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Autore: Parmandil    11/01/2019    0 recensioni
La Guerra delle Anomalie imperversa ormai da due anni. La Federazione è frantumata in settori che non riescono più a comunicare fra loro e flagellata dagli attacchi dei Tuteriani. Le anomalie distruggono interi mondi, obbligando i federali a uno sforzo senza precedenti per accogliere e ridistribuire i profughi. Solo l’alleanza coi Klingon potrebbe dare alla Federazione il vigore necessario a prevalere.
Molte forze, però, cospirano contro l’unione. La tecnologia predittiva dei Tuteriani consente loro di pianificare le mosse vincenti. La stessa tecnologia sembra in mano a una specie appena giunta dal Quadrante Delta: i Krenim. L’antico sogno di Annorax, il dominio assoluto delle linee temporali, non è mai stato così vicino a realizzarsi. E nello sforzo di padroneggiare per primi il viaggio nel tempo, i nostri eroi potrebbero varcare una soglia insospettabile... ritrovandosi in uno Specchio oscuro.
Ma la sfida più inaspettata viene dal cuore della Federazione. Molti cittadini sono convinti che i Tuteriani non vadano combattuti, ma accolti come ogni altra specie. Avranno ragione? Il Movimento per la Pace Galattica ritiene di sì. I suoi esponenti sono pronti a immolarsi per il loro ideale di pace. La domanda è: quanti altri saranno immolati?
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Klingoniani, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 1: Il Movimento per la Pace Galattica

Data stellare 2552.075

Luogo: Khitomer

 

   «Eccoci di nuovo qui, amici olospettatori! Sono Vaus Liin, e vi parlo dai nostri studi a San Francisco» disse il giornalista, salutando tutt’intorno a sé. Non si rivolgeva solo ai miliardi di persone che lo seguivano da ogni angolo della Federazione. Lo studio televisivo era gremito di spettatori in carne e ossa, di molte specie diverse, che fecero scrosciare gli applausi. Riempivano una vasta platea semicircolare, che occupava gran parte del salone scintillante.

   «Come sapete, ci siamo occupati altre volte della crisi in atto» disse il presentatore, evitando accuratamente di pronunciare la parola “guerra”. «Abbiamo esaminato gli scenari galattici, discutendone con i maggiori esperti. Abbiamo ascoltato le testimonianze dirette di chi è stato lì. Ma stasera abbiamo in serbo qualcosa di nuovo, qualcosa di speciale» garantì, sorridendo a trentadue denti. «In esclusiva per il Federal News e in diretta dallo spazio tuteriano, vi presento colei che è stata votata Persona dell’Anno: la Messaggera in persona!» annunciò, sprizzando orgoglio da tutti i pori.

   La Messaggera si materializzò davanti a lui, o per meglio dire proiettò la sua immagine tridimensionale. Al suo apparire, gli applausi e i fischi divennero parossistici. Lo studio rimbombò come se dovesse crollare.

   «Salve, siamo onorati della sua presenza qui» salutò il giornalista.

   «La ringrazio» sorrise la Messaggera. «Quando ho ricevuto l’invito, ho capito che non potevo mancare. Il vostro programma mi permetterà di far udire la voce del mio popolo ai cittadini della Federazione, al di là della propaganda e dei luoghi comuni che circolano su di noi».

   «È il nostro dovere. Vorrei stringerle la mano e invitarla a sedersi, ma...» disse l’uomo.

   «No, questa proiezione è intangibile» spiegò la Messaggera. Per un attimo la sua immagine divenne grigia e sfocata, poco più che una macchia confusa; poi tornò a fuoco. «Comprenderete che trasmettere da un’altra dimensione è complicato. Ma non c’è problema, posso stare in piedi senza disagio» assicurò.

   «Allora direi di passare senza indugio all’intervista» rispose il giornalista. «La mia prima domanda è: come giudica la condotta della Federazione – e in particolare della Flotta Stellare – nei confronti del suo popolo, in questi due anni?».

   «Senza dubbio come genocidio» rispose la Messaggera, suscitando fortissimi applausi. «Noi Tuteriani proveniamo da un Universo prossimo al collasso; trasferirci nel vostro è la nostra sola speranza di salvezza. Abbiamo costruito le Sfere per adattare alcune porzioni di spazio alla nostra fisiologia. Senza di esse il nostro organismo si deteriora rapidamente e moriamo fra atroci sofferenze. Chiediamo solo di essere trattati come esseri senzienti. Chiediamo la possibilità di sopravvivere, come popolo e come cultura.

   La Federazione e la Flotta Stellare ci hanno negato questo diritto elementare. Due anni fa, il Capitano Alexander Chase dell’Enterprise lanciò un barbaro assalto alla nostra Sfera principale, la cui costruzione procedeva da un secolo ed era prossima al completamento. Quella Sfera avrebbe dato ricetto a miliardi di Tuteriani, salvandoli dall’annichilimento del nostro Universo. Distruggendola, il Capitano Chase e i suoi ufficiali si sono macchiati di un crimine di guerra, né più né meno che se avessero materialmente ucciso quei civili. Da quel giorno la Flotta Stellare ha continuato ad attaccare selvaggiamente le nostre Sfere, distruggendone un centinaio. Finora siamo riusciti a sostituirle; ma è tempo di dire basta a questo piano di sterminio ordito contro di noi».

   La Messaggera fece una pausa a effetto, mentre lo studio risuonava ancora di applausi e grida entusiaste. In mezzo alla folla, però, c’era qualcuno che restava immobile. Alexander Chase ricordava molto bene ciò che era accaduto presso la Sfera, e nel Collettore Subspaziale che la Messaggera non aveva nominato. Ma non poteva controbattere, dato che non si trovava in studio. Era solo un olo-spettatore, uno dei miliardi che assistevano alla diretta. Come tutti, aveva l’illusione di essere seduto in mezzo alla folla. Ma non poteva toccare quelli che lo circondavano, né le persone sul palco.

   Mentre l’intervista proseguiva, Chase notò che non c’era alcun contradditorio. Nessuno metteva in evidenza le omissioni, le ambiguità e le bugie che la Messaggera elargiva con la massima disinvoltura. Nemmeno il giornalista gliele faceva mai notare. Poco alla volta Chase perse interesse per i discorsi vittimisti della Messaggera e si concentrò invece sulla folla, cioè sulle persone realmente presenti in sala. Presto notò quello che temeva.

   Molti dei presenti, umani o umanoidi, si erano rasati la testa. Era un modo per somigliare ai Tuteriani, mostrando così di essere loro sostenitori. Le donne, oltre a essersi rasate, avevano persino abiti simili a quello della Messaggera, con piccole variazioni nel colore e negli ornamenti. Chase sospirò: la “moda tuteriana” si stava diffondendo a macchia d’olio nella Federazione. Molti personaggi famosi dello spettacolo e dello sport la esibivano nelle occasioni mondane. Chase aveva persino visto degli spot olovisivi in cui questo look era sfoggiato con orgoglio da donne famose. Gli spot, e altre iniziative del genere, erano finanziati dal Movimento per la Pace Galattica. Secondo questa organizzazione, erano uno strumento di “protesta non violenta”, oltre che di “tolleranza e integrazione”. A Chase sembrava solo un perverso tentativo d’identificarsi con il nemico.

   Stanco di sentire le menzogne della Messaggera e gli applausi del pubblico, Chase si portò le mani alla tempia e disattivò l’olovisore. Lo studio, con tutte le luci e il chiasso, si dissolse. Al suo posto comparve un ambiente ben più piccolo e tranquillo. Un luogo familiare e per questo rassicurante. Il Capitano era seduto nel suo alloggio sull’Enterprise, dove aveva vissuto negli ultimi due anni. Posò l’olovisore spento sul tavolino accanto a lui, si alzò dalla sedia e si stiracchiò. Poi cominciò a camminare nervosamente avanti e indietro, cercando di fare ordine nella mente.

   Erano trascorsi due anni dall’inizio della guerra tra la Federazione e i Tuteriani. Chase ricordava perfettamente la concitazione dei primi momenti: aveva diretto l’Enterprise a tutta velocità verso la Terra, temendo il peggio. Invece la Terra era salva, come il resto del sistema solare. Però l’intera Federazione era disseminata di Sfere, che creavano reti di anomalie, isolando i vari settori. Le comunicazioni, i commerci, i trasporti erano diventati problematici. L’Enterprise e le altre navi moderne riuscivano ad attraversare le distorsioni, ma le astronavi più vecchie – che componevano il 90% della Flotta – avevano maggiori difficoltà. Solo per radunarle erano serviti mesi. Nel frattempo interi pianeti erano divenuti inabitabili per colpa delle anomalie. Si era reso necessario evacuarli, un compito che aveva assorbito quasi tutte le energie della Flotta. Non erano rimaste molte navi per affrontare i Tuteriani.

   Chase si passò le mani tra i capelli, chiedendosi se avrebbe potuto impiegare meglio quei due anni. Certo che avrebbe potuto... se il Comando di Flotta gli avesse lasciato fare a modo suo. Fosse stato per lui, avrebbe attaccato le Sfere una dopo l’altra. Ma il Comando preferiva usare l’Enterprise come nave trasporto, per trasferire i rifugiati dai pianeti colpiti ad altri, ancora abitabili. Così, in due anni, la situazione non era cambiata. Era una guerra a bassa intensità: ogni tanto la Flotta Stellare distruggeva qualche Sfera, ma i Tuteriani la rimpiazzavano prontamente e tutto tornava come prima. Le Dreadnought tuteriane assalivano le navi federali e le anomalie avevano reso inabitabili molte colonie, ma i mezzi d’informazione ne parlavano il meno possibile. Sembrava quasi che non fosse in corso alcuna guerra, non fosse stato per il costante flusso di profughi dai pianeti che erano divenuti inabitabili, o che stavano per diventarlo.

   In compenso sui pianeti centrali della Federazione – Terra compresa – proliferavano i movimenti pro-Tuteriani. La principale di queste organizzazioni era il Movimento per la Pace Galattica, spesso abbreviato in MPG. Secondo i suoi adepti, la Federazione doveva trattare i Tuteriani come profughi e concedere loro un certo numero di pianeti, da trasformare e abitare in tutta sicurezza. Era quel che i Tuteriani stessi avevano chiesto, per cessare le ostilità: ma loro pretendevano un terzo della Federazione. Era una situazione dalla quale il Presidente e il Consiglio Federale sembravano incapaci di uscire.

   «Ma ora, forse, le cose cambieranno» pensò Chase. Si avvicinò alla grande finestra ricurva del suo alloggio, vi si appoggiò con ambo le mani e inspirò profondamente. Da lì poteva vedere uno spicchio verde-azzurro del pianeta Khitomer, intorno a cui orbitava l’Enterprise. Colonizzato dai Klingon nel XXIII secolo, Khitomer era stato sede degli storici accordi di pace tra l’Impero e la Federazione del 2293, come anche del proditorio attacco romulano del 2346. Abbandonato dai Romulani a fine XXIV secolo, era diventato un luogo neutrale, sede di conferenze e incontri. Adesso il pianeta ospitava una popolazione mista Klingon-Federale e poteva essere considerato il più riuscito esempio di convivenza tra le due potenze. Era il luogo perfetto per trattative diplomatiche ad alto livello.

   Aguzzando la vista, Chase notò diverse navi Klingon che affiancavano l’Enterprise nella sua orbita geostazionaria. Gli scafi verdi, le gondole gialle e rosse, le linee generali degli sparvieri erano inconfondibili. Per l’occasione l’Impero Klingon aveva schierato il meglio della sua flotta: incrociatori di classe Bortasqu, trasporti corazzati di classe Vo’Quv, fino alle nuove e micidiali navi da guerra di classe Kuvah’magh. Tra queste ultime vi era l’IKS Martok, la nave ammiraglia del Cancelliere Kuntagh. Il suo massiccio scafo verdastro era irto di disgregatori e lanciasiluri. Quelle navi potevano fornire alla Federazione la forza necessaria per respingere gli invasori. Eppure, si disse Chase, l’Enterprise non avrebbe dovuto attardarsi a Khitomer. L’ammiraglia di Flotta doveva stare al fronte; non lì, dove non c’era nulla da fare, salvo esasperarsi per la lentezza dei negoziati.

   «Capitano, la conferenza terminerà fra venti minuti» risuonò la voce incorporea di Terry, l’Intelligenza Artificiale dell’Enterprise. «Probabilmente l’Ammiraglio Nelscott vorrà parlarle».

   «Va bene, arrivo» sospirò Chase. Controllò di essere in ordine e lasciò il suo alloggio, diretto in plancia. Siccome non c’era fretta, non si diresse alla più vicina cabina di teletrasporto, ma preferì passare per il settore civile dell’Enterprise. Era da un po’ che non passava da quelle parti, e sebbene Terry gli facesse regolarmente rapporto, voleva vederlo di persona.

 

   Il settore civile era affollato come sempre. In quella zona si aveva l’impressione di essere su una stazione spaziale, più che su un’astronave. C’erano negozi, attività private, persino parchi e scuole. Due anni di guerra contro i Tuteriani non avevano cambiato molto le cose: la maggior parte dei civili aveva scelto di restare. A Chase piaceva illudersi che fosse perché si fidavano di lui, o perché si rendevano conto che stare sull’Enterprise era più sicuro che scendere su qualunque pianeta. Ma sapeva che non era così. Quelli che erano rimasti, lo avevano fatto soprattutto perché non si erano ancora resi conto che la Federazione era in guerra. Certo ne erano stati informati, ma non avevano metabolizzato la notizia. “Guerra” era una parola così logora da risultare ormai incomprensibile ai più. E pronunciarla a voce alta era considerato sconveniente. Si preferivano termini più neutri, come “crisi”, “emergenza” o anche “missione di pace”.

   Osservando distrattamente le vetrine, Chase notò che una porzione di corridoio fra due di esse era stata imbrattata. Una scritta rosso sangue, a caratteri cubitali, diceva:

 

CHASE ASSASSINO

W I TUTERIANI – W LA PACE GALATTICA

 

   Subito sotto campeggiava un grosso adesivo con l’emblema del MPG. Una mano, dalle linee così stilizzate che poteva appartenere a qualunque specie umanoide, stringeva un tentacolo in segno di amicizia. Mano e tentacolo erano bianchi, il colore della pace. Sullo sfondo campeggiava una nebulosa planetaria, di forma ovale, che rifulgeva dei colori dell’arcobaleno.

   «Terry!» esclamò Chase in tono seccato, premendosi il comunicatore. «Venga subito qui!».

   Immediatamente la proiezione isomorfa si materializzò al suo fianco. «Sì, Capitano?» chiese, impeccabile ed efficiente come al solito.

   «Guardi» disse Chase, indicando la scritta.

   «Oh, questo è... inopportuno» commentò Terry. «Chiamo subito gli addetti alle pulizie per farlo rimuovere».

   «Ma non ha visto chi è stato?» chiese il Capitano.

   «Mi spiace, signore, ma... nemmeno io posso essere perennemente dappertutto» si scusò Terry.

   «Eppure mi ha sempre dato quest’impressione» sorrise Chase.

   «Se vuole, posso cercare campioni di DNA» suggerì Terry, che era anche l’Ufficiale Scientifico dell’astronave.

   «No, lasci stare» disse Chase, scuotendo la testa. «Non voglio farne un dramma. Mi basta che quella scritta sia levata al più presto».

   «Sì, Capitano» disse Terry con un’aria strana, quasi fatalista.

   «Ehi, cos’è quella faccia?» chiese il Capitano.

   «È la proiezione isomorfa di un volto umano» rispose Terry, un po’ sorpresa dalla domanda. «Sesso femminile, etnia asiatica, età apparente venticinque anni...».

   «Ferma, so cos’è la sua faccia!» l’interruppe Chase. «Volevo chiederle perché ha fatto quell’espressione e perché ha usato quel tono. Non sarà che...» s’insospettì.

   «Signore?».

   «Ci sono già state scritte del genere? O atti vandalici equivalenti?» chiese il Capitano.

   «Definisca “equivalenti”, prego».

   «Dannazione, Terry! Sono due anni che ci conosciamo. Non si comporti come se fosse alla sua prima attivazione!» inveì Chase.

   «Sì, signore. Effettivamente atti vandalici di questo tipo sono comuni, nel settore civile» ammise l’IA.

   «Addirittura comuni? Ma... prendono di mira sempre me?» volle sapere Chase.

   «No, non sempre. Solo nel 65% dei casi» rispose Terry.

   «E gli altri slogan con chi se la prendono?» volle sapere Chase.

   «Il 25% critica la Flotta Stellare e il 10% la Federazione» disse Terry. «Ritengo, però, che questo dipenda dal fatto che ci troviamo sull’Enterprise. Sulle altre navi federali, così come sulle stazioni spaziali e sui pianeti, la percentuale di scritte ingiuriose contro di lei è notevolmente più bassa».

   «Quanto più bassa?».

   «Sotto il 50%».

   «Fantastico. Quindi la Messaggera è la Persona dell’Anno, mentre io sono il più odiato nella Federazione!» sbottò Chase.

   «Ha visto i notiziari» constatò Terry, imbarazzata.

   «Stavo ascoltando l’intervista alla Messaggera, finché ho perso la pazienza. Non c’era uno straccio di contraddittorio» si lamentò Chase. «E la platea era piena di... quelle!» sbottò, trovandosi di fronte una donna vestita alla moda tuteriana. Aveva gli occhi azzurri e forse avrebbe avuto i capelli biondi, se non se li fosse rapati a zero, in segno di solidarietà con i Tuteriani.

   «Salve, Capitano» lo canzonò la donna. «Che vuol fare, ficcarmi una Bomba Omega sotto il cuscino? Terrorizzare i miei figli con le storielle sui Solanae e i Parassiti?».

   «Se scopro che è lei l’imbrattatrice, potrei... uhm...» esitò Chase.

   «Potrebbe ammonirla secondo il regolamento» gli ricordò Terry.

   «E che altro?» chiese il Capitano.

   «Potrebbe ordinarle di pulire la paratia» aggiunse l’IA.

   «Per i lavori umili ci sei tu, ferraglia» rispose la donna dalla testa rasata.

   «Correzione: su questa nave sono Tenente Comandante» le ricordò Terry.

   «Già, e lei passerà una notte in cella per averla insultata» disse Chase, cogliendo l’occasione.

   «Avete sentito?!» gridò la donna con voce stridula, attirando l’attenzione dei passanti. Alcuni si erano già fermati ad ascoltare il bisticcio, ma ora furono in tanti ad accorrere. «Il Capitano Chase vuol farmi arrestare, solo perché ho manifestato un’opinione diversa dalla sua! Non c’è libertà d’espressione su questa nave!». Molte voci, e anche parecchie mani, si levarono contro Chase e Terry.

   «Si vergogni!».

   «La lasci in pace!».

   «Abbasso la censura, viva la libertà d’espressione!».

   «Abbasso la guerra, viva la Pace Galattica!».

   Accorgendosi che la situazione stava degenerando, Chase e Terry si allontanarono in fretta. Ma si accorsero che la folla furibonda li inseguiva. Alcuni facinorosi impugnavano spranghe e oggetti contundenti, saltati fuori a tempo di record.

   «Dentro, presto» disse Terry, infilando Chase in una cabina di teletrasporto. L’attivò, trasferendolo vicino alla plancia, e si dissolse appena in tempo per sfuggire a una sprangata.

 

   «È inaudito!» ringhiò Chase, entrando in plancia. L’ultima cosa che aveva visto, prima del teletrasporto, era il ghigno beffardo della donna pelata, più simile che mai alla Messaggera tuteriana.

   «Signore?» chiese Lantora, alzando gli occhi dalla sua postazione.

   «Il Capitano ha rischiato di essere linciato da alcuni civili» spiegò Terry, materializzandosi in plancia.

   «Che cosa?!» inorridì l’Ufficiale Tattico.

   «Beh, non proprio linciato... o forse sì» ammise Chase. «Comunque non sono molto popolare fra di loro».

   «Non avrebbe dovuto recarsi là senza scorta» disse Lantora.

   «Sono il Capitano dell’Enterprise: è inammissibile che io non possa girare in certe zone senza scorta!» obiettò Chase, inviperito.

   «Tuttavia, per la sua sicurezza, gliene assegnerò subito una» promise lo Xindi.

   «Sorvegliato sulla mia nave! Non era mai successo su un’Enterprise!» protestò Chase.

   «Capitano, l’Ammiraglio Nelscott le vuole parlare» disse Grog, il Ferengi addetto alle comunicazioni.

   «Spero che abbia buone notizie» disse Chase. «Passi la comunicazione nel mio ufficio».

 

   «Salve, Capitano» disse Nelscott, materializzandosi in forma olografica. «È bello rivedere l’Enterprise» aggiunse, guardandosi intorno. «Spero che l’abbia tenuta in ordine».

   «Uhm, a parte qualche scritta sulle paratie» disse Chase, stringendogli la mano. Contemporaneamente, su Khitomer, l’Ammiraglio fece lo stesso con la proiezione olografica di Chase.

   «Mi dica, come procedono i negoziati?» chiese il Capitano quando si furono seduti.

   «A rilento» sospirò Nelscott. «Conosce i Klingon: non cominciano neanche a trattare, se prima non si ha versato un po’ di sangue assieme. E poi ci sono i banchetti, le bevute, le prove coi Bastoni del Dolore...».

   «Pensavo che stavolta avrebbero deciso più in fretta. Di solito non si fanno mai scappare le guerre... e l’Impero è in pace da decenni, un vero record. Dovrebbero aver voglia di menare le mani» commentò Chase.

   «È mai stato su Kronos? O su una nave di classe Kuvah’magh?» chiese l’Ammiraglio. «I Klingon non sono più quelli di un tempo. Anche loro si sono civilizzati... o impigriti, se preferisce. Non sono più tanto ansiosi di farsi ammazzare per l’onore dell’Impero».

   «Quando eravamo nemici, erano prontissimi a immolarsi per l’onore. Ora che siamo alleati, e che abbiamo bisogno di loro, hanno scoperto che dopotutto preferiscono vivere» constatò Chase con sarcasmo.

   «Mica stupidi!» ridacchiò Nelscott.

   «Ma anche loro sono colpiti dalle anomalie. Anche l’Impero si affanna a trasferire milioni di civili da un pianeta all’altro» osservò Chase.

   «Può dire lo stesso dei Romulani, ma neanche loro si sognano di dichiarare guerra a creature trans-dimensionali. Preferiscono lasciare che ce ne occupiamo noi» commentò l’Ammiraglio, rabbuiato.

   «È appunto quel che vorrei fare. Ammiraglio, l’Enterprise è sprecata qui a Khitomer. Mi permetta di riportarla al fronte» disse Chase. «Qui c’è già lei con la Majestic e altre 47 navi...».

   «Non se ne parla» disse Nelscott con decisione. «I Klingon sono qui con la loro ammiraglia e noi dobbiamo fare altrettanto. È una questione d’onore, oltre che d’immagine pubblica».

   «Forse più d’immagine interna che esterna» suggerì Chase.

   «Capitano, voglio essere chiaro con lei» disse Nelscott, seccato. «Le nostre proiezioni tattiche dicono che la Federazione crollerà in pochi anni, se i Klingon non interverranno massicciamente in nostro aiuto. Il Presidente Tanvar in persona mi ha intimato di avere successo nella trattativa. Se non sarà così... sia io che lei cadremo prima della Federazione».

   «La politica dovrebbe restar fuori dal campo di battaglia» osservò Chase.

   «La politica è un campo di battaglia, Capitano, né più né meno di quelli a cui vuole tornare» disse Nelscott. «Ascolti, il Presidente Tanvar è ormai a fine mandato. Fra qualche mese ci saranno le elezioni...».

   «... e lui è in campagna elettorale per il secondo mandato» completò Chase. «Lo so, i notiziari non parlano d’altro».

   «Si aspetta la rielezione, come capita solitamente ai Presidenti in guerra» disse Nelscott. «Ma per questo è fondamentale un successo diplomatico, ovvero che i Klingon firmino il trattato. Dunque il fallimento non sarà perdonato».

   «Se falliamo, Ammiraglio, dovremo preoccuparci di ben altro che un ex Presidente arrabbiato» fece notare Chase. «Ascolti, Tanvar è un Axanar...».

   «Una nobile specie» disse Nelscott, ironico. «Androgini, longevi...».

   «Troppo longevi» precisò Chase. «Vivono 400 anni e Tanvar ne ha oltre 300. È cresciuto ai tempi di Pike e Kirk, si rende conto? Ragiona con logiche superate. Crede ancora di potersi accordare coi Tuteriani. Ma c’ero io, nel Collettore Subspaziale. Li ho sentiti dire che si fermeranno solo dopo averci sterminati. E dopo due anni di guerra, l’opinione pubblica vuole che cediamo al loro ultimatum. Consegnare un terzo della Federazione! È quel che Odoacre pretese dai Romani, al tramonto del loro Impero: un terzo dell’Italia. Sappiamo come andò a finire».

   «Suvvia, nemmeno Tanvar accetterà mai condizioni del genere» lo rincuorò Nelscott. «Ma supponendo che il nostro amato Presidente non sia rieletto, lei chi vede di buon occhio fra i candidati?».

   «Ektius di Coridan. Mi sembra più al passo coi tempi» disse Chase, dopo averci riflettuto un momento.

   «Uhm, può darsi» concesse Nelscott. «Per allora i Klingon avranno reso nota la loro decisione».

   «Ma lei cosa crede che faranno?» domandò Chase.

   «Beh, il Cancelliere Kuntagh non è uno stupido» riconobbe Nelscott. «Sa che, se la Federazione crolla, anche il suo popolo sarà in guai seri. Però...».

   «Però?» incalzò Chase.

   «Vede, i Klingon credono che la Federazione voglia farli combattere al suo posto. Temono che li sfrutti come se fossero mercenari» spiegò l’Ammiraglio.

   «Ed è così? Ah, ma certo che è così!» disse Chase, controllando a stento la rabbia. «Se una nave federale spara contro una Sfera, commette un crimine di guerra. Ma se lo fanno i Klingon, sono le loro usanze!».

   «Più o meno» ammise Nelscott. «Comunque, con o senza i Klingon, mi aspetto di portare al fronte la Majestic al più presto» aggiunse.

   «Giusto, non le avevo ancora chiesto della sua nave» ricordò Chase. «A vederla è uno spettacolo. Soddisfa le sue aspettative?».

   «È stata appena varata e non ha visto l’ombra di una battaglia... ma sì, credo che si farà valere» disse Nelscott, più lieto. «Sarà meglio, visto che i lavori sono durati un anno più del previsto. Abbiamo dovuto riorganizzare i cantieri, dare la precedenza alle navi più piccole e rapide da costruire. Comunque la Flotta non si è scordata del Progetto Celestial... anzi, ci sta investendo molto. È qualcosa di mai fatto prima».

   Chase annuì. La classe Celestial nasceva da un’idea temeraria: fondere la precedente classe Altair con la sezione a disco della nuova classe Universe. Dodici anni prima, il disastro dell’Enterprise-I aveva fatto emergere tutte le debolezze delle Altair. Pensate per meri scopi di pattugliamento, avevano ridotte capacità di carico, strumentazione scientifica inadeguata, ma soprattutto armi insufficienti a proteggerle contro le nuove minacce. Gli unici punti di forza, velocità e maneggevolezza, potevano andar bene per missioni di polizia e peacekeeping, ma non di guerra aperta. Purtroppo la classe Altair era già stata prodotta in gran numero, con la speranza che durasse un secolo. Il ritiro anticipato era impensabile. Anche i progetti di ristrutturazione non erano convincenti, dato che comportavano d’intervenire pesantemente su astronavi nuove, con costi elevatissimi.

   La soluzione era arrivata dalla nuova e rivoluzionaria classe Universe, che disponeva della sezione a disco più grande, armata e tecnologicamente avanzata della Flotta Stellare. Così alcune di queste sezioni erano state costruite senza deflettore e con modifiche strutturali che permettevano di agganciarle alle Altair, usandole come sezione motori. In questo modo si sfruttava il meglio di entrambe le classi, riciclando la Altair e diminuendo sensibilmente i costi della Universe.

   «Ho sentito che la classe Celestial sta dando prestazioni superiori alla Universe, proprio come mi disse lei tempo fa» ricordò Chase.

   «Sì, ma restano alcuni problemi» ammise Nelscott. «La sezione a disco è impegnativa da costruire: finora ne sono state realizzate ben poche. Quindi riusciamo ad assemblare solo un piccolo numero di Celestial, mentre la maggior parte delle Altair resta vulnerabile. Inoltre i dischi Universe sono pieni di lussuose zone per i civili. Ma finché durerà la guerra, la maggior parte di loro resterà a terra...».

   «Sull’Enterprise hanno scelto quasi tutti di restare» notò Chase.

   «È un caso anomalo; penso che il nome Enterprise li illuda di essere sempre al sicuro» ribatté l’Ammiraglio. «Attualmente tutto quello spazio extra ci serve per le evacuazioni. Ogni Celestial può ospitare 12.000 persone, ma per le emergenze ne abbiamo stipate anche 50.000 alla volta».

   «Speriamo di non dovercene mettere ancora di più» auspicò Chase.

   «Speriamo davvero!» convenne Nelscott, alzandosi. «Bene, torno ai miei doveri e la lascio ai suoi. Se si annoia troppo per restare in orbita, sa che può fare? Pattugli il sistema di Khitomer. Si assicuri che nessuna nave non autorizzata si avvicini, per l’intera durata delle trattative. E, Chase...».

   «Sì, Ammiraglio?».

   «Approfitti di questa sosta forzata per rimettere in sesto l’Enterprise e il suo equipaggio. Dopo due anni di guerra, avete bisogno di tirare il fiato» si raccomandò Nelscott.

   «Sì, signore. Buona fortuna coi negoziati» augurò Chase.

   «Passi per i negoziati... ma spero di non dover partecipare a troppe cene. La cucina Klingon mi dà acidità di stomaco» scherzò Nelscott. «A presto, Capitano» salutò, e disattivò il proprio ologramma.

   Rimasto solo nel suo ufficio, Chase girò i pollici per mezzo minuto. Poi tornò in plancia. «Terry, facciamo l’inventario completo della nave» disse. «Se ci manca qualcosa, questo è il momento di rifornirci. A tutti gli ufficiali superiori, ordino di controllare le propri sezioni. Sicurezza, ingegneria, infermeria... voglio un check-up completo. E T’Vala... imposti una rotta per pattugliare il sistema di Khitomer. Assicuriamoci che non entri nemmeno una pulce fotonica, finché gli ambasciatori e il Cancelliere sono lì a discutere».

   «Sì, Capitano» rispose prontamente la timoniera, digitando la rotta.

   «Ah, un’altra cosa. Comandante Dax!» disse Chase, fronteggiando il suo Primo Ufficiale.

   «Sì, signore?» chiese la Trill bionda.

   «Qualcosa mi dice che lei sapeva del malcontento che molti civili, qui sull’Enterprise, covano verso di me» disse il Capitano.

   «Signore...» fece Ilia, imbarazzata.

   «Terry non me lo avrebbe nascosto, senza un suo preciso ordine» dedusse Chase.

   «Speravo di risparmiarle un’altra preoccupazione...» si scusò la Trill.

   «Sono il Capitano, le preoccupazioni fanno parte del mio mestiere. Ignorare queste cose, invece, lo ostacola. Mi sono spiegato?» disse Chase severamente.

   «Perfettamente, signore. Non accadrà più» promise Ilia.

   Chase si rese conto che forse era stato troppo duro. Perlomeno avrebbe dovuto farle la ramanzina nell’ufficio, non lì davanti a tutti. Nelscott aveva ragione, era davvero stressato. Doveva fare qualcosa per sfogarsi. «Bene, a lei la plancia. Si occupi del check-up» disse, in tono più cordiale. Aveva già una mezza idea su come distrarsi.

 

   Il Nausicaano attaccò con una mossa prevedibile. Chase l’intercettò, ne sfruttò la forza e la ritorse contro l’assalitore. L’alieno fu sbattuto a terra, ma subito si rialzò, pronto per un altro round.

   «Aumentare il livello di difficoltà a 4» ordinò Chase. L’ologramma davanti a lui sfarfallò per un attimo. Sogghignò, come se fosse consapevole di essere diventato più forte. Chase si asciugò il sudore dalla fronte e si passò la lingua sulle labbra, cercando la concentrazione. Ma in quella la porta della palestra si aprì, proprio dietro al Nausicaano olografico. E Chase vide qualcosa di molto distraente.

   Neelah, la biologa di bordo, entrò in palestra. Era una degli ultimi Aenar, una sotto-specie di Andoriani caratterizzati dalla pelle bianca e da sorprendenti poteri telepatici. Erano anche ciechi dalla nascita, ma Neelah si era potenziata con nanosonde che le avevano ricostruito gli occhi, di un bell’azzurro ghiaccio.

   «Salve, Capitano» salutò la scienziata.

   «Buongiorno, dottoressa» rispose Chase. Era la prima volta che la vedeva in tenuta sportiva. L’Aenar indossava scarpe da ginnastica, pantaloncini corti, guanti da palestra e un succinto top a fascia. Tutto era di squillante fucsia, che risaltava sulla pelle bianchissima. I capelli candidi erano raccolti in una lunga coda. Neelah aveva una corporatura minuta, ma era molto più atletica di quanto ci si sarebbe aspettati da una biologa e docente universitaria. Chase si chiese se era una frequentatrice regolare della palestra, o se anche i muscoli erano il risultato dei miglioramenti genetici e tecnologici.

   Approfittando della sua distrazione, il Nausicaano afferrò Chase e lo sbatté sul tappetino, bloccandolo con una presa che quasi lo soffocava.

   «F-fine... programma!» rantolò Chase. Il Nausicaano si dissolse, ma il resto della palestra rimase, non essendo una simulazione.

   «Tutto okay?» chiese Neelah, avvicinandosi.

   «Certo, certo» boccheggiò Chase, rialzandosi.

   «Non mi aspettavo d’incontrarla qui» disse Neelah. «Che c’è, deve scaricare la tensione?».

   «Diciamo così» ammise Chase. «Lei ci viene spesso?».

   «Un paio di volte a settimana» rispose Neelah, cominciando a fare alcuni esercizi di riscaldamento. Intanto Chase sedette su una panca, dove si passò un asciugamano sulla fronte e bevve un po’ d’acqua da una bottiglietta. Guardando Neelah con la coda dell’occhio, rifletté che ignorava ancora tante cose su di lei, sebbene si conoscessero e lavorassero sulla stessa nave da due anni. Ma era inevitabile, essendo persone molto riservate. E poi Neelah era una civile, non un ufficiale della Flotta Stellare. A volte chiacchieravano; in qualche occasione l’aveva persino invitata a cena da Raav o in altri locali dell’Enterprise. Ma non ne era mai seguito niente. C’erano dei confini che non avevano mai varcato, come per un tacito accordo.

   «Posso allenarmi con lei?» chiese Chase rialzandosi, quando Neelah ebbe finito di riscaldarsi.

   L’Aenar lo squadrò con aria divertita. «Certo, ma l’avverto che i miei riflessi sono potenziati geneticamente. Come la mia forza e la mia agilità».

   «C’è qualcosa di suo?» la stuzzicò Chase.

   «L’addestramento; quello s’impara solo alla vecchia maniera» sorrise Neelah. «Almeno finché non troverò il modo di scaricare le informazioni direttamente nel mio cervello, come fa Terry».

   «Cerchi di ricordare che lei non è un ologramma, né un drone Borg» ammonì Chase, temendo che un giorno o l’altro Neelah avrebbe fatto qualcosa di cui pentirsi. «E non si preoccupi per me... ho un braccio artificiale, ricorda? Dovrebbe pareggiare i suoi potenziamenti genetici».

   «Allora in guardia» disse Neelah, levando le braccia in posa difensiva. Chase la imitò. Per un po’ girarono uno intorno all’altra, cercando un varco nelle rispettive difese. Poi Chase attaccò. Neelah riuscì a parare o schivare una raffica di attacchi e rispose con un calcio nello stomaco di Chase, che si piegò in due. Ma il Capitano tornò quasi subito all’attacco. Incalzò Neelah con ancora più foga, costringendola a indietreggiare. Quando l’Aenar cercò di dargli un altro calcio, le afferrò la caviglia con la mano meccanica e la respinse con tanta forza da gettarla a terra. Neelah rotolò agilmente e si rimise in piedi. Si scambiarono ancora qualche colpo, riuscendo sempre a parare. Poi Neelah si lasciò cadere sul pavimento e falciò Chase con un calcio, rovesciandolo.

   «La vedo nervoso, Capitano» disse l’Aenar, tornando in piedi con l’agilità di una molla. «C’entrano qualcosa i Pacifisti? So che terranno una manifestazione a Khitomer, tra qualche giorno. Proprio nella grande piazza, davanti al Palazzo dei Congressi».

   «Ci sono già stati dei cortei» annuì Chase, rialzandosi dolorante. «La polizia è schierata nei punti nevralgici della capitale, in assetto antisommossa. Per adesso è andato tutto bene, ma chissà che succederà il giorno della manifestazione principale. Mi stupirei se non ci scappasse il morto».

   «È preoccupato per sua sorella, giusto? Teme che andrà a manifestare» disse Neelah.

   «Ne sono certo: è arrivata a Khitomer solo per questo. Ma lei come sa che Helen è qui?» indagò Chase.

   «Mi ha fatto visita» rivelò l’Aenar, sedendosi in panchina.

   «Mia sorella è andata da lei? Qui sull’Enterprise?!» si stupì Chase, sedendole accanto.

   «Sì; perché è tanto sorpreso?».

   «Non sapevo nemmeno che fosse a bordo» spiegò il Capitano. «Qualche giorno fa mi informato che era arrivata con un trasporto e stava per scendere sul pianeta. Si lamentava dei controlli doganali... a sentir lei dovremmo togliere lo Scudo Planetario ogni volta che arriva un visitatore. Il giorno dopo mi ha chiamato da Khitomer per dirmi che era arrivata e andava tutto bene. Non la sento più da allora. Quand’è che vi siete incontrate?».

   «Quattro giorni fa» rispose Neelah.

   «Cioè prima ancora di contattarmi. Uhm, è strano» commentò Chase. «Che voleva da lei, se non sono indiscreto?».

   «È indiscreto, ma glielo dirò ugualmente» precisò Neelah. «Voleva che l’accompagnassi alla manifestazione. Mi ha anche offerto la tessera del MPG».

   «Mi dica che l’ha rifiutata. Quegli esaltati che vogliono la pace coi Tuteriani non li hanno mai visti da vicino, ma lei sì. È stata con me nel Collettore Subspaziale, ha visto di cosa sono capaci».

   «Non me lo ricordi, ci ho messo giorni a riprendermi. E i mal di testa sono continuati per settimane. Non è bello, quando un Parassita Neurale muore abbarbicato alla tua spina dorsale» ricordò Neelah, massaggiandosi il collo. «Ho cercato di spiegarlo a sua sorella, ma temo che il mio rifiuto l’abbia ferita. Sa, eravamo entrambe nel Movimento Abolizionista, quand’eravamo studentesse...».

   «Quasi tutti gli studenti sono Abolizionisti» commentò Chase.

   «... e ora che lei è passata al MPG, si aspettava lo stesso da me. Credo che si sia sentita tradita, quando le ho detto di no» concluse Neelah, un po’ rattristata.

   «Ma perché Helen è andata proprio da lei?» insisté il Capitano. «Ci sono parecchi ex Abolizionisti sull’Enterprise e molti civili lo sono ancora. Cos’è, vi conoscevate dai tempi della scuola?».

   «Niente affatto; non l’avevo mai vista» rispose Neelah. «Credo le interessassero le mie competenze scientifiche, diceva che sarei stata preziosa per il Movimento. Ma quando le ho chiesto di essere più specifica si è fatta cauta, persino sospettosa. E quando ha capito che non intendevo assecondarla, se n’è andata... senza dirmi che si aspettava esattamente da me».

   «Le faccio le mie scuse, se l’ha infastidita» disse Chase.

   «Oh no, per niente» assicurò l’Aenar. «Sua sorella è simpatica... anche se molto diversa da lei. Incredibile quanto possano differire due persone che condividono così tanto DNA...» aggiunse meditabonda.

   «Non siamo poi così diversi. Entrambi idealisti, penso» rifletté Chase. «È solo che abbiamo scelto ideali differenti. Io ho giurato di rispettare la Prima Direttiva, mentre lei la considera un crimine. Da ragazzi ci scherzavamo sopra, ma oggi... beh, la faccenda è scottante, ora che il Movimento Abolizionista si è fatto partito politico, e molti suoi membri sono andati a formare i quadri dirigenti del MPG».

   «Capitano, le assicuro che non ho nulla a che fare coi Pacifisti» disse Neelah, guardandolo negli occhi. «So quanto sono miopi. Consegnare un terzo della Federazione ai Tuteriani vorrebbe dire metterli in condizione di prendersi anche il resto».

   «Però è ancora favorevole agli Abolizionisti, immagino» disse Chase.

   «Ho il tesserino nel cassetto. Sì, sono ancora favorevole, anche se è da un pezzo che non faccio più attivismo. Che c’è, ha voglia di parlarne?» chiese Neelah.

   «Perché no? Quando ci siamo conosciuti, lei ha messo bene in chiaro di non approvare la Prima Direttiva. Ricordo che la definì “dottrina del disimpegno morale”. Da allora abbiamo evitato l’argomento... ma se ora diciamo chiaro e tondo quel che pensiamo, magari ci sfogheremo più di quanto abbiamo fatto con lo sport» propose Chase.

   «Bella idea!» sorrise Neelah.

   «E poi, le anomalie minacciano molti pianeti pre-curvatura» aggiunse il Capitano. «Presto dovrò prendere decisioni difficili al riguardo. Quando accadrà, sarò circondato da ufficiali che mi diranno la loro. Ma voglio sapere anche cosa pensano i civili dell’Enterprise, e credo che lei possa rappresentarli. Allora, che mi dice?».

   «Uhm, non posso parlare a nome degli altri. So per esperienza che ogni Abolizionista ha idee sue su cosa non va nella Prima Direttiva» disse Neelah. Mentre parlava si alzò, avvicinò uno strumento ginnico alla panchina e vi sedette sopra, per fronteggiare Chase. «Parlando per me... trovo che la Prima Direttiva sia ipocrita. La Flotta Stellare dice che è meglio lasciar morire una civiltà pre-curvatura, piuttosto che farle avere un contatto con società più avanzate. In parole povere, è una questione di livello tecnologico se la gente ha il diritto di vivere o meno».

   «Concedere tecnologie evolute a società che non sono pronte a riceverle non fa che peggiorare la situazione» osservò Chase. «Non solo per loro, ma anche per tutti gli altri».

   «Non dico di dargli armi, o d’insegnargli a produrre antimateria. Parlo di ciò che serve a sopravvivere!» ribatté Neelah. «Immagini di esplorare un deserto e di scoprire una tribù che sopravvive con l’acqua infetta di un pozzo. Sa che, se sapessero come costruire un depuratore, lo farebbero senz’altro. Potrebbe dargliene uno, o semplicemente fornirgli le specifiche di costruzione, ma non lo fa. Perché? Perché, secondo la perversa logica della Flotta, gli abitanti non sono “pronti”! Ma nel frattempo continuano a morire» disse frustrata.

   «Vede, è incredibilmente difficile stabilire quali tecnologie sono pericolose» spiegò Chase. «Un replicatore alimentare può essere modificato per produrre armi biologiche. Gli ologrammi possono diventare letali, senza i protocolli di sicurezza. Ci sono parecchi esempi di tecnologie federali usate in questo modo».

   «Comunque la si rigiri, questa parte della Direttiva è immorale» insisté Neelah. «Ci sono stati Capitani famosi che hanno osservato impassibili la morte d’interi mondi, pur di non infrangere la loro preziosa Direttiva».

   «Mi può fare un esempio?».

   «Certo!» s’infervorò Neelah. «Nel 2370, l’Enterprise-D era in orbita attorno a Boraal II, un pianeta di classe M sede di una pacifica civiltà pre-curvatura. Il pianeta stava subendo una catastrofe atmosferica che non era possibile evitare, e che l’avrebbe reso inabitabile in pochissimo tempo. L’unica possibilità di salvare i nativi era imbarcarli sull’Enterprise, abbastanza spaziosa da accogliere alcune migliaia di persone. Mi dirà che non era molto, per un pianeta... ma era abbastanza per salvare un popolo dall’estinzione.

   Ebbene, Picard rifiutò di farlo. Rifiutò di salvare anche un solo Boraliano, e così facendo li condannò tutti a morte: uomini, donne, bambini. Ho ascoltato la registrazione del discorso che tenne in plancia, quel giorno. Disse che “oggi è una di quelle volte in cui dobbiamo affrontare le ramificazioni della Prima Direttiva, e onorare quelle vite che non possiamo salvare”. Evidentemente, per lui, starsene seduto a guardare gli abitanti che morivano era il modo giusto di onorarli. E c’è di più: Picard non si limitò a dire che stava eseguendo gli ordini. No, durante la missione affermò ripetutamente di essere d’accordo con lo “spirito” della Direttiva, secondo cui è meglio che i nativi muoiano, piuttosto che far vedere loro un’astronave».

   «Uhm, conosco quella vicenda» disse Chase, a disagio. «È uno dei capitoli più controversi della Flotta e una macchia indelebile nella carriera di un Capitano che, in altre occasioni, si adoperò con ogni mezzo per salvare i nativi».

   «Ma secondo lei, Picard stava eseguendo la Prima Direttiva?» chiese Neelah. «Che avrebbe fatto al suo posto? Che cosa farà, quando le capiterà una situazione del genere?».

   «Mi fa una domanda terribile... ma è giusto così, me la sono cercata» sospirò Chase. «Ebbene, penso che avrei fatto come Nikolai Rozhenko, che teletrasportò un intero villaggio sull’Enterprise. Materializzò i Boraliani sul ponte ologrammi, nel quale aveva replicato una sezione del loro ambiente. Così non si resero conto di aver lasciato il pianeta e furono trasferiti su un altro mondo».

   «Ma Rozhenko dovette farlo di nascosto!» sottolineò Neelah. «Tra l’altro, quando i suoi colleghi scoprirono tutto, lo criticarono per l’inconveniente che aveva provocato. Si comportarono come monarchi che biasimano un servo perché ha aperto la finestra, facendo sentir loro i lamenti dei sudditi che muoiono di stenti fuori dalla reggia. E in seguito Rozhenko fu processato, la sua carriera fu stroncata per sempre. Perciò le chiedo: se fosse stato al posto di Picard, avrebbe ordinato d’imbarcare i Boraliani? E magari avrebbe salvato altri villaggi, a costo di teletrasportare gli abitanti fuori dal ponte ologrammi, rivelando l’astronave?».

   «Penso di sì, a costo di sedare gli abitanti e mantenerli in coma farmacologico per tutto il viaggio» rispose Chase.

   «Lieta di saperlo» disse Neelah, facendo un gran respiro. «Però converrà che, di solito, la Flotta Stellare non ci comporta così. Se un popolo conosce la propulsione a curvatura, lo aiuta; sennò lo lascia morire senza batter ciglio. Guerre, carestie, epidemie... la Flotta potrebbe spazzare via tutto, su decine di mondi!».

   «Non le guerre» avvertì Chase. «Tutte le volte che la Flotta si è lasciata impaniare in qualche conflitto alieno – come accadeva nei primi tempi – ha solo peggiorato le cose».

   «Va bene, lasciamo perdere le guerre. Parliamo delle carestie, delle epidemie, dei disastri naturali!» esclamò l’Aenar.

   «A volte è possibile intervenire» disse Chase. «La Flotta ha spesso deviato asteroidi che stavano per colpire pianeti abitati da popoli pre-curvatura. In quei casi non c’è alcuna violazione della Direttiva, perché i nativi non sanno nemmeno di essere stati in pericolo. Ad esempio l’Enterprise di Kirk deviò un asteroide che stava per abbattersi su Amerind».

   «E le malattie? Ce ne sono di orrende, che falciano interi popoli!» insisté Neelah. «Pensi che sarebbe successo, se qualche organizzazione aliena avesse diffuso una cura contro la Peste Nera nell’Europa del XIV secolo. Avrebbe salvato milioni di vite innocenti. Probabilmente avrebbe accelerato di un secolo il progresso dell’umanità. Ma non è successo. E oggi che la Flotta potrebbe evitare queste tragedie... sceglie di non farlo.

   Ma si rende conto che in tutti gli ordinamenti giuridici moderni esiste il reato di omissione di soccorso? Se io cammino per strada, vedo qualcuno che ha avuto un incidente e tiro dritto senza aiutarlo... o almeno senza chiamare i soccorsi... commetto un reato da codice penale. Tutti i cittadini della Federazione sono moralmente obbligati a prestare soccorso. Eppure se un Capitano vede un popolo che soffre, può lavarsene le mani con la Prima Direttiva. Molto comodo!» concluse l’Aenar.

   «La Flotta Stellare non può farsi carico di tutta la Galassia» rispose Chase. «È un’organizzazione fondata per esplorare, fare ricerca scientifica e difendere la Federazione; non un’opera di beneficenza».

   «Però il Capitano Pike la definì “un’organizzazione umanitaria che mantiene la pace”, in un celebre discorso. Proprio così, un’organizzazione umanitaria... però adesso somiglia più a un club per ricchi!» accusò Neelah.

   «Le rare volte in cui la Flotta interviene negli affari di altre culture, viene criticata ferocemente» obiettò Chase. «La si accusa d’imperialismo, di colonialismo. E la si critica anche quando non interviene. Perciò che dovrebbe fare?» chiese.

   «Giudicare caso per caso, senza farsi scudo con la Prima Direttiva» rispose subito Neelah.

   «Il guaio è che molte specie e organizzazioni che aiutiamo si rivelano ingrate» sospirò il Capitano. «Pretendono l’aiuto federale, però non concedono nulla in cambio. Anzi, spesso cercano di scardinare proprio quei meccanismi di cui hanno beneficiato in passato. Certi popoli, come i Cardassiani e i Ferengi, non si sentono vincolati ai nostri valori. Così ci ritroviamo con interi pianeti che sfuggono alla legge federale».

   «Lei sta cambiando discorso» avvertì Neelah. «Io parlavo dei popoli pre-curvatura, non di quelli che parassitano la Federazione».

   «Ha ragione, mi scusi» ammise Chase. «Cercavo di spiegarle che ogni decisione ha delle conseguenze e che a volte il tentativo di evitare una tragedia ne scatena di peggiori. Vorrei che avessimo una tecnologia come quella dei Tuteriani, per esaminare i vari futuri possibili, scegliere il meno peggio e agire in quella direzione».

   «Un giorno ci arriveremo» disse Neelah, fiduciosa. «Comunque, tornando alla Prima Direttiva... ci sono stati Capitani meno gelidi di Picard nella sua applicazione. Kirk, per esempio, la violò in diverse occasioni, perché riteneva che fosse la cosa giusta. E la fece sempre franca!» aggiunse soddisfatta.

   «Ci credo!» ridacchiò Chase. «Kirk visse nel XXIII secolo. Erano altri tempi... la Flotta Stellare era giovane e con poca burocrazia. La Galassia era ancora vasta e inesplorata. Un Capitano poteva dirigere la sua nave dove gli pareva, per mesi e anni, addentrandosi in regioni sconosciute, senza la minima idea di cos’avrebbe trovato. E quando incontrava qualcosa di pericoloso, doveva cavarsela con le sue forze, senza poter contare sulla lontana Flotta Stellare».

   «Sembra romantico» commentò Neelah, sognante. «Avrebbe voluto vivere in quel secolo, Capitano? Una parte di me lo vorrebbe: mi ci vedo in minigonna, calze e stivaloni! Però la tecnologia era così arretrata... non potrei fare esperimenti con le nanosonde Borg, né potenziarmi geneticamente senza essere scambiata per una complice di Khan. No, tutto considerato preferisco la nostra epoca. E lei?» chiese.

   «Mah, difficile dirlo» rispose Chase, lo sguardo lontano. «Di certo era un’epoca più ottimista della nostra. La Flotta Stellare faceva davvero esplorazione. Ma c’era il rovescio della medaglia. Lo spazio era un grande Far West, in cui i conti si regolavano in fretta. I Capitani avevano un potere immenso, perché i loro superiori erano lontani. E quando gli capitava di sbagliare... beh, passavano al pianeta successivo e buonanotte. Tanto passavano anni prima che un’altra nave federale si presentasse da quelle parti. Oggi è diverso: le infrazioni si scoprono subito, gli errori hanno conseguenze immediate. Un Capitano non ha più tanto potere... ma sto divagando» disse, rivolgendosi nuovamente a Neelah. «Riguardo alla Prima Direttiva, le dirò una cosa. Quando entrai in servizio, anni fa, giurai di osservare scrupolosamente il regolamento della Flotta Stellare. Io non prendo alla leggera un simile giuramento. Ma se un giorno quel regolamento mi obbligasse a commettere un reato... sia pure di omissione... ebbene, agirò secondo coscienza. E ne pagherò le conseguenze. Ma solo se sarò assolutamente sicuro che è l’unica cosa giusta da fare» disse con gravità.

   «Beh, spero che non arrivi a quel punto» disse Neelah, un po’ addolcita. «Allora, le va un secondo round?» chiese, alzandosi con uno scatto elastico.

   «Mi dia il tempo di avvertire Korris che sta per esserci un’emergenza medica» rispose Chase, massaggiandosi la schiena, ancora un po’ dolorante. Lui e l’Aenar si fissarono un attimo. E scoppiarono a ridere.

 

   «Come sarebbe a dire che non volete la vaccinazione?» chiese il dottor Korris, incredulo. Davanti a lui c’era un gruppetto di pazienti, perlopiù Umani, capeggiati dal Consigliere di bordo, Navarro. Come accadeva talvolta per gli psicologi, questi era un civile, imbarcato grazie a un accordo di partnership con la Flotta.

   «Mi ha sentito bene, dottore» ripeté Navarro. «Nessuno di noi intende sottoporsi a questa pratica inumana».

   «L’encefalite altariana è inumana, non il suo vaccino» rispose Korris. «Da quando alcuni di voi sono scesi su Alpha Onias III senza protezione, siete tutti a rischio. Ho già vaccinato quasi tutta la nave, perché voi no?».

   «Perché qui dentro» disse Navarro, sventolandogli un’unità di memoria sotto al naso «ci sono i rapporti di decine di medici indipendenti, che da vent’anni studiano l’argomento. E hanno raccolto una montagna di prove contro il vaccino. Si rende conto che quella sostanza altera il DNA?» chiese, allarmato.

   «Quel vaccino deve alterare il DNA» sospirò Korris. «L’encefalite altariana è prodotta da un retrovirus che incorpora il suo genoma in quello delle cellule cerebrali delle vittime. È una malattia insidiosa, che può restare dormiente per anni e insorgere all’improvviso. Le vittime sperimentano febbre, delirio, vuoti di memoria. Senza un’adeguata cura sopraggiunge il coma e infine la morte. Per fortuna la Flotta Stellare ha scoperto che i Klingon ne sono immuni e studiando il loro genoma ha isolato il fattore chiave. Lo abbiamo inserito nel vaccino e un enzima di restrizione provvede a incorporarlo nel DNA dei pazienti».

   «Ma non pensa alle conseguenze?» insisté Navarro. «Non si può trapiantare DNA Klingon nelle altre specie e credere che non ci saranno effetti collaterali! Queste ricerche mediche» disse, agitando ancora l’unità di memoria «dimostrano in modo inoppugnabile che il suo vaccino provoca aggressività e danni sistemici agli apparati circolatorio, respiratorio e digerente».

   «Sciocchezze! Crede che ci abbiamo messo tutto il DNA Klingon, lì dentro?» chiese Korris. «Sono poche sequenze di nucleotidi, il minimo indispensabile».

   «Allora l’aggressività da dove viene? E il desiderio di carne al sangue?» insisté Navarro.

   «Alcuni pazienti, evidentemente ignoranti, si convincono di essere diventati mezzi Klingon» spiegò pazientemente Korris. «I loro sintomi sono frutto di questa illusione. Anche la dispepsia – il mal di stomaco – è del tutto psicosomatico. Questo è ciò che dice la scienza medica. Se gli studi indipendenti affermano il contrario, significa che sono viziati da qualche errore di metodo».

   «Sta mentendo!» gridò uno dei pazienti, incollerito. «Voi scientisti ci volete intortare con la logica. Ci presentate degli studi incomprensibili e dite che sono inattaccabili. Ma io dico: al diavolo la logica! Non importa cosa dice la scienza, io so la verità perché è dentro di me, quindi SO che devo credere agli studi non conformi! Non importa cos’è vero, ma cosa ci dice il nostro IO. Solo perché lei è medico, vorrebbe dirmi cosa fare? Non esiste!».

   «Ben detto» annuì un’altra paziente. «Mia cugina non è più la stessa, da quando le ha iniettato quella robaccia. Non farà lo stesso a me!» disse, rabbrividendo.

   «Preferisce morire di encefalite?» chiese Korris. «Preferisce che i suoi figli muoiano? So che ne ha due, Sonja; perché non li ha portati? Devo vaccinare anche loro».

   «No, il Vedek mi ha detto che la preghiera e la meditazione bastano a proteggerci» disse la donna, scuotendo la testa. «Creano delle vibrazioni positive che distruggono il virus».

   «È un retrovirus... ma quali vibrazioni? Di che?!» protestò Korris. «E poi, come le è saltato in mente d’interpellare un Vedek? Non è mica laureato in medicina, lui! Io lo sono, e le dico di vaccinarsi».

   «Ehi, come si permette d’insultare la sua fede?!» protestò il marito della paziente, cingendola con fare protettivo.

   «Non sto insultando la fede di nessuno. Vi suggerisco solo di metterla qui dentro» disse Korris, mostrando l’ipospray con il vaccino.

   «Andiamo, è una perdita di tempo» disse Sonja, avviandosi alla porta dell’infermeria.

   «Dove crede di andare? Se non mi permette di vaccinare lei e la sua famiglia, chiamerò la sicurezza!» minacciò Korris, mettendosi davanti alla porta.

   «Ci provi, e farò causa alla Flotta Stellare!» sibilò la donna. «Anzi, sa che le dico? Io e la mia famiglia lasciamo l’Enterprise! Andremo dai nostri parenti su Orellius...».

   «Così infetterete anche loro, e tutto il resto della colonia!» protestò Korris.

   «Così potremo vivere liberi e in pace. Addio, dottore!» disse la donna. Due dei suoi accompagnatori afferrarono Korris e lo trascinarono lontano, permettendo al resto del gruppo di uscire. Poi anche loro lasciarono l’infermeria. Dei dissidenti restò solo Navarro.

   «Lei ci ha mostrato quanto sia disonesta e spietata la Flotta Stellare» disse il Consigliere. «In queste condizioni, non posso restare a bordo. La coscienza m’impone di cessare la collaborazione con la Flotta e tornare alla mia Università» concluse. Si levò il comunicatore e lo gettò a terra con disgusto. Poi se ne andò anche lui.

   «Korris a Lantora» disse il medico, premendo il proprio comunicatore. «Abbiamo una piccola emergenza. Sì, la terza, questa settimana» sospirò.

 

   «E così ho dovuto farli vaccinare contro la loro volontà, prima che se ne andassero» disse Lantora, spiluccando il canapè bulariano che aveva ordinato. «Se non ci fosse la legge marziale, non avrei potuto farlo. Sarei stato costretto a lasciarli partire, così avrebbero infettato un’intera colonia!» disse, ancora incredulo.

   «Che roba» mormorò Ilia, prima di addentare un gamberetto. I due stavano gustando la cucina di Raav, il loro cuoco preferito. L’Antro del Drago era ormai il punto di ritrovo per gli ufficiali dell’Enterprise, anche grazie alla pubblicità di Ilia e Grenk, che ne avevano parlato bene a tutti i colleghi. L’atmosfera esotica del locale – che simulava una caverna Gorn – stimolava gli avventori a chiacchierare e raccontare storie.

   «Doveva sentire come strillavano, mentre Korris li vaccinava» proseguì Lantora. «Sembrava che li stesse scannando».

   «I bambini strillavano?» si dispiacque Ilia.

   «Anche gli adulti» disse Lantora, cupo. «Urlavano, imprecavano, si divincolavano come ossessi. Korris ha dovuto sedarne un paio, sennò gli avrebbero devastato l’infermeria. L’unica cosa positiva di questa storia è che il Consigliere ha dato le dimissioni. Forse, senza lui che soffia sul fuoco dei complottismi, tornerà un po’ di normalità».

   «Speriamo. Chissà chi manderanno al suo posto» si chiese Ilia.

   «Non so, ma dubito che possa fare peggio. In realtà, con la guerra in corso, può darsi che per un po’ non mandino nessuno» rifletté Lantora.

   «Che visi lunghi» disse Raav, accostandosi. Come faceva spesso, prese una sedia da un tavolo vicino e si accostò per chiacchierare con gli amici.

   «È stata una brutta giornata» ammise Lantora. «Mi ha ricordato un po’ la missione alla Sfera 99».

   «Ne ho sentito parlare, da Grenk e da altri. Ma non da qualcuno che fosse in plancia quel giorno» disse Raav. «Come andarono realmente le cose?».

   «Ilia, vuole...?» chiese Lantora, che preferiva concentrarsi sul cibo.

   «Certo» disse Ilia, deponendo la forchetta. «È stato... tre mesi fa, mi pare. Avevamo l’ordine di distruggere la Sfera 99, che minacciava la colonia di Penthara IV. All’inizio sembrava tutto a posto, non c’era nemmeno una Dreadnought a difenderla. Pensavamo di dover lanciare i siluri e via, missione compiuta. Poi è comparso quel vecchio trasporto scalcagnato. Quando abbiamo visto il logo del MPG sullo scafo, abbiamo capito che ci aspettavano guai. Dico davvero, avrei preferito una battaglia con una Dreadnought».

   «Anche due o tre» rincarò Lantora.

   «Ma che ci facevano?» domandò Raav.

   «Aspettavano noi!» esclamò Ilia. «Cioè, qualunque nave federale inviata a distruggere la Sfera. Non so da quanto fossero lì nello spazio, tutti soli. Se fosse arrivata una Dreadnought, li avrebbe spazzati via in un attimo. Quando ci videro arrivare si frapposero tra noi e la Sfera. Dissero che, se volevamo distruggerla, dovevamo aprire il fuoco su di loro».

   «Dissero pure che stavano registrando tutto, e che trasmettevano ai pianeti vicini» aggiunse Lantora, arcigno. «Così, se avessimo fatto un passo falso, la notizia si sarebbe diffusa».

   «E il Capitano che ha fatto?» incalzò Raav.

   «Gliele ha cantate chiare» rispose Ilia, soddisfatta. «Ha detto che non potevano anteporre una forza d’invasione aliena ai loro concittadini. Sai, quelle anomalie avrebbero ucciso milioni di persone su Penthara».

   «Ma questo è un aspetto che sfugge ai Pacifisti» commentò Lantora.

   «Immagino che loro non l’abbiano presa bene» disse Raav.

   «Infatti presero a spararci» confermò Ilia. «Per fortuna i loro vecchi phaser erano del tutto inefficaci contro i nostri scudi. Però il Capitano fu tentato di reagire. Fortuna che Terry aveva i sensori all’erta» rabbrividì.

   «Quegli sciagurati avevano collegato armi e scudi direttamente al nucleo di curvatura, per renderli più potenti» spiegò Lantora. «Così, al minimo sovraccarico, sarebbero saltati in aria. Se cercavamo di disattivargli le armi, rischiavamo ugualmente di distruggerli. Sai, erano tutti civili, su quella nave. Famiglie, coi bambini che sventolavano le bandierine della pace».

   «Brutta faccenda» disse Raav, addolorato. «I cuccioli dovrebbero essere tenuti fuori dalle contese degli adulti. Ma le anomalie non colpivano anche loro?» aggiunse, colto da un tremendo sospetto.

   «Li colpivano eccome. C’erano parecchi feriti a bordo, compresi alcuni dei bambini» rispose Ilia, tetra. «Per non parlare del rischio che un’anomalia colpisse il loro nucleo pasticciato. A quel punto capimmo che bisognava agire subito».

   «Lanciai i siluri contro la Sfera, programmando la traiettoria in modo che aggirassero la nave trasporto» spiegò Lantora. «Era una Sfera di vecchio tipo, simile a quelle della Distesa Delfica. Piccola e disarmata. Ci volle poco per distruggerla. Il problema erano i Pacifisti. Quei fanatici impazzirono, dissero che eravamo assassini e che avrebbero diffuso il filmato dell’Enterprise che apriva il fuoco. Penso che l’abbiano fatto» sbuffò.

   «Comunque, dopo una lunga trattativa, li convincemmo a staccare armi e scudi dal nucleo» riprese Ilia, avviandosi alla fine del racconto. «Ci offrimmo di scortarli fino al più vicino avamposto federale, perché eravamo ancora in zona di guerra. Loro rifiutarono sdegnosamente. Perciò dovemmo seguirli di nascosto, stando occultati, pronti a intervenire se fossero arrivati i Tuteriani. O se la loro nave scalcagnata avesse avuto qualche problema» aggiunse la Trill. «Così abbiamo anche perso tempo prezioso, perché quel trasporto era lentissimo. Ci sono voluti tre giorni perché raggiungesse Penthara» sospirò.

   «Quella gente è stata folle, sconsiderata» disse Raav. «Mi spiace che ci siate andati di mezzo. Ma anche qui sull’Enterprise se ne vedono, di teste calde. Qualcuna l’ho buttata fuori dal mio locale, perché l’aveva scambiato per una sala conferenze da cui lanciare proclami».

   «Sì, ho sentito» disse Lantora. «Senti, la prossima volta che qualcuno t’infastidisce, chiama noi della Sicurezza. Così avrò l’occasione di sbattere al fresco quei cretini».

   «Me lo ricorderò» promise Raav, con i grandi occhi gialli che scintillavano divertiti.

 

   
 
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