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Autore: Yurha    14/01/2019    1 recensioni
Il Natale era ormai alle porte nella città di New York.
Tutto si trasformò, infondendo un'atmosfera di gioia e festa in ogni suo abitante ma, sfortunatamente, un serial killer chiamato dalla polizia 'lo Strangolatore' fece la sua comparsa in una notte di inizio Dicembre, esattamente come un predatore in cerca delle sue prede indifese.
I Detective Lupo e Bernard, insieme ai Procuratori Cutter e Rubirosa, riusciranno a catturarlo prima che mieta altre vite e prima della Magica Notte dell'Avvento?
Genere: Mistero, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mike Cutter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

Anche i grandi magazzini, così come tutte le attività commerciali di New York, decorarono le proprie vetrine con scene tratte dalle più famose favole natalizie.
Non appena Mike e Connie vi entrarono, restarono molto colpiti dalla bellezza dei colori, dal realismo delle immagini dipinte direttamente sui vetri e dalle decorazioni dei larghi corridoi che portavano a tutti i vari negozi e ristoranti.
Il signor Scrooge ed il Grinch che albergavano in Mike si sciolsero all’istante nel vedere tutto quello e Connie non potè fare a meno di sorridere nel guardarlo osservare ogni vetrina con molto interesse.
Mike Cutter visse tutta la sua vita a New York ma era palese il fatto che non si prese mai del tempo per vivere il Natale, soprattutto viverlo al di fuori dalla sua casa o dell’Ufficio.
Se non avesse mai incontrato Connie, probabilmente in quel momento sarebbe in piedi davanti la finestra del suo studio a rimuginare da solo sul caso oppure avrebbe preso le ferie e le avrebbe passate a casa sua, magari sdraiato sul letto a dormire o a fissare il soffitto della sua camera pensando a quanto odiasse le festività.. Invece erano lì, a passeggiare insieme lungo i corridoi del centro commerciale, osservando con calma ogni vetrina.
Improvvisamente, Mike si bloccò difronte ad una di queste, intitolata ‘Un bimbo e il suo Natale.’
Rappresentava la cameretta di un bambino di circa sei o sette anni, particolarmente tifoso dei New York Yankees.
Ogni cosa presente, dai quaderni, alla lampada, al letto, al tappeto, ai poster, fino allo zaino della scuola testimoniava ciò.
Mike notò anche il guantone adagiato ai piedi del letto, una mazza da baseball proprio di fianco ad esso e sopra la testiera, attaccato alla parete, vi era il poster del leggendario George Herman ‘Babe’ Ruth, immortalato mentre compiva uno dei suoi storici Home Run.
Seduto alla scrivania, c’era il manichino di un bambino intento a scrivere la sua letterina da appoggiare sotto un bellissimo e piccolo abete tutto decorato con lucine colorare e festoni.
Sorrise. «Ho sempre desiderato una camera esattamente come questa.» disse a bassa voce, quasi parlasse con sè stesso. «Cominciando proprio da quel poster.» disse indicando quello di George Ruth.
Connie, dopo aver lanciato un'occhiata alla vetrina, si appoggiò con la spalla alla parete direttamente accanto.
Guardava Mike, tutto preso da quel tema. Il bambino che era in lui, il tifoso sfegatato, quello che desiderava con tutte le sue forze quel poster, emerse dal nulla.
Lei sorrise soprattutto nel vedere tutta la gioia di lui e i suoi occhi brillare in quel modo.
«È bello vedere che il bimbo che sognava la Major League non è scomparso.» gli disse, incoraggiandolo implicitamente a raccontare qualcosa riguardante sè stesso.
Mike sospirò poi sorrise lievemente. «Sembrava tutto facile a quel tempo, nonostante la mia storia..» iniziò. «All'epoca avevo sette anni e abitavo a Brooklyn. Un giorno, il talent scout degli Staten Island Yankees mi vide giocare e dopo la partita, incrociò me e mia madre di ritorno verso l’auto. Le disse che ero uno di quei giocatori rari da scovare, perchè avevo molto talento sia come battitore che come pitcher e disse anche che mi voleva a tutti i costi nella squadra dei pulcini della Minor League. I giocatori come ‘The Sultan of Swat’ George‘Babe’ Ruth, ‘Joltin’ Joe DiMaggio, ‘Happy’Jack Chesbro, sono stati i miei eroi, gli inarrivabili.» continuò.
Sembrava distante con quel sorriso che da dolce divenne malinconico. «Avrei voluto davvero tanto diventare come loro, riuscire ad essere una delle leggende della Hall of Fame ma nella primavera dei miei ventun anni, durante una partita contro i Brooklyn Cyclones lanciai la mia ultima palla curva.» sospirò. « Settimo inning, secondo strike di Edward Richards dei Cyclones. Una volta preparato, ricordo di aver caricato il lancio a tutta potenza ma subito lasciai cadere la palla e, tenendomi il braccio, caddi in ginocchio urlando con tutto il fiato che avevo in corpo. Sentii all’istante un dolore lancinante alla spalla destra, provai leggermente a muovere il braccio ma fu solo peggio. Solo dopo, in ospedale, mi dissero che il tendine, già sfilacciato, si strappò completamente.» spiegò ancora facendo spallucce. «Fui costretto ad attaccare il guantone al chiodo quindi, all’epoca, l’unica cosa che restava da fare fu buttarmi a capofitto nello studio.. Ed eccomi qui, a fare il Procuratore sottopagato per conto dello stato di New York..»

«Non ti sei mai arreso veramente.» affermò Connie, sempre appoggiata al muro, guardandolo negli occhi.
Lui ricambiò. «Bhè, sai che sono un tipo alquanto testardo.. Passarono cinque anni dall’intervento prima che riuscissi a tornare sul diamante sia come pitcher che come battitore. La squadra della Procura Distrettuale di Manhattan non sarà la Major League ma devo dire che provo un certo godimento a rendere la vita difficile alla Procura del Queens e del Bronx, per non parlare di quella di Brooklyn dato che Edward Richards è un loro Procuratore..» rispose con un sorriso divertito.
Lei rise.
«Devo ringraziarti Connie.»
«E di cosa?»
«Per avermi fatto ritornare a quei momenti, per aver ricordato il grande sogno di un bimbo di Brooklyn.»
Lei ricambiò con un sorriso ancora più grande ed un fugace tocco sull’avambraccio. «Non devi ringraziarmi, puoi confidarti con me ogni volta che vuoi, ogni volta che ne senti il bisogno.»
Sentirono poi delle note in sottofondo, la musica di un tipico canto natalizio.
Videro salire sul palchetto posizionato nella piazzola dei ristoranti delle persone in abiti ottocenteschi e prepararsi secondo la scena che stavano per rappresentare.
Connie si girò e non credette ai suoi occhi. «Mike, guarda!» disse eccitata.
Lui sorrise nel vederla così. «Oh.. Questa sì che si chiama fortuna, Connie.»
Il coro cantò acapella ‘Bianco Natale’ e altre due canzoni tipiche natalizie.
Mentre erano presi da quello spettacolo, lei lo prese sottobraccio e l’altra mano l’appoggiò tra l’avambraccio e il bicipite, quindi lo guardò cambiare la sua espressione da seria, in un tenue mezzo sorriso.
In quel momento Connie non riuscì a fare a meno di pensare di essere finalmente riuscita a regalare a Mike Cutter un pò dell’infinita gioia del Natale.

  
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