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Autore: Sunshiner    17/07/2009    10 recensioni
Una notte tragica porterà un regalo inaspettato a Cuddy.
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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EMMA HOPE


Il telefono squillò all'alba.

Cuddy emerse a fatica dal sonno profondo, infreddolita. Si accorse di non essere nella propria stanza.

– Pronto? –


Era una sera piovosa, autunnale. Aveva attraversato la città per parlare con lui: un caso che le stava a cuore. La figlia di amici, una coppia di importanti finanziatori dell'ospedale, aveva avuto episodi di confusione mentale e disorientamento. House non voleva il caso. E non le apriva la porta. Aveva iniziato a picchiare forte sul legno laccato, chiamandolo. Poi si era accorta che era aperto ed era entrata.

L'aveva trovato steso sul divano, calzoncini e maglietta, fuori di sé dal dolore. Non era stata una buona giornata.

– Vattene. – Aveva sibilato lui, i denti stretti e le mani che stringevano la coscia destra. Un flacone vuoto di Vicodin era rovesciato sul tappeto. Cuddy riconobbe la scatola quadrata chiusa a chiave, quella dove House teneva la morfina. Non era nel solito nascondiglio.

– Non ti permetterò di iniettarti il cocktail letale. Dio solo sa quanta robaccia hai già in circolo. –

– Vattene. –

– House, ti prego, cerca di... –

– Maledizione! –

Lei aveva fatto un salto all'indietro, sbattendo contro il tavolino. House era seduto, stringeva la siringa nella mano destra, due grosse lacrime lucidissime, dolenti, gli solcavano le guance. Ora la sua voce era calma. Bassissima, tremante.

– Cuddy, adesso tu esci di qui e torni a casa, e noi ci vediamo domattina. –

Lei aveva valutato la possibilità di uscire dall'appartamento e tornare a casa. Come se non avesse visto, o tentato di impedire nulla. Le era parso di trovarsi di fronte ad un bivio, in uno di quei frangenti decisivi, le svolte radicali che sole possono portare il cambiamento vero.

Le restava solo una possibilità.

– House, non farlo. –

Lui l'aveva guardata con quegli occhi così blu e franchi, la sofferenza spianata, srotolata e nuda di fronte a lei, incapace di privarsi del gesto naturale di curare il dolore, conscio di essere diventato l'ombra di se stesso. Taceva, forse sentendosi una nullità, un essere umano al capolinea.

Cuddy si era avvicinata piano, senza dire niente. Gli aveva preso la siringa e l'aveva depositata nel contenitore, intatta. Poi l'aveva aiutato ad alzarsi, sorreggendolo con tutta la forza di cui era capace, e l'aveva accompagnato in camera e l'aveva fatto stendere. Un massaggio lieve, le sue mani scorrevano sulla pelle tesa e sul nodo di dolore che restava dove un tempo c'era stata fibra, energia. Aveva continuato così per più di mezz'ora, inginocchiata di fianco al letto, in silenzio. Poi lui l'aveva fermata.

Aveva posato le mani su quelle di lei.

Cuddy si era alzata lentamente.

– Vado a preparare della camomilla. –

Ma mentre si voltava, House l'aveva tenuta stretta per la mano. L'aveva trattenuta. Non poteva farla andare via, neanche nella stanza attigua. Senza di lei, il dolore. La solitudine. Cuddy sarebbe tornata con la tazza fumante e lui l'avrebbe ferita, mandandola via, forse per sempre.

– Resta. –

Lei si era seduta al suo fianco. House si era messo a sedere, poggiandosi su un avambraccio e cingendo lei con l'altro. L'aveva baciata a lungo.

Poi, solo i loro corpi, nudi nella penombra.


– Pronto? –

Cuddy lasciò scivolare il ricevitore, giù verso il collo e poi sul petto, premendoselo al seno come un marchio a fuoco.


House si era svegliato prestissimo. Fuori era ancora buio, le gocce di pioggia schizzavano i vetri. Lei era addormentata al suo fianco, i capelli sparsi sul cuscino. Doveva pensare.

La moto aveva sfiorato l'asfalto, veleggiando nella pioggia fine. Dieci minuti dopo, House zoppicava verso l'entrata del Princeton.

– Ehi, che diavolo ci fai qui a quest'ora? – Cameron, il camice macchiato di sangue e chissà cos'altro, era arrivata ticchettando sul linoleum con le scarpe del pronto soccorso. Una mascherina le penzolava al collo.

– Niente. –

– Quindi puoi aiutarmi. Abbiamo due incidenti d'auto e un paio di angioplastiche, serve un rx torace al bambino con la polmonite e un chirurgo per un'appendicectomia, visto che gli altri sono occupati con un trauma spinale. Notte maledetta... –

Ma House era già sparito.

Qualche minuto più tardi, la palla rimbalzava contro il muro. House, il bastone abbandonato sulla moquette, conduceva il suo gioco dalla poltrona, la gamba stesa sul poggiapiedi.

Era stata una cosa incredibile. Un momento di estasi, i primi minuti senza dolore, da anni. La sgualdrinella e i suoi trucchetti. Aveva ripensato allo sguardo preoccupato di Cuddy. Aveva sperato che avesse cambiato idea, che avesse capito che non ne valeva la pena, non per uno come lui. Ma forse valeva la pena, per una come lei. Aveva pensato che forse avrebbe potuto fare qualcosa di giusto, per una volta, e smetterla di scappare dalla paura di mettersi a nudo con qualcuno. Aveva pregato di non ferirla mai, di essere capace di dimostrarle che l'amava.

Poi era arrivato un ragazzo, di corsa. Magro, alto, i jeans strappati e la maglia nera stinta.

– Ehi, che ci fai tu qui? Il pronto soccorso è al piano terra. –

– Devo... – La voce del ragazzo tremava, così le sue mani. – Devo essermi sbagliato.

House notò le occhiaie viola, la pelle sudata, le mani tremanti. La magrezza. Dannazione. Ne ebbe una pena strana, come dettata da una comprensione naturale.

Si alzò a fatica. Il ragazzo arretrava.

– Come ti chiami? –

– Joe. –

– Joe, deve vederti un dottore. –

– No, io sto... –

– Sei in astinenza. –

Joe sbatté contro la lavagna, che oscillò. Si frugava sotto la maglia larga. Forse cercava l'ultima dose. O un coltello.

House si avvicinò.

– Stammi lontano! Stammi lontano, maledetto bastardo! – Joe stringeva una pistola. Una semiautomatica, nera, lucida. La puntava dritta addosso ad House. Dove diavolo l'aveva scovata? Era ridicolo. Probabilmente non sapeva neanche sparare.

– Joe, lascia la pistola. Stai per avere un collasso... –

– Io non voglio... non voglio stare male. – Joe iniziò a piangere, nervosamente.

– Si prenderanno cura di te. – House gli tese la mano. Un ragazzino disperato con un'arma che aveva preso chissà dove, da chi.

Joe fece per abbassare la pistola, sempre più pallido e sudato.

– Mettila giù! Mani in alto! – Quattro poliziotti fecero irruzione nella stanza. Joe sparò. – Siete tutti uguali.


Cuddy non vide nemmeno la strada. Non vide il parcheggio, non vide la gente scortata fuori dal pronto soccorso.

Correva soltanto, respirando solo a tratti, a boccate d'aria improvvise e spezzate.

Si fermò solo quando le sue mani colpirono il vetro della porta, le dita a coprire la scritta "Gregory House - Head of Diagnostic Medicine". Dentro, un ragazzo accovacciato a terra piangeva e tremava, mentre dei poliziotti lo ammanettavano.

Dietro la scrivania, intuì le figure di due paramedici, chine su un uomo steso a terra in una pozza di sangue scuro che si allargava sulla moquette grigia.

Cuddy sentì le proprie mani scivolare sulla porta a vetri e vide la traccia di sudore che vi lasciavano, scoprendo il nome dell'uomo che giaceva all'interno della stanza.

– Lisa. – Cameron la chiamò da dentro la stanza. La sua voce sembrava arrivare dal fondo di un burrone. Cuddy entrò spingendo la porta, quasi reggendosi ad essa. I poliziotti trascinarono fuori il ragazzo. Lo sguardo di Cuddy incrociò per una frazione di secondo quello di Joe. Interrogativo, accusatore, scrutatore, disperato. Perché l'hai fatto?

– Ha accoltellato un nostro collega e gli ha preso la pistola. Voleva la dose. – I poliziotti sparirono nel corridoio, trascinandosi dietro il giovane.

Voleva la dose.

House giaceva semi incosciente, lo sguardo perso nel nulla, un filo di sangue gli bagnava le labbra socchiuse.

Cuddy si inginocchiò accanto a lui, mentre Cameron e i paramedici preparavano la barella.

– House? –

– Fa male... –

– Lo so. Tieni duro. House... – Gli prese la mano. Era gelida. House chiuse gli occhi. Lei lo baciò sulle labbra, piano, sentendo il sapore del sangue sulle sue.

Lo portarono via.


Wilson era in piedi accanto a Cuddy e guardava fisso di fronte a sé, completamente concentrato su un punto scelto e noto solo a lui, e in quello sguardo concentrava disperazione e ricordi. Se avesse abbassato gli occhi, sarebbe probabilmente scoppiato in lacrime.

Cuddy stringeva la pochette di raso nera, le unghie conficcate nell'imbottitura sottile, gli occhi fissi sui tre bellissimi ciclamini rosa antico, che inebriavano l'aria umida autunnale del loro profumo ed erano gli unici fiori che ornavano la bara. Li aveva scelti insieme a Wilson: il ciclamino è il fiore della lealtà perenne, di amori ed amicizie tristi. Tre ciclamini, come loro tre, gli inseparabili che avevano attraversato la vita insieme per tanti anni, senza mai venire meno alla reciproca fedeltà, fino all'addio inaspettato del primo di loro che se ne andava.

C'era un mare di persone. Tantissime. Cuddy incrociò lo sguardo affranto della madre di House, che, in piedi accanto a lei, le accarezzò il braccio. Le due donne sembrarono intuire, contemporaneamente, l'affetto e l'amore che lui aveva provato per entrambe. E così la gente in nero dietro di loro, la squadra, Chase e Cameron.

Tutti gli altri, nessuno li conosceva. Ma erano tantissimi, silenziosi. Erano i pazienti di un tempo, quelli più recenti. Di qualcuno, Cuddy ricordava ancora il viso, ma non avrebbe saputo dire il nome. Il popolo tutto al funerale del reietto, del fuorilegge. Sembrava incredibile. Nessun parente, nessun amico: solo lei, Wilson e la signora Blythe. Poi, la squadra e la folla.

Nessuno pronunciò discorsi. Non ci furono parole, solo musica, la sua musica adorata.

Wilson prese la mano di Cuddy e insieme, lentamente, raccolsero una manciata di terra scura e umida e la lasciarono piovere come neve sui tre fiori, su House, su quella situazione assurda, a cui non erano bastati i giorni di veglia, la gonna di Cuddy macchiata di sangue, la polizia e l'ora del decesso, per convincerli che era accaduto per davvero. La madre di House fece cadere un'altra manciata di terra sulla bara, poi si allontanarono insieme, mentre tutti gli altri salutavano, ognuno per proprio conto, ognuno con il suo personale addio.

Blythe non volle restare nemmeno per la notte. La accompagnarono a Newark, un'ora dopo era in viaggio.

Wilson andò a casa. Come, ormai, gli sembrava capitare troppo spesso per le spalle di un uomo, si lasciò cadere sul letto e pianse.

Cuddy si ritrovò a casa di House. Era tutto come se lui fosse appena uscito, come all'alba di pochi giorni prima. Il divano in disordine, il flacone rovesciato, una coperta buttata con noncuranza sullo schienale di una sedia. La camera da letto ancora buia, perché nessuno aveva aperto le finestre, conservava il ricordo di quella notte. Cuddy non osò entrare. Vide il ricevitore del telefono penzolare, abbandonato sul pavimento, come lei l'aveva lasciato.

Corse in salotto e scaraventò a terra la cassetta con le siringhe di morfina.


– Ciao... –

– Vieni, entra. –

Cuddy accompagnò Wilson in salotto.

Il caminetto era acceso, due di calici sul tavolino, vuoti, attendevano di essere riempiti di vino. Bevvero in silenzio, ciascuno concentrato nella decifrazione dello stato d'animo dell'altro.

– La squadra vuole sapere cos'hai intenzione di fare. –

Cuddy sembrò tornare da un lungo viaggio mentale.

– Io... io non lo so. –

– Lisa, è passato più di un mese. Se devono cercarsi un nuovo posto, dovrebbero saperlo entro Natale. –

– Ma era il suo reparto. La sua squadra. –

– Senza di lui il reparto di Diagnostica non ha più nessun senso. L'Università deve riutilizzare quei fondi per altri scopi. Sei tu il Decano di Medicina, la decisione spetta a te. –

– Devo parlare con i ragazzi. Foreman è un medico affermato, potrebbe... –

– Foreman è un prezioso neurologo ed è richiesto praticamente su tutta la costa orientale. –

– Tredici... –

– Tredici è un'internista, lo seguirà praticamente ovunque. E Taub è un chirurgo plastico: se la caverà. –

– Quindi è tutto finito. –

– Già. –


L'aula magna era affollatissima.

– Dichiaro aperta la seduta plenaria del Consiglio di Amministrazione e del Consiglio di Facoltà di Medicina dell'Università di Princeton – La voce di Cuddy, fasciata in un tailleur grigio perla, risuonò, limpida e sicura, rimbalzando tra le pareti. – L'ordine del giorno di oggi riguarda la chiusura del Reparto di Diagnostica... – Cuddy ingoiò il nodo alla gola. – E la ridestinazione dei fondi ad esso riservati. –

Wilson abbassò lo sguardo. Chase e Cameron si voltarono verso Foreman, che cercava di mantenersi impassibile. Sapevano che sarebbe successo. Tredici e Taub non erano nemmeno venuti ad assistere alla riunione plenaria.

Votarono.

– Dichiaro approvato l'ordine del giorno, con 24 voti a favore e due astenuti. – Cuddy osservò Wilson con sguardo eloquente: alla fine, neppure lui era riuscito a votare a favore. – Entro la prima seduta del nuovo anno, si accettano le richieste per la ridestinazione dei fondi. – Cuddy posò la cartelletta sul tavolo di legno pregiato. Lo stesso dove sedeva con la Commissione Trapianti, a cui House aveva mentito più volte. Il suo sguardo si addolcì. – Buon Natale a tutti. –

Fuori, la neve copriva il New Jersey. Un giovane addetto lavava la porta a vetri dell'ufficio di House. Le lettere che componevano la scritta scivolavano l'una sull'altra, sciolte, scalfite, e sgocciolavano via, mescolandosi.


Il vento piegava i tre nuovi ciclamini rosa, infreddoliti, così fuori stagione, che resistevano per miracolo. Nevicava, ma impercettibilmente, a fiocchi polverosi, piccoli.

– Riderebbe di noi. –

– Già. –

Wilson e Cuddy fissavano la pietra chiarissima che piano si copriva di neve bianca.

– Mi manca da morire. – Cuddy si strinse nel cappotto pesante.

Wilson non rispose; le cinse le spalle. Mancava anche a lui. Tantissimo.

Cuddy pensò che era venuto il momento.

– Wilson, sono incinta. –


Emma Hope nacque in piena estate, in una giornata di sole caldo e senza una nuvola. Wilson restò con Cuddy per tutto il tempo, cullarono insieme quella promessa di serena accettazione. Era bellissima, paffuta, gli occhi blu intenso, indagatori e profondi come quelli di suo padre. Una bambina estiva, un raggio di sole, sorridente e sicuro di sé. Cuddy immaginò House prendere in braccio Emma, osservarla e riconoscere in lei il proprio sguardo, e pensò alle coincidenze che l'avevano portato al Princeton proprio quella mattina di ottobre, a quell'ora segnata dal destino. Si era sempre sentita responsabile per averlo costretto ad uscire, per essere rimasta quella sera. Poi guardò la piccola. House avrebbe potuto morire per la morfina, se lei se ne fosse andata. Pensò al regalo che lui le aveva fatto, quella notte, senza saperlo. Pensò all'ultimo sguardo che si erano scambiati, e ricordò una luce diversa negli occhi di House. Soffriva incredibilmente. Eppure, l'aveva guardata in un modo diverso dalle solite occhiate che le riservava. Sembrava... sembrava felice, finalmente.







   
 
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