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Autore: DhakiraHijikatasouji    11/01/2019    1 recensioni
*DALLA STORIA*
~ Bill si sedette sulle sue ginocchia. - Io posso essere anche quella rosa dalla quale un giorno tornerai- Gli sussurrò guardandolo dritto negli occhi. - E tu sei quel piccolo principe che ha viaggiato in lungo e in largo per salvarmi dai Baobab che crescevano sempre di più sul nostro asteroide e che avrebbero finito per uccidermi...ma alla fine, anche se non ce la farai, è l'amore che proviamo che conta davvero- Tom gli accarezzò la guancia.
- Ciao, mia bella rosa- Bill sorrise poggiando a sua volta la mano sul suo di viso.
- Ciao, mio piccolo principe- ~
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Questa storia affronta la tematica di una malattia, pertanto è abbastanza tosto come racconto. È bello, ci ho messo davvero tutta me stessa. Spero che vi piaccia e che arriviate fino alla fine.
Hijikatasouji🖤👽
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate
Capitoli:
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Non può piovere per sempre


Una sera come tante, ma quella avrebbe dovuto essere speciale. La casa dei fantasmi si sarebbe spogliata delle sue vesti per trasformarsi finalmente in qualcosa di normale. Bill era in camera sua, davanti allo specchio figura intera. La luce della bajour era accesa e mandava una luce fievole. Dal silenzio che c'era si potevano udire i grilli cantare. Sospirò lanciando quell'ennesima camicia bianca sul letto. Non voleva scendere, non voleva semplicemente stare lì in quel momento. Avrebbe voluto essere da un'altra parte, magari a casa di Tom, e se proprio doveva scendere, allora avrebbe voluto trovare lui al piano terra, non uno della sua famiglia. Non che non volesse bene ai suoi genitori, ma loro lo trattavano come se non stesse morendo (pur sapendo tutto), come un prigioniero. Tom invece lo aveva sempre fatto sentire bene, fatto sentire vivo anche quando sapeva che stava lentamente andandosene. Ma Tom aveva la giustificazione di non essere a conoscenza di niente. Non voleva che i sorrisi di Tom diventassero anch'essi falsi. Tom doveva sorridere davvero, di cuore...di amore. Sì, perché loro si amavano. Quel bacio aveva messo in chiaro le cose, e da quella volta tutto nel corpo di Bill aveva preso una forma, a parte il cancro stesso: quello continuava il suo corso espandendosi dove più gli pareva.

- Bill!- Ma il fatto era che la vera felicità Bill sentiva di averla provata quella mattina, il primo giorno di scuola, il primo giorno che aveva incrociato gli occhi di Tom. Li aveva trovati stupendi, come la sua voce e quel delizioso naso a patata. Sorrise al ricordo e gli si inumidirono gli occhi. - Bill!- Non sapeva se di tristezza, di rabbia, o di felicità. Aveva troppi motivi per essere triste, altrettanti per essere arrabbiato, ma anche a sufficienza per essere felice: Tom. Bastava il suo nome. - Bill, tesoro!- Sussultò e si voltò verso la porta. Sua madre aprì senza aspettare che rispondesse. - Oh, grazie al cielo, se ti degnassi di rispondermi non mi faresti prendere certi colpi!- Bill sospirò e continuò a guardarsi allo specchio. Quel fisico gracile stava man mano conducendolo alle ossa, e la sua pelle cadaverica non aiutava per niente a migliorare quella immagine. - Piuttosto...hai finito di prepararti? Andreas e la sua famiglia saranno qui ai momenti- In quella casa era un manichino da vestire, adesso non si sentiva più una persona.

- Scendo subito- Rispose senza distaccare gli occhi dal vetro. Christine guardando i suoi occhi non poté non constatare che erano di vetro anche quelli.

- Tesoro, stai bene?- La domanda che odiava di più...

- Per quello che mi è possibile...sì- Distolse lo sguardo, ma non guardava lei. La luna che splendeva alta tra le nuvole nere era una visione più interessante. Christine sospirò.

- Sta per arrivare Andreas, non sei felice? L'altro giorno eri così contento del fatto che andavi a casa sua e adesso ti vedo così...-

- Mamma, ti ho detto che scendo subito- Ribadì con voce ferma. Accorgendosi di aver usato un tono troppo duro, cercò di calmarsi e di sorridere. Era difficile, ma non impossibile. - Non preoccuparti. Sto bene, ho solo un leggero mal di testa-

- Vuoi che ti porti qualcosa?- Chiese apprensiva.

- No...passerà- E poi ho già preso fin troppe medicine oggi, avrebbe tanto voluto aggiungere ma si contenne. - Vai pure- Christine annuì uscendo chiudendo piano. Bill finalmente poté togliersi quella maschera assurda e lanciare anche quella vicino alla camicia bianca, solo che a differenza di quella che gli finì subito in dosso, questa si dissolse nel nulla pronta a ricomparire solo e soltanto se Bill l'avrebbe richiesta. Aveva dei jeans neri e quella camicia che lo rendeva...redicolo ai suoi occhi. Sicuramente giù gli avrebbero fatto i complimenti, ma quanto avrebbe voluto mettere una delle sue solite magliette nere e magari dei pantaloni di pelle, che per lui erano il massimo dell'eleganza. Stivaletti anche, e fare finta di essere una battona da tangenziale. Sfigurando la sua famiglia, certo, ma era quello che segretamente aveva sempre voluto: fare come voleva, e non gli era mai stato permesso per colpa di quella fottuta leucemia! E poi, pensandoci bene, la sua morte avrebbe ugualmente rovinato i suoi genitori. Lui non voleva essere protetto, lui voleva semplicemente che lo lasciassero vivere nel momento che poteva ancora farlo e aveva una rabbia dentro che avrebbe volentieri scaricato su quell'ossigenato di Andreas! E quel mal di testa...

- BILL, SONO ARRIVATI!- Sentì gridargli suo padre dal piano di sotto. Doveva scendere o si sarebbero preoccupati. Fece un sospiro.

Maschera, vieni a me...

E s'incamminò al piano di sotto. La signora Guhne fu la prima a notarlo e gli venne in contro con un sorriso che era stato costretto a ricambiare. Anche loro conoscevano la sua situazione, ed erano gente FALSA! Come i suoi genitori...FALSI TUTTI.

- Ciao Bill, è da tanto che non ci vediamo, come stai?-

- Bene-

- Ciao, Bill- Il signor Guhne non era cambiato per niente, il solito uomo d'affari che Bill personalmente odiava, e la moglie: una donna che lo aveva sposato solo per i soldi. Pff, ormai aveva imparato a riconoscere l'amore vero da quello fake. Semplicemente perché lui e Tom non avrebbero fatto come loro. Bill lo avrebbe sposato per amore, non per quello che guadagnava e soprattutto se fossero andati in casa di amici che avevano un figlio malato in stato pressocché terminale, non gli avrebbero fatto quella cazzo di domanda: "come stai?"...ma fottetevi!

- Buonasera-

- Ah, Bill, ti ricordi di Andreas? Anche voi è da un pezzo che non vi vedete- Sussultò. Si augurò che Christine non avesse sentito, perché questo avrebbe mandato all'aria tutto. La donna infatti era in cucina e non sentì nulla. Sospirò di sollievo mentalmente. Andreas aveva fatto come tutti: era cresciuto. I suoi capelli erano rimasti di quel biondo platino vomitevole e dio...aveva anche lui una camicia bianca come la sua...
Pensò a sua madre, gliel'aveva comprata lei...patetico...

- Ciao, Bill. Bella la camicia-

- Grazie...anche la tua- Sforzò una risata che Andreas assecondò. La sua mente remixava ripetutamente un "impiccatemi" di prima categoria. Già non stava reggendo più.

- Finalmente nella stessa città, eh? Sai che fatica tutte le volte dover scendere a Magdeburgo- Sbuffò. Se allora ti rompeva tanto, perché venivi? Volle chiedere Bill in un primo momento, ma non voleva sembrare scortese. - Io ho fame, tu no?-

- No...non molta- Ed era vero. Non aveva fame. Il solo fatto di doversi sedere a tavola con loro gliel'aveva fatta passare. - Eddai, dovrai pur mangiare! Sei pelle e ossa!- Andreas aveva intenzione di scherzare, ma non sapeva che Bill non era dell'umorismo adatto. In quella frase aveva più percepito un insegnamento, oltre che una presa in giro; come il solito: "se non mangi, non cresci". Beh?! A lui che serviva mangiare?! Tanto non doveva crescere più.

- Fatti gli affari tuoi- Sussurrò mentre Andreas si stava comodamente sedendo a tavola insieme alla propria famiglia e alla sua, e quindi non lo aveva sentito.

- Bill, che stai alla porta? Vieni- Lo chiamò suo padre che stava a capo tavola. Si imbarazzò non poco a sedersi con tutto quel silenzio e gli occhi puntati addosso. Prego, mangiate pure, che il piatto si fredda. Pensò. Perché accidenti lo guardavano!? Forse per la prima volta si erano accorti di avere un malato di cancro a tavola. Wow, perspicaci...

- Allora, Bill. Non mi hai mai parlato della nuova scuola, come va?- Domandò Andreas. Quella conversazione avrebbe potuto rovinarlo, lo sentiva.

- Ehm...bene- Scherzava ovviamente. Nessuno lo aveva preso in considerazione dall'inizio dell'anno a parte Tom.

- E dimmi, hai conosciuto qualcuno di speciale? Un amico...l'amore?- Chiese avvicinandosi. Ma che problemi aveva?!

- No, nessuno di cui vale la pena parlare- Sarebbe stato ore e ore a parlare di Tom, lo sapeva, ma se lo avesse fatto, quella cena sarebbe stata presto boicottata dalla furia di suo padre. - E tu?- A dire la verità non gliene fregava proprio niente della risposta, ma non aveva niente con cui intrattenersi. Gli adulti parlavano di affari loro ed era meglio così.

- Oh, anche io niente. Ci sto da cinque anni, le persone sono cambiate...quest'anno abbiamo anche l'esame! Hai paura?- No...

- No- Rispose con un alzata di spalle.

- Beh, forse lo dici adesso ma quando ci arriverai penso che ti cagherai sotto- Ma quanto poteva essere...stupido? Cioè, sapeva tutto e comunque...argh, lasciamo perdere! Con certi soggetti è impossibile ragionare.

Mantieni la maschera, Bill, fra poco sarà tutto finito...

E con tutto...spesso intendeva TUTTO.
Ma adesso era sicuro che intendesse la cena.

- Io non credo- Ribatté. Prima che Andreas potesse fare altrettanto, Christine lo chiamò.

- Bill, non finisci la pasta?-

- No, mamma..non ho molta fame stasera- Ammise e vide le facce degli adulti un po' turbate da questo. Non emisero un fiato, come in una chiesa mentre si prega per il morto nella bara. Oh, tranquilli, sono ancora qui! Fra poco si sarebbe alzato sventolando le braccia a segnalare la sua presenza.

- Beh, allora potrebbe andarti il secondo, forse. Ti prego, fammi contenta e mangia almeno un po'- Provò nuovamente quel senso di imbarazzo, ma si impose di mantenere la calma. Sorrise calmo.

- Eh va bene- Christine si alzò contenta sparecchiando dei piatti sporchi e poi servendo la carne. Bill al solo guardarla gli venne il volta stomaco. Il solo odore gli fece quasi salire un conato. Non si sentiva tanto bene. Mentre sua madre lo serviva, più volte la voce si era spezzata nella sua gola nel tentativo di dirle che non se la sentiva, ma alla fine ci aveva pensato il suo stomaco stesso. Scattò in piedi correndo via con la mano alla bocca. Spalancò la porta del bagno chinandosi sul WC e rimettendo tutto, anche l'anima.

- Amore, eccomi!- Christine accorse subito chiudendo la porta dato che i rumori erano poco gradevoli agli ospiti, e sorresse i capelli al figlio reggendogli anche la fronte. Si bagnò una mano con l'acqua fresca premendogliela poi sulla pelle calda. - La mamma è qui, tesoro...- Non era la prima volta che accadeva. Più notti Christine si era alzata con i rumori dei conati di vomito. Ma faceva sempre male. Quando Bill ebbe finito, con un colpo fiacco tirò lo sciacquone e si alzò sorreggendosi a sua madre. - Tranquillo, va tutto bene- Sono le tipiche frasi che ormai Bill aveva imparato ad ignorare. Christine gli stava ancora tenendo la mano bagnata sulla fronte. - E' colpa mia, vero? Sono stata io a causarti questo attacco. Mi dispiace, non avrei dovuto insistere...tu sei così buono, e nonostante questo cerchi di assecondare le persone alle quali vuoi bene, ma ricorda che questo può costarti la vita figlio mio- Disse con il tono delle lacrime in gola.

- Non preoccuparti, mamma, tanto sappiamo come deve andare, lo abbiamo sempre saputo- Rispose con la voce tremolante. Il vomito gli aveva tolto molte forze, ma in contemporanea gli aveva dato adrenalina a livello morale. Era incazzato marcio con tutto e tutti. In quei momenti avrebbe tanto voluto non essere mai nato. Soprattutto quando aveva visto il colore di quello che aveva rigettato.
Rosso. Rosso...sangue.
Si mise a sedere accanto al WC con sua madre che gli accarezzava le braccia. - Com'è?- Domandò improvvisamente.

- Cosa?- Chiese Christine sull'orlo delle lacrime.

- Avere un figlio e scoprire improvvisamente che ti verrà portato via, e non poter fare niente. Pensare alla mia nascita, a quando mi hai stretto tra le tue braccia convinta che il tuo amore sarebbe bastato a tenermi lontano da un destino come quello che mi è toccato...com'è?- Ripeté calmo, come se desse per scontato che per sua madre sarebbe stato facile rispondere. La donna cominciò a piangere ricordando il momento della sua nascita, quando lo aveva preso e dormiva stanco dal parto non sapendo ancora niente della vita, ma soprattutto completamente ignaro della morte. E poi ritrovarsi a dieci anni, e sapere più della morte che della vita.

- Non...non ci sono parole- Rispose Christine appoggiando la fronte sul petto del figlio e percependo il duro dello sterno, come se sotto quella camicia ci fosse stato direttamente lo scheletro. - Quando succederà...- Continuò titubante, con un briciolo di speranza che ancora premeva nel suo animo. - ...morirò anche io- Bill non se ne accorse, ma una lacrima si liberò dal suo occhio mentre la madre parlava. Una lacrima che gli percorse delicatamente tutta la guancia prima di consumarsi tra le labbra. - Tu sei la mia vita, Bill...sei tutto quello che ho di più caro-

- E papà?- Chiese cercando di non far tremare la voce.

- Certo, amore, anche papà...ma nonostante lui io non so se avrò la forza di superare..te- Concluse scoppiando in un pianto disperato tra le braccia del figlio che la avvolse e la cullò canticchiandole una canzoncina che si ricordava. Non ricordava bene quando e dove l'avesse sentita, ma l'aveva impressionato positivamente perciò gli era venuto di cantarla. Christine alzò lo sguardo. - Dove hai imparato a cantare così?- Chiese debolmente. Bill la guardò senza un'espressione particolare. Le asciugò le lacrime con le dita.

- Da nessuna parte, solo che avendo tanto tempo per me e ho affinato questa cosa del canto, ma nulla di speciale-

- Continua...per favore, figlio mio, continua...voglio...voglio ricordare la tua voce mentre cantavi questa canzone- Così andava bene, così era perfetto. Bill voleva vedere quelle lacrime perché sapeva che erano vere, e voleva sentire quelle parole perché sapeva che erano sincere. Riprese a cantare quasi ridendo mentalmente della situazione. Era in un bagno a consolare sua madre, mentre suo padre e gli altri erano fuori a domandarsi eternamente cosa era successo. Alla fine della canzone sorrise a Christine che ancora singhiozzava.

- Asciugati le lacrime, mamma. Io di te voglio ricordare tutto, ma non questo. Se potessi, il primo ricordo che mi porterei di te nella tomba, sarebbe quello della prima volta che ti ho visto, quando ho schiuso i miei occhi per la prima volta e c'eri tu a sorridermi, a dirmi ciao e donarmi tutto l'amore del mondo...ma purtroppo non è possibile, non ricordo nulla al di sotto dei miei dieci anni e...-

- E invece ti sbagli-

-...-

- La canzone, Bill...la canzone che hai cantato, è quella che ti cantavo sempre quando avevi paura del temporale e venivi di là da me e da tuo padre dicendoci che non avresti dormito da solo. Ti dicevo che eri un bambino coraggioso, ma..non mi sono mai accorta della veridicità di quelle parole fino a questo momento. Tu, Bill, sei la persona più coraggiosa che abbia mai visto. Affrontare il cancro come te...io ho solo da imparare- Bill non si aspettava queste parole da parte della madre e ne rimase senza lui. Le prese quindi la mano baciandola piano e appoggiandosela sulla guancia. Era troppo bello sentire sua madre così vicina. Gli venne in mente di quando era piccolo e canticchiava insieme a lei quella canzone guardandosi negli occhi. E alla fine lei gli diceva sempre una frase nella quale lui credeva fermamente:

"Non può piovere per sempre..."

 
   
 
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