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Autore: pattydcm    08/01/2019    2 recensioni
Sherlock si risveglia ferito in un luogo sconosciuto. Si rende conto ben presto che colei che lo ha tratto in salvo non è del tutto sana di mente. Dovrà far fronte ai modi bruschi e violenti di lei e tentare di sopravvivere ai suoi sbalzi d'umore e alle sue differenti personalità. Nessuno sa dove si trovi. Può solo sperare che qualcuno si attivi per cercarlo. Chiunque, ma non John Watson. Del dottore, infatti, non vuole saperne più nulla...
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Buonasera a tutti!
La befana mi ha portato una bellissima influenza. Le sono molto grata, ovviamente…
Dal momento che ho dovuto rinviare per questi due giorni tutti gli impegni, ho pensato di postare un altro capitoletto di questa ff e spero che la cosa possa farvi piacere. Per il resto ci vediamo domenica.
Buona lettura
A presto
Patty
 
30 novembre
 
<< Se non sbaglio le avevo detto fin dall’inizio che quella donna non mi lasciava tranquillo >>.
John colpisce forte la scrivania dell’ispettore con un pugno, facendo volare per terra qualche foglio.
<< Capitano, io non potevo immaginare che… >>.
<< Questo l’ho capito! Ora, però, che anche dai reperti del coroner su quei cadaveri sono venute fuori non poche prove su quanto sia totalmente pazza, perché siamo ancora qui anziché essere già sulla via di casa sua? Ha smesso di nevicare da un pezzo, ormai >>.
<< Gli spazzaneve stanno facendo il possibile per rendere le strade agibili >>.
<< Mi permetta di andare su con un gatto delle nevi, allora >>.
<< Capitano, io non posso permetterle di andare da solo dalla Abbott, non dopo quanto è venuto fuori su di lei >>.
<< Il mio amico potrebbe essere lì in trappola! >>.
<< Mi spiace doverglielo dire, ma se le cose stanno davvero così è più probabile che sia già stato sepolto da qualche parte >>.
John stringe forte i pugni e cerca di mantenere la calma. La mano di Mycroft si posa sulla sua spalla e si stupisce dell’effetto calmante che riesce ad avere quel semplice gesto. Mycroft non dice nulla. Si milita a stringergli appena la spalla prima di ritirare la mano. Il telefono suona e l’ispettore non lo lascia arrivare al secondo squillo. Borbotta qualche monosillabo prima di riagganciare.
<< Gli spazzaneve sono arrivati adesso dove l’auto di Holmes è stata ritrovata. Stimano di essere dalla Abbott in tre ore >>.
John porta la mano al viso sconsolato. Tre ore. Altre fottutissime tre ore. Annuisce impotente e si allontana dal gruppo senza dire una parola. Si siede ad una delle poltrone poste davanti al camino nella sala d’attesa della stazione di polizia.
Osserva le fiamme danzare proprio come aveva fatto quella domenica mattina. Spostava lo sguardo a intervalli quasi regolari dalle fiamme al consulente piacevolmente addormentato sul divano. Gli aveva steso addosso una coperta nella quale lui si era imbozzolato. Aveva un sorriso sereno sul viso e dormiva come non lo aveva mai visto fare in questo lungo anno di connivenza.
C’era una nota d’orgoglio nell’animo di John per essere stato l’artefice di tale stato di beatitudine. C’era, però, anche una fetta più grossa di senso di responsabilità per quella felicità. Avrebbe dovuto reggerne il peso, prodigarsi per mantenerla e soprattutto darsi il permesso di viverla a sua volta. Troppe cose tutte insieme e tutte fantastiche. No, non potevano essere davvero per lui. Sarebbe stato un idillio che si sarebbe spento, come tante altre volte gli era accaduto. Solo che questa volta non voleva neppure provarci, perché la persona che in quel momento stava dormendo beata non era come tutte le altre. Tanto intelligente quanto fragile e lui non voleva rischiare di distruggere tutto dopo tempo con una qualche scappatella o con la solita battuta sbagliata o comportamento opinabile. Tanto valeva distruggerla subito.
Quando lo ha sentito borbottare nel sonno, annusando l’imminente risveglio si è alzato in piedi ed è rimasto fermo a guardarlo. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, accarezzargli i capelli e il viso e posare un bacio su quelle labbra che aveva tormentato con piacere. Invece si è visto bene dal fare qualunque cosa. E’ rimasto immobile, i pugni stretti, e quando gli occhi di lui si sono aperti e hanno incontrato i suoi, quando gli ha regalato quel bellissimo sorriso sereno ha sinceramente vacillato. Quel ‘ti amo’ sospirato gli ha invaso la mente, stretto lo stomaco e scosso il corpo con brividi di paura.
“E’ troppo per me. Troppo”.
Sherlock ha subito notato il suo atteggiamento. Si è messo a sedere avvolgendosi nella coperta, come se all’improvviso si fosse sentito in imbarazzo. Non c’era più traccia del sorriso né dell’espressione di beatitudine sul suo viso.
“Ecco. Ho distrutto qualcosa di bello” ha pensato John, prima di aprire quella maledetta bocca e dare voce al discorso più insensato, inutile e doloroso che abbia mai fatto. Ogni volta che ha alzato gli occhi a incontrare i suoi ne ha visto il volto sempre più stupito, incredulo. Ogni volta è stata una pugnalata al cuore e, benchè si chiedesse perché stesse facendo tutto questo, non è riuscito a smettere. Avrebbe potuto più volte uscirsene con una battuta e far finta di averlo voluto prendere in giro. Lui gliene avrebbe dette di tutti i colori, ma avrebbero potuto far finta di bisticciare per un po’ e concludere il battibecco con del gran bel sesso mattutino. Invece no. E’ andato avanti, John, nonostante il suo silenzio, nonostante avrebbe voluto chiedergli di dire qualcosa. Ed è stato devastante quando, finalmente, Sherlock qualcosa ha detto.
<< Sono stato solo l’ennesima tacca sulla cintura, quindi. Va bene. Va bene così >> ha sussurrato per poi alzarsi avvolto dalla coperta e chiudersi in bagno. John è rimasto per ore ad aspettare che uscisse da lì. Ore scandite dal doccino attivo della vasca. L’acqua calda doveva essere finita da un pezzo, eppure lui non è sembrato volerne sapere di uscire da sotto il getto.
John non ha retto. E’ salito in camera, ha indossato i primi abiti che gli sono capitati sotto tiro ed è uscito nella fredda domenica mattina novembrina. Quando è tornato, Sherlock non era in casa. Da allora non l’ha più visto. Le ultime cose che gli restano di lui sono quella frase e la sua uscita di scena.
Il dottore passa le mani sul volto stanco. Non avrebbe dovuto permettere che quella serata avesse luogo. Quando Bryan ha iniziato a fare lo scemo con Sherlock avrebbe dovuto prendere le parti del suo amico e porre un freno alla sfacciataggine del suo ex commilitone. Invece non ha fatto nulla. E’ rimasto lì a guardare, mentre Bryan trascinava fuori a forza Sherlock dal 221B, limitandosi ad alzare gli occhi al cielo e sbuffare. Questo perché, infondo, gli piaceva l’idea di avere anche Sherlock ad una delle loro serate al pub, benchè sapesse quanto questi si sarebbe sentito come un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente. Il desiderio di vederlo in un luogo comune a compiere azioni comuni come quella di bere una birra, ascoltare musica, chiacchierare è stato più forte del buonsenso.
Ho tentato di cavar sangue da una rapa” pensa e gli tornano alla mente gli sguardi confusi che gli ha lanciato Sherlock, il disagio così ben impresso sul suo viso. Quando lo ha visto bere ha capito di aver combinato un vero e proprio guaio a non permettergli di restare a casa, così come lui avrebbe voluto.
<< John, mi sa che è meglio se lo porti via da qui e alla svelta >> gli ha detto Greg dandogli di gomito, quando lo ha visto scrollarsi di dosso in malo modo Bryan che si stava prendendo fin troppe libertà.
<< Se, allora, non c’è nulla tra voi non avrai niente in contrario se ci provo >> gli aveva detto l’ex soldato pochi minuti dopo aver conosciuto Sherlock. Gli si è stretto lo stomaco all’idea che qualcuno, soprattutto uno come Bryan, potesse avere l’intenzione di provarci col suo coinquilino. Eppure non si è opposto adducendo un suo interesse nei confronti del consulente.
“E guarda a cosa siamo arrivati, per aver cercato di proteggere non so neppure più cosa” sospira, sporgendosi verso il camino. L’ondata di calore gli ustiona la pelle.
<< Ti brucerò il cuore >> aveva detto Moriarty a Sherlock. John non può fare a meno di ridacchiare pensando che il Napoleone del crimine non si è dovuto neppure sporcare le mani. Ci ha pensato lui, il blogger senza il quale il consulente investigativo sarebbe perduto, a bruciargli il cuore.  
Qualcuno tossicchia alle sue spalle. John si volta appena e trova Mycroft in piedi al suo fianco, una tazza di the tra le mani.
<< Ho pensato che qualcosa di caldo ti avrebbe fatto bene >> gli dice porgendogliela.
<< Ti ringrazio >> risponde, prendendo la tazza dalle mani di lui. E’ piacevolmente calda al punto giusto, nè troppo rovente né fastidiosamente tiepida. John la porta alle labbra e ne prende un sorso trovandolo davvero delizioso.
<< Mio fratello ci mette talmente tanto zucchero da renderlo imbevibile. Vedo che tu, invece, ne apprezzi l’aroma naturale, come me >> dice prendendo posto alla poltrona libera al suo fianco. << Non lo hai ucciso tu, John >>.
<< Non è morto, Mycroft. Io sento… sì, lo sento. È ancora vivo, Mycroft. Uno come lui non lo si uccide tanto facilmente >>.
<< Ti disperi come se lo fosse. E ribadisco che non sei stato tu >>.
<< Come puoi non avercela con me? Greg mi ha voltato le spalle quando gli ho raccontato cos’era successo, prendendo le sue parti. Tu, invece, mi porti addirittura il the ed è di tuo fratello che stiamo parlando >>.
Mycroft prende un lungo sorso restando in silenzio, lo sguardo alle fiamme che danzano allegre.
<< Appurato quanto tu sia stato più una rovina che una benedizione per lui, cos’altro dovrei fare? >> ribatte facendo spallucce. << Come ti ho già detto, ciò che è successo tra voi non è affar mio. Ogni tipo di coinvolgimento non è affar mio. Che colpa avresti tu se non quella di esserti comportato come la maggior parte degli uomini? Certo, avrei sperato non andasse così e, ovviamente, soprattutto Sherlock lo sperava. Ma, detto tra noi, John, quanto sarebbe potuta durare? Lui ha un carattere impossibile e la tua smisurata pazienza sarebbe giunta a conclusione. È più facile perderla quando i rapporti si fanno più intimi. Sarebbe logico il contrario, ma pare che non sia affatto così. Lo avresti tradito, prima o poi, e lui lo avrebbe scoperto e sarebbe finita molto peggio. Penso, quindi, che la tua decisione sia stata la più sensata. Dolorosa, non lo metto in dubbio, e per entrambe le parti, ma sensata >>.
Sentire Mycroft mettere a parole la giustificazione che si è dato per farsi coraggio e dare voce a quell’assurdo discorso lascia John senza parole. Non ha mai pensato al futuro di una relazione. Si è sempre solo buttato a capofitto, prendendo ciò che c’era da prendere. Più che lasciare è stato lasciato e, se proprio deve dirla tutta, lui l’avrebbe scritto in modo diverso il finale di una loro possibile relazione. Sarebbe stato lui ad essere lasciato anche questa volta. Per noia, per assenza di stimoli, per disinteresse una volta diventato una scontata routine. Sì, di questo ne è convinto, solo non riesce a metterlo a parole. A cosa servirebbe ribattere se non a fare la figura di colui che vuole giocare alla vittima dopo aver voluto ad ogni costo vestire i panni del carnefice?
“Mi accontenterò, allora, di riportarlo a casa sano e salvo. Da lì, poi, si vedrà” sospira mandando giù dell’altro the. Passeranno anche queste tre ore. Passeranno e andranno in quella casa degli orrori e lì lo troveranno. Ne è più che sicuro. E sarà vivo. Sì, non potrà che essere così. Vuole che sia così.
 
***
 
La porta si apre e la luce gli ferisce gli occhi ancora una volta. L’ultima. Dal basso della sua condizione disperata Sherlock può vedere Mary ergersi in tutta la sua possente stazza. Lo sguardo spietato, la bocca una pallida linea netta. Non dice nulla. Sta ferma lì, una mano alla porta e l’altra lungo il fianco.
Anche Sherlock non dice nulla. Cosa mai ci potrebbe essere da dire? Non c’è traccia della Mary bambina in quella statua grezza che lo guarda severa.
Lo afferra per un braccio e lo trascina fuori dallo stanzino e poi giù per le scale. Sherlock cerca di non lasciarsi sfuggire neppure un lamento. Non vuole che si infuri con lui rendendo quanto sta per accadere ancora più doloroso.
Mary apre la porta d’ingresso e lo trascina fuori casa. Il freddo lo avvolge trafiggendogli la carne come mille spilli. Sherlock inizia a tremare come una foglia e a battere i denti. Sorda dei lamenti che involontariamente il consulente produce, Mary lo solleva da terra e lo getta con nessuna grazia dentro il furgone. Resta immobile e imbambolata con la mano aggrappata alla maniglia del portellone.
“Forse ho ancora una speranza” pensa guardando quella statua di carne. “Forse Mary bambina prenderà il sopravvento e mi porterà da Hataway, come le avevo proposto” spera con tutto se stesso.
La donna si ridesta e con gesti veloci si sposta alla portiera del lato passeggeri e sembra cercare qualcosa all’interno dell’abitacolo. Gli lancia una coperta e senza degnarlo di uno sguardo chiude la portiera laterale.
“Mi spiace dirtelo, ma credo che la tua amichetta abbia ottenuto solo questa coperta dalla tua aguzzina” gli dice Moriarty comparendo seduto contro il portellone. Sherlock ignora la sua ironia e, con movimenti resi meno sicuri e più lenti dal tremore, si avvolge in quel rettangolo di lana lavorata ai ferri. Ha il profumo della lagna bruciata e un retrogusto di lavanda, proprio come quella del camino. Il leggero tepore lo aiuta a sedare i brividi, benchè a intervalli quasi regolari questi tornino a scuoterlo da capo a piedi. Si accoccola in posizione fetale proprio come aveva fatto quella domenica mattina, quando aveva sentito il dolce peso della coperta posarsi su di lui.
 “Ci speri, di la verità” ridacchia James.
<< In cosa? >>.
“Che lui corra a salvarti. La damigella in pericolo tratta in salvo dal suo baldo principe azzurro”.
Sherlock ci pensa su qualche istante. Sì, forse una parte di lui spera di essere salvato. È un essere umano, dopo tutto. Sente, però, di essere avvolto da un pesante velo di menefreghismo. Non gli importa. Vivere, morire. Essere salvato o meno. Non gli importa.
“Davvero?”.
<< Sì >> risponde convinto. << Troppo a lungo ho lottato contro la noia e l’idiozia della gente. Forse è giusto così >>.
“’Morto durante un’indagine. Vittima a sua volta del pazzo seriale a cui stava dando la caccia’. Sì, non sono male come titoli altisonanti di testate giornalistiche importanti” constata James. “Dimmi, però, se le cose fossero andate diversamente col tuo dottorino, ti saresti lasciato andare così?”.
Il Napoleone del crimine, o meglio la versione di lui che vive nel suo Mind Palace, gli ha posto una domanda scomoda che lo lascia senza parole.
“Io credo”, continua questo avvicinandosi a lui, “che se John, quella domenica mattina, anziché con quel discorso incoerente e svilente avesse accolto il tuo risveglio con un bacio e tante dolci coccole ti saresti prodigato fin dall’inizio per cercare di tornare da lui sano e salvo. Non saresti di certo qui, così inerme e avvilito, pronto a morire per ‘amore’”.
Sherlock non riesce a ribattere alla sua cruda verità. Lo stomaco gli si contrae rimandandogli un sapore acido in bocca. Sapore che gli ricorda di come abbia vomitato, e parecchio anche, quella domenica mattina. Si era chiuso in bagno, aveva aperto il doccino della vasca e si era lasciato sopraffare dai conati. Forse sarebbe finito comunque col vomitare l’anima, anche John si fosse comportato in modo diverso. Aveva bevuto decisamente troppo, cosa a lui poco avvezza. Era stato, però, ancora più umiliante abbracciare la tazza dando fondo ai succhi gastrici dopo quelle parole.
<< Ci siamo fatti prendere un po’ la mano, Sherlock >> aveva esordito John serio e distante. << Eravamo entrambi ubriachi e… può succedere. Sì, direi che può succedere >> aveva arricciato il naso in quel modo che ha sempre trovato buffo, ma che in quel momento non lo era per niente. << Penso sia meglio che resti un fatto isolato da non ripetere. Penso sia meglio per entrambi >> aveva concluso umettando le labbra.
“E tu, invece, ti aspettavi dichiarazioni d’amore eterno e tanto altro tenero sesso” scuote il capo Moriarty.
<< E perché non avrei dovuto? >> ribatte mostrando finalmente un moto di reazione.
“Mio caro, non sto dicendo che non avresti dovuto. Hai sbagliato i tempi, come sempre” gli fa notare James. “Insomma, lo sai di chi stiamo parlando, dai! Cristo, gli hai detto di amarlo. Uno come John scappa di fronte a simili dichiarazioni perché non si sente all’altezza. Sa di non valere nulla, di essere solo la spalla comica del grande consulente investigativo! Il suo compito, infondo, è quello di scrivere di te, delle tue gesta. Il narratore è ben poco considerato, sai? Tutte le attenzioni sono concentrate sul protagonista e tu sei il tipo di persona che in attenzioni simili ci sguazza”.
Sherlock preme forte le mani sulle orecchie. Non vuole sentire queste parole. Questa verità terribile. Non può pensare di essere altro se non vittima di quanto è accaduto. Vuole dare a John tutte le colpe e tenere per sé le ragioni.
Il furgone si ferma all’improvviso. Mary scende sbattendo la portiera. Sente i suoi passi pesanti attutiti dalla neve fare il giro del furgone ed aprire il portellone. Sherlock si stringe ancor di più nella coperta calata sul viso. Le mani enormi di lei lo afferrano e non oppone alcuna resistenza mentre lo tira fuori dal furgone. Lo tiene tra le braccia e lui ne intravede appena il viso serio, concentrato. Si ferma poi e resta imbambolata per un lungo istante. Il vento è forte e fa danzare la coperta. Sherlock trema e batte i denti.
“E’ terribile” pensa punto da mille spilli gelidi.
All’improvviso il sostegno delle braccia forti di Mary viene meno e Sherlock precipita. Grida colto di sorpresa e impatta subito con la superficie fredda e dura della fossa.
I passi pesanti attutiti dalla neve si allontanano. Una portiera viene aperta e poi richiusa. Il motore parte e il furgone si allontana.
 
   
 
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