Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    13/01/2019    0 recensioni
La Guerra delle Anomalie si tinge di giallo quando l’Enterprise incontra dei misteri che s’intrecciano alla confluenza dello spazio federale, Klingon e Romulano.
Quale segreto si cela dietro la ridente colonia Galatea, passata indenne attraverso secoli di conflitti? Cosa vuole realmente Delara, l’amica d’infanzia di Neelah, riemersa da un passato che la dottoressa preferirebbe dimenticare? Quali trame si celano dietro il sorprendente esito della Battaglia di Carraya? Fin dove si spinge l’influenza della Sezione 31, il famigerato servizio segreto federale? Ma soprattutto, di chi ci si può realmente fidare? Le domande non sono mai state così tante e le risposte potrebbero essere devastanti.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Capitolo 1: Galatea

Data stellare 2554.180

Luogo: colonia Galatea

 

   Il pianeta galleggiava nello spazio come una perla verde, bianca e blu. Nessuna macchia lo deturpava; una vista rara, di quei tempi. Gli ufficiali di plancia dell’Enterprise lo fissarono rapiti. Dopo anni di guerra e orrori, quel luogo idilliaco era un balsamo per gli occhi. Tutt’intorno a lì, la Federazione e i suoi alleati, Klingon e Romulani, bruciavano per gli attacchi del Fronte Temporale. Dalle ceneri non riusciva ancora a sollevarsi la nuova Unione Galattica. Ma per un bizzarro disegno della sorte, quell’angolo di spazio all’incrocio fra le tre civiltà era rimasto intonso. Finora.

   «Eccola qui, l’ultima delle Colonie Perdute» disse Chase, osservando il pianeta lussureggiante. «Terry, vuol darci un ragguaglio prima del contatto?».

   «Certo, Capitano» disse l’Intelligenza Artificiale. «Galatea è una delle colonie fondate dagli Umani nel convulso secolo tra l’invenzione della curvatura e la nascita della Federazione. All’epoca la Terra si stava ancora risollevando dalla Terza Guerra Mondiale ed era quindi piagata da fame e malattie, oltre che dagli effetti delle radiazioni. In questo quadro caotico, le prime nazioni capaci di costruire navi a curvatura lanciarono arditi programmi di colonizzazione. Quei progetti davano il miraggio di una nuova vita a chi aveva perso tutto o si sentiva ancora perseguitato; ma soprattutto univano per uno scopo comune chi restava sulla Terra. Il risultato fu un esodo disordinato di astronavi primitive. I coloni non sapevano cosa li aspettava nello spazio, né potevano tenersi in contatto con la Terra. E il viaggio a bassa curvatura era così lento che la maggior parte di loro lo trascorreva ibernato.

   Con la nascita della Federazione, una nuova generazione di navi stellari fu inviata sulle tracce delle vecchie navi coloniali. Alcune furono trovate in fretta, ma in altri casi non era per nulla chiaro dove si fossero spinte. Talvolta avevano cambiato rotta, per scelta o per sfuggire a qualche pericolo, il che le rendeva irrintracciabili. La riscoperta di queste Colonie Perdute durò fino al XXIV secolo inoltrato. Molte di esse avevano dato luogo a bizzarri esperimenti sociali. Alcune erano fallite: distrutte o cadute nell’anarchia. Ma altre si erano notevolmente sviluppate. Certe colonie furono felici di riallacciare i rapporti con la madrepatria e farsi riassorbire nella Federazione, che poteva offrire loro aiuti umanitari e anche prodotti di lusso. Altre, però, erano orgogliose della loro indipendenza – ottenuta con generazioni di sacrifici – e non vollero perderla. Preferirono quindi isolarsi dalla Federazione e dalle altre potenze, approfittando talvolta della posizione periferica».

   «Non è il caso di Galatea» commentò Ilia. «Si trova alla confluenza dello spazio federale, Klingon e Romulano. Come ha fatto a tenersi fuori da tutti i conflitti?».

   «Con una politica di totale isolazionismo e di equidistanza dalle tre potenze» rispose Terry. «La Federazione si è rassegnata a non riaverla. Klingon e Romulani si sono trattenuti dall’occuparla perché temevano che all’ultimo i Galateani avrebbero chiesto aiuto alla Federazione, provocando la guerra. Anche così, è un caso estremamente fortuito che Galatea sia sopravvissuta ai momenti di conflitto. Credo che le tre potenze si siano sostanzialmente dimenticate della sua esistenza, o abbiano accettato questo piccolo cuscinetto neutrale».

   «Beh, sembra che la fortuna dei Galateani si sia esaurita» disse Chase. «Le anomalie non guardano in faccia a nessuno. Che dicono i sensori, com’è il pianeta?».

   «Indubbiamente di classe M» rilevò l’IA. «La temperatura media è di 20ºC e l’inclinazione minima dell’asse fa sì che non ci siano sbalzi stagionali. Le terre emerse sono frammentate in una moltitudine di isole e piccole masse continentali, così che non ci sono entroterra desertici. Flora e fauna sono rigogliose a tutte le latitudini...».

   «Basta così, o ci farà venire voglia di sbarcare in massa» sospirò Chase. «Che mi dice della popolazione?».

   «Si trova nell’emisfero sud» rispose Terry. «Rilevo 30.000 segni vitali, tutti Umani. Due terzi si concentrano nella capitale, gli altri sono sparsi fra isole e micro-continenti».

   «Non molti» notò Ilia. «Potremo trasferirli tutti in un solo viaggio».

   «La nave Galatea con cui arrivarono era piccola, conteneva poche centinaia di coloni ibernati» spiegò l’IA.

   «Da poche centinaia a 30.000... il loro pool genetico sarà molto ridotto» commentò T’Vala.

   «Se non volevano incrociarsi fra parenti, dovevano accettare i contatti» fece Lantora, arricciando il naso.

   «Li accetteranno adesso, volenti o nolenti» disse Chase. «Signor Grog, trasmetta alla capitale». Il Capitano conosceva il copione. Doveva recitare lo stesso discorso che aveva già fatto troppe volte, con minime variazioni. Cercò di non sembrare un impiegato distratto: su quel pianeta c’erano persone che stavano per vedersi stravolta la vita.

   «Qui è il Capitano Chase della nave stellare Enterprise. Siamo spiacenti di violare il vostro spazio, ma dobbiamo informarvi di un grave pericolo che incombe su di voi. Come saprete, la Federazione e i suoi alleati sono in lotta contro il Fronte Temporale, un’alleanza di specie votate a distruggerci. I capi del Fronte, i Tuteriani, sono invasori di un’altra dimensione che cercano di rimodellare lo spazio con pericolose anomalie, per adattarlo alla loro fisiologia. Le altre specie – Krenim, Vorgon e Na’kuhl – si sono unite a loro per impadronirsi delle sacche di spazio non trasformato. Finora questa guerra vi aveva risparmiati, ma disgraziatamente non è più così. Il vostro pianeta corre un gravissimo pericolo e noi abbiamo l’ordine di evacuarlo prima che sia troppo tardi. So che non è facile da accettare...». L’Enterprise si scosse leggermente e Chase s’interruppe.

   «Questi sono colpi di cannone a impulso» rilevò Lantora. «Gli scudi reggono».

   «Qui Chase» riprese il Capitano senza scomporsi. «Non è carino sparare a chi vi rivolge la parola, specialmente se il nuovo arrivato è qui per salvarvi. Come vedete, le vostre armi non sono una minaccia per noi. Perciò non potrete difendervi nemmeno dal Fronte, quando arriverà. Nel vostro interesse, è tempo di abbandonare l’isolazionismo. Vi ha salvati finora, più per fortuna che per altro; ma state certi che non vi salverà adesso».

   «Ci chiamano, Capitano» disse Grog.

   «Dopo averci sparato... che simpatici» mormorò Chase, scambiando un’occhiata eloquente con Ilia. «Sentiamoli».

   «Qui è il Sindaco Vargas, che vi parla da Eidola City» disse un uomo di mezz’età col pizzetto, apparendo sullo schermo. Era vestito con impeccabile eleganza... per un uomo di quattro o cinquecento anni prima. Finora Chase aveva visto le cravatte solo nelle immagini e nei filmati storici. Si chiese che senso aveva arrotolarsi un pezzo di stoffa intorno al collo, quasi fosse un cappio. «Siamo al corrente della vostra guerra... l’ultima di una lunga serie. Ma non ci faremo coinvolgere neanche stavolta» disse il Sindaco. «Abbiamo prosperato per quattro secoli tra le grandi potenze, ritagliandoci quest’oasi di tranquillità. Non l’abbandoneremo solo perché qualcuno grida “al lupo!”».

   «Signor Sindaco, lei è la più alta autorità del pianeta?» chiese il Capitano. Sembrava una domanda sciocca, ma considerando il tipo di colonia, piccola e isolata, era probabile che fosse proprio così.

   «Certo» confermò l’uomo col pizzetto. «Non ci servono Presidenti, Cancellieri, Pretori o Imperatori» disse sarcastico, mostrando di conoscere Klingon e Romulani. «Il nostro governo è semplice. La mia carica ha durata quadriennale, con possibilità di rielezione; infatti sono al secondo mandato. Sono coadiuvato da una Giunta di Assessori e tanto basta per condurre i nostri affari in pace». L’inquadratura si allargò, mostrando gli Assessori che contornavano il Sindaco. Suddivisi equamente fra uomini e donne, erano allineati lungo lo stesso lato di un lungo tavolo. Gli uomini avevano tutti la cravatta. Le donne indossavano abiti meno standardizzati, ma anch’essi antiquati agli occhi dei federali.

   «Sindaco, mi spiace essere brutale, ma Galatea non sopravvivrà fino al termine del suo mandato» disse Chase. «La vostra pace sta per essere violata in ogni caso. Potete scegliere fra il trasferimento a opera nostra... e l’annientamento a opera del Fronte».

   «Le perdono la brutalità, Capitano. Ma deve capire che per noi è inconcepibile abbandonare questo Paradiso che i nostri avi trovarono dopo un lungo viaggio» spiegò il Sindaco. «Già questa conversazione viola le nostre usanze. Il suo allarmismo deve essere convalidato da prove, prima che noi si possa pensare ad azioni così drastiche». Anche il linguaggio dell’uomo suonava antiquato, nell’accento e nella scelta dei termini. Il lungo isolamento dei Galateani aveva influenzato la loro parlantina, che come la moda era rimasta simile al passato.

   «Vi fornirò tutti i dettagli, se mi permettete di scendere su Galatea» disse Chase. «O preferite salire voi a bordo?».

   Il Sindaco tentennò. Ne approfittò una degli Assessori, la più giovane, che si alzò in piedi. «Chiedo il permesso di parola, signore» disse. Questo creò una certa sorpresa fra gli altri, ma il Sindaco – che sembrava aver perso la voce – annuì. La donna si rivolse allora direttamente al Capitano. «Sono Karen Mallory, assessore alla Salute e alla Difesa. Sono disposta a salire sulla vostra nave per prendere coscienza della situazione. Dopo di che riferirò al Sindaco e alla Giunta».

   Chase la studiò. Era strano accorpare Salute e Difesa, ma considerando il secolare isolamento di Galatea, la Difesa doveva essere una carica perlopiù simbolica. Karen Mallory era una donna sui trentacinque anni, dai capelli castani raccolti e gli occhi più vispi che Chase scorgesse in quella tavolata. Farla salire a bordo poteva essere la mossa giusta, se poi riusciva a smuovere gli altri. «Saremo lieti di averla a bordo» disse. «Abbasseremo gli scudi per teletrasportarla, dietro la promessa che non ci attaccherete di nuovo».

   «Veramente noi siamo contrari al teletrasporto» spiegò Karen con educazione. «Verrò in navetta, se permettete».

   «Certo, gliene mando subito una» disse il Capitano. Queste fisime dei Galateani non facilitavano il dialogo, ma da parte dell’Assessore sembrava esserci buona volontà, per cui bisognava assecondarla il più possibile. «Spero che resti a cena con noi; c’è molto di cui discutere».

   Karen diede una rapida occhiata al Sindaco, che annuì. «Con piacere, Capitano» sorrise. «Non pensavo che avrei mai visitato una nave stellare».

 

   A ricevere l’ospite nell’hangar 1 si recarono Chase, Terry e anche il dottor Korris. Il Capitano voleva infatti un parere sulle condizioni dei Galateani, alla luce del loro problema genetico. Il dottore si presentò all’ultimo momento, in alta uniforme, solo per scoprire che gli altri avevano tenuto l’uniforme normale. Scortati da due uomini della Sicurezza, attesero che la navetta si posasse e osservarono la Galateana che ne usciva.

   Karen sembrava la visitatrice di un altro secolo, non solo per gli abiti antiquati, ma anche per l’espressione di sorpresa che aveva stampata in volto. «Salve, Capitano... che astronave imponente! Quant’è grande?» chiese in tono fanciullesco.

   «Tre km contando anche le gondole. Può accogliere diecimila persone in modo confortevole, ma adesso è semivuota perché la guerra ci ha obbligati a sbarcare i civili» spiegò Chase. «Possiamo accogliere tutta la vostra gente e sbarcarla in un giorno su Acamar, dove sarà al sicuro...». Si accorse che Karen non lo ascoltava. I suoi occhi color nocciola erano fissi sul dottor Korris, che appariva imbarazzato da quell’attenzione.

   «Mi scusi... non volevo fissarla, è solo che... non avevo mai incontrato alieni» confessò la donna. Distolse lo sguardo e arrossì un po’, vergognandosi del suo provincialismo.

   «L’equipaggio dell’Enterprise è in gran parte alieno, quindi si abituerà» disse Chase. «Comunque la maggior parte degli ufficiali è umanoide, anche se abbiamo un ponte allagato per le specie ittiche».

   «Ittiche? Oh, santo Cielo!» trasecolò Karen. Ma si riprese subito e strinse la mano agli ufficiali, uno dopo l’altro.

   «Ufficiale Scientifico Terry» si presentò l’IA quando fu il suo turno.

   «Terry? Ed è Umana?» chiese l’Assessore, stupita dall’assenza del cognome.

   «Non proprio. Sono una proiezione isomorfa» spiegò Terry. Vedendo la perplessità della Galateana, dovette spiegarsi: «Sono un’Intelligenza Artificiale, la stessa che controlla i sistemi della nave».

   «Quindi lei è il computer dell’Enterprise? Perdinci, questa visita mi riserva una sorpresa dopo l’altra!» esclamò Karen, ricorrendo a un’altra espressione antiquata. L’ultimo a cui doveva presentarsi era il dottore. Sembrava ancora un po’ intimorita dal suo aspetto, ma si fece avanti e gli strinse la mano.

   «Korris Vrel, medico di bordo» disse modestamente il dottore. Nello stringere la mano all’ospite notò che sotto la manica aveva un dispositivo simile a un bracciale tecnologico. Era sottile ma piuttosto sviluppato in lunghezza. «Benvenuta a bordo, Assessore. Scusi l’indiscrezione, ma posso chiederle cos’è quello?» domandò, accennando al dispositivo.

   «Oh, questo?» fece Karen a disagio, tirandosi su la manica per nasconderlo. «È solo un sensore medico. La mia gente teme che in questa nave piena di alieni possano esserci malattie, e che al ritorno io le trasmetta ad altri. Dovete scusarci, signori... temo che la mia gente soffra già di una malattia, chiamata provincialismo. Io stessa ne sono afflitta in forma cronica, quindi mi perdonerete certe esternazioni fuori luogo».

   I federali, in realtà, non si sentivano di biasimarla. Era evidente che la Galateana stava facendo sforzi eroici per superare la paura dell’ignoto. Considerando che non era mai stata su un’astronave e non aveva mai visto alieni, se la cavava piuttosto bene.

   «Nessun problema, Assessore» disse Chase. «Ma se vuole seguirci in sala tattica, le mostrerò perché è indispensabile evacuare il suo mondo. E perché è così urgente».

 

   Al centro del tavolo ad anello, l’ologramma multicolore mostrava la situazione tattica in quell’angolo di Galassia. Lo spazio controllato dall’Unione era segnato in blu, mentre quello occupato dal Fronte era giallo. Le zone trasformate dalle anomalie spiccavano rosse.

   «Questa è la situazione aggiornata» spiegò Chase. «Come vede, è gravissima. Il nostro spazio è ancora frantumato in diversi settori dalle anomalie e il nemico colpisce da più fronti. I Tuteriani hanno posizionato le Sfere nei punti chiave e le proteggono con le loro Dreadnought, cercando di espandere lo spazio trasformato. I Krenim lanciano attacchi con le catapulte subspaziali, che permettono loro di colpire da dietro le nostre linee. Vorgon e Na’kuhl compiono attacchi-lampo che spesso prendono di mira i convogli di rifugiati. L’anno scorso hanno colpito anche il sistema solare, con risultati catastrofici. Milioni di persone sono morte e molte di più sono rimaste vittime di armi biologiche».

   «Hanno colpito la Madre Terra?!» fece Karen, angosciata. «Oh Cielo... non avevo idea che la situazione fosse così grave. Quelle anomalie sono ovunque! Non riesco a immaginare cosa state passando... quanti sfollati dovete gestire. Ma avete piani per respingere il Fronte, vero? Alla fine prevarrete, non è così?» chiese, quasi supplicante.

   «Le migliori menti della Flotta cercano ancora di capirlo» sospirò il Capitano. «In tutta onestà le dico che la situazione è critica. Tuteriani e Krenim hanno una tecnologia che gli permette di vedere nel futuro, pianificando le mosse vincenti. E il leader dei Na’kuhl, Vosk, ha dichiarato che tornerà sulla Terra per finire il lavoro lasciato in sospeso. Da ciò che sappiamo di lui, non è il tipo che minaccia a vuoto. La sua nave ammiraglia, che chiamiamo Eclipse, è più potente dell’Enterprise. Se passasse da queste parti, non esiterebbe un attimo a distruggere il vostro mondo. E noi non potremmo impedirlo».

   Chase si fermò un attimo, vedendo che Karen si era ficcata una mano in bocca per non gridare dall’orrore. Aspettò che si fosse ripresa. «Ma il problema che ci ha portati qui è un altro. Vede, Assessore, il suo pianeta è un saliente».

   «Un cosa?».

   «Ahi, ahi... la responsabile della Difesa non conosce i termini militari!» si disse Chase. Lasciò a Terry le spiegazioni.

   «Un saliente è una parte del teatro di battaglia che si proietta in territorio nemico» chiarì l’IA. «Si trova quindi circondata da più lati, il che la rende vulnerabile. Un saliente profondo rischia di essere tagliato dal nemico sulla sua base formando una sacca, in cui gli occupanti restano isolati. Potrebbe succedervi questo... ma è ancora più probabile che il Fronte vi schiacci direttamente fra le sue linee. Osservi».

   Senza bisogno di toccare i comandi, la proiezione isomorfa aumentò l’ingrandimento di una sezione, per mostrare chiaramente la situazione di Galatea. Il suo sistema stellare era una piccola sacca blu, circondata dal nemico su tutti i lati salvo uno.

   «Questo sistema adiacente al vostro è Carraya» spiegò Terry, evidenziandolo. «Ci vivevano Klingon e Romulani, prima che i Krenim ne prendessero possesso. Hanno piazzato diverse astronavi, che potrebbero colpirvi in qualunque momento. E dall’altra parte c’è una zona di spazio invasa dalle anomalie. Al ritmo in cui crescono, potrebbero colpire Galatea fra pochi giorni. Riteniamo che il nemico vi colpirà così, senza nemmeno bisogno di scomodare le sue navi».

   «Ma avete detto che le anomalie sono generate dalle Sfere» obiettò Karen. «Non potreste distruggere la Sfera più vicina, per dissiparle?».

   «Distruggere una Sfera non è cosa da poco, neanche per l’Enterprise» spiegò il Capitano. «Prima di ogni attacco dobbiamo chiederci se il rischio vale i benefici. Nel vostro caso, mi spiace, ma la risposta è no. La Sfera più vicina è difesa da sei Dreadnought e da una ventina di Navi Vampiro dei Na’kuhl. Bisognerebbe mandare una flotta per dargli battaglia e questo non è all’orizzonte. Realisticamente dobbiamo lasciar collassare il saliente, dopo avervi messi in salvo. Come dicevo, vi porteremo ad Acamar. Lì ci sono altri gruppi di rifugiati e un presidio in grado di proteggervi».

   Karen stava ancora guardando con orrore l’ologramma. «Quanto tempo avete detto che ci resta?» chiese con un filo di voce.

   «Fra pochi giorni le anomalie cominceranno a colpirvi. È difficile dire quanto saranno intense e quanto vi danneggeranno. Certi pianeti resistono per mesi, altri avvizziscono in pochi giorni» spiegò il Capitano. «Per quanto riguarda i Krenim, potremmo trattenerli un po’... non combattendo, ma coi negoziati».

   «Quali negoziati?» chiese la Galateana.

   «Venendo qui, abbiamo intercettato una nave da guerra Krenim» intervenne Lantora con una certa soddisfazione. «Dopo un breve scambio di siluri cronotonici l’abbiamo neutralizzata e abbiamo intimato la resa all’equipaggio. Avendo il supporto vitale in avaria, sono stati costretti a cedere. Così adesso abbiamo duecento prigionieri Krenim a bordo. Non sono tutti in ottime condizioni, ma ci sono. Perciò proporremo uno scambio alla guarnigione Krenim di Carraya: i loro duecento soldati contro duecento dei nostri civili che sono prigionieri sul pianeta».

   «Ma loro hanno altri ostaggi?» domandò Karen.

   «Certo, decine di migliaia... ma non possiamo salvarli, per il momento» si rabbuiò Lantora. «Resteranno nei campi di lavoro forzato, o peggio. In realtà il Comando aveva preso in considerazione un attacco per liberare Carraya, ma l’ha cassato. Ci sono troppi altri fronti aperti, che minacciano pianeti più popolosi».

   «Capisco» disse Karen, raggelata. Gli ufficiali attorno a lei parlavano di sacrificare interi pianeti per ragioni di realpolitik, con una facilità sconcertante. Dovevano essere abituati a ragionare su quella scala. Per lei, sacrificare anche una sola vita sembrava troppo. «Cercherò di spiegare tutto questo alla mia gente. Ma forse... forse è meglio che scendiate a spiegarglielo voi stessi» disse avvilita.

   Visto il suo stato, gli ufficiali decisero di non infierire. Terry disattivò l’ologramma e Chase prese l’Assessore da parte. «La cena è alle 20:00 sul ponte 9. Nel frattempo le daremo un alloggio, così potrà darsi una rinfrescata. Spero che stasera ci racconterà qualcosa del suo mondo, così saremo più preparati, quando scenderemo».

   «Certo, anche se non c’è molto da dire» annuì Karen. «Tutte le nostre faccende sono... niente in confronto a quel che mi avete mostrato. Sono grata per il fatto che, malgrado tutto, abbiate trovato il tempo di aiutarci. Tenterò di farlo capire agli altri» promise, ma le si leggeva la preoccupazione negli occhi.

 

   Alla cena parteciparono molti degli ufficiali superiori. Ogni volta che vedeva una nuova specie aliena Karen ci faceva caso, ma poco alla volta imparò a ignorare la stranezza e prese a discorrere normalmente. Il dottor Korris, che le sedeva accanto, notò che aveva ancora il sensore medico al polso.

   «Ci dica qualcosa di Galatea» la invitò Chase al termine del pasto.

   «Ehm, credo che abbiate già i dati del pianeta, quindi vi parlerò dei suoi abitanti» disse Karen. Bevve un sorso di sintalcool per farsi coraggio e riprese. «I nostri avi lasciarono la Madre Terra 450 anni fa, spinti dalla promessa di nuovi mondi. Viaggiavano sulla SS Galatea, una nave che raggiungeva a stento la curvatura 2 e si affidava a vecchi motori chimici per le manovre subluce. Non c’erano replicatori né teletrasporto. Equipaggio e coloni erano ibernati, anche se alcuni membri dell’equipaggio si svegliavano a rotazione ogni pochi anni per controllare lo status dei sistemi e correggere la rotta. La loro unica guida era una vecchia mappa stellare acquistata dai Vulcaniani, ma non so nemmeno se abbiano seguito la rotta prevista inizialmente.

   Comunque, dopo mezzo secolo di viaggio raggiunsero questo pianeta. Ne rimasero subito affascinati... era il Paradiso che sognavano. Così sacrificarono l’astronave, smontandola per costruire il primo insediamento, che oggi è la capitale. In ricordo della Galatea, che li aveva trasportati fedelmente nello spazio per tanti anni, diedero lo stesso nome al pianeta. Purtroppo erano giunti così lontano dalla Terra che non poterono nemmeno mandare un messaggio per far sapere che erano vivi».

   Gli ufficiali dell’Enterprise sentirono una gran tristezza. Viziati dalle mille comodità della tecnologia moderna, stentavano a figurarsi cosa volesse dire viaggiare in quelle condizioni, senza sapere se si sarebbe arrivati vivi da qualche parte.

   «Mi spiace che la vostra gente abbia sofferto tanto» disse Korris, che si era emozionato più di tutti. «Cosa accadde poi?».

   «Ci furono generazioni di lavoro per costruire la colonia» spiegò Karen. «Fortunatamente il clima è mite tutto l’anno e le risorse abbondano. Non ci sono predatori né gravi malattie. Gli sforzi dei coloni furono quindi coronati dal successo. Entro un secolo la nostra qualità di vita era già ottima e da allora non ha fatto che innalzarsi. Oggi Galatea è un Paradiso e la popolazione continua ad aumentare. Abbiamo creato la società perfetta... una società priva di violenza, cupidigia e invidia, in cui tutti lavorano per il bene comune. Fino a ieri eravamo lieti che il resto della Galassia si fosse dimenticato di noi. Pensavamo di poter continuare così per sempre, in pace...» mormorò, con gli occhi lucidi di commozione. Era chiaro che amava teneramente il suo mondo e la prospettiva di lasciarlo le spezzava il cuore.

   «Forse non tutto è perduto» disse Korris, sfiorandole per un attimo la mano. «Se l’Unione prevarrà sul Fronte, la vostra gente potrebbe essere riportata su Galatea. Con le navi di oggi ci vuol poco».

   «Ma le anomalie non devasteranno l’ecosistema?» obiettò Karen. «Senza la sua natura rigogliosa, Galatea diventerà una roccia morta nello spazio. Allora che ne sarà di noi?».

   «Non sono in grado di risponderle... ma se vi appellerete all’Unione, non sarete abbandonati» disse Korris, accorato. «L’importante è che la vostra gente sopravviva. Dove lo farà, è secondario».

   «Le credo» sorrise Karen, che non sembrava più intimorita dai suoi lineamenti alieni. «Ma la prego, mi parli della Terra. Lei è il medico di bordo, giusto? Che può dirmi dell’arma biologica che l’ha colpita?».

   «Sono molte armi diverse, in realtà» spiegò Korris. «Per la maggior parte sono opera dei Vorgon, una specie anfibia esperta di manipolazioni genetiche. Ma il virus più grave è stato sintetizzato dai Na’kuhl. Noi lo chiamiamo Agente 47. Attacca il DNA e lo deteriora irreparabilmente, provocando un collasso sistemico dell’organismo. Le vittime soffrono in modo terribile... e purtroppo non esiste ancora una cura. La popolazione di Cerere, Ganimede e Tritone è stata sterminata e altri satelliti sono ancora in quarantena. Noi medici stiamo facendo tutto il possibile, ma è una lotta contro il tempo» sospirò.

   «Oh, dottore, sono certa che non ha lasciato nulla d’intentato!» esclamò Karen, emozionandosi. «Non so dirle quanto l’ammiro per i suoi sforzi. In una Galassia che brucia, lei salva la gente. Ogni vita che salva sarà un monumento al suo impegno». La Galateana aveva parlato con crescente passione, girandosi quasi del tutto verso il dottore. Ma rendendosi conto che erano ancora a tavola, e che avevano attirato gli sguardi, dovette moderarsi. Tornò a sedersi composta, guardando in avanti. Korris fece lo stesso.

   Per il resto della serata il medico e l’Assessore parlarono poco, rispondendo solo se interrogati, e non discussero più fra loro. Ma ogni tanto si davano una rapida occhiata, girando la testa solo per un secondo, e nei loro occhi cresceva l’apprezzamento.

 

   Quella sera stessa, Karen tornò su Galatea con la promessa che avrebbe riferito tutto al Sindaco e alla Giunta. Disse che avrebbe cercato di convincerli ad accogliere i federali, perché spiegassero ciò che avevano già mostrato a lei. Aveva l’aria sconfortata; l’unico momento in cui riuscì a sorridere fu quando si accomiatò dal dottore. Korris osservò la navetta che usciva dall’hangar, diretta verso il pianeta scintillante.

   «Sembra che lei abbia fatto colpo sulla nostra ospite» commentò Ilia, che gli era scivolata silenziosamente accanto. «E se non mi sbaglio di grosso, la cosa è reciproca».

   «No, ma che dice?!» fece Korris, un po’ troppo in fretta. «È solo una persona gradevole, ecco tutto. E piena di curiosità. E preoccupata per il suo popolo. E...». La sua pelle grigia assunse una sfumatura rosa.

   «Se scenderemo sul pianeta, farò in modo che venga anche lei» gli promise la Comandante.

   «Ehm, grazie» fece il dottore.

   «Non è solo cortesia. Se riesce a stabilire un’intesa con l’Assessore... ad avere la sua fiducia... faciliterà la nostra missione» gli ricordò Ilia. «Insomma, unirà l’utile al dilettevole» aggiunse con un’occhiata complice, e si ritirò discretamente.

 

   La mattina dopo il Sindaco contattò l’Enterprise, invitando il Capitano a scendere su Galatea per esporre i fatti. Parlava come se facesse una grande concessione e in fondo era vero: Chase e i suoi ufficiali sarebbero stati i primi federali a sbarcare sul pianeta. Il Sindaco fornì loro le coordinate per il teletrasporto.

   «Sembra che l’Assessore sia riuscita a smuovere le acque» commentò Ilia quando la comunicazione fu chiusa.

   «Speriamo; ormai il tempo stringe» rispose Chase.

   Mentre l’Enterprise restava in orbita sopra la capitale, il Capitano scese con Terry e Korris. Si teletrasportarono direttamente nella sala della Giunta, che era vasta e ariosa, arredata con un elegante stile d’altri tempi. C’era molto legno in vista, dal tavolo degli Assessori agli infissi delle porte. Dalle finestre aperte entrava la brezza mite di Galatea, carica di essenze. Korris individuò subito Karen, seduta al suo posto tra gli Assessori. Per quanto le circostanze dell’incontro fossero gravi, si scambiarono un’occhiata lieta.

   «Benvenuti su Galatea» li accolse il Sindaco. «Spero perdonerete l’assenza di cerimonie; non siamo abituati a ricevere ospiti».

   «Va benissimo così; non c’è tempo da perdere» assicurò il Capitano. Nella mezz’ora successiva lui e Terry ripeterono grossomodo quanto avevano già spiegato a Karen, fornendo ulteriori dettagli ogni volta che il Sindaco o uno degli Assessori faceva domande. Con un olo-proiettore portatile mostrarono anche la situazione tattica. Spiegarono come si era arrivati a quel punto e quali erano le prospettive. Alla fine dell’esposizione l’atmosfera si era fatta pesante.

   «Speravo che l’Assessore Mallory avesse enfatizzato la gravità della situazione; mi avvedo che non è così» disse infine il Sindaco. «Dovremo votare al più presto sulla questione. Nel frattempo siete nostri ospiti. Se volete visitare il palazzo, o anche il resto della città, gli inservienti vi accompagneranno. Entro sera vi comunicheremo l’esito della votazione».

   «A stasera, allora» si congedò il Capitano.

 

   I tre federali decisero di non lasciare il palazzo governativo, ma si recarono su una terrazza panoramica per osservare la capitale. Era di una bellezza incantevole. Sorgeva in una conca, circondata da basse colline verdeggianti e con un lago limpidissimo al centro. L’aria tersa permetteva di vedere i dettagli fino a grande distanza. Eidola City era una mirabile fusione di natura e urbanizzazione: il verde era ovunque, dai parchi ai filari di alberi, fino ai giardini pensili che abbellivano la sommità dei palazzi e le balconate. Le strade bianche disegnavano una rete ben organizzata, non ingolfata dal traffico. La maggior parte della gente si muoveva in bicicletta o con tram a levitazione, veloci e silenziosi. Qua e là c’erano pannelli solari e pale eoliche, perché anche l’energia veniva da fonti rinnovabili. La maggior parte degli edifici era bassa e ampia. C’erano anche palazzi più grandi e persino qualche grattacielo, ben distanziato uno dall’altro. Avevano forme organiche, ultramoderne, ed erano coperti di vetrate a specchio che li facevano brillare. Le case più basse splendevano invece di un bianco immacolato.

   Aguzzando la vista, i federali notarono i Galateani che circolavano per le strade o si rilassavano in parchi e terrazzamenti. Avevano abiti leggeri e dai colori chiari, adatti al clima mite. Sembravano le persone più gaie e spensierate della Galassia. C’erano molti bambini che si divertivano all’aperto, con giochi semplici come altalene e giostre, o rincorrendosi sul verde. Le loro risate erano i rumori più forti che si sentissero. Lontano sul lago c’erano piccoli triangoli bianchi: vele d’imbarcazioni.

   «Non pensavo che questa gente avesse realizzato tanto» ammise Chase, osservando quel paesaggio idilliaco.

   «È un vero paradiso, come ha detto Karen» disse il dottore. Si appoggiò alla balaustra, inspirando a fondo l’aria limpida e profumata.

   «Questo gli renderà difficile staccarsene» notò Terry.

   «Non lo dica a me... lo vedo da un minuto e già vorrei restare» confessò Korris in tono sognante. Ma si riscosse subito e si rivolse a Chase con serietà: «Capitano, è certo che non possiamo fare nulla per preservare questo Eden? I Galateani hanno faticato secoli per realizzarlo. Da soli, hanno costruito qualcosa che eguaglia i mondi federali più belli. E non mi riferisco solo all’architettura eco-compatibile. Guardi com’è pacifica la gente... Karen ha detto che non hanno criminalità e io le credo. Possibile che debba tutto bruciare da un giorno all’altro?».

   «Dottore, vorrei tanto che i Galateani si godessero la loro pace» sospirò Chase. «Ma conosce la situazione. Questo saliente collasserà, che sia per le anomalie o per un attacco Krenim. Se i Galateani sono così evoluti sul piano etico, sopporteranno le asprezze del trasferimento».

   «Non so... perdere una patria come questa potrebbe spezzargli il cuore» disse Korris, osservando la città verdeggiante con un groppo in gola.

 

   Ben prima che calasse la sera, i federali furono informati dell’avvenuta votazione. Gli inservienti li scortarono di nuovo nella sala della Giunta. Korris notò che Karen sedeva rigida, con lo sguardo basso. Gli sembrò un pessimo segno.

   «La Giunta comunale ha espresso il suo verdetto, riguardo la vostra proposta di evacuazione» ricapitolò il Sindaco. «Ci tengo a informarvi che anche se non ci allontaniamo dal nostro mondo, teniamo i sensori all’erta. In questi ultimi anni abbiamo captato messaggi allarmanti riguardo le anomalie e gli attacchi del Fronte. Siamo quindi disposti a credere a tutti i dettagli che ci avete fornito sulla situazione bellica. Detto questo, la Giunta ha deciso di non abbandonare il nostro mondo, esprimendosi all’unanimità meno uno» sentenziò.

   Le parole ristagnarono nell’aria, gravide di conseguenze. Il Sindaco non aveva fatto nomi, ma era chiaro chi fosse l’unico Assessore favorevole all’evacuazione. Karen Mallory sedeva con le mani in grembo e lo sguardo desolato: il ritratto dell’infelicità. Korris si sentì stringere il cuore, per lei e per tutti gli altri.

   «Signori, vi esorto a riconsiderare la decisione» disse il Capitano, chiaramente deluso. «Quando le anomalie arriveranno – cioè presto – non avrete alcuna difesa. Questo pianeta non dispone di uno scudo che possa proteggerlo. Le anomalie gravimetriche disgregano i tessuti organici. Voi e le vostre famiglie perirete di una morte atroce e niente di ciò che avete costruito vi sopravvivrà. Questa è l’amara realtà».

   «Capitano Chase, non so come funzionino le cose da voi, ma qui vige una democrazia rappresentativa» disse il Sindaco in tono di sopportazione. «Io e gli Assessori abbiamo votato, raggiungendo un verdetto inequivocabile. Anche se io fossi contrario, non avrei il potere di revocare questa decisione».

   «Oh, insomma!» sbottò Korris, facendosi avanti tra lo stupore di tutti, compresi i suoi colleghi. «Non avete ascoltato il Capitano? Questo pianeta è condannato. Restare qui significa condannare a morte voi stessi e i vostri figli. Significa vanificare tutti gli sforzi dei vostri antenati. Se davvero li onorate, allora sarete disposti a ripetere le loro gesta, trasferendovi su un altro pianeta. Solo così preserverete le vostre vite e la vostra cultura». Il dottore notò che Karen si era rianimata e pareva colpita dal suo discorso, come del resto tutti i Galateani.

   «Dottor... Korris, dico bene?» chiese il Sindaco, osservandolo corrucciato. «Lei non ci conosce abbastanza da poterci giudicare. Pensa che Galatea sia semplicemente il posto in cui viviamo. Pensa che possiamo barattarlo con una sistemazione qualunque. Beh, non è così. Questo pianeta è l’ingrediente essenziale di ciò che siamo, senza il quale tutto il resto crollerebbe. Lontani da qui, non saremmo più Galateani. La nostra filosofia di pace, che ha posto fine a tutti i crimini, si perderebbe per sempre. Sarebbe peggio che morire nel corpo: sarebbe la morte della nostra anima. È un prezzo che non siamo disposti a pagare. Pertanto dobbiamo declinare la vostra offerta, per quanto generosa».

   «Sindaco, noi ammiriamo la vostra filosofia» disse Chase, affiancandosi al dottore. «Ma se le vostre città sono paradisi, è più merito vostro che del pianeta. Non diventate schiavi di ciò che avete creato. Se siete così progrediti, saprete replicare altrove il miracolo. E per quanto riguarda la democrazia... non pensate che una decisione tanto cruciale meriti un referendum? Lasciate che sia il popolo a decidere la propria sorte. Nel frattempo l’Enterprise rimarrà in zona. Vogliamo organizzare uno scambio di prigionieri coi Krenim, che ci terrà impegnati per qualche giorno. È probabile che per allora sperimenterete le prime anomalie. Allora capirete di che si tratta. E se vi è cara la vita, accetterete il trasferimento».

   Il Capitano stava per ritirarsi, quando Karen scattò in piedi. «Aspetti! Le anomalie di cui parla... possono disattivare la rete energetica planetaria?» chiese con sguardo febbricitante.

   Era una strana domanda, ma Chase non aveva ragione di eluderla. «Certamente. Le anomalie sono dannose per le linee energetiche e in generale per tutti gli strumenti tecnologici. Perché me lo chiede?».

   «Solo una curiosità» rispose Karen, accasciandosi sulla sedia. Gli altri Galateani sembravano scioccati quanto lei. Più scioccati di quando Chase aveva parlato della disgregazione dei tessuti organici.

   «Prenderemo in considerazione il referendum» disse il Sindaco, tutto smorto. «Nel frattempo potete tornare sulla vostra nave, o anche restare nostri ospiti, come preferite».

   «Grazie» disse Chase, chiedendosi qual era il punto che gli sfuggiva. Lasciò la sala della Giunta, seguito dai suoi ufficiali. Subito prima che il massiccio portone di legno si chiudesse intravidero alcuni Assessori che si alzavano, come per avviare una discussione animata.

   «Mi scusi per prima, Capitano... ma non riesco a credere che i Galateani siano così ciechi da voler restare, pur sapendo le conseguenze» mormorò il dottore.

   «Stento a crederlo anch’io» convenne Chase. «Ora dovremmo tornare sull’Enterprise, ma... uhm... se la sente di restare per una missione speciale?» chiese squadrandolo.

   «Ehm, che missione?» si stupì il mezzo Cardassiano.

   «Non mi è sfuggito che fra lei e Karen sembra esserci una certa intesa. E la nostra ospite è indubbiamente l’Assessore che ha votato a favore dell’evacuazione» spiegò il Capitano. «Quindi vorrei che restasse qui per un po’, per scucirle la bocca riguardo a... qualunque cosa li leghi a questo pianeta. Se la sente?».

   Korris si morse la lingua. Non c’era stato assolutamente nulla fra loro, solo qualche parola rispettabile durante la cena. Eppure tutti sembravano essersi messi in testa che avessero una tresca. Per carità, non gli sarebbe dispiaciuto. Ma da una che non aveva mai visto alieni fino a due giorni prima, forse era troppo pretendere che ignorasse la sua faccia grigia da Cardassiano. «Sto ancora curando quei prigionieri Krenim. Molti di loro sono mezzi morti per le radiazioni...» disse, cercando una scusa.

   «Suvvia, ha un vasto staff che può occuparsene» obiettò Chase. «Questa missione, invece, può riuscire solo a lei».

   «In tal caso... resto volentieri, Capitano» si arrese Korris. «Proverò a parlarle, ma non garantisco il successo».

   «Faccia il possibile. Ci rivedremo domani» disse Chase. Lui e Terry premettero i comunicatori e tornarono sull’Enterprise, lasciando Korris come l’unico federale su Galatea.

 

   La brezza della sera portò nuove fragranze in città. Mentre le stelle sbocciavano in cielo, gli edifici e le strade di Eidola City si riempirono di luci. I lavoratori tornavano a casa dalle famiglie. Poco alla volta anche i parchi si svuotarono. Korris osservò tutto dalla terrazza panoramica in cima al palazzo comunale. Quella bellezza struggente gli colmava il cuore, ma lo riempiva anche d’amarezza, sapendo che era condannata.

   «Le piace la nostra città?» chiese una voce femminile alle sue spalle. Korris la riconobbe all’istante.

   «È incantevole... il più bel posto che abbia visto da quando ho lasciato Bajor» disse il dottore, voltandosi. Il cuore gli batté forte.

   Karen aveva sostituito il severo abito grigio da Assessore con qualcosa di più informale, ma di ottimo gusto. Si era anche sciolta i capelli castani. Non era una fatalona, ma aveva un fascino discreto e gentile che scaldava il cuore, soprattutto quando sorrideva. «Bajor è il suo pianeta natale?» chiese, avvicinandosi.

   «Sì, anche se sono mezzo Cardassiano» confermò Korris.

   «Mi perdoni, ma... proprio non capisco come due specie diverse possano... sì, insomma...» incespicò Karen.

   «È strano, infatti» ammise il dottore. «Quasi tutte le specie umanoidi condividono certi marcatori genetici che le rendono compatibili. E quando non lo sono, la medicina può venire in aiuto. Secondo una teoria, è perché tutti gli umanoidi sono lontani eredi di un’antichissima stirpe Proto-Umanoide, ormai estinta».

   «E lei ci crede?» fece Karen, scettica.

   «Non saprei... da quando sono nella Flotta ho visto cose incredibili, ma questa è davvero grossa. Probabilmente non sapremo mai la verità» rispose sinceramente Korris. «A proposito di genetica, c’è una cosa che mi stavo chiedendo su voi Galateani...».

   «Il collo di bottiglia genetico» disse subito Karen. «Eravamo poche centinaia all’arrivo e oggi siamo 30.000. Penserà che siamo un branco d’incestuosi».

   «La prego di non offendersi, cerco solo di capire» rispose diplomaticamente il dottore.

   «No, è una giusta domanda» ammise la donna. «Vede, quando partimmo dalla Terra portammo con noi campioni di DNA sufficienti a evitare spiacevoli problemi. Dopo tutti questi secoli non li abbiamo ancora esauriti. Prima o poi succederà, ma ormai sappiamo come manipolare il DNA per risolvere questi inconvenienti».

   «Forse vi basterebbe aprirvi un po’ al resto della Galassia» suggerì Korris. «Se non vi piacciono gli alieni, ci sono molti Umani che gradirebbero la vostra compagnia. Ma per quanto riguarda il paradiso che avete costruito qui... è condannato, Karen. Prima lo lascerete, meglio sarà per voi».

   «La prego, non parliamo ancora di questo!» fece Karen, il viso attraversato da un’ombra di dolore. «È una bella serata... dimentichiamo per un attimo i problemi della Galassia. Mi parli di lei... com’è crescere con due patrie?».

   «Nel mio caso non è stato esaltante» rivelò Korris con una smorfia. «Mia madre era una cantante bajoriana, abituata a stare in tournee e ad avere folle di ammiratori. Invece mio padre era – ed è ancora – un chimico. Non so come sia scoccata la scintilla, ma di certo non è durata a lungo. Fin da quando ho memoria ricordo le loro liti, anche su questioni irrilevanti. Quando avevo sette anni si separarono e subito presero a contendermi. Così fui sballottato più volte fra Bajor e Cardassia, senza mai sentirmi a casa in nessuno dei due mondi. Su Bajor ero insofferente ai mille rituali che scandiscono la vita quotidiana. Su Cardassia non sopportavo le manie di grandeur e lo statalismo. In entrambi i mondi, il mio essere mezzosangue faceva sì che i coetanei mi stessero alla larga o mi tormentassero. Vede, Bajor e Cardassia hanno un passato di conflitti e occupazioni che nemmeno l’appartenenza alla Federazione può cancellare. Credo sia per questo che sono entrato nella Flotta. Qui vige la filosofia dell’IDIC, Infinite Diversità in Infinite Combinazioni. Anche se, come figlio di un chimico, devo ammettere che certe miscele restano esplosive!» ridacchiò.

   «Mi spiace che tu ne abbia passate tante» disse Karen, passando a un tono più confidenziale. «Si vede che sei una persona gentile. E non preoccuparti del tuo aspetto... quello non ha importanza» aggiunse, squadrandolo nella penombra della sera.

   «E di te che mi dici?» chiese il dottore, sia per interesse personale, sia per capirne di più sulla società Galateana.

   «Sono cresciuta con una madre soffocante. Credo che abbia proiettato su di me le sue ambizioni frustrate» sbuffò Karen. «Da quando sono entrata nella Giunta non fa che pavoneggiarsi, come se fosse lei l’Assessore. Se ti si dovesse avvicinare Sophie Mallory, fuggi finché sei in tempo!» ridacchiò, rivelando inavvertitamente di avere il cognome materno.

   «E tuo padre?» indagò Korris.

   «Io non ho un padre» rispose Karen con una strana indifferenza.

   Korris ricordò la faccenda del DNA. Portarsi dei campioni dalla Terra voleva dire inseminazione artificiale, naturalmente. Come esperto in psicologia, Korris disapprovava. Per formare una psiche sana occorrevano modelli di comportamento maschile e femminile... a meno che non fossero disfunzionali come i suoi genitori, si disse con rammarico. Decise di non ostinarsi sull’argomento, per non indisporre Karen. «Sai, ci sono molti altri pianeti là fuori» disse, accennando al cielo stellato. «La guerra non li ha toccati tutti. Sono certo che alcuni piacerebbero a te e alla tua gente. Per esempio, quella stella brillante in cima al triangolo...» disse, indicando una costellazione.

   «Ti prego, non insistere!» fece Karen, tremando. Si allontanò di scatto e andò svelta verso la porta.

   «Aspetta, non volevo...» fece il dottore, inseguendola. Le arrivò appresso, ma non si azzardò a trattenerla. Non erano ancora così intimi.

   «Passa una buona serata, Korris» disse Karen, con voce incrinata, e infilò la porta.

   Deluso, il dottore andò verso i tavolini che corredavano la terrazza panoramica e si abbandonò su una sedia. Per un po’ rimase a osservare le stelle e ad ascoltare il frinire degli insetti, rimuginando sugli enigmi di quel pianeta.

 

   La mattina dopo Korris fu destato dagli allarmi. Aveva trascorso la notte in una camera degli ospiti, che faceva invidia ai migliori alberghi federali, e non si aspettava quel brusco risveglio. Corse alla finestra e le vide. Anomalie ovunque. Alcune erano semplici increspature, che attraversavano gli oggetti dando l’impressione che fossero finiti sottacqua. Altre erano nuvole rosse o arancioni che avvolgevano interi edifici. La gente correva terrorizzata per le strade, cercando di allontanarsi dalle zone colpite, ma le anomalie erano troppo veloci. Avvolgevano i fuggitivi come nubi piroclastiche di un vulcano.

   Il dottore corse al comodino e afferrò il comunicatore che vi aveva lasciato la sera prima. «Korris a Enterprise, emergenza! Qui è pieno d’anomalie!» gridò.

   «Lo sappiamo» rispose Grog. «Per adesso non possiamo teletrasportarla. Resti lì dov’è... stiamo arrivando» disse, e chiuse la comunicazione.

   «Stanno arrivando? E come?» si chiese Korris, stupito. Ma non c’era tempo di pensarci. Si vestì a precipizio e corse in strada. Anche se Grog gli aveva chiesto di restare dov’era, era pur sempre un medico, e là fuori c’era gente ferita. Se solo avesse avuto gli strumenti... ma poteva unirsi alle squadre di soccorso. Naturalmente questo comportava dei rischi. Ma nemmeno il palazzo comunale era schermato contro le anomalie, quindi rimanere all’interno non lo metteva al sicuro.

   In strada c’era il panico. La gente correva da tutte le parti, non sapendo come sfuggire alle anomalie, che cambiavano continuamente forma e dimensioni. Una zona libera poteva trasformarsi all’improvviso nel centro di una nuova distorsione. Adesso che era in strada, Korris notò che i Galateani avevano anche dei veicoli privati, simili ad automobili antidiluviane. Non erano molte, ma c’erano. Un’auto, diversa dalle altre per via del colore blu, fu sfiorata da un’anomalia e finì contro un palo. Qualcosa di bianco scattò all’interno e si gonfiò.

   «Airbag... roba d’altri tempi» si disse Korris, accostandosi per soccorrere il guidatore. Quando fu alla portiera, notò che vi era impresso il simbolo della colonia: una figura femminile che emergeva da un blocco di roccia. L’antico mito di Galatea, la statua resa umana da Afrodite. In quell’automobile doveva esserci qualche pezzo grosso del governo. D’un tratto Korris ebbe un orribile presentimento. Aprì la portiera, con qualche sforzo perché l’urto l’aveva deformata. Sollevò l’airbag e vide ciò che temeva: Karen riversa sul volante. La estrasse dalla macchina il più delicatamente possibile e l’adagiò sull’asfalto. La donna non perdeva sangue, ma poteva avere emorragie interne. Il dottore le controllò il respiro e il battito cardiaco: erano regolari. Cercò di capire se aveva fratture, tastandola con delicatezza.

   «C-che... mi è capitato?» chiese Karen debolmente. Sbatté gli occhi e si accorse di essere stesa sull’asfalto, con il mezzo Cardassiano chino su di lei. «Korris, che stai...?» gemette, cercando di rialzarsi.

   «Resta immobile; sto cercando di capire se hai delle ossa rotte» spiegò il dottore. «Andavi veloce quando ti sei schiantata. Anche se è scattato l’airbag, hai subito una compressione allo sterno. Provi un senso di oppressione al petto, difficoltà a respirare?».

   «Appena... ma non credo di avere niente di rotto» ansimò Karen. Con l’aiuto di Korris si rialzò a sedere. Si guardò attorno, disorientata: vide le anomalie e la gente terrorizzata che scappava. Una coppia correva a perdifiato lungo la strada. Erano due giovani dalla pelle scura, che scappavano tenendosi per mano; la ragazza aveva i capelli pieni di perline tintinnanti, agitate dalla corsa. Un’anomalia simile a un’increspatura li raggiunse... e li fece sparire. Non restò nulla né dei corpi, né dei vestiti. Si erano semplicemente dissolti.

   «Hai visto?! Ma che gli è successo?» domandò Karen, atterrita.

   «Non stupirtene. Ho già visto anomalie dai comportamenti imprevedibili» disse Korris. «Quando lo spazio è trasformato solo in parte, succedono cose stranissime. Forse quei due sono morti. O forse la distorsione li ha trasferiti lontano... è impossibile saperlo con certezza».

   «La tua nave può aiutarci?» chiese la donna.

   «Temo di no, ma di solito le anomalie vanno e vengono» spiegò il dottore. «Se questo è il primo attacco, non dovrebbe durare molto. Ma col tempo gli assalti si faranno più frequenti e violenti, fino a distruggervi. Ora capisci perché non potete restare?».

   Karen annuì e con l’aiuto di Korris si rimise in piedi. Guardando la sua macchina, rimase sconvolta nel vedere quanto si era accartocciato il cofano. Per fortuna l’abitacolo, costruito con criteri anti-urto, aveva retto. La Galateana barcollò, anche perché le restava una scarpa sola; l’altra era rimasta dentro la macchina. Korris le offrì il braccio e lei vi si aggrappò. «Perché il Fronte ci odia? Cosa gli abbiamo fatto di male, per meritarci questo?» gemette, osservando la rovina della sua bella città.

   «Il Fronte non ce l’ha con voi in particolare. Forse non sa neanche della vostra esistenza» spiegò il dottore, per quanto gli spiacesse dirlo. «Il suo obiettivo è conquistare gran parte della Galassia. A Vosk e agli altri non importa quanto sangue si lasciano alle spalle. Ogni giorno ci sono attacchi come questo, in giro per l’Unione...». Si arrestò, perché d’un tratto era calato il buio. Qualcosa di scuro ed enorme avanzava sopra i grattacieli più alti, oscurando il cielo.

   «È la nave di Vosk? È lui?!» strillò Karen, quasi isterica.

   Korris osservò l’imponente scafo che fluttuava sopra le loro teste. «Direi di no» disse rasserenandosi. «Quelli sono i nostri ragazzi. L’avevano detto che stavano arrivando!» gongolò.

   Il dottore non si sbagliava. Pur non potendo atterrare, l’Enterprise era scesa nell’atmosfera di Galatea e ora sorvolava Eidola City, a poche decine di metri dalle antenne più alte. Al tempo stesso estendeva al massimo gli scudi, per proteggere la città. La bolla cronofasica si allargò per chilometri, respingendo le anomalie. Era tanto grande da avvolgere completamente la capitale. Ma non poteva raggiungere gli altri insediamenti, alcuni dei quali si trovavano a centinaia di chilometri.

   «Voi della Federazione siete brave persone» disse Karen, vedendo che le anomalie si erano dissolte. «E tu in particolare sei un angelo». Senza starci a pensare, baciò il dottore.

   Quando si staccarono rimasero per un attimo interdetti. Era successo tutto in fretta, sull’onda dell’emozione. Korris pensò che il gesto di Karen era una conseguenza dello stress fisico ed emotivo. Doveva ignorarlo; così sarebbe stato un bravo medico. Stabilito questo, l’abbracciò e la baciò a sua volta.

 

   «Le anomalie sono finite, Capitano» informò Terry qualche minuto dopo.

   «Torneranno. Ma per il momento possiamo rientrare in orbita» disse Chase, osservando l’orizzonte verdeggiante dallo schermo principale. Qua e là c’erano macchie brune, dove le anomalie avevano ucciso la vegetazione.

   «Mi viene voglia di teletrasportare quelle teste dure sull’Enterprise, anche di prepotenza» disse Lantora, truce. «Se avessero accettato subito l’evacuazione, tutto questo non sarebbe accaduto».

   «Non credo si rendessero conto di che li aspettava. Forse questo attacco servirà a smuoverli» commentò il Capitano. «Peccato che debba accadere nel modo più doloroso. Quante vittime ci sono?».

   «Prima delle anomalie rilevavo 30.318 segni vitali sul pianeta» rispose Terry. «Ora sono 29.801».

   Un silenzio amaro cadde in plancia. Il primo assalto aveva mietuto cinquecento vittime, tante quante i coloni che erano sbarcati inizialmente su Galatea. Se l’Enterprise non avesse protetto la capitale, negli ultimi minuti, il bilancio sarebbe stato ancora più tragico. E quello era solo l’inizio: le anomalie si sarebbero rafforzate fino a inglobare tutto il pianeta.

   «Giù gli scudi. Terry, mi teletrasporti nel palazzo comunale» ordinò Chase, accigliato. «Stavolta dovranno ascoltarmi».

 

   «È incredibile!» ringhiò il Capitano venti minuti dopo, uscendo come un turbine dalla sala della Giunta.

   «Signore?» chiese Korris, che era lì ad attenderlo.

   «Il Sindaco e gli Assessori si profondono in ringraziamenti, ma rifiutano gli aiuti medici... chiedono solo delle unità energetiche per tenere attiva la rete planetaria» spiegò Chase, percorrendo il corridoio di buon passo.

   «E l’evacuazione?» chiese impaziente il dottore, che lo seguiva quasi correndo.

   «Dicono che ci penseranno. Ci penseranno!» fece Chase, scuotendo la testa. «Ma io gli ho spiegato che non possiamo restare qui a fargli da balia. Abbiamo quello scambio di prigionieri coi Krenim e poi dovremo lasciare il settore. Ci sono altri pianeti da proteggere, altri popoli da evacuare. Non possiamo metterli in lista d’attesa, mentre aspettiamo i comodi dei Galateani. Lei piuttosto... è riuscito a scucire la bocca a Karen?».

   «Ehm, sì e no» fece Korris, vagamente imbarazzato. «I Galateani sono complicati. Hanno un rapporto simbiotico col loro mondo. Credo davvero che molti preferirebbero morire con esso, piuttosto che abbandonarlo».

   «Ma non tutti» puntualizzò il Capitano. «Ha visto quanti bambini ci sono nei parchi? Se gli adulti sono così irragionevoli da non volerli salvare, dovremo farlo noi».

   «Rapire i bambini? Spero che stia scherzando!» inorridì il dottore.

   «Piuttosto che lasciarli morire... ma se faremo una cosa del genere, porteremo via tutte le famiglie» assicurò Chase. «Ora torno sull’Enterprise per fare il punto della situazione. Lei può restare ancora un po’, se lo trova utile per capire questa gente. Ma quando andremo dai Krenim la porteremo su, ovunque si trovi».

   «Intesi, Capitano» annuì Korris. Quando il superiore fu svanito nel raggio azzurro, il dottore lasciò il palazzo e scese in strada, per controllare la situazione. Era sorprendentemente normale. I danni strutturali agli edifici erano minimi e il traffico era già ripreso. I cittadini erano calmi... anche troppo, considerando l’esperienza traumatica appena vissuta. A parte per le squadre tecniche inviate a controllare gli edifici – soprattutto la centrale energetica – sembrava che nulla fosse accaduto. I Galateani erano indubbiamente una società disciplinata. Ma questo non bastava a salvarli, se ad ogni assalto delle anomalie cinquecento di loro perdevano la vita. Pensando a questo, Korris si stupì di non vedere cadaveri per le strade, né ambulanze. Come avevano fatto a portare via morti e feriti così in fretta? E dove li avevano portati, poi? Pensò che doveva recarsi all’ospedale. La sua faccia cardassiana lo avrebbe tradito subito come uno dell’Enterprise, ma era pur sempre un medico: che c’era di strano, se voleva dare una mano?

   Fu allora che Korris notò la coppia. Erano due giovani dalla pelle scura, che camminavano tenendosi teneramente per mano. La ragazza aveva i capelli lunghi, pieni di perline tintinnanti. Era inconfondibile. Si trattava della stessa coppia che Korris aveva visto dissolversi neanche mezz’ora prima.

   «Scusate, siete voi quelli che ho visto svanire in un’anomalia?» chiese il dottore, inseguendo i due giovani.

   «Prego?» fece il ragazzo, voltandosi. Sia lui che la compagna rimasero un po’ scioccati vedendo i lineamenti alieni di Korris, ma si ripresero subito: i mezzi d’informazione avevano avvisato i Galateani dei visitatori scesi dall’Enterprise.

   «Ma sì, siete quelli che scappavano lungo la via principale» insisté il dottore. «Vi ha raggiunti un’anomalia e siete svaniti... vi credevo morti. Dov’eravate finiti?».

   «Lei si sbaglia. Forse ci confonde con altri» disse la ragazza, guardandolo come lo credesse un po’ tocco.

   «Dipende; per caso avete dei gemelli che si frequentano?» chiese Korris, sarcastico.

   «Non so di che parla; noi non siamo “svaniti” né finiti altrove» disse con decisione il ragazzo, circondando col braccio le spalle della fidanzata, come per tenere Korris alla larga. «Le anomalie di cui parla non le abbiamo nemmeno viste».

   «Va beh... mi sarò sbagliato» fece Korris, decidendo che era meglio lasciar perdere. Osservò i due giovani che si allontanavano, sempre mano nella mano. I capelli della ragazza, tutti perline, erano così inconfondibili che era certo di non sbagliarsi. Si erano dissolti... e poi erano tornati senza memoria. Oppure erano bravi attori. Ma perché cercare d’ingannarlo? Ripensando alle vittime delle anomalie, Korris ricordò che c’erano casi d’amnesia. Alcuni avevano perso la memoria a lungo termine: ogni mattina si svegliavano avendo dimenticato tutto ciò che era accaduto dall’incidente in poi. Quei ragazzi potevano soffrire di un disturbo simile. Forse.

   «Korris a Enterprise... quante persone ci sono sul pianeta?» chiese il dottore, pigiandosi il comunicatore. Aveva uno strano presentimento.

   «Rilevo 30.318 segni vitali» rispose prontamente Terry. «Un momento, è impossibile... erano scesi a 29.801 dopo il passaggio delle anomalie».

   Korris avrebbe voluto essere in plancia, per vedere l’espressione dell’IA. «Come pensavo... le vittime sono tornate» disse a bassa voce.

   «Ha qualche ipotesi per spiegare il fenomeno?» chiese Terry.

   «A parte una resurrezione di massa? Non ancora» disse il dottore. «Ora la lascio... vado all’ospedale. Se scopro qualcosa glielo farò sapere. Korris, chiudo». Si guardò attorno. I Galateani percorrevano le vie pulite, muovendosi in modo ordinato, come se nulla fosse successo. Erano allegri e sorridenti come sempre. Di colpo Korris si sentì rabbrividire fino al midollo. Che diavolo stava succedendo su quel pianeta?

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil