenti di piatti sparsi per il pavimento, deglutì.
Era possibile sentirsi al tempo stesso così felici, così ansiosi, così preoccupati, tanto da rasentare il terrore puro?
Per lui sì...
Le sue emozioni non erano mai state troppo lineari, ma il pensiero di rivedere i ragazzi stava diventando fonte di un amalgama davvero eccessivo di felicità e angoscia.
Posò un ginocchio a terra ed imprecò, nel momento stesso in cui la sua pelle nuda venne scalfita da uno dei cocci più aguzzi; si risollevò un poco per controllare la ferita, un graffietto per fortuna, ma quando il campanello all'ingresso trillò, sobbalzò come attraversato da una scossa elettrica e si alzò, muovendosi con troppa fretta e posando il piede sul medesimo pezzo contundente, procurandosi un altro taglio, ancor più doloroso.
Gli vennero le lacrime agli occhi mentre zoppicava verso l'uscita, non tanto per il dolore, quanto perché non era riuscito a rimettere a posto in tempo quel disastro...
O forse non era neanche per quello... probabilmente non era neanche per quello...
Erano i ragazzi, non aveva senso farsi con loro problemi riguardo all'ordine in casa, ma somigliava tanto ad un attacco di pianto ansioso il suo e non sapeva bene come interpretarlo.
Ancora zoppicava quando si fermò davanti alla porta d'ingresso; trasse un profondo respiro, si sfregò gli occhi con l'avambraccio per cacciare le lacrime...
Senza troppo successo, ma chi si trovava dall'altra parte avrebbe finito con l'insospettirsi se non avesse aperto.
Così, senza più pensare, spalancò con fin troppa foga la porta di casa.
Ryo, in piedi sull'entrata, sobbalzò, mentre il sorriso quasi gli si gelava sul volto.
“S-Shin ...?!”.
 
Ryo lo vide che c'era qualcosa che non andava: aveva camuffato le lacrime, era un pò rosso in viso e...
“Shin, che cosa è successo?!”.
Il suo ginocchio sanguinava e, da come zoppicava, era accaduto qualcosa in più a quella gamba.
Il ragazzo dai capelli castani si morse il labbro inferiore: gran bell'inizio davvero.
“Non... è niente... solo un piccolo incidente... entra, dai...”.
E saltellando un po’ sul piede rimasto sano, si spostò per lasciar entrare l'ospite. Poi, con fretta ed una buona dose di goffaggine, si diresse veloce verso la cucina:
“Mettiti comodo, vado a riparare al danno che ho fatto in cucina!”.
 
Cosa stava combinando?
Era Ryo quello, non si vedevano da quasi un mese e quello era il modo di accoglierlo?
Un tempo si sarebbero abbracciati, persino baciati per molto meno tempo, un tempo l'avrebbe stretto forte a sé, desideroso di non lasciarlo più andare e adesso...
E non riusciva neanche a muoversi liberamente perché il piede e il ginocchio gli facevano più male di quanto avesse immaginato... maledettamente male.
Le lacrime tornarono e anche questa volta di sicuro non era per quelle stupide ferite; si fermò sulla soglia della cucina, rendendosi conto che si stava comportando veramente in maniera sciocca... insensibile... assurda...
E avrebbe voluto tanto abbracciarlo, perché non lo faceva?
 
Ryo si sentì intimidito, stranito... sembrava quasi di entrare nella casa di qualche estraneo. Ma il suo Shin era lì, loro erano lì ed erano assieme. E poi sarebbero arrivati i ragazzi e avrebbero completato il loro cerchio perfetto.
Fece qualche passo e chiuse la porta alle proprie spalle: il corridoio si apriva quasi subito su due stanze, la sala sulla destra e la cucina, sulla sinistra, per poi proseguire in lungo verso il resto della casa. Il ragazzo cercò di richiamare alla mente i commenti che Seiji gli aveva fatto due mesi prima, cercò di ricordarsi i dettagli che più avevano destato in Seiji una certa buffa polemica.
Una casa grande, troppo per un ragazzo dell'età di Shin.
Alle pareti vedeva appesi quadri di mare e fari, sulla destra vi era un piccolo scrittorio con delle fotografie e Ryo, una volta tolte le scarpe, si avvicinò proprio a quel mobile per osservare meglio: sulla destra c'era una vecchia fotografia di un tenero Shin bambino aggrappato alle spalle del padre. Era incredibile la somiglianza anche se, forse, le labbra e il taglio degli occhi di Shin erano un pò più fini, anche in quel visetto rotondo.
Ryo si perse a guardare quello scatto e non notò subito l'altra fotografia, molto più recente, che ritraeva tutti loro assieme: Shu aggrappato alle spalle di Shin, mentre Seiji gli scompigliava i capelli e lui e Touma li guardavano con aria divertita.
Senza pensarci, Ryo si ritrovò con la foto tra le mani e sospirò malinconico, accarezzando con un dito l'immagine.
Perchè non aveva abbracciato Shin? Era un idiota. Avrebbe dovuto fermarlo.
Poi risollevò lo sguardo e Shin era lì, che lo guardava, una mano appoggiata al muro, un piede, quello dolorante, leggermente sollevato.
Era incredibile...
Shin era cresciuto, come tutti loro ed era evidente, ma perché nel modo di atteggiarsi, nell'aspetto e persino per come si vestiva sembrava sempre il più bimbo?
Con quei pantaloncini corti e la maglietta alla marinara e la posa aggraziata come quella di una sirena...
E toccare quelle gambe aggraziate e forti era...
Lo ricordava bene Ryo com'era: era delizioso, come ogni cosa lo era di lui, anche adesso, anche con quell'ombra...
Riportò lo sguardo alla foto, una scusa per distoglierlo dal suo Shin... che non si comportava quasi più come se fosse suo.
“Ricordo quando Nasty ce l'ha scattata questa... tu e Shu ne avevate fatta una delle vostre...”.
Al sospiro del compagno risollevò lo sguardo: quell'imbarazzo... quel maledetto imbarazzo tra loro…
“Hai finito... quel che stavi facendo?”.
Shin scosse il capo:
“È... tutto in disordine e... non ho neanche fatto in tempo a preparare il pranzo... mi dispiace...”.
Che razza di preoccupazioni, ma era davvero Shin quello? Quella persona che sembrava parlare con un ospite importante e... poco intimo?
L'attenzione di Ryo tornò alla gamba contusa di Shin e si sentì idiota, avrebbe dovuto insistere su quello.
Riposò la fotografia e fece qualche passo verso di lui:
“Cosa ti sei fatto, Shin?”.
“Niente...”. Ed ecco che gli occhi del ragazzo lo fuggivano. “È solo... sono solo...”.
La mano di Ryo si mosse istintiva verso il viso di Shin, accarezzandone una guancia: questi sussultò, come scottato, sgranando gli occhi già lucidi e guardando Ryo con aria perduta.
“Shin-kun... il pranzo? Chi se ne importa? Mangeremo panini, come abbiamo fatto tanto spesso, senza farci problemi. Non sei contento di vedermi?”.
Un sussulto, uno stringersi degli occhi fino ridurli a due fessure di smeraldo liquido, poi Ryo se lo ritrovò tra le braccia, lo sentì aggrapparsi con tutte le sue forze e sospirò di sollievo, mentre ricambiava quel disperato gesto d'affetto, accompagnando all'abbraccio carezze protettive tra i capelli rossi. Notò così che gli stavano di nuovo ricrescendo ed erano belli e morbidi come sempre.
“Mi vuoi dire, adesso, cosa ti sei fatto?”.
Siccome non ottenne risposta, Shin ancora perso nel suo abbraccio come un cucciolo isolato dal mondo che nulla sentiva, Ryo sbirciò oltre la sua spalla e i suoi occhi incontrarono il disastro sul pavimento della cucina.
Non poté impedirsi di lasciarsi sfuggire un risolino ed un nuovo sussurro, accompagnato da un condiscendente sospiro:
“Pesciolino pasticcione...”.
Lo sentì stringersi ancora di più a sé e immaginò il suo viso, completamente affondato nel suo petto, del colore del fuoco: farsi cogliere in fallo lo imbarazzava sempre così tanto, non era cambiato in questo.
Gli mise le mani sulle spalle e lo staccò un po' a forza da sé:
“Tranquillo, adesso ti do una mano a pulire, ma prima...”.
Si chinò scivolando a terra, fino a mettere le mani sulla gamba infortunata; a quel contatto, un brivido scosse entrambi.
“Dobbiamo fare qualcosa per queste ferite”.
“Ryo-kun... non è nulla...”.
Aveva ritrovato la voce finalmente e quella voce si mutò in un piccolo mugolo di sorpresa quando la lingua lambì leggermente il ginocchio ferito, le membra di Shin si irrigidirono e Ryo sollevò gli occhi, deliziandosi di quelle gote incendiate e di quelle iridi sgranate, limpide, uno sprazzo tanto gradito dello Shin di un tempo.
Si rialzò e prese le mani del compagno tra le sue:
“Mi fai vedere dove tieni disinfettanti e cerotti? Bisogna curare anche quel piede”.
“Ma R-Ryo... d-davvero... non...”.
“Niente ma, pesciolino. Altrimenti ti porto in braccio. E lo sai che ne sono capace”.
Un sorriso un po’ felino, un pò tenero e fu la capitolazione di Shin: indicò un'anta della credenza del bagno e si fece poi accompagnare da Ryo sul divano, dove si sedette con un sospiro.
Ryo gli prese la gamba e cominciò a medicarlo, nel più completo silenzio. Poi, per spezzare quel silenzio e mettere a più agio entrambi, rialzò il viso e fece un occhiolino.
“Ora sono anche curioso di sapere come mai Seiji era così scandalizzato”.
Shin fece tanto d'occhi, perdendo un poco del suo rossore.
“Scandalizzato?”.
“'Per un ragazzo come Shin, quella casa è incredibilmente lussuosa e grande'”.
Shin si rannicchiò su se stesso, il rossore tornò, così come il confuso balbettio:
“È... comoda... non troppo distante dall'Università e...”.
“Ma non l'hai ancora cominciata l'Università!”.
Si fece ancora più piccolo, Ryo pensava, divertito, che sarebbe imploso in se stesso:
“Meglio... portarsi avanti...”.
Troppo confuso, troppo timido, troppo inconsapevole di quel che diceva, non sapeva rendersi credibile: c'era qualcos'altro. Ryo avrebbe voluto indagare ancora, quando Shin prevenne ogni tentativo cambiando prontamente discorso:
“Ryo-kun... Byakuen non è venuto?”.
Ed eccola la domanda. Era normale, perchè stupirsi?
Shin e Byakuen si erano legati profondamente. Soprattutto dopo la loro...
“Non potevo portarlo... insomma, non è più come prima”.
Sapeva che non erano le parole adatte. Ma non sapeva... non riusciva a trovare le parole, quelle giuste, per dire ciò che lo angustiava di Byakuen.
Gli occhi di Shin risposero abbassandosi e poi un respiro e poi un altro ancora.
“Hai ragione, c'è troppa gente. È... normale”.
Tornò il silenzio e in silenzio finì di disinfettare le piccole ferite di Shin.
“Ecco fatto”.
Ryo alzò lo sguardo su Shin, che ancora teneva il capo chino e andò a sfiorarne la guancia.
“Ti fa male?”.
Un cenno negativo del capo, i capelli solleticarono la mano di Ryo, che tuttavia non sapeva quanto la mente di Shin stesse lavorando... troppo... come al solito.
Troppa gente... come allora...
Non era quello il punto, aveva detto le prime cose che gli erano venute in mente, ma la verità era un'altra: Byakuen non aveva voluto venire, Byakuen non... non aveva voluto vederli.
No... non era neanche quello, non era possibile, doveva esserci un motivo, forse molto più grave, molto più inquietante: forse Byakuen aveva capito... che niente aveva più senso.
E Shin era ancora in grado di percepire il malessere di Ryo, non erano svanite le sue capacità empatiche, soprattutto nei confronti dei suoi nakama, quello non cambiava, perché allora doveva cambiare tutto il resto?
Non era giusto far pesare la sua tristezza su Ryo che ne aveva già tanta dentro di sé, non era giusto continuare a soffermarsi su quel maledetto pensiero: perché non mi hai cercato? Perché non hai più bisogno di me? Perché hai aspettato tanto per venire da me, Ryo? Soprattutto se sei triste, se sei preoccupato, se non capisci cosa succede a Byakuen, a te, a tutti noi, perché non me ne hai mai voluto parlare?
Si alzò con un po' troppa energia, barcollando: no, non era giusto, non doveva caricare di nessun peso le spalle di Ryo.
Un sorriso, tutto ciò che gli serviva per dare un'illusione, anche minima, di normalità. Per mantenersi in equilibrio si appoggiò appena alla spalla di Ryo:
“Mi... aiuti in cucina, allora?”.
“Se ti fidi delle mie capacità culinarie...”.
Stavolta un sorriso sincero dal ragazzo.
“Più di quelle di Touma di sicuro”.
Ryo non trattenne più la propria mano e andò ad arruffare con delicatezza i ciuffi di Shin, scivolando poi su quelli più lunghi. Ne strofinò una ciocca tra le dita, sorrise e si chinò sulle labbra del ragazzo per rubargli un bacio veloce. Poi lo precedette in cucina, immaginando solamente la sua reazione.
Shin infatti era rimasto immobile, a fissare con gli occhi grandi la schiena di Ryo, il volto un'unica fiamma scarlatta e le dita che salivano a sfiorarsi la bocca. Il cuore gli batteva così forte che sembrava volergli esplodere in petto e si sentiva ancor più confuso, anche arrabbiato in parte, per quanto detestasse quel sentimento.
“Prima sparisci e poi mi baci?” urlava quella rabbia dentro di lui, ma sarebbe esploso interiormente piuttosto che esternarla, anche perché lo sapeva che era sbagliata, che Ryo non la meritava e, nonostante tutto... non riusciva a fugarla del tutto da sé.
Il campanello trillò e Shin ringraziò quel suono che giungeva a distrarlo e che gli dava l'occasione per sottrarsi momentaneamente a quegli istanti di estremo imbarazzo, ma non fece neanche in tempo a muoversi che Ryo gli balzò davanti, oltrepassandolo come una furia:
“Chi sarà? Shu? Touma?”.
Dopo pochi istanti le orecchie di Shin furono raggiunte dall'inconfondibile, impertinente cadenza del Kansai:
“Due al prezzo di uno, micetto, non sei contento?”.
Un sospiro, stavolta di qualcuno che gli faceva battere il cuore e creava le più grandi piroette nel petto:
“Ha mangiato dolci occidentali, per questo è così pimpante. Pensa che è già sveglio dalle sette”.
“Non mi dire...” riecheggiò la risatina di Ryo.
“Sì, sì, ridi pure... dov'è il pesciolino? Abbiamo portato dei dolci!”.
Sentì la porta richiudersi, poi dei passi inconfondibili e si ritrovò Touma tra capo e collo che gli invadeva la cucina: si ritrovò con la sua mano molesta tra i capelli prima di arricciare il naso e scoprire che il ragazzo era cresciuto ancora di qualche centimetro dall'ultima volta.
“Sei molesto e sei una pertica Touma!”.
“Modestamente credo di superare tutti. Anche Seiji”. Poi, con aria mezza cospiratrice, l'arciere si chinò su di lui e bisbigliò: “Credo che Shu si sia messo a dieta”.
Shin sgranò gli occhi, ma non riuscì a replicare perchè il suddetto ragazzo mise piede nella cucina per la prima volta.
Tremò quando lo vide, per un attimo credette di non riconoscerlo: Shu... sembrava così piccolo.
Perché non si muoveva? Perché non gli correva incontro, non lo abbracciava, non si faceva abbracciare? Ne aveva un tale bisogno che il cuore nel petto fece più di una capriola e si sentì girare la testa, tutto intorno a lui vorticò per qualche istante, barcollò. Per ignorare quella bizzarra reazione fisica e tentare di nasconderla anche agli altri si passò, fingendo naturalezza, una mano tra i capelli e fece un passetto in avanti, ma era peggio, il pavimento tremava sotto i suoi piedi:
“Ciao... Shu...” la voce uscì a stento, in un sottile sussurro.
 
Abbraccialo... abbraccialo...
Shu se lo doveva ripetere, come se non ci fosse nulla di naturale nel farlo. Ma rivederlo, così meraviglioso e cresciuto... e bello e... triste... gli faceva paura.
Ma lo amava. Doveva muovere quei maledetti passi.
Fu Ryo, alle sue spalle, ad 'aiutarlo', spingendolo energicamente verso l'altro ragazzo.
Barcollò un poco in avanti, tornando a drizzare un poco le spalle quando se lo ritrovò a pochi centimetri da sé.
“Shin... ciao...”.
Ciao. Che stupida parola.
Dovette farsi forza e, chiudendo gli occhi, gli afferrò una mano e lo attirò a sé: sentì quanto era leggero. Leggero come una nuvoletta.
E alto, tanto più alto di lui che... le sue braccia gli sembravano così piccole, quasi... incapaci di proteggerlo.
Cos'era successo?
“Sei cresciuto troppo, pesciolino...” sussurrò, trattenendo un sospiro e un groppo alla gola.
“Non sono l'unica pertica, allora...”.
Ed ecco la bocca dell'impertinenza.
Ryo si pianto davanti a Touma, naso contro naso:
“Non tirartela troppo, panda, posso ancora rivaleggiare con te!”.
Touma gli si accostò di più, tracciò sui loro capi le misure con la mano:
“Mmhhh... ce la giochiamo, ma io sono più alto”.
Ryo sbuffò, poi riportò lo sguardo sui due compagni poco distanti.
“I nostri cuccioli restano loro” mormorò, senza intento ironico nella voce, ma con tanto spirito di protezione.
I due compagni, in piedi l'uno di fronte all'altro, mano nella mano, non lo udirono, troppo intenti a specchiarsi negli occhi. Shin tremava così forte che temeva di andare in pezzi:
“No... non è vero... io... tu... sei sempre tu il più forte...”.
Allungò una mano e la passò sul braccio di Shu, sempre massiccio, la sua massa muscolare rimaneva la più accentuata tra tutti loro, ma perché era dimagrito tanto?
“Stai... stai bene... scimmietta?”.
Il contatto della mano di Shin su di lui riusciva ancora a scatenare una miriade di forti emozioni: la morbidezza della sua pelle, il suo profumo delicato che ricordava il mare, il suo calore avvolgente... c'erano notti in cui sognava solo quella pelle addosso a lui. Ed erano sogni casti, di sole carezze e abbracci. E le mattine erano le più tristi.
“Certo che sto bene...” ed ecco la sua voce, un poco roca ed esitante. Si fece forza. “Perché me lo chiedi? Io sto sempre bene”.
Certo. Tranne le volte in cui il sogno lo faceva cadere in una valle di lacrime. E il cibo che aveva sempre adorato diventava quasi ostico per il suo stomaco. Ma, tranne quello, tutto bene.
Bugiardo.
E Shin pensava al pranzo...
Non era neanche stato in grado di preparare qualcosa di decente, si era ripromesso di deliziare i compagni con le sue abilità culinarie e invece aveva vinto l'instabile stato emotivo...
E Shu era dimagrito troppo...
E i suoi sensi di colpa irrazionali si facevano insostenibili e voleva abbracciarlo, diventare piccolo, tanto piccolo da scomparire tra le sue braccia.
Non si avvide della figura di Touma che passava, con ostentata indifferenza, alle sue spalle, non fece in tempo a scorgere il suo movimento, poté solo sentire la spinta sulla schiena e precipitare, del tutto destabilizzato, addosso a Shu.
 
Il suo Shin tra le sue braccia. Improvviso, incredibile, tenero...
Perchè erano lontani, se stare lontani gli faceva così male? Perchè era così idiota e non...
Che cosa?
Perchè non si teneva in contatto quanto con Ryo?
O perchè il solo pensiero di sentirlo lo metteva nel panico completo?
Lo desiderava? Sì o no? Non era una domanda complicata.
Ma la risposta...
“Io vado a sistemare le borse, tanto so dove va tutto. Ryo, vieni con me? Così ti mostro la casa”.
Touma finì quasi per trascinarsi dietro l'altro ragazzo, blaterando qualcosa mentre salivano le scale e il silenzio tornava a poggiarsi sulle teste della coppia.
Il tremore di Shin si accentuò, così come il capogiro, non riusciva a muoversi, temeva che se solo avesse provato a sollevare le braccia sarebbe andato in pezzi. Così rimase inerte, abbandonato, un pianto che come una litania andava su e giù dal cuore alla gola:
“Stringimi, stringimi, stringimi...”.
Ma dalla gola non saliva alle labbra, rimaneva lì, intrappolato e lo soffocava, lo gettava nel panico, perché era come una mano che gli artigliava la gola e stringeva, stringeva fino a togliergli il respiro. Se almeno quella mano l'avesse lasciato libero di far uscire il pianto, la supplica, la preghiera... sarebbe stato meglio. Senza rendersene conto aveva cominciato a respirare in maniera affannosa, annaspando perché l'aria gli mancava e voleva tanto che Shu lo stringesse. Scivolò contro di lui, se il compagno non l'avesse sorretto si sarebbe ritrovato al suolo, perché le gambe erano prive di consistenza, lui stesso era come una bambola privata della capacità di sostenersi da sola.
Come sentendo quel mantra, le mani di Shu si strinsero attorno a lui, mentre soffocava un sospiro sul suo petto: lo abbracciava e stava male. Era lontano da lui e stava male. Cos'era che non andava bene?
“Ti prendi cura di te stesso?” un sospiro, un respiro. Doveva cercare di dire qualcosa, di comunicare con lui. Anche se non avrebbe mai centrato completamente il bersaglio. “Seiji diceva che è una casa enorme e... insomma... io... ecco, ho pensato che... tu...”. Le sue mani scivolarono sui fianchi ed il viso si alzò, accaldato, verso il ragazzo. “Tu, qui... sei... sei felice?”.
 
Felicità... che bella parola... che suono dolce...
Una volta Shin avrebbe saputo rispondere: felicità era la vita, con tutto ciò che era vivo, con le sue bellezze, la sua luce, felicità erano gli affetti, era amare e sentirsi amato, era sentirsi utile per riscaldare i cuori altrui, felicità erano i nakama... ed era l'amore...
Poi all'improvviso era accaduto qualcosa e tutte queste parole avevano preso a vorticare intorno alla parola felicità senza risoluzione, costantemente attratte da lei, ma ormai incapaci di lambirla, la sfioravano appena e si allontanavano ancora ed era complicato persino spiegare e spiegarsi il perché... perché tutto era diventato così difficile mentre all'apparenza era tanto semplice, come in quel momento in cui si trovavano lì, insieme...
Presto sarebbe arrivato anche Seiji...
Ma non Byakuen, che sentiva... quel che sentiva lui?
Felicità...
Era felice? Cosa poteva rispondere?
Un tempo sapeva sentirsi felice, nonostante tutto, nonostante le sofferenze che aveva attraversato, le perdite, le paure, le angosce: i ragazzi l'avevano rimesso a contatto con la felicità, avevano affrontato l'incubo mano nella mano.
Ormai l'incanto si era spezzato.
“Sarei così felice se solo riuscissi... a sentire il tuo amore...”.
Ancora non riuscì a dirglielo e poi che senso avrebbe avuto? Perché non avrebbe dovuto sentirlo? Uscì la più banale delle risposte, con voce appena udibile, appena sussurrata, perché il senso di soffocamento che si era impadronito di lui non gli permetteva altro:
“Sto... bene...”.
Una mano di Shu andò a sfiorargli la guancia, delicatamente, mentre si staccava un poco da lui: un sorriso leggero sulle labbra e poi parole:
“A-anche io”.
Due bugiardi. Due stupidi bugiardi che si mentivano per non fare del male all'altro.
Si guardarono negli occhi, il silenzio cadde su di loro dimenticandosi quasi di respirare.
Poi suonò il campanello e tutto riprese a funzionare e furono i passi di Ryo e Touma sulle scale, poi la voce di entrambi e la porta che si spalancava improvvisa su Seiji.
Ed era strano, perché quello che non era riuscito a fare con Shin, Ryo lo fece con Seiji: il primissimo istinto fu quello di gettarglisi addosso, in un abbraccio soffocante, che non mancò di destabilizzare e cogliere totalmente alla sprovvista il ragazzo di Sendai il quale, tuttavia, dopo il primo istante di incertezza, sollevò le proprie braccia e ricambiò la stretta, con affetto, mentre i suoi occhi cercavano un paio di occhi cobalto, quelli che ogni singolo giorno della sua esistenza, quando sollevava gli occhi al cielo, gli tornavano in mente, senza speranza, né pietà alcuna.
Ed erano lì, grandi e fissi su di lui, così seri, un pò timidi... e dicevano tutto: una mano dietro al collo, il viso un poco inclinato ed ecco una battutina pronta:
“Il gattino di casa ha attaccato per primo!”.
Ryo trasalì e, quando si staccò da Seiji, il suo viso era rosso perché si sentiva un poco colpevole nei confronti di Touma.
Indietreggiò con fare quasi solenne e, nel movimento, fece in modo che i due compagni si trovassero l'uno di fronte all'altro, senza alcun ostacolo tra loro; poi, in silenzio, discreto, si ritirò verso la cucina.
 
Seiji fissava Touma e le sue labbra si piegarono in un sorriso che rese il suo volto particolarmente dolce; fece un passo.
“Ciao... panda...”.
Ed eccolo il batticuore e il solito, maledetto imbarazzo. Però... quanto l'aveva atteso quell'incontro? Trovarsi tutti assieme, passare in pace ogni momento. E guardare Seiji, il suo... guardare lui e non una fotografia.
Prese un profondo respiro prima di gettare le proprie braccia attorno al collo di Seiji e soffocò il saluto nei suoi morbidi capelli.
Non ebbe alcuna difficoltà, il ragazzo biondo, a rispondere a quell'abbraccio, aveva atteso troppo e semplicemente lo voleva, da troppo, troppo tempo, come da tempo aveva smesso di nascondere a se stesso l'entità dei propri sentimenti. Non c'era niente di sbagliato, aveva anzi finito col concludere che niente poteva esserci di più giusto, perché quella era l'energia vitale che faceva muovere il mondo, quella era la luce e la speranza del futuro, era accettare di avere un cuore e di volerlo far pulsare all'unisono con un altro... con altri cuori...
E cosa c'era di sbagliato nell'ammettere che ne aveva bisogno? Che aveva bisogno di Touma?
Portò una mano tra i suoi capelli e fece una piccola smorfia di disappunto, che si mutò in una risatina:
“Razza di imbroglione, quanto conti di diventare alto ancora? Hai intenzione di farmi scomparire?”.
“Lasciami crescere... almeno in quello posso superarvi... e poi non sei molto più basso di me”.
Touma si staccò dall'abbraccio con una piccola risata.
“Sei atteso dal nostro sirenetto... anche se credo sia occupatissimo con la sua scimmietta. Oh, ora anche con il micio”.
Ed ecco che la sua lingua cominciava la sua solita escalation.
Prima che potesse allontanarsi, Seiji gli tenne stretta una mano, lo attirò ancora verso di sé:
“Ho aspettato così tanto... l'ho sognato... e adesso speri di sfuggirmi così velocemente?”.
Senza dargli la possibilità di rispondere, lo catturò in uno dei baci più prepotenti che si fosse mai concesso; a tal punto potevano spingere il desiderio, l'attesa... la sete? Sete di lui, di quelle labbra, di quel sapore indefinito che sapeva di... di dolce... cannella e qualcosa cui non sapeva dare un nome, ma era buono e nessun sapore gli accendeva i sensi a tal punto... i sensi, il cuore e l'anima.
Touma percepì chiaramente il proprio cuore fare un salto mortale e poi molestare il suo stomaco e poi... il calore del suo corpo su di sè. La passione ed il calore era tutto quello che riusciva a sentire, mentre le sue mani si aggrappavano alla camicia del compagno, come se temesse di caracollare a terra: era stato sognato davvero?
Touma si sentì euforico, completo. Non sapeva bene nemmeno lui come si chiamassero quei piccoli esseri che si agitavano in lui. Eppure, distinta, c'era anche una strana malinconia. E la sua presenza era fin troppo fastidiosa.
Al bacio seguì una carezza sulla guancia, un ultimo sfiorare di labbra e di pelle poi, un po' a malincuore, Seiji tornò al presente, ad un altro aspetto di quella vacanza che gli premeva e che esternò in un sussurro, perché solo Touma lo udisse, mentre ancora accarezzava:
“Come va? Come ti sembrano i ragazzi?”.
Un sospiro e Touma abbassò lo sguardo.
“Shu è dimagrito, anche se non lo ammette... Ryo è strano. Non lo so, ma... è strano. E Shin... beh, lo sai. È sempre più... cupo”. Si toccò nervosamente i capelli, mordendosi un labbro. “Non si lamenta nemmeno più quando gli capito a casa... ho provato anche a non avvisarlo, ma... non ha fatto una piega l'ultima volta”.
Era più di una bella gatta da pelare. Era qualcosa che gli stava scivolando lentamente dalle mani.
Seiji annuì con un sospiro; più o meno aveva temuto quella risposta e la sensazione che le cose si sarebbero rivelate difficili era sempre più netta.
Si stava avviando verso l'interno della casa quando la voce di Touma lo fermò ancora:
“Seiji... Ryo è venuto senza Byakuen... dopo tanto tempo... credevo lo portasse... non è strano?”.
Un altro sospiro e il capo del giovane Date si scosse e si abbassò:
“Più che strano... è triste...”.
Perché triste? Forse, semplicemente, Ryo non l'aveva portato per questioni di logistica: portare una tigre da Yamanashi a Tokyo...
Smise subito di formulare quelle ipotesi senza senso: Byakuen era capacissimo di giungere attraverso i suoi percorsi e in passato non si era mai rivelato un problema, le condizioni non erano certo cambiate... e allora?
Allora...
Si portò una mano al petto, per arginare un battito più doloroso; gli tornò in mente l'ultimo abbraccio con Byakuen, risalente ai giorni successivi al loro ritorno dall'Africa.
Quando si erano trovati tra i monti della sua regione, alla ricerca del padre di Ryo... neanche allora Byakuen era presente.
Risollevando il capo li trovò tutti lì, Ryo, Shu e Shin e gli fu sufficiente un'occhiata per comprendere che l'analisi di Touma corrispondeva a verità: tutti loro erano cambiati in qualcosa e non era solo la crescita. Una crescita non poteva rendere tre figure tanto più tristi e dolorose.
Lo sconvolse la magra figura di Shu: certo, non era ancora troppo magro, stava bene, l'aspetto era vigoroso ma... era troppo magro per lui, per essere Shu.
Gli trafissero il cuore gli occhi di Shin, cos'era successo al loro splendore, alla loro... fiducia? Di chi erano quegli occhi?
Osservò con più attenzione anche Ryo: era diventato grande il loro leader scavezzacollo e aveva acquisito qualcosa di così serio e maturo che lo rendeva irriconoscibile e anche i suoi occhi erano, in qualche modo, più spenti.
Un'altra cosa lo stupì, in negativo: Shin e Shu non imitavano Ryo, non venivano ad abbracciarlo, per quanto gli stessero sorridendo.
Soffocò un sospiro, intenzionato a non trasmettere loro le sue preoccupazioni e si inventò un sorriso, con il quale li avvolse tutti.
Fu allora che Shin mosse un passo verso di lui:
“Benvenuto, Seiji-kun...”.
“Ciao Shin... sempre perfetta la tua casa... ancor più della prima volta in cui l'ho vista...”.
“Aspetta di vedere come ho ridotto la cucina mentre vi aspettavo...”.
Finalmente una risatina: Shin sapeva ancora sorridere e ridere, anche se non era il sorriso di un tempo, in esso vi era qualcosa di stonato.
“Cos'hai combinato in cucina?”.
“Un piccolo incidente di percorso” si intromise Ryo, “e se non arrivavo in tempo, questo week end rischiavamo di passarlo in ospedale ad assisterlo, perché chissà cos'altro gli sarebbe accaduto”.
“Che cosa?!” esclamò Shu allarmato.
“Dai, Ryo, non esagerare” si schernì Shin, facendosi piccolo, la testa rintanata tra le spalle.
“Ma cosa è successo?” chiese Shu ancora apprensivo.
“Si è ferito sui cocci di un piatto, al piede e al ginocchio” rispose con un sospiro Ryo.
Shin a quel punto si sentì andare in fiamme sotto gli sguardi curiosi e titubanti degli amici e finì per guardarsi le mani piuttosto che i loro occhi.
Shu abbassò gli occhi sul ginocchio inquisito e vide il cerotto, notando, per la prima volta, il leggero zoppicare del ragazzo.
“Non dovresti essere in piedi!”.
“Quello che dicevo anche io...”.
“Ce la sappiamo cavare Shin, non devi strapazzarti”.
“Il nostro pesciolino aveva la testa altrove, vero?”.
Shin rialzò immediatamente lo sguardo per incontrare quello schernitore di Touma: però, al posto di quello, vide qualcosa che lo fece tremare e, al contempo, mordere la lingua.
Quello sguardo.
Perchè mai gli occhi di Touma fossero così comunicativi non riusciva a spiegarselo. Ma non era nemmeno strano che essi capissero molto di più lo Shin del presente, quello che non era più samurai, ma soltanto ragazzo. Più di Shu e Ryo. Più, forse, dello stesso Seiji.
Loro capivano, lui capiva. E lo spogliava di ogni menzogna.
Poi però Touma sentì che aveva osato troppo e fece un passo indietro.
“Sicuramente pensava a qualcuno...”.
Un sospiro sfuggì alle labbra di Shin, mentre il suo sguardo si abbassava, imbarazzato e timido... insicuro, sembrava ormai incapace di rispondere a tono, con quella capacità invidiabile un tempo: con le sue certezze, con la sua fiducia, pareva essersi sgretolata ogni capacità di tenere la testa alta. Rifugiò le mani dietro la schiena e le intrecciò, le dita incapaci di stare ferme:
“Io... scusatemi... non ho nulla di pronto... non ce l'ho fatta a preparare, non ho fatto in tempo... avevo anche da studiare e...”.
Ryo lo guardò quasi sconvolto.
“Maledizione, Shin, sembra che stai parlando con... con...” pensava febbrilmente, ma fu Seiji a parlare al posto suo.
“Shin... hai presente chi siamo? Non hai a che fare con persone di riguardo o con completi sconosciuti”.
“Da che pulpito, al telefono sembri dimenticarlo spesso” ribatté Ryo, gli occhi al cielo.
La sua battuta ruppe il ghiaccio e, mentre Seiji arrossiva, una risatina si diffuse tra i compagni, anche se troppo pacata, troppo discreta perché potesse ricordare le risate piene di vita ed energia ora così lontane.
 
 
  
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