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Autore: Parmandil    14/01/2019    0 recensioni
I Costruttori di Sfere saranno sconfitti a Procyon V. Così disse l’Agente Temporale Daniels al Capitano Archer e così Chase ha appreso. Questa profezia ha sorretto l’equipaggio dell’Enterprise-J per sei anni, mentre la guerra metteva in ginocchio la Federazione. Così, quando i Costruttori si ritirano a Procyon V, tutto sembra avviato alla soluzione. Ma sarà davvero così? Chase ha ragione di dubitarne.
Con nuovi alleati che continuano a confluirvi, il Fronte Temporale è più forte che mai. L’apparente ritirata potrebbe celare un piano diabolico per serrare la fragile Unione Galattica tra il martello e l’incudine, distruggendola per sempre. Privato del comando alla vigilia della battaglia decisiva, Chase non è che un uomo, in lotta contro forze inarrestabili.
La salvezza, se c’è, potrebbe venire dal Tox Uthat, la cui caccia – interrotta tre anni prima – può finalmente ricominciare. Ma il nemico più sfuggente di tutti – il padrone della Cabala, che nemmeno Archer riuscì mai a sconfiggere – ha già il controllo dell’arma. Mentre il Fronte Temporale fa scattare la sua trappola, egli prepara un’atroce vendetta. Questa è la resa dei conti; e stavolta non tutti i nostri eroi ne usciranno vivi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottore, Nuovo Personaggio, Romulani
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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-Capitolo 1: L’Assedio di Xindus

Data stellare 2556.031

Luogo: Nuova Xindus

 

   «Intensificare gli scudi anteriori! Fuoco a volontà contro le Dreadnought più vicine, mirate ai loro punti deboli!» ordinò il Capitano Chase, reggendosi ai braccioli della poltrona di comando, mentre l’Enterprise sussultava e scricchiolava per la violenza della battaglia. Nella luce sanguigna dell’Allarme Rosso, il suo viso appariva tirato e quasi spettrale. Ai numerosi allarmi che già squillavano se ne aggiunse uno dal timone: quello di prossimità.

   «Attenta alla collisione!» avvertì Terry.

   «Lo so» disse T’Vala, con la fronte imperlata di sudore. Si morse il labbro inferiore, mentre le sue mani esperte digitavano una complessa serie di comandi, e dette una rapida occhiata allo schermo principale. C’erano sette Dreadnought inquadrate ed erano solo una piccola parte della forza schierata dai Tuteriani contro Nuova Xindus. I loro cannoni particellari anteriori sparavano a raffica; a ogni colpo messo a segno l’Enterprise vibrava, mentre i suoi scudi s’indebolivano.

   «Siluri agganciati, apro il fuoco» disse Lantora. Per non perdere l’equilibrio doveva reggersi alla consolle tattica, incastonata nella struttura arcuata dietro le sedie degli ufficiali superiori.

   L’Enterprise schizzò verso la flotta nemica, tra i bagliori dei raggi e delle esplosioni. Passò fra due Dreadnought dei Tuteriani, grandi astronavi fusiformi dallo scafo marroncino, con una strozzatura al centro. Per evitare la collisione ruotò di 90º l’enorme sezione a disco, larga più di due km. Anche così, passò a malapena: c’erano sì e no 600 metri fra le Dreadnought e l’Enterprise era alta 416. Mentre passava, l’astronave compì un bombardamento ravvicinato. I siluri colpirono le strozzature negli scafi nemici, riuscendo a spezzarli. I quattro tronconi, con le estremità fiammeggianti, rotearono fuori controllo, ma l’Enterprise non si fermò per finirli. Senza rallentare, fece uno slalom fra i successivi vascelli Tuteriani, sempre sparando a volontà. Astronavi più piccole la seguivano, in formazione serrata, sparando a tutto spiano. Erano quattro navi degli Xindi Rettili, dagli affilati scafi violacei, e una dozzina di navette degli Insettoidi, scure e ritorte.

   «Rettili e Insettoidi ci seguono» rilevò Terry. «Primati e Arboricoli sono rimasti indietro».

   «Signor Grog, gli dica di starci appresso o sarà inutile!» ordinò Chase.

   «Ci sto provando, ma il nemico continua a disturbare le comunicazioni» avvertì il Ferengi.

   Le Dreadnought desistettero dal colpire l’Enterprise, troppo resistente per loro, e concentrarono il fuoco dei cannoni anteriori su una nave rettiliana. Al quarto colpo i suoi scudi cedettero e al quinto l’astronave andò in frantumi. Intanto i cannoni particellari minori colpivano le piccole navi insettoidi.

   «Abbiamo perso una nave rettile» avvertì Lantora, tirandosi indietro i capelli sudati che gli si appiccicavano al volto. «Gli Insettoidi ne hanno perse tre... quattro... cinque...» lesse, man mano che la consolle gli inviava i dati aggiornati. «Capitano, li perdiamo come... come insetti!» esclamò, frustrato.

   «Facciamo un altro passaggio ravvicinato?» suggerì Ilia.

   «Negativo, non possiamo fermarci» disse Chase. «Gli abbiamo danneggiato le navi; ci penseranno Arboricoli e Primati a finire il lavoro. Noi dobbiamo procedere verso le Sfere».

   «Ricevuto» disse T’Vala, disimpegnandosi dall’ultima Dreadnought. Le passò radente, mentre Lantora la bersagliava con raggi anti-polaronici che tracciarono lunghi graffi incandescenti sul suo scafo. Ma la Dreadnought sparò ancora, contro una nave rettiliana, riuscendo a danneggiarla così gravemente da mandarla fuori rotta. Fortunatamente stavano arrivando i rinforzi. Sei vascelli Primati e quattro Arboricoli ingaggiarono le Dreadnought danneggiate, impedendo loro d’inseguire l’Enterprise e la sua scorta.

   «Ci restano due navi rettiliane e quattro insettoidi» avvertì Lantora, scuro in volto. «Basteranno?».

   «Devono bastare» disse Chase, scrutando cupamente lo schermo. Le masse arancioni e schiumose delle anomalie gravimetriche erano sempre più vicine. E là in mezzo, come squali nascosti fra mortali anemoni, s’intravedevano le sagome colossali di tre Sfere.

   «T’Vala, attenta alle anomalie» raccomandò Ilia. «Terry, cerchi di capire dove si formeranno le prossime e mandi le previsioni al timone. Lantora, faccia raffreddare i banchi anti-polaronici e intanto prepari i lanciasiluri transfasici. Signor Grenk, dia tutta l’energia possibile agli scudi anteriori» aggiunse, contattando la sala macchine.

   «E secondo lei che ho fatto finora?!» protestò Grenk dall’ingegneria. Il Tellarita e i suoi colleghi armeggiavano con consolle così piene di allarmi da sembrare luci natalizie. Gli indicatori puntavano verso il massimo, segno che l’Enterprise stava attingendo all’energia di riserva per mantenere attivi gli scudi. Il nucleo quantico pulsava a ritmo indiavolato, trasmettendo le sue vibrazioni a tutta la nave. «Siamo a 5.312.000.000 di terajoules. Non posso darvi più di così, o questa beneamata nave andrà in pezzi!» si disperò l’Ingegnere Capo.

   «La tenga insieme finché avremo distrutto le Sfere!» ordinò Chase, mentre l’Enterprise sfrecciava fra i mortali addensamenti di anomalie. In condizioni normali gli scudi cronofasici l’avrebbero protetta, ma nelle attuali condizioni di sforzo non bisognava affaticarli ulteriormente. Ne andava della salvezza di un pianeta.

 

   Il disperato attacco dell’Enterprise era solo uno dei molti scontri mortali che si consumavano nell’orbita di Nuova Xindus. Da tre mesi, ormai, i Tuteriani assediavano la patria delle cinque specie Xindi con un micidiale schieramento di Dreadnought, Sfere e anomalie.

   Prima della guerra, Nuova Xindus era uno dei pianeti più incantevoli della Federazione. Scelto per la somiglianza con l’antico Xindus, era un mondo di classe Q, dal clima estremamente variegato. Profondi oceani s’incuneavano fra le terre emerse, dando ricetto agli Xindi Acquatici. Deserti caldi e secchi erano la dimora dei Rettili, mentre gli Insettoidi preferivano l’umidità delle foreste pluviali. I boschi più temperati erano assegnati agli Arboricoli, mentre le pianure e le coste ospitavano le città dei Primati.

   C’erano anche imponenti catene montuose, dai picchi innevati che nessuno aveva mai scalato; ma sfortunatamente non restavano Xindi Aviali che potessero goderne. Si erano estinti nella Guerra Civile di 500 anni prima e solo il teschio di un Aviale, esposto nella sala del Consiglio fra candele sempre accese, ricordava alle specie superstiti il prezzo della guerra. A due secoli dalla colonizzazione di Nuova Xindus, le specie si erano ormai assestate. Per quanto avessero costruito numerose città, gran parte del pianeta restava ancora selvaggio e disabitato. Ora che la parte più dura della colonizzazione era terminata, gli Xindi speravano di potersi riposare ed espandere in pace i loro insediamenti.

   Quest’illusione era svanita con l’arrivo dei Tuteriani, un tempo venerati come custodi e protettori, ora temuti per ciò che erano realmente: spietati distruttori. Dieci Sfere avevano circondato il pianeta, creando anomalie per annientare ogni forma di vita. Il rigoglioso ma delicatissimo ecosistema di Nuova Xindus ne aveva subito risentito. Esposte alle onde gravimetriche, le piante avvizzivano, trasformando le foreste in lugubri deserti essiccati o in fetide paludi marcescenti. Le creature marine galleggiavano sui mari improvvisamente ribollenti, o restavano imprigionate nelle acque che congelavano d’un tratto. Interi branchi di quadrupedi erano trovati morti, con i corpi deformati, e i volatili cadevano a stormi quando le anomalie attraversavano l’atmosfera. Giorno e notte il cielo riluceva di surreali aurore, che si spingevano fino all’equatore. Chiusi nelle loro città, sotto le cupole protettive degli scudi, gli Xindi le osservavano con apprensione. Poco alla volta le anomalie prosciugavano le riserve energetiche, finché gli scudi cedevano; allora era la morte.

   Naturalmente gli Xindi non rinunciavano a lottare, anzi opponevano una strenua resistenza. Le cinque specie avevano mobilitato le forze armate e il Consiglio Xindi coordinava gli sforzi. Sommate, le forze di difesa planetaria contavano duecento navi, dai grandi incrociatori Acquatici alle piccole navette Insettoidi. A queste si sommavano le piattaforme difensive orbitali e le difese di terra. Era una forza di tutto rispetto.

   Ma i Tuteriani erano astuti. Avevano posizionato le Sfere appena fuori dalla portata delle piattaforme, per costringere gli Xindi ad attaccare senza avere le spalle coperte. E si erano preparati a riceverli. Un’enorme flotta di Dreadnought – trecento, secondo i sensori – era schierata in difesa delle Sfere. Da queste fortezze imprendibili, i Tuteriani continuavano a flagellare Nuova Xindus. La sua posizione strategica e il ruolo storico degli Xindi nella lotta contro i Tuteriani ne facevano un bersaglio irrinunciabile. Era l’assedio più feroce dell’intero conflitto, nonché la battaglia più grande, dopo l’attacco al sistema solare sferrato tre anni prima.

   In quel frangente disperato, gli Xindi avevano chiesto soccorso alla Federazione di cui erano membri. E la Federazione aveva risposto, malgrado il logorio di sei anni di guerra, di cui gli ultimi tre catastrofici: mondi distrutti, popoli sfollati e una profonda destrutturazione politica. Mentre cercava di evolvere in una più vasta Unione Galattica, comprendente Klingon e Romulani, la Federazione aveva inviato un’armata: cinquanta navi al comando dell’Enterprise, per rompere l’Assedio di Xindus o morire nel tentativo. Il loro assalto iniziale aveva avuto un discreto successo: due Sfere e una cinquantina di Dreadnought erano state distrutte. Le navi federali avevano raggiunto quelle Xindi, rinsanguandone i ranghi. Ma l’Assedio era appena cominciato: quella era solo la prima delle sanguinose Battaglie di Xindus.

   Dopo di allora, per quattro volte i Tuteriani avevano attaccato il pianeta, cercando di forzare il blocco difensivo. Ogni attacco era preceduto da un’impennata nell’attività delle Sfere. Le anomalie si addensavano, formando nubi arancioni d’aspetto schiumoso. Le più piccole avvolgevano un’astronave, le maggiori investivano interi continenti di Xindus. Poi le Dreadnought attaccavano, cercando di aprirsi un varco tra le navi Xindi e federali, per bombardare le città dall’orbita.

   Quando i Tuteriani erano respinti, le Sfere riducevano la loro attività ed eventualmente si riassestavano, per colmare i vuoti nella loro rete. Tutto tornava come prima. Gli assediati contavano i morti, le navi distrutte, le città ridotte in macerie. L’orologio di guerra si azzerava, in attesa del prossimo attacco. Nessuno sapeva di preciso quando sarebbe avvenuto: tra una settimana o un mese, di giorno o di notte. Non si riusciva più a dormire tranquilli, né a consumare un pasto in serenità, per timore di un nuovo assalto. Quando non si combatteva si era impegnati a riparare i danni.

   Il morale ne risentiva pesantemente. Molti ufficiali erano stressati, litigiosi o quantomeno taciturni. Alcuni avevano crisi di panico o collera nei momenti più inaspettati e per le ragioni più futili. Sull’Enterprise, il dottor Korris aveva diagnosticato il Disturbo da Stress Post-Traumatico a gran parte dell’equipaggio. Molti marinai e ufficiali chiedevano farmaci per allontanare l’ansia e restare svegli, ma il dottore sapeva di non poterli somministrare a lungo. Con l’Assedio ancora in corso, non poteva permettere che l’equipaggio tirasse avanti a forza di psicofarmaci. Solo il buon esempio del Capitano e degli ufficiali superiori impediva al resto della ciurma di lasciarsi andare completamente.

   Per affrontare al meglio l’emergenza, Chase aveva nominato Lantora ufficiale di collegamento tra la Flotta Stellare e il Consiglio Xindi. L’Ufficiale Tattico si teneva costantemente aggiornato sullo status di Xindus, riferendo al Capitano le decisioni del Consiglio e filtrando le richieste d’aiuto, per selezionare le più urgenti. Era un lavoro che Lantora detestava, perché significava negare aiuto ad alcuni in favore di altri. Ma essendo lo Xindi più alto in grado sull’Enterprise, nonché l’Ufficiale Tattico, non poteva biasimare il Capitano per la sua scelta. Al tempo stesso, Lantora riferiva al Consiglio le decisioni di Chase, cercando di difenderne l’operato. Era un’impresa ardua, perché ogni volta che i federali aiutavano una specie Xindi le altre quattro li accusavano di favoritismo. Rettili e Insettoidi, in particolare, erano impazienti e facili all’ira. Lantora parlava tutti i giorni al Consiglio, cercando di rabbonire i delegati, e si recava personalmente alla capitale almeno una volta a settimana.

   La situazione era ulteriormente peggiorata quando i Tuteriani avevano rilasciato su Xindus il famigerato Agente 47, un virus letale sintetizzato dai Na’kuhl. Di tutte le armi biologiche usate nell’attacco al sistema solare, era l’unica ancora senza una cura. Aveva sterminato l’intera popolazione di Cerere, Ganimede e Tritone. Altre migliaia di contagiati erano ancora in stasi, mentre i medici cercavano un rimedio. In altri sistemi stellari, l’epidemia imperversava, sommandosi agli effetti disastrosi delle anomalie.

   Su Xindus, dottori delle cinque specie lavoravano giorno e notte per trovare una cura, coadiuvati dai medici federali. Anche il dottor Korris era sbarcato e operava nell’ospedale della capitale, in condizioni precarie. Non solo doveva maneggiare un virus pericolosissimo, che aveva infettato migliaia di Xindi e per cui non c’era cura. Doveva anche vedersela con i danni delle anomalie e dei bombardamenti, che spesso prendevano di mira l’ospedale. In teoria lo Scudo Cittadino proteggeva la capitale con una cupola d’energia impenetrabile. In pratica le anomalie riuscivano spesso a filtrare e talvolta anche i cannoni particellari mettevano un colpo a segno. Era una lotta contro il tempo: se i medici non avessero trovato la cura, tutti gli sforzi degli Xindi per ridarsi una patria sarebbero stati vanificati.

 

   La Quinta Battaglia di Xindus, la peggiore di tutte, iniziò come le altre. D’un tratto le emissioni gravimetriche delle Sfere schizzarono alle stelle e il pianeta si trovò avvolto dalle anomalie. Densa e ribollente, la schiuma quantica premeva contro gli scudi che proteggevano le principali città Xindi, cercando di sovraccaricarli. Nelle zone non protette agiva indisturbata. Al suo passaggio interi continenti si chiazzavano di bruno e nero. Gli effetti sugli esseri viventi erano orribili: i tessuti si spaccavano, finché tutto l’organismo andava in pezzi. Nei primi minuti le vittime provavano una sofferenza atroce in tutto il corpo. Poi sopraggiungevano svenimento, coma e morte.

   Nel frattempo tutte le Dreadnought rimaste – poco più di cento – attaccavano la flotta Xindi e federale, cercando di sfondare. Diversamente dal solito, non si attardavano a distruggere astronavi e piattaforme difensive. Cercavano solo di superare il blocco, per arrivare a bombardare il pianeta. E il bersaglio era la capitale.

   Visto da sotto lo scudo, il bombardamento era terrificante. Le esplosioni tingevano il cielo di giallo, un cupo brontolio riecheggiava in tutta la città. Il suolo stesso vibrava, come per un terremoto interminabile. Se il sottile campo di forza avesse ceduto, sarebbe stata la fine per i dieci milioni di Xindi – di tutte le specie – che si erano rifugiati lì.

   Anche il Centro Medico, pur essendo costruito con criteri antisismici, tremava. Gli strumenti tintinnavano nei loro armadietti e le apparecchiature più pesanti vibravano. I dottori correvano da un laboratorio all’altro, agitatissimi. Erano al culmine del loro esperimento più importante; la cura per l’Agente 47 poteva essere a portata di mano, se solo fossero riusciti a concludere i test.

   «È inaudito, non posso lavorare così!» protestò l’Ufficiale Medico Capo della task-force federale. Aveva l’aspetto di un uomo di mezz’età, con una vistosa calvizie e profondi occhi scuri sotto le sopracciglia pronunciate. Ma dietro le sembianze umane si celava una natura olografica. Il dottor Joe – un tempo noto come “Dottore” – era il più vecchio Medico Olografico d’Emergenza ancora in servizio, nonché ultimo ufficiale superstite della Voyager. In quel momento, rughe di preoccupazione gli segnavano il viso. Stava lavorando con microscopi e altri strumenti di precisione. Era un compito delicatissimo e nemmeno la sua mano ferma riusciva a evitare che le vibrazioni glielo ostacolassero.

   «Inutile recriminare, dottore» disse Korris, esaminando i diagrammi olografici. «L’andamento della battaglia è fuori dal nostro controllo. Dobbiamo restare concentrati sull’esperimento».

   Sulla parete di fondo della sala c’erano cinque capsule mediche, contenenti altrettanti Xindi contagiati dall’Agente 47. Ogni Xindi apparteneva a una specie diversa. Ai pazienti erano state iniettate nanosonde studiate per riparare il loro XNA (la versione Xindi del DNA). Se tutti e cinque fossero guariti, il virus poteva considerarsi sconfitto. Se guarivano alcuni, era comunque un successo e un gradino verso la cura definitiva.

   I medici stavano monitorando i progressi dei pazienti, quando l’energia venne meno e il laboratorio piombò nell’oscurità. In pochi secondi si accesero i generatori d’emergenza e tutto ricominciò a funzionare, ma molti strumenti erano ormai fuori fase e alcuni andavano del tutto riavviati. Joe e Korris diedero ordini concitati all’equipe, mentre loro stessi si affannavano per rimettere tutto in linea.

   «Proprio quel che temevo... mi dica come possiamo monitorare i pazienti, se l’energia va e viene!» si lamentò ancora Joe. «Chiamiamo l’Enterprise. Il Capitano deve darci più copertura!».

   «Gliene ho già parlato» sospirò Korris. «Ha detto che, durante gli attacchi, la priorità è colpire le Sfere».

   «La sua priorità, non la nostra!» obiettò Joe. «Guardi qui... un’altra reazione enzimatica letale. Stiamo perdendo l’Arboricolo... provo a compensare con la sequenza 84-Theta. Nelle simulazioni andava bene». Digitò una serie d’istruzioni per le nanosonde.

   «Speriamo» disse Korris, nascondendo la preoccupazione per quel rimedio non collaudato. «Sa, pensavo che situazioni del genere fossero una passeggiata per lei».

   «Che intende?».

   «Beh, il trattato sulle patologie del Quadrante Delta non è l’unico dei suoi lavori che conosco» spiegò Korris. «Ho letto anche la sua autobiografia. E ho provato alcuni dei suoi olo-romanzi. Si arriva sempre al punto in cui il nemico sta attaccando la Voyager mentre lei è in infermeria a cercare la cura. Ci sono esplosioni ovunque e macerie che stranamente piovono dal soffitto... ma lei è sempre così calmo, così compassato! All’ultimo momento trova la soluzione, il nemico si ritira... e via, la giornata è salva! Speravo che andasse così anche stavolta».

   «Dottor Korris, lei è un valido collega» disse Joe, fissandolo per un momento, prima di rituffarsi nel lavoro. «Per questo le dirò le cose come stanno. La mia autobiografia è un po’... come dire... abbellita».

   «Ma ha fatto quelle cose, no?» chiese Korris. «Diamine, era lei che affrontava i macro-virus armato d’ipospray! Lei che lottava coi Vidiiani perché restituissero gli organi dei suoi colleghi! Lei che trasformava le nanosonde Borg in armi contro gli Undine! E adesso che la medicina è tanto più progredita, non riusciremo a far fuori questo virus?».

   «Spero di sì» disse Joe, sempre digitando sequenze operative per le nanosonde. «Ma vede, certe esperienze sono irripetibili. E altre temo che siano – ehm – un pochino romanzate» ammise, con una punta d’imbarazzo.

   «Quindi non è vero che Janeway e Paris si trasformarono in salamandre dopo aver volato a curvatura 10?» chiese Korris, con l’aria di un bambino che non vuol rinunciare alla sua storia preferita.

   «Ehm, ci sono un sacco di storie su ciò che succede testando i motori esotici» spiegò Joe. «Non creda a tutto quel che vede nelle sale ologrammi. Micologi che s’iniettano DNA di tardigrado per guidare un motore a spore... piloti che si trasformano in salamandre... suvvia, siamo scienziati!» ridacchiò nervosamente. In realtà ne aveva visti di portenti, nei suoi 185 anni di onorato servizio. Ma alcune scoperte erano ancora secretate dalla Flotta e di altre non gli andava di parlare.

   «Capisco» disse Korris, un po’ deluso, mentre consultava le letture. «L’Arboricolo si è stabilizzato e anche gli altri mantengono buoni parametri. Il virus recede dal midollo spinale... forse ci siamo!» disse speranzoso. Alcuni dei medici si stavano già dando strette di mano e pacche sulle spalle, quando la stanza divenne rossastra. Bagliori informi si agitavano a mezz’aria, come se lo spazio stesso soffrisse. I parametri vitali dei pazienti schizzarono in zona rossa.

   «No!» gemette il dottor Joe, correndo verso le capsule mediche. I pazienti erano sedati, tuttavia si agitavano come se percepissero il dolore. «Se l’anomalia guasta le nanosonde o falsa le letture, sarà tutto inutile. Potremmo perderli senza sapere nemmeno se il rimedio funzionava. Dica all’Enterprise di fare qualcosa... Chase è il suo Capitano, deve ascoltarla!».

   «Korris a Enterprise, emergenza!» disse il mezzo Cardassiano, parlando attraverso un comunicatore installato nella parete. Era molto più potente di quello dell’uniforme: sfruttava i ripetitori della capitale e i pochi satelliti ancora attivi per inviare un segnale. «Siamo colpiti dalle anomalie. Abbiamo pazienti in gravi condizioni, che non possono tollerare nemmeno una breve esposizione. E c’è un importantissimo esperimento in corso per contrastare l’Agente 47. Dovete far cessare le anomalie, subito!» gridò. Lui stesso sentiva ogni terminazione nervosa in fiamme. Era una tortura inimmaginabile... come stare nel fuoco o essere divorati dalle formiche. Le orecchie gli fischiavano, la vista si annebbiava e ogni cellula del suo corpo gridava di dolore. Attorno a lui, i colleghi si accasciavano sul pavimento, incapaci di occuparsi dei pazienti.

   Solo il dottor Joe, forte della sua natura olografica, resisteva. Passò da una capsula all’altra, somministrando ulteriori medicinali ai pazienti nel tentativo di stabilizzarli. Ma non poteva affrontare al tempo stesso il virus e le anomalie. Poteva solo guadagnare qualche minuto, sperando che i colleghi nello spazio fermassero le distorsioni. Intanto dal comunicatore giunsero suoni crepitanti. Korris riconobbe la voce di Grog, ma era così piena d’interferenze che non capì il messaggio.

   «Ci avranno sentiti?» chiese Joe, preoccupato.

   «Non importa» rispose Korris, somministrandosi un’iniezione ipodermica per restare cosciente. «Sanno che siamo sotto attacco... Terry l’avrà captato. E il Capitano Chase farà a pezzi quelle dannate Sfere... dobbiamo solo resistere...» disse, pur sentendosi allo stremo.

   «Spero che i suoi colleghi siano in gamba come lo erano i miei» disse Joe, ricordando le mille battaglie vinte dalla Voyager. Si sfiorò la fede nuziale che portava al dito. Gli ricordava sua moglie Lana, sposata molti anni dopo il ritorno sulla Terra. Erano vissuti insieme per gran parte del XXV secolo. Naturalmente lei era invecchiata e infine era morta... mentre lui non era cambiato dal giorno della sua prima attivazione. Ma nei momenti difficili, Joe guardava l’anello e pensava a lei, trovando la forza di andare avanti. Continuò a battersi per salvare i suoi pazienti, mentre i colleghi svenivano e i diagrammi medici diventavano sempre più rossi.

 

   «Come si comportano le linee temporali?» chiese la Primaria, innalzandosi dalla nebbia bianca dell’Osservatorio Temporale.

   «Cambiano a ogni istante» rispose la Vate. «Ma i tracciati decisivi non vengono dalla battaglia nello spazio. Il Centro Medico della capitale... è quello che conta».

   «Per questo ho ordinato l’attacco» ricordò la Primaria. «Se i dottori sconfiggessero il virus, salverebbero gli Xindi... e miliardi di altre vite, in tutta la Federazione».

   «Le linee temporali confermano che l’hanno trovata» rivelò la Vate. «Se riusciranno a diffonderla...».

   «Sarebbe una catastrofe per noi» si allarmò la Primaria. «Non dobbiamo permettere che accada. Raddoppiate l’attacco! Distruggete l’ospedale... la città... tutto il pianeta. Voglio che questo sia l’ultimo giorno degli Xindi!» ordinò.

   «Primaria, al momento non possiamo inviare rinforzi in quel sistema...» le ricordò la Messaggera.

   «Abbiamo ancora cinque Sfere e un centinaio di Dreadnought» obiettò la leader dei Tuteriani. «Usatele. Sacrificate ogni nave e ogni soldato, se necessario. Il Centro Medico deve essere distrutto. È tempo che le cinque specie si uniscano agli Aviali nell’estinzione».

   «Come desiderate, Primaria» disse la Messaggera, chinando il capo, e svanì dall’Osservatorio. Aveva degli ordini da trasmettere.

 

   Di lì a poco, decine di Tuteriani si materializzarono nei corridoi e nei laboratori del Centro Medico. Ciascuno di loro aveva un obiettivo preciso. Camminando a passo svelto, ma senza correre, andarono a sabotare i punti nevralgici dell’ospedale. Colpirono i generatori energetici e i cavi di trasmissione, per togliere l’energia. Sorpresero i dottori con i loro pazienti, ancora sui lettini o nelle capsule mediche, e li uccisero con vortici d’energia che scagliavano direttamente dalle mani. Distrussero i bio-scanner, i campioni di farmaci sperimentali, i computer contenenti le ricerche mediche. Erano precisi e veloci; dopo aver distrutto un obiettivo passavano immediatamente al prossimo.

   Passato il primo attimo di sgomento, gli Xindi reagirono. Squadre della Sicurezza, composte soprattutto da Rettili e Insettoidi, affrontarono i loro antichi “custodi” in furibondi scontri a fuoco. Gli Xindi erano svantaggiati dalla natura trans-dimensionale del nemico. I Tuteriani potevano diventare incorporei a comando, attraversando le pareti come fantasmi. Persino gli impulsi energetici delle armi li attraversavano senza nuocere. Ma quando volevano i Tuteriani erano in grado d’intervenire sul piano materiale, per colpire e uccidere.

   Le truppe Xindi regolarono le armi su particolari frequenze, suggerite dai medici, finché ne trovarono una abbastanza efficace. I Tuteriani non morivano, ma si accasciavano a terra fra gli spasmi e infine svanivano, risucchiati nella loro dimensione. Ma per ogni Tuteriano messo fuori combattimento in questo modo, un altro prendeva il suo posto all’istante. A vederli non mostravano rabbia o paura, e nemmeno gioia quando riuscivano a infliggere un danno. Erano semplicemente concentrati. Non parlavano nemmeno fra loro, limitandosi a fare qualche breve cenno o gesto. Intanto i corpi degli Xindi – soldati, medici e pazienti – si ammucchiavano sui pavimenti.

   Un piccolo gruppo di Tuteriani entrò nel laboratorio centrale, in cui Joe e Korris stavano testando la cura. Avevano fatto pochi passi quando furono intrappolati in un campo di forza cilindrico. «Sciocchi. Non ci tratterrete a lungo» disse la comandante. Lei e gli altri posarono le mani sul campo, creando interferenze. Poco alla volta riuscirono ad aprirsi un varco nella barriera sfrigolante. Il primo che uscì fu bersagliato da Korris con un fucile Xindi: i colpi azzurri gli attraversarono la testa.

   «Lasciate stare... i miei... pazienti!» gridò il mezzo Cardassiano, sparando da dietro una massiccia apparecchiatura che forniva un riparo di fortuna. Riuscì a ferire i Tuteriani tanto da rispedirli nella loro dimensione, man mano che uscivano dal confinamento. Ma la caposquadra uscì dall’altra parte della barriera cilindrica, dove Korris non poteva colpirla. Levò la mano verso la capsula dello Xindi Primate e sprigionò un vortice d’energia che l’avrebbe ucciso. Ma il dottor Joe si frappose, assorbendo il colpo. La sua immagine sfarfallò un poco e si riassestò.

   «Ologramma!» disse la caposquadra, sdegnata. «Perché perdi tempo con questi esseri inferiori? Dovresti servire noi, piuttosto. Siamo l’unica soluzione ai problemi della vostra Galassia».

   «Sono un medico, non un mercenario» ribatté Joe, avventandosi su di lei con un ipospray. Lottarono brevemente, con il Dottore che bloccava i polsi dell’avversaria per impedirle di colpire i malati. Un paio di vortici energetici finirono contro il soffitto, mentre uno fece esplodere una consolle inserita nella parete. Infine il dottor Joe prevalse, svuotando l’ipospray nella gola dell’avversaria. «Questo non è il vostro Universo; lasciateci in pace!» esclamò.

   La Tuteriana cadde all’indietro, in preda alle convulsioni. «Schifosi... parassiti...» rantolò, per poi dissolversi, richiamata nella sua dimensione.

   Il Dottore sospirò e si guardò intorno. La sala era vuota; tutti gli altri Tuteriani erano stati abbattuti dai precisi colpi di Korris. «E lei è un medico o un cecchino?» si stupì.

   «Di questi tempi, l’uno e l’altro» rispose Korris con un sorriso stentato. Lasciò cadere l’arma e barcollò verso le capsule mediche. La testa gli girava e la vista si stava sdoppiando. Si guardò la mano e vide che la pelle grigia era tutta screpolata, come fango che si secca. Il danno inflitto dalle anomalie era grave e peggiorava ogni attimo. Non gli restava molto tempo.

 

   L’Enterprise proseguì la sua gimcana fra le anomalie, le astronavi nemiche e i relitti dei vascelli distrutti negli scontri precedenti. Passò tra i frammenti ricurvi di una Sfera, spaccata nell’ultima battaglia. Molti pezzi del guscio esterno erano più grandi dell’Enterprise stessa; i loro bordi frastagliati avrebbero spaccato lo scafo in caso d’impatto. L’Enterprise dovette aprire il fuoco per distruggere i più grossi. Anche le navi Xindi che la scortavano fecero lo stesso. Una nave insettoide urtò uno dei frammenti più piccoli, sbandò e finì spiaccicata contro un grosso pezzo di guscio, come una mosca sul parabrezza.

   Finalmente giunsero a portata di tiro delle Sfere. Erano tre: per comodità i federali le avevano denominate Alfa, Beta e Gamma. La Sfera centrale, Alfa, era leggermente più grande e controllava il network dispiegato intorno a Xindus. Tutte quante avevano il guscio annerito e rovinato dai precedenti scontri, ma funzionavano ancora.

   «La sfera Gamma ha i danni più estesi» rilevò Terry, ingrandendo una delle Sfere minori sullo schermo. La sua superficie era cosparsa di crateri e lunghe crepe, che la facevano somigliare a una luna. «Non sarà difficile darle il colpo di grazia».

   «Ma la sfera Alfa controlla l’intera rete» obiettò Ilia. «Se la distruggiamo per prima, le anomalie saranno molto indebolite».

   «Che mi dice delle sfere Delta ed Epsilon?» chiese il Capitano, alludendo alle altre due Sfere rimanenti, posizionate ai vertici di un ipotetico triangolo equilatero che circondava il pianeta.

   «La flottiglia della Paladin sta affrontando la Delta, mentre le forze Xindi riunite si avvicinano alla Epsilon» informò Terry. «Hanno buone probabilità di successo, ma la battaglia decisiva è la nostra».

   «Capitano, rilevo una trasmissione disturbata dal Centro Medico» avvertì Grog. «È il dottor Korris... dice che le anomalie colpiscono l’ospedale».

   «Confermo; tutta la capitale è esposta» annuì Terry. «Rilevo anche segni di vita Tuteriani nel Centro Medico. Credo che stiano assalendo il personale».

   «Vigliacchi... proprio adesso che è in corso il test decisivo!» ringhiò Chase, guardando con disprezzo le Sfere sullo schermo.

   «Non può essere un caso» notò Ilia. «I Tuteriani temono che i nostri dottori abbiano trovato la cura e vogliono fermarli».

   «Non glielo permetteremo. Signor Grog, dica a Korris di resistere. Signor Lantora, fuoco contro la sfera Alfa!» ordinò il Capitano.

   «Con piacere» disse Lantora, lanciando una salva di siluri transfasici. Avrebbero dovuto essere sufficienti a distruggere la Sfera, o almeno a disabilitarla. Ma alcune Dreadnought si frapposero, facendosi volontariamente colpire dai siluri per proteggere la Sfera. Esplosero una dopo l’altra, disperdendo frammenti incandescenti.

   «Ci chiamano dalla sfera Alfa» avvertì Grog.

   «Apra un canale» ordinò Chase. «Nel frattempo lei continui a sparare» aggiunse, rivolto a Lantora.

   «Capitano Chase!» esordì la Messaggera, comparendo sullo schermo. «Oggi la sua carriera di criminale di guerra conosce un’altra escalation. Non pago di distruggere le nostre Sfere, vuole anche massacrare la sua gente» disse con aria scandalizzata. Mostrò delle prigioni alle sue spalle, in cui erano radunati centinaia di civili federali, di varie specie. Erano in preda al panico: battevano i pugni sui campi di forza, strillavano o semplicemente si accasciavano in preda ai singhiozzi. I genitori abbracciavano i figli piangenti, mentre cercavano di nascondere le proprie lacrime. Tuteriani armati sorvegliavano le celle, chiuse da campi di forza.

   «Vede? Abbiamo 617 prigionieri a bordo e li trattiamo dignitosamente, in base alle convenzioni di guerra» spiegò la Messaggera. «Ma il suo vile attacco li ucciderà tutti, qualificandola come il mostro che è».

   «State cercando di sterminare un miliardo di Xindi; che dovremmo fare, se non fermare le vostre macchine di morte?» ribatté Chase.

   «Ipocriti!» ringhiò Lantora inferocito, all’indirizzo dei Tuteriani. «Uccidete i pazienti nei loro letti. Assassinate i dottori che cercano di curarli dall’epidemia che voi avete provocato!».

   «Secoli fa offrimmo agli Xindi la possibilità di fondare un grande Impero» rispose prontamente la Messaggera. «Ma avete spregiato i nostri consigli e vi siete rivoltati, alleandovi col nostro peggior nemico. Ora pagate il prezzo del vostro infame tradimento».

   «Basta, vuol solo farci perdere tempo» disse Chase, segnalando di chiudere la comunicazione. «Terry, mi può confermare che quei civili ci sono davvero? Non sono ologrammi?».

   «Capto segni vitali di almeno quindici specie, ma non posso escludere che si tratti di proiezioni sofisticate» rispose l’IA. «Mi spiace, non posso essere più precisa: le anomalie disturbano i miei sensori» si scusò.

   «Capitano, ci sono milioni di Xindi che stanno morendo in questo preciso momento» disse Lantora, tirato in volto. «Anche se gli ostaggi fossero veri, non abbiamo scelta».

   «Le esigenze dei molti sopravanzano quelle dei pochi» gli fece eco T’Vala dal timone. «Per quanto emotivamente insoddisfacente, questa linea d’azione resta la più logica. Dobbiamo distruggere le Sfere».

   «Non c’è modo di teletrasportare a bordo gli ostaggi?» chiese Ilia.

   «Non finché la Sfera mantiene gli scudi alzati. E anche se li perdesse, ci sono le interferenze delle anomalie» spiegò Terry. «Inoltre abbassare gli scudi in questo momento metterebbe a repentaglio l’Enterprise». Come per confermare le sue parole, la nave sobbalzò, esposta al fuoco incrociato delle Dreadnought.

   «Scudi al 40% in diminuzione» avvertì Terry. «Gli Xindi stanno già colpendo le Sfere e ci esortano a fare altrettanto».

   «D’accordo, apriamo il fuoco» cedette il Capitano. «Lantora, cominci dalla sfera... Gamma» aggiunse, controllando la situazione tattica tramite i comandi sul bracciolo.

   «Sissignore» disse il Primate, attivando i siluri quantici. La prima scarica infranse la superficie della Sfera, mentre la seconda distrusse il nucleo energetico al centro. La struttura cominciò a frantumarsi, con una strana lentezza che derivava dalle sue grandi dimensioni.

   «Una è andata!» disse Lantora, osservando soddisfatto il grafico delle emissioni d’energia che si azzerava. Le altre due Sfere, però, erano ancora attive. «Stanno arrivando rinforzi Primati, Arboricoli e anche Acquatici».

   «Gli dica di attaccare la sfera Beta» ordinò Chase. «Noi aiutiamo Rettili e Insettoidi contro l’Alfa» disse, scuro in volto al pensiero degli ostaggi.

 

   La battaglia proseguì in un caos di attacchi, inseguimenti ed esplosioni. Parte delle Dreadnought bombardava Xindus, ignorando le astronavi e le piattaforme che le crivellavano di colpi. Le Dreadnought continuavano a sparare anche quand’erano danneggiate, senza tentare di ritirarsi; sparavano finché andavano letteralmente in pezzi. I loro brandelli precipitavano su Xindus, rigando il cielo come tante stelle cadenti. Molti erano abbastanza grandi da raggiungere il suolo, scavando grossi crateri; quelli che cadevano sugli Scudi cittadini esplodevano come shrapnel. Fra i colpi di cannoni particellari e la pioggia di rottami, gli Scudi cominciarono a cedere. Anche la capitale fu duramente colpita. Il Consiglio Xindi trovò rifugio in un bunker sotterraneo, mentre un’ala del palazzo governativo veniva demolita da un raggio a particelle.

   Nello spazio, però, la battaglia volse a favore della Flotta Stellare. Una dopo l’altra, le Sfere subirono massicci bombardamenti. Navi federali guidate dalla Paladin frantumarono la sfera Delta, mentre la Epsilon fu spaccata in due dagli incrociatori Acquatici. Forze Xindi riunite crivellarono la Beta fino a mandarla in pezzi.

   Con la distruzione delle Sfere minori, parte delle anomalie si dissolse. La morsa rossastra abbandonò la capitale, compreso il Centro Medico. Appena in tempo. I dottori si rialzarono, ancora deboli e sofferenti. Sui loro corpi c’erano grosse screpolature che dolevano terribilmente, ma non avevano tempo di curarsi: dovevano pensare ai pazienti. Nel laboratorio centrale, Joe e Korris videro la loro equipe rimettersi in piedi e si scambiarono uno sguardo di trionfo. Ignorando il dolore delle ferite e il timore di nuovi attacchi, i medici si concentrarono sulla cura sperimentale. I cinque Xindi erano ancora vivi nelle loro capsule e l’Agente 47 si stava ritirando anche dai tessuti cerebrali.

   In molte sale e corridoi, intanto, proseguiva la battaglia contro i sabotatori Tuteriani. Ma adesso i ruoli si erano invertiti. I Tuteriani soffrivano dolori lancinanti, mentre la loro carne si spaccava a vista d’occhio. Gli Xindi invece si erano ripresi e contrattaccavano. Anche le loro armi erano molto più efficaci: invece di attraversare i nemici, i colpi affondavano nella carne e li uccidevano. I Tuteriani non erano preparati a combattere in queste condizioni e caddero come mosche. Cercarono di ritirarsi, ma non riuscivano più ad attraversare le pareti. Molti furono spinti in vicoli ciechi, dove si ammassarono e caddero sotto il fuoco vendicativo degli Xindi.

   Nello spazio, intanto, le flotte si davano battaglia in mezzo ai rottami delle Sfere e agli scafi sventrati delle astronavi. I Tuteriani difendevano strenuamente l’ultima Sfera, quella di controllo. I suoi scudi, più potenti del normale, reggevano ancora. Ma le navi federali e Xindi convergevano su quell’ultimo bersaglio, decise a farla finita.

 

   «Ricevo una chiamata di soccorso da Xindus» avvertì Terry. «Una Dreadnought ha forzato il blocco e sta calando nell’atmosfera. Calcolando la sua traiettoria, prevedo che colpirà la capitale. Abbiamo solo quattro minuti e 45 secondi per fermarla».

   «Rotta per Xindus, presto!» ordinò il Capitano, impallidendo. Se quel bolide arrivava a destinazione, Korris e gli altri medici erano spacciati. E la cura sarebbe morta con loro.

   L’Enterprise fece un’inversione a U, dirigendosi a tutta velocità verso il pianeta. Dovette superare di nuovo un’impressionante serie di ostacoli. Stavolta T’Vala non cercò nemmeno di evitare le anomalie, affidandosi agli scudi, ma dovette comunque scansare i detriti. Quando l’Enterprise raggiunse l’orbita bassa, la Dreadnought era già in piena atmosfera. Lunga due km, la nave fusiforme cadeva come una meteora, lasciandosi dietro una scia infuocata che si trasformava in denso fumo nero. L’equipaggio di plancia vide la traccia nerastra che si stagliava contro l’oceano, diretta verso la costa, dove sorgeva la capitale. La Dreadnought era abbastanza grande da raderla al suolo, se avesse impattato.

   «Trentacinque secondi» avvertì Terry. «È tardi per distruggerla».

   «Agganciala col raggio traente, ora!» ordinò Chase, alzandosi di scatto. Era madido di sudore e stringeva i pugni come se volesse fermare lui stesso la nave kamikaze.

   Il fascio azzurrino di particelle scaturì dall’emettitore posto sotto la sezione a disco dell’Enterprise, a metà della barra centrale. Agganciò la poppa della Dreadnought e la rallentò nella sua discesa.

   «L’abbiamo agganciata» disse Terry, mentre l’Enterprise vibrava per lo sforzo tremendo. «Sta rallentando: 30.000 km orari... 20.000... 15.000...» contò.

   «Chase a sala macchine. Dirottate l’energia al raggio traente o gli Xindi sono spacciati» avvertì il Capitano, risedendosi in poltrona.

   «È già al massimo, signore!». La voce di Grenk era più sbuffante e trafelata che mai. «Se dirottiamo altra energia, l’emettitore potrebbe saltare. O la Dreadnought potrebbe spaccarsi a metà. Così avremmo due meteore al posto di una».

   «Anche la nostra integrità strutturale è a rischio: 60% in diminuzione» avvertì Terry. «Non avevo mai trattenuto un bersaglio così recalcitrante. I Tuteriani cercano di liberarsi dando energia ai motori e facendo sbandare la nave».

   «Insista» ordinò Chase, leggendo i dati sull’interfaccia olografica del bracciolo. La Dreadnought era ormai sulla verticale della città, a soli 15 km di altezza. Non scendeva più, ma non risaliva nemmeno. I piloti stavano disperatamente cercando di liberarsi dal raggio traente che li bloccava a mezz’aria. Compivano improvvise accelerazioni, verso il basso o di lato. Modulavano gli scudi per respingere il raggio traente. Cercavano d’inviare un feed-back energetico che sovraccaricasse l’emettitore. Tutto allo scopo di schiantarsi sulla città.

   «Lantora, cerchi di disattivargli i motori... ma non usi i siluri: se la Dreadnought esplodesse così vicina al suolo, sarebbe ugualmente una catastrofe» raccomandò Chase.

   «Sì, li sto agganciando...» mormorò Lantora, madido di sudore. Un solo errore poteva cancellare la capitale. Sparò più volte con i cannoni a impulso e i raggi anti-polaronici, riuscendo ad abbattere gli scudi della Dreadnought. Cercò di disattivarne motori e armi con colpi chirurgici, ma il suo compito era reso ancor più difficile dal fatto che loro stessi erano sotto attacco. Infatti le altre Dreadnought, che orbitavano molto più in alto, si erano accorte della situazione e bersagliavano l’Enterprise, approfittando della sua immobilità.

   «Scudi al 20% in diminuzione» avvertì Terry.

   «Non possiamo fare da bersaglio» disse T’Vala, che lottava per mantenere stabile l’astronave nell’alta atmosfera, ma non aveva possibilità di manovra per evitare i colpi.

   «Non c’è scelta. Se ci muoviamo, la città è persa» obiettò Lantora.

   «Se non ci muoviamo, siamo finiti sia noi che la città» insisté T’Vala.

   «Dobbiamo sbloccarci» riconobbe Chase. «Se non possiamo riportare su la Dreadnought, allora facciamola cadere più dolcemente possibile. Fuori città, s’intende. Terry, simulazione d’impatto: effetti di una caduta in acqua o sulla terraferma».

   «Elaboro» annuì l’IA. «Una caduta a bassa velocità è più dannosa in mare, perché crea un violento tsunami. Ma se la velocità è elevata, provoca più danni l’impatto sulla terraferma». Mentre parlava, proiettò sullo schermo una panoramica dei calcoli e dei risultati: velocità, energia sprigionata all’impatto, stime dei danni. «Considerando l’altitudine della Dreadnought, l’accelerazione in caduta sarà limitata. Pertanto consiglio la terraferma» concluse, mostrando le cifre finali. Si trattava di un impatto terribilmente violento, anche secondo la valutazione più ottimista.

   «Proceda» l’autorizzò Chase. «Porti quella dannata nave il più possibile nell’entroterra. Lantora, cerchi di metterla completamente fuori uso... ma stia attento a non spezzarla in due».

   L’Enterprise e la Dreadnought sembravano un cowboy e un toro preso al lazo. La nave federale tremava per lo sforzo di tenere attivo il raggio traente, mentre il vascello fusiforme sbandava per cercare di liberarsi. Colpita in più punti, la Dreadnought cominciò a emettere fiamme e fumo dagli squarci. Molti frammenti se ne staccarono, precipitando appena fuori dalla capitale e dal suo scudo protettivo. Lo scafo subiva una tale sollecitazione che in certi punti cominciava ad accartocciarsi. Alcuni veicoli atmosferici Xindi le ronzarono intorno, aiutando l’Enterprise a neutralizzare le armi e a dirigerla lontano.

   Dalla superficie di Xindus sembrava che una montagna affusolata cadesse al rallentatore, bucando le nuvole e oscurando la luce solare. Fuori dalla capitale, nell’entroterra, c’era una pianura erbosa disseminata di campi coltivati e macchie d’alberi. I pochi abitanti che ancora non erano fuggiti lo fecero adesso, vedendo la Dreadnought che cadeva di testa. La prua si conficcò nel terreno, generando una potentissima onda d’urto. Gli alberi furono abbattuti come stuzzicadenti. I pochi edifici crollarono e alcuni furono persino scagliati in aria. Una valanga di rocce incandescenti, lapilli e polveri si sprigionò dal punto dell’impatto, come per un’eruzione vulcanica.

   L’astronave aveva una tale inerzia che continuò ad avanzare, tracciando una profonda fossa fumigante, che sfregiava la pianura verde. Esaurita la spinta, s’inclinò in avanti. Per un attimo rimase in precario equilibrio, poi ricadde sul dorso con un boato. Ci furono esplosioni e fughe di radiazioni. Infine la carcassa metallica si arrestò. Una colonna di fumo nero se ne levava, salendo fino alla stratosfera.

   Gli ufficiali dell’Enterprise, che osservavano tutto dall’alto, videro allargarsi la nube di polveri. Il vento la portava verso la capitale, che presto ne sarebbe stata coperta. Solo il debole scudo cittadino la proteggeva dal fallout radioattivo.

   «Abbiamo fatto il possibile» mormorò Chase, con la bocca secca. Il volto di Lantora era esangue, ma lo Xindi non disse nulla.

   «Scudi al 9%» avvertì Terry, mentre l’Enterprise sobbalzava per un altro attacco. «Dobbiamo andarcene».

   «Sì, torniamo alla sfera Alfa» ordinò Chase. «Abbiamo un conto in sospeso».

   Sfuggendo alle altre Dreadnought, T’Vala portò l’Enterprise fuori dall’orbita, di nuovo verso le anomalie. L’astronave attraversò una zona densa di relitti. Oltre ai frammenti contorti di metallo c’erano dei globi biancastri, di varie dimensioni. Era ghiaccio. Quando le navi degli Acquatici venivano distrutte, l’acqua al loro interno si riversava nello spazio assumendo forma sferica e poi congelava rapidamente. Certe bolle ghiacciate contenevano detriti e persino i corpi di alcuni Xindi Acquatici. Risucchiati nello spazio attraverso le falle, erano rimasti intrappolati nel ghiaccio, come insetti nell’ambra.

   «Siamo quasi alla sfera Alfa» informò Terry. «La resistenza dei Tuteriani è ancora dura. Gli Xindi Acquatici hanno lanciato un ultimo attacco, ma sono in difficoltà... la loro ammiraglia è danneggiata».

   La sfera Alfa s’ingrandì sullo schermo, circondata da anomalie sfilacciate e da decine di astronavi intente a combattersi. Gli Xindi avevano dato fondo a ciò che restava della loro flotta: navi delle cinque specie affrontavano le Dreadnought e cercavano di farsi strada tra le anomalie, fino alla Sfera.

   Il loro vascello più grande e armato era senza dubbio l’ammiraglia degli Acquatici. Il suo scafo grigio aveva forme affusolate, che ricordavano una creatura marina; forse una manta, per via delle grandi “pinne” laterali. Lungo poco meno dell’Enterprise, l’incrociatore acquatico aveva distrutto più di una Dreadnought durante l’Assedio, ma adesso era in difficoltà. I Tuteriani lo bersagliavano da tutte le direzioni, decisi a distruggerlo. L’incrociatore cercò di disimpegnarsi, ma non riuscì a evitare un fitto campo di anomalie. I suoi scudi, già indeboliti, cedettero del tutto.

   L’assalto dei Tuteriani divenne ancor più forsennato. I cannoni particellari crivellarono lo scafo curvilineo, aprendovi grossi squarci. Ne sgorgò l’acqua, che talvolta si trascinava dietro gli sventurati Xindi Acquatici. Vista da lontano, l’ammiraglia Xindi sembrava una balena che sanguinasse da molte ferite. E le Dreadnought continuavano a colpirla, come squali eccitati dal sangue. Gli ufficiali dell’Enterprise capirono che era troppo tardi per salvarla.

   «Gli Acquatici ci chiamano» disse Grog. «Ci raccomandano di non sbagliare il colpo... dopo che ci avranno aperto la strada».

   «No...» gemette Lantora, osservando l’incrociatore ferito a morte.

   Perdendo acqua da almeno quaranta brecce, la grande nave Xindi puntò dritta verso la Sfera. Per quanto fosse danneggiata, conservava una tale energia cinetica che niente poteva fermarla. Colpì la dura superficie grigia, esplodendo all’impatto. La rottura del nucleo produsse un’abbagliante esplosione d’antimateria. La Sfera chilometrica tremò e il suo guscio fu perforato, mettendo a nudo l’interno. Era un reticolo di condotti energetici luminosi, anelli di rinforzo metallici e altre strutture d’incerta funzione. Malgrado tutti gli sforzi, i tecnici della Flotta Stellare non avevano ancora compreso appieno il meccanismo con cui le Sfere generavano le anomalie.

   Lantora chinò il capo mormorando qualcosa, forse una preghiera per il sacrificio degli Acquatici. Quando rialzò la testa, il suo sguardo era micidiale. Attraverso lo squarcio, grande quanto l’Enterprise stessa, vedeva il cuore pulsante della Sfera. «Possiamo colpire il reattore!» esultò, con le mani già sul tasto dei siluri.

   «Un attimo» lo fermò il Capitano. «Terry, che mi dice degli ostaggi federali?».

   «Sono in una zona non danneggiata, rilevo ancora i loro segni vitali. Ma non riesco ad agganciarli. I Tuteriani emettono un campo di dispersione che ostacola il teletrasporto» rispose l’IA, dispiaciuta.

   «Velenosi fino all’ultimo» commentò Chase. Sapeva che, a ogni secondo d’esitazione, il conto delle vittime su Xindus aumentava. «E va bene... chiudiamo la partita» disse in tono asciutto.

   «Questo è per tutti gli Xindi!» dichiarò Lantora, lanciando una raffica di siluri cronotonici. Erano missili intelligenti, capaci di deviare per colpire il bersaglio. Ed erano agganciati senza possibilità d’errore al nucleo della Sfera. Così, anche quando una Dreadnought si frappose, i siluri le passarono intorno ed entrarono nella struttura, attraverso lo squarcio nel guscio. Colpirono le chilometriche ma delicate strutture del reattore, distruggendole. L’esplosione si propagò rapida lungo gli enormi condotti energetici, finché raggiunse il guscio sferico, mandandolo in pezzi. L’Enterprise e le altre astronavi si allontanarono per non essere travolte dai detriti. Solo una Dreadnought dai motori danneggiati non fu abbastanza rapida: un pezzo del guscio la colpì all’altezza della strozzatura, tranciandola in due.

   Con la fine delle anomalie, le rimanenti navi Tuteriane batterono in ritirata. Non erano molte. Delle trecento che avevano assediato Xindus, solo una trentina riuscirono ad andarsene. Dieci erano troppo danneggiate per seguirle, così continuarono a combattere. Si lanciarono in un ultimo, disperato assalto contro il pianeta; ma le navi federali e Xindi si frapposero. Le Dreadnought tentarono di speronarle, ma i danni subìti le privavano della manovrabilità necessaria. Una dopo l’altra furono soverchiate e distrutte. Quando le esplosioni consumarono l’ultimo scafo tuteriano, il duro Assedio di Xindus si concluse.

 

   «Capitano, che piacere rivederla!» esclamò Korris, quando Chase entrò nel laboratorio, seguito da Terry e Lantora. «Abbiamo passato momenti terribili quaggiù... per fortuna avete fermato le anomalie!» aggiunse, venendo incontro al Capitano.

   «Non torneranno» assicurò Chase. «Abbiamo distrutto tutte le Sfere e la flotta nemica è in rotta. Mi dicono però che la battaglia decisiva l’avete vinta voi» aggiunse più lieto, rivolto a tutta l’equipe. «È vero, avete sconfitto l’Agente 47?».

   «Tutti i pazienti sono ristabiliti e non presentano effetti collaterali» confermò il dottor Joe, accennando agli Xindi ancora nelle capsule. «Significa che possiamo curare le cinque specie. Abbiamo trasmesso i dati della cura alla rete ospedaliera planetaria e stiamo anche inviando campioni delle nanosonde».

   «Ben fatto!» si congratulò Lantora, dandogli una gran pacca sulla spalla.

   «Dovete inviare subito le informazioni al resto della Federazione» raccomandò Chase. «Se avete problemi coi ripetitori di Xindus, useremo l’Enterprise».

   «Ho già contattato Grog perché se ne occupi» annuì Korris. «So quanti altri pianeti si trovano nelle condizioni di Xindus...» aggiunse dispiaciuto.

   «Proprio di questo volevo parlarle» disse Joe. «Possiamo curare gli Xindi, ma non è detto che il rimedio sia efficace per le altre specie. Anche se oggi abbiamo ottenuto un grande risultato, c’è ancora molto da fare per avere una cura universale».

   «Almeno i colleghi degli altri pianeti avranno una base da cui partire» disse Korris, speranzoso. «E con la scomparsa delle anomalie sarà più facile contattare il Comando Medico di Flotta. Potremo lavorare assieme...».

   «Per i suoi colleghi sarà senz’altro così» intervenne Chase. «Ma lei mi serve sulla nave. Ora che l’Assedio è finito, la Flotta ci manderà sicuramente altrove. E l’Enterprise ha bisogno del suo Medico Capo».

   «Capitano, la situazione qui è ancora molto grave... non me la sento di andarmene...» protestò debolmente Korris.

   «Quando le ho dato il permesso di sbarcare, ho chiarito che era solo un incarico temporaneo» obiettò il Capitano. «Gli Xindi hanno buoni dottori, se la caveranno. Adesso deve pensare all’Enterprise: abbiamo dei feriti, alcuni gravi».

   «Dottore, ci ha già salvati» rincarò Lantora. «Nessuno la biasimerà, se ora riparte».

   «Comunicazione urgente per il dottor Joe» trillò una voce all’altoparlante. «Il Comando Medico della Flotta Stellare chiede il suo ritorno immediato sulla Terra, per testare sugli Umani la cura all’Agente 47. L’USS Pioneer provvederà al trasporto».

   «Beh, sembra che anch’io debba fare le valigie» constatò il Dottore, con un sorriso un po’ triste. «È sempre così, nel nostro lavoro... quando ci affezioniamo ai colleghi, dobbiamo lasciarli». Porse la mano al mezzo Cardassiano. «Addio, Korris. È stato un bel lavoro di squadra... lei è un ottimo medico e un buon amico».

   «Grazie, lo stesso vale per lei» sorrise Korris, stringendogli calorosamente la mano. «Spero di rivederla... ma se così non fosse, buona fortuna. Continuerò la ricerca con la mia equipe, per estendere la cura alle altre specie. Se faremo progressi glieli invieremo» promise.

   «Arrivederci anche a voi» disse Joe, passando agli ufficiali dell’Enterprise. Strinse la mano a ciascuno, prendendo commiato. «Terry, mi mancheranno le nostre chiacchierate filosofiche, da ologramma a ologramma. Lantora, ha fatto un ottimo lavoro col Consiglio Xindi. Capitano Chase... grazie per averci difesi. Continui a proteggere i pianeti dell’Unione».

   «Lo farò» promise il Capitano. «Saluti Atlantide da parte mia; pensi che non ho ancora avuto l’occasione di andarci».

   «Oh, non c’è molto da vedere, a parte i cantieri» assicurò Joe. «Quando me ne sono andato, il nuovo Comando Medico era ancora a metà. Almeno l’aria di mare faceva bene ai pazienti! Spero che i lavori siano progrediti in questi mesi» si augurò. «In fondo sono un vecchio dottore, non un ingegnere!» sorrise. Lasciò il laboratorio, diretto alla sala teletrasporto che lo avrebbe portato sulla Pioneer.

   «A me non dispiacerebbe un po’ d’aria di mare» sospirò Chase, chiedendosi dove li avrebbe portati la prossima missione.

   «Al dottor Joe piace lamentarsi, ma in realtà il Progetto Atlantide promette bene» commentò Terry, mentre lasciavano l’ospedale.

 

   Atlantide. Questo nome veniva da un passato remoto ed era forse la leggenda terrestre più diffusa e conosciuta. Gli Umani avevano passato secoli a cercarla. Solo dopo aver scandagliato minuziosamente la superficie terrestre e gli abissi marini avevano dovuto rassegnarsi alla sua inesistenza. Ma ora, Atlantide era finalmente una realtà. E la sua crescente importanza era una diretta conseguenza della Guerra delle Anomalie.

   Erano passati tre anni dall’attacco al sistema solare che aveva messo in ginocchio la Federazione. La ricostruzione era lenta a causa delle ristrettezze imposte dal conflitto. Su Marte, i cantieri spaziali di Utopia Planitia erano ancora devastati e lavoravano al 30% del loro potenziale anteguerra. La Flotta doveva affidarsi ad altri cantieri, come quelli di Beta Antares e Trailain IV. Era difficile costruire abbastanza navi da rimpiazzare quelle distrutte ed era ancora più arduo trovare personale qualificato per riempirle, dopo il massacro dei cadetti a San Francisco. Sulla Terra la situazione non era migliore. Il Consiglio federale era stato distrutto, come anche gli edifici storici della Flotta Stellare: il Quartier Generale, l’Accademia, il Centro Ricerche Comunicazioni, il Comando Medico. Tutte queste strutture stavano venendo ricostruite su Atlantide, la grande isola artificiale realizzata nell’Oceano Atlantico Settentrionale.

   Era un vecchio progetto: risaliva alla metà del XXIV secolo, ma erano serviti duecento anni per metterlo in pratica. Plasmata con un enorme lavoro d’ingegneria planetaria, subito prima che scoppiasse la guerra, Atlantide era originariamente pensata come luogo di svago e vacanze. Doveva anche fornire spazio urbano, per ovviare al problema della sovrappopolazione. Ma il conflitto aveva portato a rivedere le priorità.

   Ora Atlantide doveva essere la nuova capitale dell’Unione, in barba ai pianeti che avevano fatto domanda per ottenere il privilegio. Le misure difensive erano imponenti, nel caso che il Fronte Temporale tentasse un altro attacco. E i progetti architettonici erano molto ambiziosi. I precedenti palazzi della Federazione e della Flotta avevano 400 anni: ciò li rendeva inadeguati. Erano troppo piccoli, troppo superati per un governo che abbracciava centinaia di sistemi stellari. I nuovi palazzi erano completamente diversi: imponenti, avveniristici, adatti al XXVI secolo e ai prossimi 400 anni. Ma finché la guerra era in corso, i lavori procedevano a rilento.

 

   Il Capitano Chase, Terry e Lantora avanzarono verso la tavola a ferro di cavallo intorno a cui era riunito il Consiglio Xindi. Ogni specie aveva due rappresentanti, compresi gli Acquatici, alloggiati in un’apposita camera allagata che si affacciava sulla sala del Consiglio. Immersi in un’acqua verde-giallastra, i delegati Acquatici osservavano quanto accadeva attraverso un vetro e potevano comunicare tramite microfoni collegati al traduttore simultaneo. Sull’altro lato della sala troneggiava il memoriale degli Aviali.

   «Bentornato, Capitano» lo accolse Evora, la rappresentante dei Primati. «A nome del Consiglio, esprimo il nostro ringraziamento alla Flotta Stellare per averci liberati dall’Assedio. E vorrei ringraziare particolarmente lei e il suo equipaggio. Se abbiamo ancora una casa, lo dobbiamo a voi».

   «Ad essere precisi, ci resta ancora mezza casa» puntualizzò Goriar, il delegato dei Rettili. «L’altra mezza è stata distrutta dalle anomalie, dai bombardamenti e dall’epidemia. Quindi anche la nostra gratitudine dovrebbe essere a metà». Nel corso dell’Assedio, Goriar era sempre stato il maggior oppositore alle decisioni di Chase.

   Il delegato degli Acquatici fece sentire i suoi fischi acuti, prontamente tradotti. «Senza l’intervento della Federazione, non ci rimarrebbe nulla. È inutile recriminare su ciò che i Tuteriani ci hanno portato via. Pensiamo piuttosto alla ricostruzione» disse la voce asettica del traduttore simultaneo.

   «Concordo» annuì il rappresentante degli Arboricoli. «Anche se il nemico si è ritirato, siamo ancora in emergenza. La Dreadnought precipitata sta riversando radiazioni e gas tossici a poca distanza da qui. Nelle grandi città abbiamo squadre che estraggono i superstiti dalle macerie e i medici distribuiscono il Vaccino 47 più in fretta possibile. Le navi federali possono fare ancora molto per aiutarci».

   Il rappresentante degli Insettoidi fece udire la sua voce tutta schiocchi, mentre osservava Chase con gli enormi occhi composti. «A questo proposito, ci chiediamo perché la Flotta stia ritirando il personale medico. Il dottor Joe è risalito sulla Pioneer, che ha già lasciato il sistema, e mi dicono che anche il dottor Korris è tornato sull’Enterprise. Perché ci abbandonate in un momento tanto critico?» chiese attraverso il traduttore.

   «Non vi stiamo abbandonando» spiegò Chase. «La Paladin e altre sette navi resteranno qui ad aiutarvi. Ma la Pioneer è stata richiamata sulla Terra e anche l’Enterprise partirà presto per una nuova missione».

   «Quale missione? Dev’essere molto importante, per privilegiarla!» notò Goriar.

   «Non ci è stata ancora comunicata, ma lo sapremo presto» rispose il Capitano. «Anche l’Enterprise ha subito danni, e abbiamo dei feriti. Ma la guerra non aspetta. Il Comando mi ha dato tre giorni di tempo, scaduti i quali dovremo ripartire. Saranno appena sufficienti per rimettere la nave in sesto».

   «È inammissibile!» protestò Goriar, fulminando il Capitano con gli occhietti gialli. «Abbiamo perso tre quarti della nostra flotta e quasi tutte le piattaforme difensive. Che faremo se il nemico tornerà?».

   «Ben detto, l’Enterprise deve restare più a lungo» rincarò l’Insettoide. «Altrimenti ci costringerete a dubitare che la Flotta Stellare sia davvero interessata alla nostra salvezza».

   «Oh, per favore!» sbottò Lantora, facendosi avanti. «La Flotta Stellare è l’unica ragione per cui siete ancora vivi. Quaranta navi federali sono state distrutte, perché Xindus sopravvivesse. I loro equipaggi hanno dato la vita per gli Xindi. E osate ancora dubitare che alla Flotta importi di noi?!».

   «Basta così» disse Chase, facendogli segno d’indietreggiare.

   «No, Capitano... quando è troppo, è troppo!» insisté il Primate. «Sono stati due medici federali, Joe e Korris, a trovare la cura per l’Agente 47. Ed è stato lei a guidarci alla vittoria. Senza l’Enterprise, quella Dreadnought avrebbe polverizzato la capitale... e voi vi lamentate che è caduta troppo vicina!» aggiunse, rivolgendosi ai delegati Xindi. «Ma lo sapete che il Capitano ha dovuto sacrificare centinaia di ostaggi federali sulla sfera Alfa, per salvare voi?!».

   «Questo ci addolora» disse Evora, la leader del Consiglio. «Io non dubito che il Capitano abbia fatto quant’era in suo potere per soccorrerci. E confido che anche i miei colleghi giungeranno alla stessa conclusione» aggiunse, con un’occhiata di rimprovero a Rettili e Insettoidi.

   «Signori, se dipendesse da me sarei anche disposto a rimanere più a lungo» spiegò Chase. «Ma seguo le direttive del Comando di Flotta. Farò pressioni perché riceviate ulteriori aiuti umanitari. E prima che l’Enterprise lasci il sistema, rimuoveremo la carcassa della Dreadnought col raggio traente. Cercheremo anche di allontanare i detriti maggiori dall’orbita, per evitare che vi cadano addosso. Ma una bonifica completa richiederà anni».

   «Le cinque specie sono sopravvissute, questo è l’importante» disse Lantora. «Capitano, lei sa che in questi anni ho temuto la profezia dei Tuteriani. Temevo che, in qualche modo, gli Umani potessero davvero essere la rovina di Xindus. Magari involontariamente, cercando di salvarlo. O tramite una fazione criminale come quella che ha distrutto Khitomer» spiegò. «Ma ora so... ora ho la certezza che i Tuteriani hanno mentito anche su questo. Gli Umani... l’Unione Galattica... non sono una minaccia per noi. Al contrario, siete la nostra salvezza e il nostro futuro» disse con voce limpida, porgendo la mano al Capitano. «Sono onorato di essere al suo comando» aggiunse.

   «E io sono lieto di poter contare su di lei» sorrise Chase, stringendogli la mano con forza. «Infatti vorrei decorarla per il suo costante impegno e la professionalità mostrata in questi mesi. Pensavo di farlo una volta tornati sull’Enterprise, ma... va bene anche adesso». Fece un cenno a Terry e sollevò il palmo della mano. Il teletrasporto dell’Enterprise gli consegnò immediatamente la medaglia.

   «Tenente Lantora, in virtù del suo comportamento esemplare e con l’autorità conferitami dalla Flotta, la insignisco della Medaglia al Valore» dichiarò Chase, appuntandola sull’uniforme.

   Terry applaudì, così come i delegati Primati e Arboricoli. Anche gli Acquatici emisero fischi d’approvazione. Rettili e Insettoidi erano irritati, ma non se la sentirono di guastare quel momento. Anche loro, in fin dei conti, sapevano che era stata l’Unione a salvarli.

 

   Quella sera, Lantora si presentò all’alloggio di T’Vala. Avevano deciso di festeggiare la fine dell’Assedio concedendosi un appuntamento, come non facevano da un pezzo. Visto che cenavano da T’Vala, Lantora portò con sé una bottiglia di tequila degli Arboricoli, che si era procurato su Xindus. Gli serviva una botta di vita, dopo un periodo come quello.

   Erano stati indaffarati per tutto il giorno: l’Enterprise aveva rimosso il relitto della Dreadnought dalla superficie di Xindus e aveva allontanato molti altri rottami che rischiavano di precipitare. Il raggio traente era stato messo a dura prova, come anche i nervi dell’equipaggio di plancia. Soprattutto quelli di T’Vala, che doveva pilotare un’astronave ancora in riparazione in mezzo a sciami di detriti che orbitavano ad altissima velocità. Per tutta la durata del loro turno, il Primate e la mezza Vulcaniana si erano concentrati sul lavoro. Le poche parole che si erano scambiati riguardavano unicamente le operazioni di sgombero. Ma adesso...

   «Ciao» disse Lantora, entrando nell’alloggio. «Che giornata, eh? Ho temuto mille volte che uno di quei rottami ci beccasse».

   «E io ho sentito che ti sei fatto valere davanti al Consiglio Xindi» sorrise T’Vala, venendogli incontro. Indossava un lungo abito da sera scuro, con dettagli rosso fuoco, e si era acconciata i capelli. Quando l’abbracciò, a Lantora vennero le gambe molli per la sua bellezza e il suo profumo. Le luci nell’alloggio erano basse, per far risaltare le romantiche candele che rischiaravano la tavola imbandita. «Ho sentito anche della medaglia. Sai una cosa? È scontato, demodé e terribilmente illogico, ma... alle donne piacciono gli uomini con le medaglie» ridacchiò T’Vala.

   Si scambiarono un bacio lungo e passionale, come a sciogliere la tensione che si era accumulata durante tutto l’Assedio. Anche quando staccarono le labbra, Lantora continuò a stringere dolcemente T’Vala. Le carezzò la guancia e il collo, perdendosi nei suoi occhioni da Betazoide, quasi tutti pupilla. Ancora non riusciva a credere che quella donna stupenda ricambiasse i suoi sentimenti. «Sembra che stasera tu sia più Betazoide che Vulcaniana» notò con piacere.

   «Mi sento molto Betazoide, imzadi» confermò T’Vala, attirandolo più all’interno, per far sì che la porta dell’alloggio si richiudesse.

 

   
 
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