Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club
Segui la storia  |       
Autore: _EverAfter_    14/01/2019    1 recensioni
Otto anni prima.
Iwatobi Swimming Club.
Haruka e Makoto frequentano le elementari. Nagisa è il solito demente. Rin è ancora incastrato alla Sano.
Nel club c'è una bizzarra bambina che nuota a stile libero.
E' distratta. Imbranata. Ha due occhi diversi l'uno dall'altro. Insomma, sembra uscita da uno di quei racconti sugli yokai.
Haruka, tra tutti, non la sopporta; è chiassosa, invadente e priva di tatto. Così diversa da lui.
Ma la vita cambia sempre, e quando la sua antitesi si trasferisce, tutto sembra tornare alla normalità.
Tutto, tranne lui.
Otto anni dopo.
Rin, di ritorno dall'Australia, non è più lo stesso.
Haruka e Makoto frequentano le superiori. Nagisa anche, ma rimane comunque il solito demente.
Un nuovo sogno. Una nuova avventura. Un nuovo club. Un componente che invece di fare atletica si da al nuoto senza sapere come rimanere sul pel d'acqua...
... E due occhi dai differenti pigmenti che si posano sull'insegna dell'Iwatobi High School.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruka Nanase, Makoto Tachibana, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lo sclero di ver

Ciao a tutte/i!
Tra le vacanze di Natale, il lavoro, gli ultimi appunti dell'università da ricopiare e i ritardi incredibili nel postare i capitoli, spero questa volta di non avervi fatto troppo attendere. Che dire, questo capitolo mette la storia ancora in rodaggio - anche perché tra tutte le long che sto cercando di concludere questa ha visto la luce da poco - ma spero che qualcuno di voi possa apprezzare l'impegno che ci ho messo (anche perché lo ammetto, caratterizzare un Haruka romantico è abbastanza complicato, fosse uno tsundere forse avrei più possibilità).
Detto questo, godetevi pure la storia!
A presto!


_EverAfter_










CAPITOLO II
Baka





    I momenti della giornata che Haru preferisce sono sempre stati due: l’alba e il tramonto. Di quello che sta in mezzo si disinteressa completamente. Non sono affari suoi.
    Ma l’alba è una cosa diversa, lui lo sa bene. Acerba e piena di tutte le aspettative che la notte ha portato alle persone, fatte di piacevoli sogni, d’incubi spaventosi. Qualsiasi cosa porti con sé, è sempre il principio di qualcosa di straordinario e imprevedibile.
    È sempre dolce, l’alba. S’alza in punta di piedi, a non voler recare alcun fastidio. È silenziosa e non pretende mai d’essere guardata, ma sorride placida a chi con coraggio affronta l’impresa di un risveglio mattiniero. L’alba premia sempre gli insonni e gli intraprendenti. E nessuno può odiarla, perché non si può mai disprezzare davvero qualcosa che sorge. È l’inizio.
    Tanto rimane incantato dalla sua umiltà quanto dal suo gemello lucente, il bel tramonto dalle mille sfumature purpuree che rincorrono nuvole dall’aspetto fiammante all’orizzonte, proprio lì dove un enorme cerchio dapprima giallo si colora di un fuoco prepotente e pronto a collassare dietro il circolo massimo del medesimo colore.
    È diverso dall’alba, il tramonto. È decisamente più egocentrico, con quei colori accesi che la sua opposta non s’arrischia neppure a pensare. È presuntuoso e pretende d’esser visto, perché lui è la fine della giornata e le persone lo sanno.
    Dopo di lui c’è solo la notte.
    Guardatemi, perché dopo di me non vedrete nient’altro, sembra dire a chi distoglie lo sguardo dalla sua dipartita. È sagace, il tramonto, e sa sempre cosa dire.
    Quanti amori deve aver visto sbocciare, quel meditabondo sornione, mentre la sorella se ne stava silenziosa ad accontentarsi di qualche ignaro passante che non riusciva a prendere sonno.
    Se le becca davvero tutte lui, le fortune.
    Ma questo, in quel momento, per Haru non conta. E non conta perché quei due gemelli estranei dall’azzurro pastello e dal rosso vivo, se ne stanno incastonati nei begli occhi della ragazza che di fronte a lui lo fissa smarrita.
    È abituato sempre a ragionare a mente lucida, per cui si convince che non possa essere davvero lei. Sarebbe quello che potrebbe chiamare destino, se così non fosse.
    «Haru-chan! Mako-chan!» esulta Nagisa, mentre si avvicina ai due amici. «La riconoscete? Eh? EH?»
    Se ne rimangono entrambi zitti, ma la cosa non sembra pesarle affatto. In fondo, preferisce il silenzio a commenti imbarazzanti. Cerca di parlare per allentare la tensione, ma Makoto sembra precederla.
    «Mizuko» mormora il castano, incerto sulla pronuncia del nome.
    Gli occhi di Haru tremano di un bizzarro luccichio, quando vede la ragazza alzare lo sguardo e concedere loro un bel sorriso perlaceo che non ha niente a che vedere con quello più sdentato e puerile di tanti anni prima. La fissa rapito, mentre dentro di sé una tempesta prende il sopravvento su ogni cosa che sente appartenergli.
    «Ciao, ragazzi.» Il tono della sua voce è dolce, come se fosse fatto da fili sottili pronti a spezzarsi.
    Vuole risentire ancora quel suono, ormai diverso dalle infantili note distorte dall’eco dei ricordi sbiaditi. Non riesce ad emettere alcun fiato, stordito com’è da una presenza per lui troppa da sopportare.
    La giovane sembra accorgersene; nel fissare i loro sguardi attoniti, si rende conto che è lei l’unica che può in qualche modo risolvere la faccenda. Inspira profondamente, com’è solita fare, mentre si porta con lo sguardo a fissare gli occhi sbarrati del delfino.
    «Ciao, Nanase-kun.» Poi, voltandosi verso il compagno più robusto sfoggia un altro dei suoi sorrisi. «Tachibana-kun.»
    Il corvino non emette un fiato; le sue labbra lo implorano di pronunciare qualcosa, qualsiasi cosa possa farle capire che anche lui si ricorda di lei, che non l’ha dimenticata – e come avrebbe potuto? Lei con quel suo fare stravagante, il suo precario equilibrio e l’incapacità di rimanersene zitta quando serve; lei con quegli occhi limpidi e strani, meravigliosamente strani; lei con quei bei fili dorati che le incorniciano il volto sorridente ed energico.
   «Mi…» Il groppo che gli blocca la gola si stringe quando la ragazza si gira verso di lui: si è dimenticato come si senta ogni volta che lei lo guarda a quel modo. Come lo faccia sentire sapere che è riuscito a catturare l’attenzione dei due momenti della giornata che preferisce.
    S’accorge di assomigliare decisamente più al tramonto: ha sempre voluto a tutti i costi che lei lo guardasse, ma incapace di comprenderlo ha sempre finto d’essere l’alba; in quel modo non avrebbe mai dovuto darsi spiegazioni del perché volesse a tutti i costi appropriarsi di quello sguardo.
    «Mizuko.» La voce sembra evaporare nel momento esatto in cui pronuncia quel nome.
    Si sente stranito, Haruka. Tanto da non capire cosa stia accadendo nel proprio petto. Qualcosa sbatte contro la cassa toracica ed aumenta d’intensità quando vede la giovane sorridere, mentre sospira d’entusiasmo.
    «Allora vi ricordate di me!» sbotta felice, strizzando le palpebre per la gioia.
    Sorride istintivamente il giovane talento, mentre l’amico dallo sguardo smeraldino rimane a fissarlo, preoccupato: si chiede se non sia qualcosa attinente al famoso detto “Uwasa wo sureba kage[1].
    Nonostante il suo status psicologico sia instabile, Makoto si scopre felice di rivederla, dopo tutto quel tempo: Mizuko non gli ricorda affatto la bambina di tanti anni prima. Il suo sorriso è più maturo, il suo sguardo più brillante di come lo ricorda. S’accorge di quanto sia cresciuta dal petto piccolo ma formoso, chiedendosi il perché sia rimasta così minuta nonostante gli allenamenti.
    Gli allenamenti… «Mizuko.»
    «Ai.»
    «Tu…» Neanche sa il perché glielo stia domandando, ma sente che è la cosa giusta da dire. «Tu nuoti ancora, vero?»
    Sente lo sguardo spaesato di Haruka spostarsi su di lui, mentre Nagisa precede la bocca più tentennante della giovane.
    «Ma certo!» sbotta il biondino, afferrando la mano dell’amica e spingendola in avanti. «La nostra Mizu-chan non avrebbe mai potuto smettere! Ne, Mizu-chan?»
    La ragazza annuisce poco convinta. Nagisa conosce parte della storia della sua vita, ma in cuor suo spera che il ragazzino se ne stia buono senza farne parola con gli altri due. Per qualche motivo, non vuole che Haruka ne venga a conoscenza.
    «Quando sei tornata?» Il tono coinvolto del corvino le sconquassa la testa, mentre fa appello a tutte le sue forze per rispondergli senza balbettare.
    «Da qualche giorno.»
    Rimane a fissare le pozze oceaniche che brillano di una particolare luce, mentre il ragazzo le si affianca facendole cenno di sedersi. Mizuko sbarra gli occhi, confusa. D’improvviso sente le nocche di Haru poggiarsi sulla propria fronte, ma il tocco è troppo delicato per poter essere anche solo definito come un colpo.
    «Noi non abbiamo ancora mangiato, baka
    Arrossisce, mentre viene rapita dal sottile sorriso delle labbra di lui. Sorriso che, se si concentra, riesce a vedere persino nel suo sguardo profondo.
    Si volta verso Makoto che, bisticciando con Nagisa per un wurstel a forma di polipetto, è già per terra, pronto ad aprire il suo bento. Quell’aria familiare le straripa violenta nel cuore, mentre la tranquillità s’impossessa del suo animo agitato.
    Haruka l’ha chiamata baka. L’ha chiamata come la chiamava di solito.
    Si sente una sciocca per essere contenta solo per questa idiozia. Eppure, non riesce a fare a meno di sorridere. Gli siede accanto, aggiustandosi la gonna; Haru vorrebbe chiederle tante di quelle cose che non ha idea di come lei possa rispondere a tutte le domande che ha da farle.
    «Mizuko, perché sei tornata?» Come sempre Makoto lo precede, disinibito da tutta quella riservatezza che è invece tipica del delfino.
    La ragazza accanto a lui intreccia le dita delle mani, ridendo nervosamente. Come sempre è strana, ma la cosa pare tranquillizzarlo. Non le sembra cambiata di una virgola.
    «È vero!» sbotta Nagisa, improvvisamente serio. «Non me ne hai ancora parlato!»
    «Beh, non che sia una storia tanto avvincente» esordisce, portando le braccia indietro per stiracchiarsi. «Anzi, a dirla tutta, non lo è per niente.»
    Haru la guarda, contrariato all’idea che possa aver parlato di sé all’amico di un anno più giovane di lui. Il motivo di un simile risentimento si cela nel fatto che, da quando è partita, non ha mai saputo niente sul suo conto.
    «È successo qualcosa?» Il suo tono è atono come sempre, ma alle orecchie attente dell’orca non sfugge una sfumatura di preoccupazione.
    «Nulla di particolare.»
    «Beh un motivo ci sarà senz’altro» dice Nagisa, mentre è intento a masticare l’ennesimo boccone del suo panino.
    Mizuko rimane in silenzio per qualche istante. È evidente che non voglia parlarne, ma sente l’improvviso bisogno di farsi forte agli occhi del ragazzo che le siede accanto: vuole che lui la guardi meravigliato, come non ha mai fatto in passato. Forse, a loro, avrebbe anche potuto dirlo.
    Giocherella distrattamente col pendolino che tiene attaccato al cellulare, evitando lo sguardo dei presenti. Sta cercando di pensare al modo migliore per dirlo senza risultare pretenziosa. «Sono...»
    Stata selezionata per i nazionali. È quello che vorrebbe dire, ma la sua bocca si rifiuta di pronunciare una frase simile. Decisamente troppo diretta, eppure quello è l’unico metodo che conosce per comunicare le cose.
    «Sono stata…» Lo sguardo curioso dei presenti si fa sempre più pressante. «Sono stata chiamata da mia madre, in realtà.»
    Ed ecco a voi una testa di cazzo, si rimprovera mentalmente, consapevole di essere un caso perso: si accontenta di raccontar loro una mezza verità solo per paura che possano giudicarla. E lei che in tutti quegli anni pensava di essere maturata quel tanto che bastava per essere più sicura di sé stessa.
    Lo sguardo di Makoto si rasserena, mentre le sorride placidamente. Come sempre il suo modo gentile di rapportarsi con le persone le scalda il cuore. È come vedere lo stesso bambino di sempre, solo più alto e con più muscoli; il suo sguardo, quello sguardo smeraldo ed intenso, è identico ad otto anni fa. Per certi aspetti, la tranquillizza.
    «Mizuko.»
    Le si ghiaccia il sangue, al suono della profonda voce di Haruka mentre la chiama per nome. Sbarra gli occhi, cercando di non apparire troppo sorpresa. «Ai
    Si perde nello sguardo intenso che le rivolge, rimanendo incantata a fissarlo. Si chiede se l’abisso sia davvero dello stesso colore degli occhi che la stanno guardando in quel momento. Il delfino non dice una parola; rimane in silenzio, mentre perfino l’attenzione degli altri due amici si focalizza sulla strana atmosfera che aleggia tra i due prodigi del libero. Non servono parole per descrivere ciò che sta accadendo, e anche a cercarle probabilmente non esisterebbero.
    È ciò che i romantici chiamano alchimia.
    Nagisa scambia una sottile occhiata d’intesa con Makoto, il quale gli fa un cenno affermativo col capo. «Ma guarda quanto è tardi!» sbiascica, lasciandosi scappare un risolino malizioso. «Dovremmo proprio andare adesso! Ne, Haru-chan?»
    Il bruno lo fulmina con lo sguardo, ma sa che non è ancora giunto il momento per chiederle dei chiarimenti che magari lei non sente di dovergli concedere. Eppure, più la guarda e più si rende conto che l’unica cosa che vorrebbe è capire perché è partita, perché ha deciso di non farsi più sentire… perché l’ha lasciato solo, magari. Forse è davvero questo il problema, in fondo.
    È frustrato. Arrabbiato.
    E terribilmente felice di rivederla.






    Cammina silenziosa, trascinandosi la tracolla con dentro i libri. È pomeriggio e l’aria le sembra più fredda del solito, ma la pigrizia le vieta di fermarsi a cercare la sciarpa in mezzo al caos della sua borsa, così aumenta il passo, certa di potersi riscaldare con una marcia più veloce.
    Percorre le strade tranquille del bel paese di mare, buttando l’occhio alla spuma bianca delle onde che si rifrangono sulla battigia. Si concede un attimo di respiro, avvicinandosi alla sabbia e chinandosi a sfiorarla con le dita.
    Chiude gli occhi, beandosi di quella sensazione di freschezza e libertà. Lì, vicino al mare, il freddo è più pungente, ma non le importa. A Nizza ci era più che abituata, dopotutto. Ripensa con somma nostalgia a quei giorni di libertà, mentre l’immagine di Haru le appare lesta a riempirle la mente: i begli occhi di cui si era dimenticata, quel giorno l’avevano rivista per quello che era diventata. Si chiede se anche lui sia stato sorpreso di vederla. Lo spera.
    Si siede sulla soffice arenaria, incurante di sporcare la gonna o le lunghe calze che le avvolgono le gambe sottili. Se potesse, nuoterebbe persino in quel momento, con quel ventaccio. Non le è mai capitato di fare il bagno a dicembre, ma si convince che sia un’esperienza da provare, prima o poi. Un raffreddore non sarebbe poi la fine del mondo.
    Si lascia cullare dalla bella emozione che le provoca l’aria salmastra nelle narici: pensa che, comunque lo si guardi, l’oceano è sempre uno e quell’acqua è la stessa di Nizza. Si convince che non dovrebbe mancarle così tanto, casa. Eppure, in cuor suo, sente di mentirsi spudoratamente, da brava vigliacca.
    Ha amato tutto, di quella vita. Ogni cosa. Non si pente del minimo passo.
    Si chiede cosa speri di ottenere adesso, partecipando a quelle selezioni – ammesso che decida davvero di parteciparvi – e che cosa possa pensare la gente attorno a lei. Ripensa allo sguardo curioso di     Makoto e sente il respiro mancargli: non è in grado di mentire, tuttavia lo fa. Lo fa perché non riesce a dire altro che non sia menzogna, perché ammettere di non riuscire più a nuotare solo per il gusto di farlo le sembra impossibile.
    Probabilmente Haru la odierebbe, a quel punto. Proprio lui, che le ha insegnato quanto sia facile abbandonarsi al bell’elemento, l’unica cosa a questo mondo che sia in grado di abbracciarla, ma di farlo davvero: ogni parte del suo corpo sfiorata dalla dolcezza di minuscole molecole d’H₂O che scivolano lungo l’epidermide, mentre con gli occhi semiaperti spia i raggi del Sole, gelosi di quell’affetto, e che tuttavia non riescono a raggiungerla; è ormai troppo lontana dalla superficie, lontana dall’ossigeno che non le sembra più così indispensabile: le sarebbe sufficiente quel tanto che basta per rimanere lì ancor un po’.
    Un tempo riusciva a provarle, quelle emozioni. Adesso non ne è più così sicura.
    Si alza in piedi a fatica, mentre riprende la via del ritorno senza voltarsi neppure una volta a riguardare l’oceano. Quella giornata può anche finire lì.
    Imbocca una stradina secondaria per allungare il ritorno verso casa: non ha proprio voglia di ritornarsene in quell’appartamento silenzioso, in compagnia di sé stessa. Si dice che dopotutto una camminata più lunga non può farle male.
    Si avvia per un piccolo sentiero che sembra portare sulla sommità della collina che torreggia su tutta Iwatobi: si chiede come possa essere il mondo, visto da lassù. S’incammina, accelerando il passo, mentre avverte i polmoni iniziare a boccheggiare man mano che la pendenza si fa più considerevole. Quando scorge la fine dello sterrato, un’improvvisa sferzata di vento la raggiunge, obbligandola a chiudere gli occhi.
    Quel vento così infuriato è come un toccasana, un dolce sussurro che le stordisce i sensi, obbligandola a non pensare. Se potesse davvero riuscirci, probabilmente tutti i suoi dubbi svanirebbero.
    Socchiude gli occhi, mentre soffia la nenia dell’aria. Le viene un’improvvisa voglia di togliersi le scarpe per sentire il solletico che le fanno i fili d’erba che oscillano leggeri sul bel praticello. Sta per afferrare i lacci, quando qualcosa in lontananza cattura la sua attenzione. Affila lo sguardo, scostandosi una ciocca di capelli dalla fronte. È quasi sicura di scorgere la bella chioma dorata di Nagisa sotto ad un gazebo.
    Cerca di farsi notare con un cenno della mano, ma l’amico è girato di tre quarti e sembra stia parlando con qualcuno. Quando se ne accorge, fa un passo indietro. Non ha voglia di disturbarlo, se è davvero in compagnia. Fa’ per andarsene, consapevole di quanto sia tardi, ora che il Sole sta scomparendo stanco dietro l’orizzonte.
    Sospira. Da dove è Nagisa si dovrebbe vedere, il tramonto. Sbuffa, mentre si avvia.
    «Mizu-chan!» sente infine chiamare, prima che possa scomparire all’ombra dei cedri del boschetto.
    Si volta; il braccio di Nagisa si muove da una parte all’altra come il pendolo di un orologio.
    «Ciao, Nagisa!» È contenta che lui si sia accorto in tempo di lei. Almeno così potrà capire cosa si vede da lassù.
    Man mano che si avvicina riesce a scorgere altre due figure: una è Makoto, cosa che la stupisce non poco.
    «Tachibana-kun.» Si gratta la nuca, imbarazzata per non essersi accorta di lui. «Pensavo tornassi sempre con Nanase-kun.»
    Il castano le sorride bonario, facendole un delicato cenno con la mano. «Va bene così, Mizuko. Non preoccuparti.»
    «Lei chi è?» Una terza voce fa capolino da uno degli scalini del gazebo.
    Quando Mizuko si volta a guardarla, il suo sguardo rimane improvvisamente colpito dalla presenza di una giovane ragazza – probabilmente della sua età – che la fissa con due grandi occhi purpurei. La vede inarcare le sopracciglia, sorpresa.
    «Non ti ho mai vista in giro.»
    Come avresti potuto, vorrebbe risponderle, ma si trattiene dal risultarle maleducata sin da subito. Le sorride, a disagio per la situazione creatasi. Dopotutto, neanche lei l’ha mai vista.
    «Mi chiamo Mizuko Hoshino» le dice, chinando leggermente il capo in segno di rispetto. «Hajimemashite[2]
    La giovane che la sta davanti fa altrettanto. «Gou Matsuoka. Ma per piacere, chiamami Kou.»
    «Kou?»
    «Sì.»
    Non ha voglia di fare altre domande, per cui acconsente con un gesto della testa. La rossa sembra rilassarsi, mentre si volta verso gli altri due ragazzi. «La conoscete?»
    «Sì, faceva parte del club di nuoto Iwatobi prima che arrivasse Rin.»
    «Rin?» Il nome le esce dalla bocca senza che possa fermarlo, mentre i presenti si girano a fissarla. Nagisa le batte amichevolmente una pacca sulla spalla.
    «Gomen, Mizu-chan. Non te ne abbiamo ancora parlato.»
    «Di cosa, esattamente?»
    «Beh…» Makoto si volta verso di lei. «È una lunga storia.»
    Gou annuisce, sorridendo. Un sorriso che a Mizuko non piace affatto, perché è finto e carico di tensione. Lei, che non è abituata all’ipocrisia delle cose, sbuffa irritata. La giovane orca se ne accorge e le si affianca, sfiorandole la spalla con una mano per tranquillizzarla. Quel contatto la fa subito chetare.
    «Allora, Gou, cosa ci facevi a casa di Haru?»
     C-che?
    Si volta verso la rossa, trapassandola con lo sguardo. Decisamente non le sta simpatica. Ha sancito la sua condanna a morte, lo sa per certo. Improvvisamente sente l’ansia montargli addosso, pensando che magari quella strana ragazza e Haru…
    Oddio, no.
    Certo, è proprio carina. Sicuramente più di lei, che al confronto è più bassa e più stramba. No, no, no.
    Attende impaziente una risposta alla domanda di Makoto, mentre giochicchia distratta con le dita, in preda ad una malcelata isteria.
    «Ah…» fa la giovane Matsuoka, prima di distogliere lo sguardo.
    Dio, vorrebbe prenderla a pugni. Cosa c’è di difficile a sputare fuori il rospo?
    «Volevo chiedergli di mio fratello.»
    Sente il cuore diminuire bruscamente le pulsazioni, mentre trattiene un sospiro di sollievo. Nonostante tutto, riesce a rilassarsi. Nagisa la fissa di sottecchi, trattenendo una risata. In fondo, l’amica non è affatto cambiata.
    «Allora Rin è davvero tornato dall’Australia?» La voce di Makoto è più intensa del normale.
    «Sì, lo scorso mese. Ora sta frequentando l’Accademia Samezuka. È un collegio, per cui non è mai tornato a casa.»
    «La Samezuka?» ripete il castano, tra sé e sé.
    Mizuko conosce la famosa nomea di quell’istituto. Ne ha sentito parlare spesso, persino quando era a Nizza: una scuola di prestigio, il cui club più rinomato è proprio quello di nuoto. Si chiede se quel fantomatico Rin non sia anche lui un nuotatore come tutti loro.
    Rimangono ancora lì a parlare per un po’ di tempo. Nagisa non sta più nella pelle, preso com’è dall’idea di andare a spiare gli allenamenti dei collegiali alla ricerca del loro amico.
    «Sarà divertente!» sbiascica, mentre l’afferra per le spalle. «Mizu-chan, devi assolutamente venire anche tu!»
    «Manco…»





    «Morto.»
    Haru non è dell’umore adatto per quel tipo d’avventura.
    È rimasto tranquillo nella vasca, quando ha sentito entrare le voci dei due compagni e quella più squillante di Mizuko, che a quanto pare è stata trascinata da Nagisa a casa sua.
    Al vederli nuovamente così vicini distoglie lo sguardo, mentre si tampona la chioma bagnata con un piccolo asciugamano. La osserva di sottecchi: è imbarazzata al vederlo con addosso solo il costume e ancora fradicio dal recente bagno.
    Ha lo sguardo rivolto altrove; si chiede cos’abbia pensato al sentire la storia di Rin. Probabilmente i due non le hanno raccontato tutto per filo e per segno – specie perché non sanno davvero tutto.
    «Andiamo alla Samezuka!» sbotta entusiasta il biondino, afferrando Mizuko per le spalle. «Mizu-chan, diglielo anche tu!»
    Il modo con cui l’amico si avvicina con tanta disinvoltura alla compagna d’infanzia lo infastidisce. Non riesce neanche lui a capire il perché di tanto astio, ma ogni volta che Nagisa le sta vicino, lui sente dentro di sé una rabbia che neppure Rin è mai riuscito a tirar fuori. Fa per afferrargli il braccio e allontanarlo da lei, ma le parole di Makoto sembrano bloccarlo.
    «Non vuoi rivedere Rin?» gli domanda semplicemente, mentre dentro di sé la rabbia cede il posto all’angoscia che il ricordo del rosso porta con sé.
    Certo che lo vuole rivedere.
    «Lo abbiamo incontrato ieri.»
    Mizuko si sorprende della freddezza con la quale risponde il corvino. Lo fissa stralunata, incrociando per un istante il suo sguardo e non riuscendo a fare a meno di pensare che stia mentendo. È così, lo può sentire dall’eco delle sue parole, lo può vedere dal leggero tremolio dei suoi occhi blu. Ha detto esattamente il contrario di quello che vorrebbe fare.
    Cerca di dirgli qualcosa, ma ancora una volta la voce di Makoto la interrompe. «Credevo finalmente che saresti tornato a nuotare, se ci fosse stato lui
    La ragazza spalanca la bocca, confusa. «C-che significa che finalmente sarebbe tornato a nuotare?»
    Haru si volta a fissarla; è chiaramente turbata da quelle parole, i suoi occhi sono sbarrati in una dolce espressione disorientata, la bocca rimane semiaperta e fatica a inspirare. Il delfino sa che, se potesse posare un orecchio sul suo piccolo petto, sentirebbe i battiti accelerati del suo cuore intristito.
    Di tutte le notizie, quella è l’unica di cui non vuole parlare. Desidera risponderle, ma si accorge che non ha nulla di concreto da poterle dire. In effetti, neanche gli altri sanno il perché abbia smesso davvero di nuotare. Eppure, a lei vuole parlarne. Vuole che capisca, questa volta senza allontanarla.
    «Mizuko» la chiama, allungando una mano a carezzarle la corta chioma bionda. «Va tutto bene.»
    La ragazza china il capo, consapevole che non sia quella la situazione per poterne parlare. Si sente imbarazzata dal suo gesto, mentre gli sguardi complici degli altri due compagni rimangono inebetiti a fissare il piccolo siparietto di una dolcezza che di solito non appartiene al delfino. A lui non importa, in realtà. Finché può di nuovo aver vicino la sua personale rompiscatole, gli va davvero bene tutto.
    «La Samezuka in teoria ha una piscina al coperto» dice infine il castano, sorridendo sornione.
    I due liberi si guardano, scambiandosi un’occhiata d’intesa che rende manifesta la loro decisione.
   Qualche istante dopo sono tutti fuori casa, in attesa di prendere il treno che arriva puntuale come suo solito. Nagisa impiega pochissimo tempo per appisolarsi sulla spalla di Haru, mentre la testa di Makoto oscilla silenziosamente a causa del suo imprevisto pisolino.
    La ragazza si mette in ginocchio con i gomiti poggiati sul finestrino della cabina. Il suo sguardo fugge veloce lungo la distesa azzurra che s’intravede in lontananza; sul viso si cela mal nascosta un’insolita gaiezza. È la vista del mare che la rassicura, ancora una volta. Lì dove il suo cuore non trova pace, ci pensa l’oceano. È sempre stato così, d’altronde.
    Haru rimane in silenzio, a guardarla. I begli occhi della giovane sono altrove, persi in chissà quali assurdi pensieri.
    «Mizuko» la chiama infine. Sente il suo sguardo addosso e china il capo, imbarazzato.
    Vorrebbe dirle tante di quelle cose… a cominciare dal dispiacere che ha provato nel vederla andare via. A quanto le sia mancata, nonostante le avesse sempre detto di non sopportarla. A tutte le volte in cui ha cercato il suo sguardo senza più poterlo vedere. Alla rabbia, alla frustrazione, alla paura di non essere più in grado di nuotare, se non ci fosse stata ancora lei.
    Non le dice niente di tutto questo, perché è un codardo che non ha neanche il coraggio di confessarle che lui, in tutti quegli anni, non ha mai smesso di pensare a lei. Non gli è mai importato di capire il perché. Lo ha fatto e basta. Se glielo dicesse, lei penserebbe che sia davvero patetico.
    «Ne, Nanase-kun.» Si volta a fissarla, rimanendo stordito dalla vista del suo bel sorriso spontaneo. «Quanti pesci stanno in mare?»
    È proprio lei. Una domanda senza senso, esattamente come tutte quelle che gli poneva alla fine degli allenamenti, quando rimanevano ad aspettare il fratello. Sul suo volto corrucciato e serioso appare l’ombra di un sorriso. Vuole risponderle seriamente, questa volta. «Non saprei. Forse miliardi.»
    La giovane ridacchia, poggiando il capo sulle braccia e lasciandosi illuminare dalla luce calda del tramonto.
    «È un peccato che non si possano contare» sospira infine, reprimendo uno sbadiglio. «A me piacerebbe sapere quanti sono.»
    «Perché?»
    «Chissà se stanno stretti, nel mare.»
    Lei non risponde mai alle domande che le vengono poste. Haru lo aveva dimenticato, ma adesso gli è di nuovo chiaro. Sotto certi aspetti, l’atteggiamento immutato della compagna lo tranquillizza. È come un ricordo che non è mai andato perduto, una piccola parentesi che, in qualche modo, riesce ad annullare il terrore che ha di rivedere di nuovo il rivale.
    «Mizuko.»
    «Ai
    «Questa volta…» Deglutisce, incapace di esternare per bene quello che sente.
    Si era dimenticato di come si sentisse quando lo guardava. Adesso che avverte nuovamente quegli occhi addosso, è come se una parte di sé implori per venire a galla; una parte ingenua e irrazionale, quella che più adora nuotare. Quella che spera di poterla vedere nuotare. La ragazza avvicina il viso al suo, afferrandogli la testa con entrambe le mani. Sorride, osservando come Haruka sia improvvisamente arrossito. «O-ohi!»
    «Che c’è?»
    «Sei… troppo vicina.»
    «Voglio vedere.»
    «Cosa?»
    «I tuoi occhi.» Poggia la fronte contro quella del corvino, mentre sente il suo respiro farsi sempre più strozzato. È imbarazzato, ma a lei non importa. Vuole capire. «Nanase-kun… perché sei così triste?»
    Haruka si sente mancare l’aria; capisce che la colpa non è della vicinanza dell’amica, ma della domanda che gli è appena stata posta. Uno strano tremolio gli consuma gli occhi, mentre schiude le labbra per raccontarle ogni cosa, stanco di lottare contro quello sguardo preoccupato, quello sguardo che sa leggergli addosso tutte le sue emotive sfumature.
    Non può vincere, contro di lei. Quand’era piccolo si sentiva sempre pronto a sfidare quel suo modo di fare invadente ed indisciplinato, ma adesso non riesce a immaginare cosa più confortante di quella: una domanda che farebbe un bambino. Una domanda semplice, che richiede una risposta complicata.
    «Io…» Voglio rivedere Rin. «Non voglio rivedere Rin.»
    La vede storcere la testa, confusa. «Non gli vuoi più bene?»
    Sente la risposta morirgli in gola. Non è questo, il problema.
    Si libera sgarbatamente dalla delicata presa delle piccole mani, distogliendo lo sguardo dalle sue iridi indagatrici. Lei è troppo semplice, per capire uno come lui – o forse è solo preoccupato di scoprire che la realtà è davvero facile come la vedono quegli occhi diversi.
    «Non voglio parlarne» mormora glaciale, tornando a fissare il paesaggio fuori dal finestrino. «E piantala di fissarmi in quel modo, baka
    Mizuko sorride. Si aspettava che lo facesse: da quando la conosce, non l’ha mai vista offendersi per i suoi modi scontrosi.
    Abbassa lo sguardo, mentre cerca a tentoni la mano di lei. Quando la trova, sente la delicatezza delle dita sottili sfiorargli il palmo. Non gli è mai piaciuto il caldo, ma il tepore delle sue mani è diverso da qualsiasi altro. È materno e dolce, come il respiro vaporoso di una nenia di mezza estate.
    Il delfino sente una strana vampa sfiorargli le guance, mentre lentamente serra le proprie dita attorno a quelle di lei; non lo farebbe mai, in altre circostanze. Si convince che, per una volta, può anche gettare via quella maschera d’indifferenza che si porta sempre addosso.





    Ha le palpebre serrate dalle mani, mentre sente la voce isterica di Makoto implorare Haru di non spogliarsi proprio lì, davanti alle vetrate della piscina della Samezuka. Non riesce neanche ad esprimere l’imbarazzo per quella paradossale situazione; si volta di spalle, al fruscio della cinta che viene sfilata dai passanti dei pantaloni.
    «Ma aspettare, no?!» gli strilla addosso il compagno di una vita.
    Mizuko schiude una palpebra, sbirciando maldestramente il corpo del ragazzo con addosso solo il suo costume preferito. Sospira di sollievo, mentre cerca di far sparire via il rossore che ancora le ricopre le guance. La forma del delfino è sempre perfetta, si dice, mentre distoglie lo sguardo per paura che Nagisa possa prenderla in giro.
    Attendono pazientemente la fine degli allenamenti – Makoto, nel frattempo, è riuscito nella titanica impresa di far rivestire l’amico. Quando il Sole cala dietro l’orizzonte, finalmente il più giovane si appresta ad aprire la porta che s’affaccia direttamente sulla piscina. È emozionata e al tempo stesso ha il terrore che qualcuno possa scoprirli: non è certamente il miglior modo per cominciare a rifarsi una vita.
    Richiudono la porta alle loro spalle e subito la ragazza avverte il richiamo dell’acqua, quel fatidico incontro tra i suoi occhi e il grande specchio che riflette il grande tetto vetrato, dipinto da migliaia – no – milioni di stelle sbrilluccicanti. Spalanca la bocca, esterrefatta.
    «Oh, Kamisama[3]!» esclama, portandosi le mani alla bocca per evitare di urlare. «È meravigliosa!»
    «Continuo a pensare che sia una pessima idea» sussurra il castano, le cui parole non sono abbastanza veloci da raggiungere l’orecchio di Haru, già spogliato e in procinto di tuffarsi. «Aspetta!»
    Il delfino è ormai lontano da quell’insopportabile chiacchiericcio. Si tuffa con impazienza, mentre Mizuko l’osserva con la stessa intensità di tanti anni prima: non è affatto cambiato, continua ad essere ancora bellissimo quando è circondato dall’acqua.
    «Haru mi ricorda un delfino, anche ora» sente mormorare dal biondino, arrossito per l’emozione di rivedere l’amico nuotare con tanta intensità.
    Pensa le stesse cose anche lei, mentre il suo sguardo si perde a contemplare quel corpo votato al nuoto più di qualsiasi altro, elastico ed energico, che sembra liquefarsi ad ogni bracciata. Un po’, deve ammetterlo, l’ha sempre invidiato.
    «Mako-chan! Entriamo anche noi!» sbotta infine Nagisa, mentre si allenta il nodo della cravatta ed ammicca all’amica, invitandola con lo sguardo a fare lo stesso.
    «N-non è possibile!» gli sbraita subito contro lei, arrossendo.
    «Se ci scoprono saranno guai! E poi dobbiamo cercare Rin.» Come sempre, Makoto sembra essere quello più razionale, in mezzo a quel mare di teste calde.
    «Possiamo farci comunque una nuotatina prima! Non ci scoprirà nessuno, se non accendiamo le luci!»
    «Però il costume non ce l’hai!»
    «Pazienza, anche nudi va bene.»
    «Ma anche no!» sbotta infine la ragazza, voltandosi di spalle con le mani che le sfondano i bulbi oculari. «Non ti azzardare!»
    Sente un tuffo improvviso. Le pare subito ovvio come l’amico non abbia prestato attenzione alle sue parole. Sospira, voltandosi piano a guardare il misero scherzo che il pinguino ha appena fatto all’amico più robusto, che se ne sta in acqua senza dire una parola, con la camicia fradicia a disegnargli i contorni tipici di un nuotatore di dorso.
    Mentre intraprendono una bizzarra acchiapparella subacquea, la ragazza avverte l’improvvisa necessità di cercare anche lei quel contatto che le manca più di tutto. Si avvicina maldestramente al bordo della piscina, sfiorando la patina d’acqua con l’indice: tanti piccoli cerchi si dipartono dal suo dito, perdendosi in quella vastità trasparente. Rimane in contemplazione del fenomeno, con lo sguardo perso in ricordi troppo lontani per poter essere agguantati tanto facilmente: la prima volta che ha visto l’oceano; la prima volta che ha nuotato senza i braccioli; la prima gara.
    Sorride, ma non come è solita fare. Chiude gli occhi, inebriandosi della bella sensazione che le offre l’acqua. Rimane ferma per degli istanti interminabili, convinta di poter indugiare così in eterno, se solo potesse. In fondo, a lei è sempre interessato solo quel contatto.
    «Mizuko.» Chissà per quale motivo, ma quando lui la chiama così non riesce a fare a meno di pensare di essere speciale.
Schiude le palpebre, trovandosi la mano del moro tesa verso di lei, come un dolce invito a pretendere di più di quella semplice vicinanza. Si sente improvvisamente tesa.
    «Non ho il costume» mormora, contenta che il suo rossore rimanga nascosto nel buio della sera.
    «Non importa» le risponde lui. Non ha voglia di lasciarla andare. Non questa volta.
    La ragazza si slaccia le scarpe, levandosi le lunghe calze che le coprono le gambe fin sopra alle ginocchia. Quando la fioca luce della sera mette in risalto il suo pallido piedino, Haru lo afferra delicatamente, guidandolo a cercare la freschezza dell’acqua. Mizuko si porta una mano sul viso, cercando di nascondere la porpora che le dipinge la faccia d’imbarazzo.
    Non è mai stata abituata, a questo tipo di Haru. Ha sempre conservato gelosamente i ricordi di un giovane ragazzo prodigio che sembrava non sopportarla. A lei era sempre andato bene così, in realtà. Ma questo ragazzo… questo ragazzo che ha di fronte le piace, forse anche più del precedente bimbo che è stato.
    «G-grazie» biascica, titubante.
    Il giovane distoglie lo sguardo imbarazzato, schizzandola leggermente sulle ginocchia. «Non c’è bisogno che mi ringrazi.»
    «Devi chiamarmi baka, altrimenti non vale.»
    La fissa stranito, schiudendo la bocca per la sorpresa. Di tutte le cose senza senso a cui si è preparato, quella è decisamente la meno ovvia. Sorride, anche se lei non può vederlo; poggia le braccia a bordo piscina, rimanendo a fissarla come in trance.
    Per un istante, un singolo maledettissimo istante, ritratta su tutto ciò che ha sempre pensato di lei sin da piccolo: Mizuko le sembra una ninfa, di quelle che sostano nelle pozze argentee per bearsi di un bagno di mezzanotte; gli piace com’è diventata e gli piace il suo sguardo quando è riflesso nello specchio trasparente che lo sta avvolgendo.
    Forse, in realtà, gli è sempre piaciuta.
    Le afferra un polso, rimanendo con il capo poggiato sul braccio a bordo piscina. «Baka
    Quando rivede il bel sorriso di lei risplendere nell’oscurità della notte, sente l’improvvisa voglia di farsi più vicino, ma il rumore di una porta che sbatte contro il muro lo desta dall’imbarazzante intento.
    Mizuko sobbalza, col cuore in gola. Non riesce a scorgere perfettamente la sagoma che si avvicina minacciosamente al lato della piscina più vicino a Nagisa e Makoto. Sembra alto e atletico, ma di più non riesce a dire. Persino se affila lo sguardo, si rende conto di scorgere solamente una divisa bianca.
    Haru si allontana da lei, immergendosi nello specchio d’acqua. D’un tratto, un dubbio l’assale.
    Che sia…
    «E voi che diavolo ci fate qui?» domanda una voce carica d’astio.
    Quelle note così aspre le stridono sonore tra le orecchie; non le piace affatto quel tono di voce così perentorio.
    «Rin!» Vede Makoto sbarrare gli occhi per la sorpresa.
    Nagisa, al contrario, sembra perfettamente a suo agio. «Siamo venuti qui per veder…»
    «Andate via, subito!»
    «Rin-chan…» sussurra il biondino, improvvisamente intristito dall’atteggiamento brusco del compagno.
    Lo sguardo del rosso passa in rassegna i volti familiari dei vecchi amici, fermandosi infine su di lei. Mizuko non muove un muscolo, persino quando sente addosso quegli occhi cremisi carichi di disprezzo. La ragazza avverte uno strano senso d’inadeguatezza, come se non dovesse trovarsi lì in quel momento.
    «Tu chi diavolo sei?» mormora turbato, quando incrocia gli occhi dissonanti di lei.
    Vorrebbe rispondergli, soprattutto per rimproverargli di essere stato così scontroso con persone che volevano solo rivederlo, ma Haru la precede, emergendo dal pel d’acqua.
    «Libero…» sussurra il corvino, come se parlasse a sé stesso.
    «Eh?» Rin sembra confuso, mentre il suo sguardo continua a passare freneticamente dall’insolita immagine della giovane a quella fin troppo conosciuta del rivale.
    «Non ricordi? Ti ho detto che nuoto solo in stile libero.»
    L’atmosfera carica di tensione sembra affilarsi quando il delfino s’issa sul bordo della vasca, uscendo dalla piscina per ritrovarsi faccia a faccia con i due perplessi occhi cremisi. Sorride sornione, mentre si scrolla di dosso l’acqua in eccesso. «Voglio che mi mostri ancora quella parte di te. Ho dimenticato ciò che ho visto in passato.»
    «Certo, con piacere.» La bocca dello squalo si distorce in un ghigno spaventoso, mentre gli occhi si trasformano in due sfere fiammeggianti. «Ma stavolta non sarà la stessa cosa. Ti mostrerò qualcosa di totalmente diverso.»
    Mizuko rimane in silenzio a contemplare la scena. Non riesce davvero a credere che quella persona possa essere il Rin di cui ha tanto sentito parlare dagli altri: davvero hanno fatto tutta quella strada per incontrare un tipo del genere?
    Si domanda come mai Haru sia cambiato così drasticamente al solo vederlo. Non gli piace per niente, quando si comporta a quel modo. Eppure, non riesce a fare a meno di pensare che ci sia sotto qualcosa.
    S’accorge delle gambe che le tremano solo dopo essersi alzata in piedi. La verità è che quel tipo la spaventa, e non poco come vorrebbe credere. Per un istante, quando lui l’ha guardata, è stato come se le succhiasse via l’aria. Non ha alcuna voglia di riprovare ancora quella sensazione, per cui s’avvicina goffamente ai due amici con ancora i piedi nudi e le gambe scoperte, mentre i due sfidanti s’avviano ai blocchi di partenza.
    Vorrebbe dire qualcosa, ma le parole le muoiono in gola quando sente nuovamente lo sguardo del rosso su di lei. Non alza la testa, per paura di dover ancora incrociare quegli occhi; il braccio di Makoto giunge veloce a cingerle le spalle, facendola spaventare.
    «Va tutto bene, Mizuko» le dice, cercando di tranquillizzarla.
    «Ai.» Non sa se sia davvero così, ma si convince che, se sta bene anche a lui, allora non può essere una scelta così sbagliata.
    In fondo, non ha mai visto Haruka perdere.




NOTE:

[1] Lett. “Se si parla, appare”. Questo famoso detto giapponese lascia intendere che se si parla di una persona, questa alla fine appare. È il corrispettivo giapponese dell’italiano “Parli del diavolo, spuntano le corna”.
[2] Lett. “Piacere di conoscerti”. Si usa in un contesto informale.
[3] Il corrispettivo di Dio in giapponese.
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Free! - Iwatobi Swim Club / Vai alla pagina dell'autore: _EverAfter_