Videogiochi > Mass Effect
Segui la storia  |       
Autore: Nymeria90    08/01/2019    0 recensioni
Questa storia prosegue il filone narrattvo di "La fine è il mio inizio".
"Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Cittadella 2186

Il liquido ambrato riempì lentamente il bicchiere, accarezzando languidamente le pareti di cristallo.
C’era stato un tempo, non troppo lontano, che un simile gesto l’avrebbe perduta.
Gli anni della sua prima giovinezza erano stati segnati dall’alcol e dalle droghe: un’adolescenza violenta, vissuta tra puttane e criminali, che aveva segnato la sua anima come un colpo di scalpello sulla pietra grezza.
A salvarla da quell’abisso di oscurità e degrado erano stati i proiettili di una creatura più perduta di lei.
Quella era stata la sua prima morte.
Prese il bicchiere, facendolo ruotare tra le dita. Si avvicinò al pianoforte dall’altra parte della stanza e suonò pigramente un paio di note casuali. 
Il secondo colpo inferto dallo scalpello della vita sulla sua anima bitorzoluta e ammaccata, era stato più crudele del primo.
Tra le braccia accoglienti dell’Alleanza aveva creduto di trovare il senso della sua esistenza: una famiglia, uno scopo, l’amore della sua vita. Erano stati gli anni più felici della sua vita, tanto da illuderla di aver trovato la pace.
Purtroppo, come ogni cosa bella, quell’idillio dorato era destinato a svanire: lei aveva trovato la pace, ma la guerra, infine, trovò lei.
Si presentò travestita dal suo stesso orgoglio, cavalcando parole di spregio, aizzata da quello spaventoso passato che, molesto come una spina conficcata nelle carni, suppurava pensieri infetti.
La sua seconda morte fu meno misericordiosa della prima. Fu un’agonia straziante, un lento smembramento di tutto ciò che amava. Tra le fauci del suo orgoglio morirono urlando tutti coloro che aveva amato.
Bevve un piccolo sorso, mentre i suoi occhi vagavano oltre le vetrate, abbagliati dalle luci sgargianti della città.
Sentì un live pizzicore sulla lingua e la schioccò sul palato perché l’aroma del liquore si diffondesse in tutta la bocca.
Un tempo si sarebbe scolata la bottiglia intera senza nemmeno sentirne il sapore, per il semplice desiderio di dimenticare un passato spaventoso. Adesso sapeva che alcol e droghe erano banali trucchi da imbroglioni che promettevano sollievo per poi trasformarlo in dolore straziante: non esiste un modo per dimenticare il passato e il dolore. Quel pizzicore informe in fondo al petto, non va mai via. Si può solo imparare a conviverci finché non diventa parte di te, come i polmoni e il cuore. 
Era una saggezza, la sua, ottenuta a caro prezzo.
Aveva sperato che la sua terza morte fosse quella definitiva. 
E morta lo era davvero. Un corpo inerte nello spazio oscuro, finalmente libero, ma non in pace: sapeva di non avere il diritto di morire. Non ancora. Il suo debito non era stato saldato e Caronte, il traghettatore di anime, non accettò il suo dazio.
Fu così che tornò in vita per l’ultima volta. Resuscitata da quel nemico responsabile dei suoi più atroci dolori, costretta a guardare negli occhi la nemesi di tutta la sua esistenza e chiamarla amica.
Lo aveva fatto, plasmata da quello scalpello chiamato guerra, in onore di tutte le promesse fatte e mai mantenute.
Come il bruco divenuto crisalide e poi farfalla, era ora alle fasi finali della sua esistenza. 
Era nata impulsiva e violenta per poi crescere orgogliosa e arrogante, infine era diventata saggia.
Una saggezza che la faceva brillare come un faro in un cielo nero. Un faro attorno a cui le genti si aggregavano, in cerca di conforto, calore e ascolto.
Ascoltare era diventata la sua abilità più grande. Non importava che fossero soldati, potenti informatori, signori della guerra, intelligenze artificiali o ammiragli, prima o poi tutti arrivavano da lei, in cerca dell’unica cosa che mancava in quella galassia: qualcuno a cui importasse di loro.
Silenziosa e imparziale lei si metteva all’ascolto, senza esprimere giudizi, senza offrire perle di saggezza o consigli altisonanti: ascoltava e basta, facendosi custode del loro dolore come lo era stato del suo.
Portava un grande sacco sulle spalle, con dentro tutti i dolori del mondo, ma non le pesava: quei dolori erano molto più leggeri delle sue colpe. 
Ci fu un lieve bussare e qualcuno entrò nell’appartamento.
Il comandante Sasha Shepard appoggiò il suo bicchiere e andò incontro al nuovo arrivato.
Il tenente James Vega fece un ingresso baldanzoso, come sempre, sfoggiando con orgoglio il nuovo tatuaggio che si era fatto sulla schiena, in onore di quella squadra di élite, gli N7, tra i quali era stato recentemente ammesso.
Un’ombra velò il sorriso del comandante, così evidente che persino James si accorse che qualcosa non andava.
-Cosa succede, comandante?- chiese, preoccupato.
Quella domanda la colse così di sorpresa, che diede una risposta sincera – Stavo solo ripensando al giorno in cui ho accettato di entrare nel programma N7 e che cosa ho sacrificato per diventarlo.-
Ci fu un breve silenzio, in cui James la studiò attentamente, forse vedendola per la prima volta – E ne è valsa la pena?-
Sasha sussultò, mentre la voce di James si confondeva con quella di un altro uomo che, molto tempo prima, l’aveva posta di fronte allo stesso quesito.
-Questa, James, è un risposta che non posso dare a te.-
Il soldato abbassò lo sguardo – Mi dispiace, Lola, non volevo impicciarmi.-
Shepard gli diede un buffetto sulla guancia – Non c’è bisogno di scusarsi.-
Rassicurato da quel gesto, Vega le rivolse un’occhiata indagatrice – Posso farti una domanda?-
-Sentiamo.-
-Se tornassi indietro cambieresti qualcosa?-
Il sorriso di Sasha le si congelò sulle labbra. Si era posta spesso quella domanda, nell’oscurità della sua mente. Non aveva mai trovato una risposta, non una che fosse sincera; ma Vega meritava qualcosa di più di una semplice scrollata di spalle.
Si strinse le braccia intorno al corpo, cercando un calore che aveva perso da tempo.
-Non sono sempre stata così come mi vedi adesso. Vivevo alla giornata, senza preoccuparmi troppo del futuro, convinta che il presente fosse l’unico tempo importante. Ho fatto scelte avventate, che hanno prodotto risultati … terribili.- chiuse gli occhi un istante e lasciò che, dietro le palpebre abbassate, scorressero immagini che aveva tentato, invano, di cancellare. Vi si soffermò per un secondo, prima di ricacciarle indietro. – Sono il prodotto del mio passato, Vega, il risultato di scelte giuste e di scelte sbagliate. Senza di esse non sarei la donna che sono ora: il comandante in grado di portare sulle spalle il sacco dei dolori del mondo. Senza quegli errori non sarei Shepard e, forse, la galassia sarebbe spacciata. Se tornassi indietro cento volte, Vega, per novantanove volte rifarei le stesse scelte.-
-E la centesima?-
Sasha gli rivolse uno strano sorriso, a metà tra malizia e tristezza - La centesima sceglierei di essere felice.-
Vega inclinò la testa di lato – Avrei voluto conoscerti nella tua centesima vita, Lola.-
Rise come raramente le era capitato in quella vita e notò gli occhi di Vega illuminarsi di stupore e meraviglia, come se non avesse mai udito nulla di più bello.
-Temo che non sapresti nemmeno riconoscermi, Vega. In quella vita non avrei nulla in comune con il comandante Shepard.-
-Tu non hai eguali nella galassia, Lola, non hai bisogno di essere Shepard. Potresti vivere un miliardo di vite ed essere straordinaria in ognuna di esse.- non la stava lusingando. Era sincero.
Arrossì, come non le accadeva da molto, moltissimo tempo.
-Grazie, James. Significa molto per me.-
Un sorriso malizioso inclinò le labbra sottili del tenente e seppe che il momento delle confidenze era finito – A tua disposizione, Lola. Puoi chiamarmi quando vuoi, sia per parlare che per …altro.-
Sasha sollevò un sopracciglio, squadrandolo dall’alto in basso – Il letto è di sopra, Vega, perché non mi fai vedere quello che sai fare?-
James spalancò la bocca come un pesce fuor d’acqua: tutto si aspettava, tranne che la sua provocazione venisse raccolta.
-C … come scusa?-
Shepard scosse la testa, ridacchiando, e lo spinse gentilmente verso l’uscita – Sei un disastro, tenente. Forza, fila a casa, prima di metterti ulteriormente in imbarazzo. E pensare che stavi andando così bene.-
-Sei un demonio, Lola.-
- Ci provo.-
Lo guardò allontanarsi scuotendo la testa. James le ricordava terribilmente un altro soldato, spaccone dal cuore tenero, che aveva avuto il privilegio di chiamare amico, tanto tempo prima. Quell’amico non c’era più: era sopravvissuta a così tante persone che a volte le sembrava di avere più amici tra i morti che tra i vivi.
Un tempo avrebbe promesso a se stessa e al mondo che non avrebbe perso più nessuno, che non avrebbe più permesso a un amico di sacrificarsi in nome di un bene superiore … ma ormai non faceva più promesse, ne aveva infrante troppe per illudersi che avessero un qualche valore. La galassia si mangiava le anime pure per poi sputarle dilaniate e corrotte, tanto ciniche da suscitare sgomento.
Lei non era mai stata un’anima pura, aveva tentato di diventarlo, abbagliata dalla purezza di un’anima infinitamente più integra della sua, ma quando quel bagliore si era spento, soffocato dal suo egoismo e dagli orrori della galassia, allora aveva capito che il destino di un’anima pura era quello di corrompersi o morire.
Il cinguettio del terminale interruppe il flusso di quei pensieri intrisi di malinconia e corse nello studio, in tempo per sentire le ultime parole del messaggio registrato.
-… ho bisogno di parlarti. È urgente. Vediamoci al Purgatory, adesso.-
L’origine del messaggio le fece aggrottare la fronte, ma rispose affermativamente prima di gettarsi il giubbotto in pelle sulle spalle e lasciare l’appartamento.

La donna seduta al tavolo osservò il suo riflesso sbiadito nello specchio dietro al bancone del bar. I capelli un tempo neri ora erano grigi, gli occhi castani circondati da un groviglio di rughe, le spalle leggermente ingobbite sotto la divisa blu e oro.
Il tempo era stato inclemente con lei. Il tempo e la vita.
Aveva collezionato segreti terribili, che aveva chiuso in piccole scatole e gettato nel pozzo della sua mente, cercando di dimenticarli; ma laggiù, abbandonati a loro stessi,  erano diventati putridi e infetti, strisciando fuori dagli abissi come tentacoli alieni, avvinghiandosi attorno a tutto ciò che aveva di più caro. I suoi segreti, così ben custoditi, si erano presi il suo compagno e, infine, anche suo figlio.
Sospirò, bevendo un sorso dal suo bicchiere di vino rosso. Intorno a lei infuriava la festa: le persone ballavano, bevevano, ridevano, comportandosi come se quello fosse l’ultimo giorno della loro vita e, per molti di loro, lo sarebbe stato davvero.
Fuori, nella galassia, sui pianeti natali di ognuno di loro, infuriava la guerra madre di tutte le guerre. 
Se avesse svelato prima i suoi segreti ne avrebbe cambiato le sorti? Ne dubitava, ma il suo giudizio si era rivelato errato troppe volte, troppo tragicamente: per questo sedeva sola in mezzo alla festa.
Una persona si fece largo tra la folla, o meglio: la folla si fece largo al suo passaggio.
Il comandante Shepard era diventato qualcosa di simile a una divinità. L’eroe designato che avrebbe salvato tutte le genti di tutti i mondi, ma lei vedeva la donna dietro alla leggenda. Vedeva il viso stanco e provato, le occhiaie sotto gli occhi verdi, la magrezza sotto la divisa sgualcita, la durezza di una bocca che sorrideva sempre meno e rideva ancor più raramente.
Nessuno in quel locale sapeva che cosa aveva dovuto passare il comandante Shepard per diventare l’eroe di cui la galassia aveva bisogno. Lei era forse la sola persona vivente a sapere ogni cosa ed era proprio per questo che, per quasi dieci anni, le loro strade non si erano mai incontrate.
Avevano troppo in comune.
Sasha Shepard si sedette di fronte a lei, i capelli rossi serrati in una crocchia, le lentiggini che punteggiavano il viso pallido. 
Quella giovane donna, diventata leggenda, era la sola cosa che le restava di suo figlio: il grande amore della sua vita, l’erede di un glorioso destino che, in un’altra storia, sarebbe appartenuto a lui.
-Hannah.- la salutò – Lieta di vederti ancora viva.-
Il contrammiraglio Hannah Shepard annuì, ricambiando il saluto della donna che, in un passato mai dimenticato, era stata promessa a suo figlio.
-Sasha: hai mantenuto la tua parola. Hai dato al nome di mio figlio la grandezza che meritava.-
La donna giocherellò coi bordi della sua divisa – Il suo nome e le mie gesta riecheggiano nella galassia e lì rimarranno, per l’eternità. Abbiamo realizzato i nostri sogni, Hannah.- gli occhi verdi incontrarono i suoi, agghiaccianti nella loro disarmante sincerità -Ma non i suoi.-
-Alexander sarebbe orgoglioso di te.- pronunciare quel nome le provocava un dolore che temeva la facesse esplodere in mille colpevoli frammenti – Io lo sono.-
Sasha storse la bocca, ricacciando in gola lacrime che entrambe sapevano non avrebbe mai più versato – Perché hai voluto vedermi?-
-Perché alla vigilia della fine sento il bisogno di confessarmi.-
-Non sono un prete, Hannah.-
-Nessun prete può darmi l’assoluzione. Solo tu puoi farlo.-
Ci fu un sospiro, un breve silenzio e, infine: - Ti ascolto.-
-Vi ho mentito.- confessò in un sussurro – Quel giorno, quel terribile giorno, sulla Kilimangiaro, quando mi portaste le prove degli indicibili orrori in cui Cerberus era coinvolto, io vi mentii. Tuo padre non era un terrorista, Edouard Marchand non era un folle suicida, Amanda Phillips e la sua famiglia non furono vittime di una vendetta privata e il mio compagno, il mio amore, non morì da eroe romantico, ma assassinato nel più vile dei modi.-
Cercò i suoi occhi, ma Sasha guardava la pista da ballo senza vederla, lo sguardo velato, risucchiata da ricordi così dolorosi da renderle difficile persino respirare -Perché? – fu la sola cosa che riuscì a sussurrare.
-Per proteggervi.- rispose, senza esitare – Perché stavate scoprendo segreti troppo pericolosi, in maniera fin troppo maldestra. Pensavo che, facendovi desistere dalle vostre ricerche, Cerberus avrebbe smesso di considerarvi una minaccia. Pensavo che, vedendo che le ricerche si erano fermate, non avrebbero rischiato di abbattere un’intera squadra dell’Alleanza. Ero sinceramente convinta che fosse sufficiente mentirvi per salvarvi.-
La bocca di Sasha assunse una piega dura, amara – Invece non si sono presi solo la mia squadra, ma cinque interi plotoni semplicemente perché potevano farlo.- fissò lo sguardo in quello di Hannah che la fissava a bocca aperta – Akuze fu opera loro.-
-Come l’hai scoperto?-
-Durante la caccia a Saren ci imbattemmo in una richiesta di soccorso proveniente da un pianeta remoto. Lì trovammo un laboratorio di Cerberus e uno scienziato terrorizzato in fuga da un assassino. Quell’assassino si chiamava Toombs, caporale Toombs. Mi ricordavo di lui, fin troppo bene. Al nostro arrivo su Akuze, Alex mandò lui e la sua squadra a indagare su un segnale sconosciuto che, per pochi secondi, avevamo intercettato sulle colline. I nostri superiori credevano fosse un guasto o un’interferenza di poco conto ma Alex aveva un brutto presentimento, così disobbedì agli ordini dei suoi superiori e spedì Toombs sulle colline. Di lui e della sua squadra si perse ogni traccia. Ho sempre pensato fossero morti come tutti gli altri. I corpi non furono ritrovati ma, dopotutto, non erano i soli. Invece Toombs e la sua squadra incapparono in un destino ben diverso e forse persino più terribile. Quell’anomalia si rivelò una base segreta, una base di Cerberus. Catturati, furono sottoposti alle più atroci torture: Rick e Martin morirono, Toombs sopravvisse.- si passò una mano sul viso, come se quel gesto potesse cancellare gli orrori di Akuze – Non so come riguadagnò la libertà, non glielo chiesi e lui non me lo disse. So solo che da allora ha iniziato a dare la caccia a Cerberus e quello scienziato era solo l’ultimo di una lunga serie. Lasciai che lo uccidesse. Forse qualcun altro al mio posto lo avrebbe salvato, io non potevo farlo. Lasciai Toombs su quel pianeta con i suoi demoni e la sua vendetta. Era un uomo spezzato, al di là di qualsiasi salvezza e io … io ero il comandante Shepard e Akuze un ricordo che non potevo permettermi di affrontare: avevo una galassia da salvare.- abbassò lo sguardo sulle sue mani, intrecciate sul bordo del tavolo – Non ebbi più sue notizie, finché un giorno dopo la mia morte e resurrezione per opera di Cerberus,  trovai una mail sul mio terminale: era del caporale Toombs che mi domandava come potessi lavorare per l’organizzazione che aveva distrutto la nostra vita su Akuze e concludeva dicendo che, se ci fossimo rincontrati, mi avrebbe uccisa. Non risposi mai a quella mail.-
-Se potessi rispondergli oggi, che cosagli diresti, Sasha?-
- C’è una frase che continuo a ripetermi, giorno e notte, da quando ho parlato con la Sovereign e scoperto la fine dei Prothean, da quando mi sono risvegliata dalla morte in una galassia in cui gli unici ad ascoltare il mio avvertimento erano i mostri responsabili della morte della mia squadra e di Alex: “arriverà il giorno in cui l’umanità rischierà di essere spazzata vis e allora dovrai scegliere se sporcarti le mani per salvarla o guardarla bruciare nel vano tentativo di mantenere intatto il tuo onore.” Le ricordi queste parole, vero Hannah?-
Non credeva che Sasha le ricordasse ancora, lei, dal canto suo, non le aveva mai dimenticate – Per quanto io le senta vere più del vero, pronunciarle fu una delle cose più difficili che io abbia mai fatto. Quel giorno misi mio figlio di fronte all’orrore della vita che avevo scelto per lui.-
Sasha annuì – Per lui sarebbero state un obbligo e una maledizione. Al mio posto sono certa che avrebbe preso le stesse decisioni, fatto le medesime scelte, ma ad ognuno dei terribili bivi che questa vita gli avrebbe messo davanti avrebbe perso un po’ di se stesso. Perché lui voleva salvare tutti e non sacrificare nessuno. Io sono diversa: non amo sporcarmi le mani, ma in mancanza di alternative è una via come un’altra. Cerberus era uno strumento per raggiungere un fine e domani, finalmente, quello strumento starà fluttuando nello spazio profondo ridotto in milioni di insignificanti frammenti. E avremo la nostra vendetta.-
-Forse è un bene che non sia sopravvissuto per vedere tutto questo.- sussurrò Hannah – Questa guerra avrebbe ucciso il ragazzo che era in lui, trasformandolo in uomo che nessuna di noi due avrebbe riconosciuto.-
Sasha annuì – Alexander Shepard riposa in pace: è qualcosa di cui dovremmo essere felici.-
-Per quanto riguarda Cerberus c’è un’altra cosa che devo dirti.-
-Va bene così Hannah, non hai bisogno di giustificarti con me: hai il mio perdono.-
-No, non capisci!- doveva liberarsi di quel peso – Io ho contribuito a creare Cerberus e quando sono diventati troppo forti per essere fermati ho nascosto la testa sotto la sabbia e finto di non vedere … se avessi fatto qualcosa, forse ora non saremmo qui a parlarne.-
-Jack Harper, l’Uomo Misterioso, avrebbe trovato un modo per far del male a questo mondo con o senza l’aiuto dell’Alleanza. Credevate di fare del bene e forse, alla fine, conta solo questo. Tutti gli orrori compiuti in seguito, sono opera dell’Uomo Misterioso e di nessun altro. Domani la tua nave sarà con la flotta dell’Alleanza, accanto alla Normandy, per distruggere una volta per tutte Cerberus e il suo fondatore. Non pensare a te stessa come la donna che ha aiutato Cerberus a nascere, ma come la donna che lo ha aiutato a morire.-
Dopo tanto tempo un piccolo sorriso si affacciò sulle labbra stanche di Hannah Shepard – Dopotutto sei davvero eccezionale, comandante Shepard.-
Sasha scacciò il complimento con un gesto della mano – Sono solo una sopravvissuta che ha scelto la vita.-




NA Non so se c’è ancora qualcuno della vecchia guardia in questa sezione. Io stessa non ci tornavo da … tre anni credo. Finchè non mi sono imbattuta nelle mie vecchie storie di Mass Effect e nei miei comandanti, Alex e Sasha. Non ho resistito e, rileggendo quelle storie, mi è sembrato che mancasse qualcosa: una degna conclusione. Così eccomi qui, a scrivere quella conclusione che credo meritino entrambi. Questa storia prosegue il filone narrativo iniziato con “La fine è il mio inizio” ma è senza ombra di dubbio legata a doppio filo anche con “Requiescat in pace” e la “In Aeternum”. 

 
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Mass Effect / Vai alla pagina dell'autore: Nymeria90