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Autore: FantasyAlex    13/01/2019    2 recensioni
Un antico monastero, abbandonato e irraggiungibile al centro di una foresta, si trova sospeso nel tempo. Gli echi della storia si affacciano nel presente e dal presente può arrivare la svolta decisiva per spezzare l'antica maledizione che da secoli intrappola i suoi abitanti. Ma ci sono forze che giacciono in agguato, e attendono pazientemente che le porte del monastero vengano aperte per concludere ciò che hanno iniziato secoli prima.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1


Tutti conoscevano la storia, tutti ne avevano sentito parlare almeno una volta.
Il “Monastero nella foresta”, così lo chiamavano qui. Sicuramente aveva un altro nome, qualcosa di meno generico e più significativo, ma gli abitanti di Greenale, piccola cittadina costruita ai margini della foresta, al cui centro si ergeva la massiccia e misteriosa costruzione, non brillavano certo per fantasia e il vero nome si era perso nella memoria, così come il ricordo dei suoi occupanti.
Si diceva che fosse stato abitato, circa mille anni prima, da un qualche tipo di ordine monastico, ma nessuno sapeva dire con esattezza quale. Le ipotesi erano le più disparate: chi propendeva per una religione, chi per un’altra, qualcuno avanzava teorie di culti blasfemi o pagani e che fosse proprio questo il motivo per cui si erano rintanati in un luogo così difficile da raggiungere. Ma, a pensarci bene, quale culto segreto avrebbe mai costruito un edificio tanto imponente e visibile anche a grande distanza?
L’unica cosa su cui erano tutti concordi è che i monaci che abitavano l’edificio, secoli addietro, si recavano spesso a Greenale, portando con sè i prodotti della terra che, con tanta maestria, coltivavano per venderli o barattarli con tutto ciò che poteva servire loro nell’esistenza isolata che avevano scelto di vivere. Poi, all’improvviso e senza alcuna apparente ragione, tutto questo era cessato. Nessun monaco era più emerso dalla foresta per raggiungere il villaggio, nessun acquisto era più stato fatto per conto dell’ordine religioso. Erano semplicemente spariti, inghiottiti dalla fitta vegetazione nella quale avevano edificato la loro dimora.

La foresta Tuckstone si estendeva per un centinaio di chilometri quadrati circa, era fitta, intricata e ricca di alberi secolari, specialmente nella sua parte più interna. Al margine orientale si trovava Greenaleche, una volta, era antico borgo contadino e, col tempo, si era sviluppata e arrivava ora a contare circa cinquemila abitanti con alcune piccole industrie, a conduzione familiare o poco più, che riuscivano a tenere a galla l’economia della cittadina.

In quello che potrebbe essere approssimativamente definito il centro della foresta c’era una radura. Gli alberi erano stati tagliati per creare uno spazio libero su cui era stato edificato il monastero. Si trattava di una costruzione a pianta rettangolare o, almeno, questo è quello che si poteva capire osservandolo a distanza. Le mura esterne erano fatte di una pietra molto scura, quasi nera che però nelle giornate di sole risplendeva con delle venature bianco latte. Al centro si poteva scorgere la curva di una cupola, un campanile sul lato destro che sormontava l’intera struttura di una decina di metri e alcune guglie sulla facciata anteriore e posteriore. L’intera struttura appariva estremamente massiccia e solida, quasi una fortezza per certi versi; anche dopo secoli di abbandono e, nonostante la vegetazione fosse tornata a reclamare lo spazio che le era stato sottratto, avvolgendo buona parte dell’edificio, esso appariva ancora integro e in buono stato.

Questi dettagli, tuttavia, erano sempre stati percepiti da lontano, dall’interno della foresta, per quello che si riusciva a scorgere attraverso la vegetazione. Perché la cosa particolare del monastero, che poi aveva dato vita alla sua leggenda, è che sebbene tutti lo considerassero oramai disabitato, in realtà nessuno si era mai preso la briga di controllare. Un po’ perché un monastero abbandonato, in fin dei conti, non interessava a nessuno ma soprattutto perché segretamente, ancora oggi, gli abitanti di Greenale ne avevano paura. Qualcuno che aveva provato a raggiungerlo, per propria curiosità o per sfida, c’era inevitabilmente stato nel corso degli anni. Ma nessuno aveva mai affermato di essere stato in grado di arrivarci, sebbene lo vedessero svettare chiaramente al di sopra degli alberi. Raccontavano, invece, di aver vagato per ore e ore, convinti di andare nella direzione giusta, ma senza riuscire ad avvicinarsi di un solo metro. Nemmeno le bussole sembravano essere d’aiuto poiché la lancetta, da un certo punto in avanti, cominciava a muoversi senza alcuna logica, vorticando senza sosta nel quadrante e rendendo lo strumento completamente inutile. Qualcuno aveva persino affermato di aver visto gli alberi sollevarsi dal terreno e radicarsi in altri luoghi per nascondere tracce, modificare i sentieri e la conformazione stessa della foresta.
Il monastero non voleva essere violato. Questa era la conclusione a cui erano arrivati i superstiziosi abitanti di un piccolo villaggio di contadini, che iniziarono ad immaginarsi un qualche terribile evento a causa di tutto: probabilmente un massacro. Qualcuno, anche se nessuno sapeva con certezza chi, doveva aver fatto irruzione nel monastero e strage dei religiosi i cui corpi ora giacevano sulla fredda pietra di quella che fu la loro dimora, diventata adesso una tomba. Gli spiriti inquieti a cui la vita fu strappata con violenta efferatezza, invece, si aggiravano ancora per la foresta ad impedire a chiunque altro di poter accedere al monastero.
E la leggenda si era tramandata fino ai giorni nostri.

*******


Quando Simon si inoltrò nella foresta di Tuckstone era oramai notte e pioveva, pioveva come non ricordava fosse mai piovuto. Erano due giorni che cavalcava quasi ininterrottamente per raggiungere il monastero, per arrivare all’unico luogo in cui sarebbe stato in salvo dall’ombra che lo stava certamente inseguendo. Non l’aveva mai vista, ma ne sentiva chiaramente il fiato gelido sul suo collo, ne percepiva la presenza incombente come se fosse pronta ad avventarsi su di lui da un momento all’altro. Era allo stremo delle forze e il suo cavallo anche di più, ma aveva già superato il villaggio ai margini della vegetazione il monastero doveva essere lì, da qualche parte, proprio davanti a lui.
Cavalcare nella foresta non era certo semplice, specialmente al buio, i rami più bassi degli alberi gli graffiavano il volto e sperava di riuscire a vedere quelli più grossi prima di esserne colpito e disarcionato, l’acqua scrosciante gli inzuppava gli abiti, facendolo rabbrividire dal freddo, gli colava sugli occhi e rendeva la già scarsa visuale ancora più difficile. Ma non poteva fermarsi, non quando era così vicino alla meta e la possibilità di consegnare in mani sicure il suo prezioso carico. Il sentiero, comunque, era abbastanza pulito e da quello che gli avevano detto, il monastero sarebbe apparso da un momento all’altro, nero e imponente, una vera e propria roccaforte che, ora più che mai, rappresentava la sua unica possibilità di salvezza.
Continuava a galoppare, al massimo della velocità che riusciva a tenere tra la vegetazione, ma dell'edificio ancora nessuna traccia. Si era oramai addentrato da un’ora, forse due, difficile dire quanto tempo era passato con gli alberi che ostruivano la vista e le nubi che coprivano Luna e stelle. Simon pensò anche di essersi perso, di aver sbagliato strada e una fitta angoscia si impossessò del suo cuore. Se davvero aveva sbagliato strada, se avesse dovuto tornare indietro sarebbe sicuramente stato raggiunto dal chi lo stava inseguendo e la sua missione, la sua stessa vita, sarebbe finita in quel momento. Ma no, il sentiero era sempre quello, non c’erano deviazioni, non c’era possibilità di errore, doveva solo andare avanti senza mai guardarsi indietro. E così fece.
Passò forse un’altra ora, le forze oramai lo stavano abbandonando e faticava anche a tenere il controllo del cavallo che si lamentava, si imbizzarriva, cercava in tutti i modi di convincere il suo cavaliere a farlo fermare. Fu sul punto di essere disarcionato un paio di volte, ma alla fine lo vide. Un’ampia macchia scura, il muro perimetrale del monastero era davanti a lui. Il sentiero già si stava allargando ed in qualche centinaio di metri si sarebbe aperto in una radura. Si sentì immediatamente confortato da quella visione e spronò il cavallo a percorrere gli ultimi metri a tutta velocità, per l’ultimo sforzo.
Non appena raggiunse la radura, fermò il cavallo, proprio dinanzi all’ampia scalinata che conduceva all’ingresso: una decina di gradini fatti della medesima pietra nera del resto della costruzione che arrivavano ad un pianerottolo coperto da una tettoia anch’essa in pietra, sorretta da piccole colonne. Un paio di metri oltre c’era il muro perimetrale e la spessa porta in legno a doppio battente, ovviamente chiusa.
Smontò da cavallo con foga, quasi ruzzolò per terra ma riuscì a non cadere e si mise a correre verso l’ingresso, convinto oramai di avercela fatta, ma non appena poggiò il piede destro sul primo gradino, una voce stridula e gracchiante alle sue spalle fendette l’aria con la stessa violenza di un pugnale, bloccandolo dal terrore in quella posizione.

«Vai da qualche parte, ragazzo?»

Simon sapeva benissimo a chi apparteneva quella voce, pur essendo la prima volta che la sentiva. Non aveva il coraggio di voltarsi, ma ugualmente temeva che se avesse fatto un solo passo verso il portone sarebbe stato ucciso sul posto. Trasse un gran respiro e alla fine si voltò. Al limitare della radura c’era quella creatura, l’ombra o lo spettro, così la chiamavano. Non si riusciva a scorgere praticamente nulla della sua figura, avvolta interamente da un manto nero con cappuccio che ne nascondeva i lineamenti del volto. L’abito era stracciato in più punti, zuppo di pioggia come i suoi vestiti e il vento faceva svolazzare i lembi dandone un contorno ancora più sinistro. Pareva davvero un fantasma, ma non lo era e lo si capiva dalle braccia, lasciate scoperte dalle maniche troppo corte. Braccia terribilmente smagrite, di un innaturale colore violaceo, così come le mani che terminavano in dita ossute dalle unghie lunghe e affilate come artigli. Ma indubbiamente avevano una consistenza fisica.

«Sono al monastero, è finita. Non puoi varcare questa soglia e comunque non puoi avere quello che cerchi. Non può essere strappato via con la forza ma solamente donato.»

Simon cercò dentro di sé la forza per rispondere a quella creatura, nonostante avesse la sensazione che le sue dita smunte si stessero stringendo attorno alla sua gola, anche da quella distanza.

«Vero, non posso varcare la soglia del monastero, ma tu non sei ancora dentro. Sei solo sulla scalinata e sarai morto prima di arrivare alla porta. Ma puoi ancora salvarti, non ha senso sprecare una giovane vita così. Dammi ciò che stai trasportando e io me ne andrò. Per sempre, non mi vedrai mai più.»

L’ombra sollevò il braccio e tese la mano verso di lui, aperta, con il palmo rivolto verso l’alto. Il cuore di Simon batteva furiosamente e doveva trovare un modo per raggiungere il portone del monastero ed entrarvi. Doveva prendere tempo. Il piede destro era ancora sul primo gradino, così si issò su di esso e fece un passo indietro, andando a poggiare il sinistro sul secondo.

«Se mi uccidi, non avrai mai quello che cerchi. Solo lasciandomi in vita, solamente se te lo cedo di mia spontanea volontà potrai averlo.»

«Mio giovane e stolto amico, tu credi troppo alle leggende del tuo popolo. E se fossero sbagliate? E se fosse tutto il frutto dei vaneggiamenti di un qualche ubriacone in locanda? Vuoi davvero rischiare la vita così?»

L’ombra fece un passo in avanti a sua volta, ed il cavallo si impennò sulle zampe posteriore, un nitrito di puro terrore si librò nell’aria e l’animale fuggì nonostante la stanchezza. Simon guardò la creatura e fece ancora due passi indietro, salendo altrettanti scalini.

«Se io te lo consegno, avrò salva la vita? Te ne andrai da qui per non tornare mai più? »

Non aveva nessuna intenzione di assecondare le sue richieste, sapeva bene quello che sarebbe accaduto altrimenti, ma doveva trovare il modo di arrivare a quella dannata porta. Infilò una mano sotto il mantello e ne estrasse una scatoletta di legno.

«Ma certo, mio caro, ma certo, ora dammela e io sparirò per sempre. »

La voce era così gracchiante che si sentiva graffiare fin dentro l’anima. E sapeva che lo stava prendendo in giro, sapeva che lo avrebbe ucciso comunque, ma forse aveva trovato il modo di guadagnare quegli ultimi secondi necessari a mettersi in salvo. Strinse la scatoletta nel pugno, distese il braccio e gliela lanciò. Non appena la mano si staccò dal piccolo oggetto di legno si voltò e corse verso l’ingresso superando gli ultimi gradini. Quando l’ombra si sarebbe accorta che nella scatoletta c’erano solo alcune erbe officinali sarebbe stato oramai in salvo, all’interno del monastero.
Attraversò il pianerottolo con il pugno già stretto per andare a bussare sul portone di legno e farsi aprire, ma prima di poter picchiare il primo colpo sentì una fitta feroce al petto, iniziò a barcollare e lo sguardo si annebbiò quasi subito. Il peso del suo corpo si fece improvvisamente troppo grande per poter essere sorretto dalle gambe e cadette di schianto sulle sue ginocchia. Le mani si aggrapparono alla stoffa del suo vestito, proprio all’altezza del cuore, sentiva il respiro venirgli meno e quella sensazione di dita gelide attorno al suo collo si fece più forte. Sentiva che lo stavano stringendo, sentiva che gli stavano portando via la vita. L’ingresso del monastero era davvero vicino, probabilmente allungando il braccio, Simon, avrebbe persino potuto sfiorare il muro, invece si accasciò lì, proprio sulla soglia, boccheggiò ancora un paio di volte e poi la vita abbandonò definitivamente il suo corpo.
   
 
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