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Autore: ShipHeatRook    08/01/2019    0 recensioni
Guarda, Izuku. Le mie fiamme bruciarono per te quando decisi di rompere la mia promessa al Festival Sportivo e accettare la mia identità.
Non hanno mai smesso di bruciare per te. Alimentate da amore, gioia, passione e determinazione, sei la ragione per cui non mi sono mai dato per vinto in una vita che non sento mia.
Ti prego, non distruggere questo equilibrio salmastro, formato dalle mie lacrime saline e dal tuo sguardo così dolce.
Non potrò mai essere felice senza di te.
Perderti, tuttavia, mi ucciderebbe.
Genere: Angst, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Izuku Midoriya, Shouto Todoroki
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
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Cadde rovinosamente al suolo, ferendosi l’avambraccio sinistro. Vide un taglio emergere dal punto in cui l’asfalto ruvido gli aveva strappato la veste di Pro Hero e imprecò sottovoce: quel villain si stava rivelando un osso duro, e se gli altri suoi colleghi in città non si fossero dati una mossa, il bestione avrebbe finito per distruggere edifici e mietere chissà quante vittime.

 

Si passò una mano sulla guancia, appena sotto la sua cicatrice storica, e la ritrasse pulita: bruciava, ma almeno era riuscito a limitare i danni dandosi un’ultima spinta finale con una colonna di ghiaccio; i riflessi veloci lo avevano salvato più volte in ormai quindici anni.

Un villain alto circa due metri e venti, con una muscolatura impressionante e un quirk mai visto prima: poteri psichici, aveva ipotizzato l’eroe dopo un’ora di combattimento, in grado di generare onde d’urto di potenza spaventosa.

 

Si rialzò in piedi prima che il nemico potesse centrarlo con un lampione estirpato dal cemento con la stessa facilità con la quale si tolgono le candeline sulla torta di compleanno: produsse una sentiero di ghiaccio con l’idea di raggiungerlo in pochi secondi mentre questo aveva le mani occupate. Il villain, purtroppo, aveva una capacità di reazione molto veloce, e respinse ugualmente l’attacco dell’uomo, che andò a formare una T, mancandolo: l’eroe diviso a metà aveva predetto questa azione, per cui fece seguire rapidamente un anello di fuoco che andò circondando il suo bersaglio. Per un momento, ebbe in pugno il gigante, il quale si guardò intorno confuso: ma, quando vide il fuoco da lui evocato tornare indietro, il suo primo istinto fu quello di schivarlo gettandosi di lato, lasciando che colpisse un’auto di qualche civile, la quale esplose quasi immediatamente, mandandolo definitivamente al tappeto.

 

Non ci vedeva quasi più: gli girava la testa e la visione appariva sfocata per la violenza con la quale aveva battuto la testa. Riusciva a malapena a pensare che il villain era a pochi metri da lui, che probabilmente lo avrebbe ridotto ad una simpatica omelette divisa a metà, che avrebbe dovuto alzarsi in fretta e reagire; ma le gambe non gli rispondevano, i suoi arti parevano essersi arresi prima di lui, insensibili per via dell'esplosione.

Costringendo i propri polmoni a respirare l'aria satura di fumo, riuscì ad inginocchiarsi sull'asfalto e, facendo leva con la mano sinistra, sollevò il braccio con il quirk polare in direzione del suo avversario: chiuse gli occhi, preparandosi ad affrontare il paradosso di Schrödinger in prima persona, a metà tra la vita e la morte, attendendo la risposta del ghiaccio o l'ultimo dolore che avrebbe segnato definitivamente la caduta del secondo eroe più potente del Giappone.

 

SMASH!

 

Sentì il vento sferzargli bruscamente il volto e riaprì gli occhi: guardandosi la mano destra, notò che non c'erano residui di ghiaccio, segno che non poteva essere stato lui a capovolgere la situazione. Quella voce…

Alzò lo sguardo, con gli occhi che brillavano come un opale ed un’acquamarina, solo per vedere il bestione sprofondare letteralmente nel cemento, colpito da un attacco aereo. Dapprima non riuscì a distinguere la sagoma del Pro Hero venuto in sui soccorso, ma quando riuscì a mettere a fuoco la sua visuale notò un inconfondibile ciuffo di capelli verdi e cespugliosi che incorniciavano un viso lentigginoso e il sorriso perenne che lo accompagnava.

 

“Oi, Shouto!”: appena toccò terra, l'altro corse subito verso l’eroe diviso a metà, porgendogli la mano guantata per aiutarlo a rialzarsi.

Shouto Todoroki si reggeva appena in piedi, le gambe gli tremavano e, svanita l'adrenalina del momento, iniziava a sentire dolori alle costole e alle ginocchia: guardandole d'istinto, fu sorpreso nel vedere che il costume, a quell'altezza, era diventato completamente rosso, una chiazza che andava espandendosi. Forse sarebbe stato il caso di recarsi in un ospedale per accertamenti prima di riprendere la ronda.

 

“Ehi, Deku. Era da un po’ che non ti si vedeva in giro”, Shouto sorrise, un sorriso dolce del tutto in contrasto con ambo i suoi quirk, riservato solo a chi lui teneva di più.

 

“Era da un po’ che non si vedevano villain in giro. Sono state due settimane stranamente tranquille, nulla di rilevante neanche negli altri distretti”.

 

Ne seguì un silenzio imbarazzante. È strano quanto poco si abbia da dire ad una persona che non si vede da tempo, contrariamente all’opinione comune: la situazione familiare, i propri dilemmi interiori e la noia costante degli ultimi tempi non sono argomenti che possono essere discussi a voce, ma piuttosto trasmessi, quasi come se le emozioni potessero penetrare per osmosi nella mente di chi amiamo, facendosi strada ed unendosi al fiume di pensieri che ancora non hanno una voce, né mai l'avranno, ma ciò non implica che non possano essere compresi.

 

Fu il verdino a rompere il relativo silenzio intorno a loro: “Uh, Todoroki…”, l'erede di Enji notò il cambio di riferimento, dal suo nome da Pro Hero - anche il suo nome reale - al suo cognome. Più volte Shouto si era reso conto che chiamarsi per cognome a vicenda, lui e Deku, aveva assunto un'accezione molto meno formale dell'uso dei propri nomi professionali, quasi come se il rispettivo cognome fosse diventato anche un soprannome.

 

“Ti andrebbe di prendere un po’ di ramen appena sistemata la situazione? Ho tanto da raccontarti”

 

“Io...forse è meglio che mi faccia prima controllare”, Shouto alzò l'avambraccio sinistro, che ancora sanguinava.

 

Deku annuì e probabilmente fece per ribattere, ma in quel momento i due eroi furono circondati da una folla di civili che aveva assistito alla scena.

 

“Deku! Il Simbolo della Pace è venuto a salvarci!”

“È lui! È l'erede di All Might, non c'è Pro Hero che lo eguagli!”

“Insieme ai villain è tornato anche il nostro eroe!”

Il ragazzo con le lentiggini fu letteralmente assalito dai giornalisti, i quali pendevano dalle sue labbra e si spintonavano a vicenda.

Uno di loro, in camicia formale nera e con una quantità impressionante di gelatina nei capelli, urtò Shouto nella foga, colpendolo al lato sinistro, quello ferito: il Pro Hero si destabilizzò quasi subito, avendo a malapena le forze per reggersi in piedi, finendo per cadere nuovamente al suolo, lasciandosi sfuggire un gemito.

Il giornalista si voltò, avendo udito un rumore sordo, fissando il ragazzo che giaceva a terra, cercando invano di rialzarsi, solo per perdere nuovamente l'equilibrio.

 

Shouto si aspettava una foto a tradimento per poter screditare il figlio di Endeavor, per mostrare a qualche movimento politico come gli eroi attuali non fossero più quelli di un tempo, oppure semplicemente per umiliarlo.

 

Un ghigno.

 

L'eroe non ricevette altro che un ghigno di scherno e un cenno della testa, prima che l'altro si voltasse in cerca di una parola, di un gesto del loro Simbolo della Pace.

 

Perché, quel giorno, l'essere ignorato fu peggiore di qualsiasi umiliazione lui avesse potuto immaginare.

 

Reagirò profondamente, scuotendo le gambe per rianimare la circolazione sanguigna: l'addestramento da eroe professionista gli aveva offerto anche conoscenze del genere.

Quirk? Provò a sentirsi la mano destra, che fu subito ricoperta da una leggera brina.

Quirk presente.

Non perdeva più sangue, né dal braccio né dal ginocchio: ora avrebbe potuto alzarsi senza soffrire troppo.

 

E così fece: Shouto Todoroki si rialzò sulle proprie gambe tremanti, senza che nessuno degli oltre mille civili presenti sul posto gli offrisse il proprio aiuto o gli chiedesse come stesse.

Era questo il risultato di essere un eroe? Essere schernito e considerato una nullità dalle persone che lui si impegnava a proteggere ogni giorno?

 

Shouto Todoroki si allontanò per le strade nel silenzio, paralizzante come il ghiaccio che tanto amava.

 

~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

 

Esalò lentamente, osservando la nuvola di fumo viaggiare con il vento senza mai dissiparsi: il clima freddo invernale intrappolava i veleni emessi dalla sua sigaretta e li lasciava quasi immobili, liberi di ricomporsi ma mai di sfuggire alle sue grinfie.

Shouto fumava molto raramente: un Pro Hero deve essere sempre al massimo delle proprie condizioni fisiche, motivo per cui il dipartimento di polizia locale incoraggiava gli aspiranti eroi a non bere, fumare o sviluppare ulteriori debolezze di alcun tipo.

Nonostante ciò, bisognava ammettere che era comodo possedere un quirk che poteva fungere anche da accendino, nel momento opportuno.

 

Amava salire sui tetti di uno dei palazzi della città - cosa resa più facile del dovuto dal fatto che l'edificio in questione fosse pressoché disabitato - e godersi la vista: le serate in cui si permetteva di rincasare dalla sua famiglia più tardi per osservare le mille luci di cui si animavano le vie a lui tanto familiari, osservare le auto notturne con i loro fari accesi che lottavano per una precedenza e ascoltare la musica provenire dai locali, quella fantastica musica che aveva il potere di attirare a sé chiunque si fermasse ad ascoltarla, come il canto delle sirene nell'Odissea.

E Shouto aveva più volte desiderato di poter essere trascinato via, come cenere nel vento, per tuffarsi in quello spettacolo di luci e suoni all'apparenza così distante da lui, una vita libera che non aveva posto per un Pro Hero del suo calibro.

 

“Sapevo che ti avrei trovato qui”.

 

Il ragazzo diviso a metà sobbalzò, voltandosi così di scatto che la sigaretta gli sfuggì dalle dita, planando verso il basso e giù nel buio del vicolo sottostante.

 

Izuku.

 

“Ehi, Midoriya. Mi è preso un colpo. Cosa ci fai qui? Non sei dalla tua famiglia o, che so, ad un raduno di fan del vecchio All Might?”: la risposta di Shouto arrivò alle orecchie dell'amico più fredda di quanto lui volesse; eppure, si rese presto conto che quelli erano i suoi veri sentimenti.

La rabbia era il motivo per cui se ne stava su quel tetto, al freddo; con una sigaretta che non avrebbe dovuto sfilare di nascosto dalla tasca di Red Riot; con il suo lato sinistro che emetteva un bagliore minaccioso, il suo quirk rinnegato così a lungo che, dopo anni, ancora non aveva imparato a domare, e che ancora si manifestava selvaggio quando le sue emozioni subivano uno sbalzo.

 

Il ragazzo lentigginoso sospirò e si sedette accanto al suo collega: “Prima di tutto, All Might non è ‘vecchio’: ci ha lasciati appena sette anni fa. Secondo, una volta mi hai detto che questo è il tuo posto preferito per riflettere quando i pensieri nella tua mente minacciano di straripare. È così da quando abbiamo iniziato a lavorare come Pro Hero, non l'ho certo dimenticato”.

 

“Non hai risposto alla mia terza domanda”, gli fece notare Shouto.

 

“Ossia?”

 

“Come mai tu non abbia di meglio da fare”

 

Deku abbassò lo sguardo, fissando anche lui il vicolo sotto i loro piedi, mostrando un sorriso triste, forzato.

 

“Perché credi che io sia troppo impegnato per vederti, Todoroki?”

 

“Sei il Simbolo della Pace, no? Forte e invincibile, non hai bisogno di nessuno al tuo fianco”

 

Fu forse quello il momento della vita di Shouto in cui lui trovò la difficoltà maggiore nel trattenere le lacrime. Tante volte aveva visto civili soccombere in altre parti della città perché non c'erano abbastanza Pro Hero per aiutarli tutti: lì aveva dovuto mostrarsi forte, nascondere la sua sofferenza e rappresentare un punto di riferimento per i familiari distrutti.

 

Gli eroi non piangono, né hanno paura.

 

Eppure, in quella semplice frase pronunciata all'amico, Shouto scoprì di non aver mai avuto così paura che la persona a cui teneva di più al mondo lo abbandonasse, cercasse una compagnia di sicuro migliore della propria, un eroe con cui collaborare che non cedesse per lo spintone di un civile e che non trovasse nel fumo la libertà dei propri pensieri.

 

Deku lasciò correre quell’affermazione. Conosceva il motivo della rabbia di Shouto, così come era consapevole di esserne la causa.

 

Non distolse lo sguardo dal basso, evitando il contatto visivo: “Sono venuto qui per scusarmi”.

 

Shouto vacillò, voltandosi per incontrare occhi color smeraldo che guardavano fissi nel vuoto.

 

“Scusarti di cosa?”

 

Il Simbolo della Pace fece risuonare una risata forzata, senza che il suo sguardo si muovesse di un millimetro, nonostante avvertisse quello del figlio di Endeavor su di sé.

 

“Avrei voluto essere io”

 

“Non ti seguo, Midoriya”

 

“La persona a tenderti una mano per farti rialzare dall'asfalto. Avrei voluto essere io”

 

Pronunciò le ultime parole lentamente, soffermandosi dopo ognuna per essere sicuro di non farsi sfuggire un singhiozzo o che la sua voce mutasse di timbro. Finalmente, volse i suoi smeraldi in direzione del compagno, incrociando la sua nocciola e la sua acquamarina: avrebbe giurato che brillassero nell'oscurità, che nel buio più cupo di quel tetto lui fosse ancora in grado di distinguere le scintille negli occhi del secondo Pro Hero più forte della città.

 

“Midoriya…”: Shouto era incerto su come rispondere. Fino a quel momento aveva creduto che Deku non avesse neanche notato ciò che era successo con quel giornalista, men che meno che gli avesse dato un qualche peso.

 

“Ti ho visto crollare una seconda volta, ed anche allora non ho potuto far niente per aiutarti. Ti ho chiamato più volte, sgolandomi, ma credo tu non mi abbia sentito per lo schiamazzo generale dei civili. Non volevo essere la causa per cui la folla ti ignorava, né volevo lasciare che tu te ne andassi con l'amaro in bocca”.

Deku aveva preso a parlare senza mai fermarsi, dando sfogo a qualsiasi pensiero passeggero attraversasse la sua mente: sapeva che, se avesse iniziato a filtrarli, avrebbe finito per dare al silenzio la voce dei suoi pensieri.

 

“Non credevo fosse così importante, per te. I Pro Hero collaborano tra loro per sconfiggere i villain: non ci saresti riuscito in tempo se avessi pensato a soccorrermi”: Shouto aveva intuito dove volesse arrivare Deku, ma lasciò a se stesso il beneficio del dubbio ancora per qualche istante.

 

“Tu non sei un semplice collega per me, Shouto!”

 

Il verdino urlò quest'ultima frase, che risuonò nelle vie vicine per pochi istanti prima di perdersi nello spazio. La gentilezza con la quale la dichiarazione si propagò nelle strade si oppose alla violenza con la quale colpì Shouto, il quale rimase con tanto d'occhi e la bocca semiaperta, fissando il suo amico, aspettando che proseguisse.

 

“Sei molto di più. Lo sei sempre stato, fin dai tempi della U.A., quando il festival sportivo era la nostra preoccupazione più grande insieme all’evitare che Mineta fosse accusato di molestie sessuali. Ed io, allora, lasciavo che il mio quirk acquisito parlasse per me, incoraggiandoti e supportandoti, ma avvertivo che non era abbastanza per starti davvero accanto come avrei voluto. Da Pro Hero ho sposato Uraraka Ochaco perché pensavo che fosse lei la chiave per la mia felicità, credevo fosse la cosa giusta da fare, passare la mia vita con una persona che mi ama, dimenticandomi di quanto codardo sono stato a non dirti mai ciò che provavo...non fino ad adesso, certo”.

 

Era finito: il tormento durato anni, che aveva costretto il Simbolo della Pace a mordersi la lingua o a chiudere ambo gli occhi pur di non far trapelare nulla dei suoi veri sentimenti era ormai giunto al termine con una catarsi forzata e rapidissima, che lo lasciò immediatamente con gli occhi umidi di lacrime.

 

“Per metà della mia vita, fin da quando avevo quattro anni, ho creduto che i veri eroi fossero coloro che non indossavano una maschera. Il mio ideale era proteggere i miei cari e dimostrare a tutti voi che volevo qualcosa, che il mio animo era tanto determinato quanto forte, e All Might rafforzò la mia teoria che chiunque poteva essere un eroe. Fino a dopo sposato, non mi sono mai reso conto del particolare più importante: cosa ne è degli eroi che quella maschera la indossano, Shouto? Cosa ne è di noi, che dobbiamo sorridere nonostante ci sia una tragedia in atto, essere sempre pronti e divulgare la nostra vita privata ai media per venire ritratti in stupide action figure o in qualche rivista?”

 

“È il nostro compromesso, Deku”, Shouto rispose a tono all'amico, che aveva ormai preso a chiamarlo con il suo nome da eroe, “Salviamo vite altrui dimenticandoci della nostra. Ci lanciamo in una mischia sperando di uscirne vittoriosi, di non fare la stessa fine di Best Jeanist anni fa. Insieme al mio fuoco, bruciano anche i miei ideali di famiglia, futuro e debolezza, metto in gioco qualsiasi cosa pur di regalare un'altra giornata di sole a perfetti sconosciuti. Esporre le nostre vite, sbandierarle ai quattro venti, può essere un giusto pagamento “.

 

Mentre Shouto stava finendo di parlare, Deku si era già alzato in piedi, portandosi le mani sul viso e facendo qualche passo sul tetto, allontanandosi dal bordo.

 

“Tu non capisci! Vederti oggi privo di forze mi ha aperto gli occhi. Stiamo lottando per qualcosa che neanche esiste, illudendo la nostra gente con una versione di noi stessi che è frutto della loro fantasia. Non siamo invincibili, Shouto! Siamo esseri umani dei quali nulla viene apprezzato se non ciò che è utile ad altri”.

 

“Stai iniziando a parlare come Stain, Deku. All Might diceva sempre che il suo più grande rammarico era stato il non aver potuto salvare ogni singolo civile. Non possiamo pretendere di salvare noi stessi prima degli altri, sarebbe egoista, il mondo non ha bisogno di Pro Hero che badano prima a loro stessi e poi al benessere del popolo”.

 

Deku si bloccò sul posto, fissando le spalle di Shouto. Spalle larghe ma non troppo, che aveva abbracciato più volte, sentendo il profumo di zucchero misto a legna dei boschi proveniente forse dai suoi quirk, ma che lo contraddistingueva in ogni caso.  

Non aveva mai smesso di voltarsi, per strada, ogni volta che gli sembrava di sentire quell'odore, sperando di distinguere una scintilla o un soffio di vento gelido che gli segnalasse la presenza del compagno: solo per essere deluso quando i suoi occhi si posavano invece sugli stessi palazzi spogli e sul cielo di un monotono azzurro, tanto bello quanto deludente rispetto alle aspettative dell'eroe.

 

“Se non posso salvare tutti, io avrei voluto salvare almeno te”.

 

“Ti ho già detto che non ne sarei-”

 

“Ti amo, Shouto”

 

Il figlio di Endeavor sentì il sangue gelarsi nelle proprie vene, stavolta non per colpa del suo quirk. Deku...Deku lo amava? No, non era possibile, avrebbe notato i suoi sentimenti molto prima, avrebbe fatto caso a come egli si poneva con lui, non avrebbe mai sposato Ochaco, non…

 

Eppure, tutto aveva un senso così logico.

 

Cosa avrebbe dovuto rispondere? Era chiaro, lo sapeva ormai da troppi anni: anche lui amava Deku, il Simbolo della Pace...no, lui amava Izuku Midoriya, la vera identità del ragazzo in piedi dietro di lui.

Non c'era stella che avrebbe potuto dargli più luce delle parole di Izuku quando lo spronava a dare il meglio di sé: rendeva il lavoro di Pro Hero gratificante, una volta tanto.

 

Ma tutto ciò era troppo, per lui.

Le fiamme ripresero a bruciare.

 

“Tu...tu cosa, Deku?”

 

Si voltò di scatto alzandosi, un fulmine che avanzava minaccioso verso il ragazzo dai capelli verdi, il quale invece arretrò confuso, ignaro di cosa avesse potuto scatenare l'ira di Shouto.

 

“So che non è il momento migliore per dirtelo, ma-”

 

Shouto non gli lasciò finire la frase: “Prima? Pensi che sarebbe cambiato qualcosa? Dimmi, Deku, credi che il mondo giri intorno a te perché adesso sei il Simbolo della Pace?”

 

“Todoroki, cosa ti prende tutto ad un tratto? Non capisco-”

 

“Ah, no? Vieni in mio soccorso abbattendo il villain di turno dopo essere letteralmente sparito per settimane, nonostante sia io che Red Riot abbiamo cercato di avere tue notizie, ma non ci sei mai stato, non per noi. Sorridi mentre combatti, mentre la folla ti accerchia e ti acclama, come se per te non contasse altro che il tuo sorriso”

 

“Ti ho detto che avrei voluto-”

 

“LASCIAMI FINIRE!”: Shouto urlò infuriato e il suo quirk rispose, le fiamme comparvero sul lato sinistro del suo corpo e lo lambirono avidamente, gettando un bagliore sinistro sul tetto e una scintilla di pericolo negli occhi del ragazzo che aveva di fronte.

 

Deku obbedì.

 

“Invadi l'unico momento di tranquillità che mi concedo di rado dal mio lavoro soffocante per farneticare ideali che tanto somigliano a quelli dello scomparso Stain, mandandomi in confusione, dopodiché decidi che rivelare la tua presunta attrazione per me quando hai una moglie e un bambino di tre anni sia la cosa migliore”

 

Nessuno dei due poteva negarlo. Deku aveva sposato Uraraka Ochaco, nota al pubblico come la Pro Hero Uravity, cinque anni addietro, avendo da lei un figlio, il quale era prossimo a manifestare il proprio quirk.

Anche Todoroki era andato avanti con la sua vita, sebbene non potesse reprimere che i sentimenti provati per Deku al liceo fossero davvero frutto di amore puro.

 

Guarda, Izuku. Le mie fiamme bruciarono per te quando decisi di rompere la mia promessa al Festival Sportivo e accettare la mia identità.

 

Non hanno mai smesso di bruciare per te. Alimentate da amore, gioia, passione e determinazione, sei la ragione per cui non mi sono mai dato per vinto in una vita che non sento mia.

 

Ti prego, non distruggere questo equilibrio salmastro, formato dalle mie lacrime saline e dal tuo sguardo così dolce.

 

Non potrò mai essere felice senza di te.

Perderti, tuttavia, mi ucciderebbe.

 

Shouto non sapeva come esprimere ciò che sentiva: in realtà, non c’era mai riuscito. Quando ancora viveva con sua madre e la sua famiglia si riuniva a tavola, lui era l'unico silente, a stento si udiva il rumore del cucchiaio di metallo che urtava contro la scodella di ceramica.

Sua madre aveva sempre supposto fosse perché odiasse sedere a mensa con Enji: se in parte era vero che il risentimento verso suo padre non era mai sparito del tutto, il ragazzo era molto introverso di natura, non sentiva il bisogno di fare conversazione o di guardare i membri della sua famiglia negli occhi. Al termine del pasto si alzava, ringraziava - ed era spesso l'unica parola che spiccicava - e portava la scodella al lavabo.

 

“Ti sei mai fermato a riflettere su ciò che avrei potuto provare io, Deku? Perché su una cosa hai ragione: la vita da Pro Hero è tra le peggiori di questo mondo”

 

Inspirò profondamente: sentiva come se stesse aprendo una gabbia rimasta sigillata nei recessi della sua mente. C'era il rischio che qualsiasi cosa fosse imprigionata dentro esplodesse, come il quirk di un certo ragazzo rozzo di loro conoscenza.

 

Shouto non voleva piangere.

I Pro Hero non piangono.

 

“Ogni volta, fin dai tempi della U.A., sei stato tu a spronarmi. Non gli insegnanti, la mia famiglia o le persone che riuscivo a salvare, ma tu. Come erede di Endeavor dovrei essere scettico riguardo il Simbolo della Pace, eppure non riuscivo a fare a meno di lasciarmi contagiare dalla tua allegria, dalla tua decisa naturalezza con la quale abbattevi i villain. E il tuo sorriso, Deku: se quello di All Might rassicurava il popolo, il tuo si propaga come un’onda, ed in breve tempo tutti noi eroi troviamo la forza di sorridere. Ma questo”, Shouto esitò, il tono della sua voce calò di un’ottava e la sua espressione si indurì.

 

“Questo non giustifica che tu dia per scontato il benessere altrui. Non sai quanto volevo, alla fine di ogni lotta amichevole alla U.A., salire sugli spalti e abbracciarti, dirti che era solo merito tuo se avevo dato tutto me stesso. E non sai quanto io sia stato male quando hai sposato Ochaco, quante notti insonni trascorrevo rigirandomi e piangendo, pensando a te tra le braccia di quella ragazza così dolce. Non conosci la sensazione che provo ogni volta che, a letto con mia moglie, devo mordermi il labbro a sangue per non urlare il tuo nome”.

 

Si interruppe, guardando con aria di sfida il verdino, il quale sembrava essere stato vittima del suo quirk talmente era immobile, come una statua di ghiaccio.

 

“Quindi non credere che adesso tu possa venire qui a farmi la ramanzina perché non filosofeggio sul destino dei Pro Hero. Bisogna distinguere la realtà dalla fantasia, qualcosa che voi possessori di One for All avete sempre rinnegato”.

 

Le fiamme si spensero, trasfigurandosi in un sottile fumo grigio appena visibile.

 

E fu anche quello spettacolo di luci a mutare, diventando il loro pubblico inanimato.

E furono le melodie provenienti dalle strade a distorcersi, diventando il lugubre inno della loro disfatta.

E fu la sua persona a smuoversi, facendo un passo in avanti verso il ragazzo dalle iridi color smeraldo.

Shouto avrebbe voluto baciarlo. Dopo il suo impeto che, come le sue fiamme, aveva lasciato il posto ad una sensazione di vuoto incolmabile, Shouto avrebbe voluto abbandonarsi a ciò che realmente desiderava piuttosto che continuare a vivere da schiavo di se stesso.

 

Si fermò per un attimo, studiando la reazione dell'eroe numero uno che però non arrivò mai, soppressa dallo stato di shock in cui ancora giaceva.

Iniziò ad incamminarsi, dandogli le spalle, dirigendosi verso la pesante scala di marmo che lo avrebbe condotto al piano terra.

 

“Todoroki”

 

Una voce tremante lo richiamò dalle sue azioni.

 

“Cosa, Deku?”: Shouto si rifiutò di ricambiare il soprannome.

 

“Scappiamo. Andiamo via da questa città, proviamo a vivere una vita normale. Ci sono tanti altri Pro Hero, qui”.

 

Shouto fu sorpreso da quella affermazione, ma non si scompose. Era evidente che Deku avesse qualcosa che non andava.

 

“Tu sei pazzo, Deku. Completamente fuori di testa”.

 

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

Togliersi la giacca dell'uniforme da Pro Hero era diventato un gesto tanto monotono quanto scoraggiante, per l'eroe. Non avrebbe saputo dire se preferisse restare per sempre a combattere i villain o passare del tempo con la sua famiglia: entrambe le prospettive sembravano ora così artificiali…

Il discorso di Deku gli risuonava nel cervello, martellando, portandolo a voler urlare pur di liberarsene: aveva più un senso tornare a casa, da una moglie che non avrebbe mai potuto amare veramente e da…

 

“Papà! Sei tornato!”

 

Una bambina saltellante gli corse incontro fino all'uscio, saltandogli addosso e ridendo di cuore. Shouto sorrise dolcemente e le passò una mano tra i capelli d'ebano dove intravede dei piccoli ciuffi bianchi, soffici stelle sul manto notturno.

 

“Ehi, piccolina. Come mai ancora sveglia?”

 

“Mamma è già andata a dormire e voleva che venissi con lei. Ma volevo farti vedere una cosa, l'ho fatta per te”

 

Le luci della casa erano quasi tutte spente, eccetto un piccolo lume da tavolo che ancora riscaldava l'atmosfera invernale, acceso probabilmente dalla bambina mentre aspettava che suo padre rincasasse.

Era bellissima, sua figlia: aveva ereditato tutti i lineamenti delicati da sua madre, compresi i capelli neri e vaporosi, ma aveva occhi azzurri che appartenevano immancabilmente a Shouto.

Il suo quirk, manifestatosi due anni prima, era invece una combinazione tra quelli dei suoi genitori: Half Cold - Half Hot e Creation.

 

Shouto si perse per un momento ad osservare il salone di casa sua, con gli scaffali pieni di libri e la televisione quasi sempre spenta, poggiata su un mobile invaso dai giocattoli della piccola.

 

“Guarda, papà! Ti piace?”

 

La voce squillante lo riportò alla realtà: scosse la testa per scacciare la voce insistente dell'uomo che amava; solo allora si accorse che la bambina teneva tra le mani una piccola scultura di ghiaccio.

 

“Lo hai fatto tu? Che cos'è?”

 

“È un cigno. È il cigno che abbiamo visto questa estate al parco, quello che ha inseguito il signor Kaminari perché mangiava le patatine”.

 

Shouto sorrise, osservando il minuscolo volatile: “Stai diventando bravissima ad usare il tuo quirk, lo sai? Da grande mi darai sicuramente una mano a scacciare i villain”

 

L'espressione della piccola si rabbuì.

 

“No. Non mi piace combattere”

 

Shouto inarcò un sopracciglio: “Dici sempre di adorare quando mi guardi combattere i villain in televisione, durante il notiziario”

 

“È diverso. Tu lo fai per proteggere me e la mamma, vero?”

 

“Sempre, amore mio. Siete la mia ragione di vita”

 

E, ancora una volta, le parole risuonarono amare sul palato mentre l'eroe diviso a metà ripensava al discorso dell'amico.

 

“Da grande voglio creare questi”, la bambina tese l'esile mano verso quella forte e piena di cicatrici del padre, “Li donerò a tutti i bambini, fatti di ghiaccio che non si scioglie mai. Così saranno felici e non ci saranno più villain nella nostra città”

 

Come il cigno dispiega le ali, lasciandole immobili per un istante, prima di spiccare il volo, così Shouto venne colto alla sprovvista.

 

Non esistono eroi e villain, pensò. Una volta, ognuno di loro era come sua figlia, sorridente e solare, molti di loro già con il proprio quirk di cui andavano fieri.

 

Se ogni villain combatte per una scultura che non si scioglie mai, è davvero considerabile malvagio?

 

Il vecchio Stain, il defunto Shigaraki, persino suo fratello Touya...erano davvero malvagi?

 

No: Shouto vedeva chiaramente la realtà davanti ai propri occhi, grazie alle parole di una bambina. Combattiamo, pensò, fino al limite delle nostre forze e oltre per un cigno di ghiaccio, un breve attimo di felicità che pare così fragile e così fugace quanto l'istante in cui il volatile abbandona la terraferma.

 

Sì, sua figlia aveva ragione.

 

Meglio fabbricare cigni di ghiaccio piuttosto che rendere cieca la gente.

 

Shouto baciò sua figlia sulla fronte: “Ricordati che il papà e la mamma ti vogliono tanto bene e che ci saranno sempre per te, non importa quanto li sentirai distanti”

 

“Ma tu sei qui, papà”

 

“Sì, è vero. Però sei tu che dovresti andare a dormire”: sorrise e prese in braccio il cucciolo d'uomo, la quale protestò invano. La posò sul suo lettino con le lenzuola di All Might, un regalo dello stesso Deku.

 

E sei ovunque, il pensarti quasi mi toglie il respiro.

 

Rimboccò le coperte a sua figlia, la quale si addormentò quasi immediatamente. Spense la luce e uscì dalla stanza, fermandosi però per appoggiare la schiena contro la parete del corridoio.

Uno, due minuti, forse ore, non si sa quanto tempo passò. Shouto si sentì molto più libero in quei brevi istanti di quanto non lo fosse realmente stato nei suoi anni al liceo o durante le riunioni di famiglia, con suo padre che parlava molto di più con Momo che con suo figlio.

 

Tornò in salotto: non aveva bisogno di accendere la luce, conosceva la sua nuova casa alla perfezione.

 

Si avvicinò al muro portante e, dall’appendiabiti, tirò a sé con un colpo secco la giacca della sua uniforme.

 

*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*_*

 

“Fu il primo uomo a saltare; gemette,

‘L'inferno è vuoto, e tutti i demoni sono qui.’ ”

(W. Shakespeare)

 

Le mani non avevano mai bruciato con tanto ardore come quando provò ad arrampicarsi sull'edificio a mani nude, sfruttando solo l'aderenza del suo ghiaccio.

Sentiva il cuore battere a mille, un ritmo che andava diffondendosi per tutto il corpo, regalandogli una sensazione di adrenalina che non provava da anni.

 

‘Oltre i tuoi limiti...Plus Ultra!’, pensò l'eroe, anzi, gridandolo dai recessi della sua anima, come se con quel gemito invisibile potesse cancellare anni di scelte sbagliate, rimorsi e cattivi ideali. Le braccia si muovevano autonomamente, Shouto aveva finalmente capito per cosa valesse la pena lottare, e ogni fibra del suo corpo sembrava assecondarlo, finalmente libera di agire.

Arrivò alla sommità in breve tempo, fermandosi carponi per riprendere fiato, con i polmoni carichi di aria invernale che chiedevano pietà.

 

Non temere il freddo, Shouto: esso è parte di te.

 

Avrebbe voluto alzare lo sguardo, incontrare un'ultima volta quella distesa di luci che tanto lo affascinava, e di cui adesso comprendeva il motivo. Vivere senza rimpianti, felice di poter controllare il suo futuro in modo quasi onnipotente: una possibile libertà, ispiratagli dallo stesso Deku, era ciò che lo aveva spinto ad andare avanti.

 

Non aveva il coraggio di posare gli occhi su quel punto ormai vuoto, con i ricordi che già iniziavano a riaffiorare, con la voce dell'uomo che amava incisa nella sua mente, no, pensò, lasciatemi morire qui, piuttosto.

 

Fu contemporaneo: Shouto alzò lo sguardo e una figura davanti a lui, seduta precariamente sul bordo del tetto, si voltò quasi incredula.

 

E l'erede di Endeavor, ancora saturo di quella sensazione di libertà, urlò a pieni polmoni.

 

“MIDORIYA!”

 

Subito il ragazzo gli corse incontro, gettandosi su di lui e facendogli perdere nuovamente l'equilibrio, ma Shouto rideva, la fantastica sensazione di poter abbracciare il suo amato fu come una ventata d'aria fresca nei suoi pensieri.

 

Midoriya avrebbe giurato che, in quindici anni, aveva visto più volte Shouto sorridere, ma mai ridere.

 

Poggiò la testa dove la spalla incontrava la clavicola, nel lato sinistro, dove il corpo dell'eroe sotto di lui era sempre più tiepido: respirò di nuovo quell'odore di legna dei boschi mista a zucchero, si convinse che fosse quello l’odore della felicità.

 

“Midoriya…”, Shouto aveva ripreso fiato, osservò il suo collega negli occhi, senza sapere come continuare la frase. Avrebbe voluto dirgli di quanto lui gli piacesse già dai tempi della scuola, di quante volte aveva pensato al suo volto prima di addormentarsi, di quanto gli mancasse ferocemente averlo accanto ogni giorno.

 

“Ti amo, Midoriya”

 

E il ragazzo dai capelli verdi non esitò molto prima di baciarlo dolcemente, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla sensazione di sentire il respiro dell'altro sulla propria guancia.

 

Non durò molto, ma il Simbolo della Pace non lasciò che Shouto sentisse la sua mancanza ancora per molto: si alzò e, raggiungendo la parte opposta del tetto, si volse per tendere la mano all'amante.

 

E il vento rombò ancora più violentemente, la pioggia battè sulle strade come un grido di incoraggiamento, l'oscurità di quella notte, tanto pericolosamente vicina all'alba, li avvolse, abbracciandoli e proteggendoli.

 

Lì due Pro Hero senza più maschera né nome correvano, mano nella mano, verso delle luci a loro ancora ignote.

 

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