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Autore: Parmandil    14/01/2019    0 recensioni
I Costruttori di Sfere saranno sconfitti a Procyon V. Così disse l’Agente Temporale Daniels al Capitano Archer e così Chase ha appreso. Questa profezia ha sorretto l’equipaggio dell’Enterprise-J per sei anni, mentre la guerra metteva in ginocchio la Federazione. Così, quando i Costruttori si ritirano a Procyon V, tutto sembra avviato alla soluzione. Ma sarà davvero così? Chase ha ragione di dubitarne.
Con nuovi alleati che continuano a confluirvi, il Fronte Temporale è più forte che mai. L’apparente ritirata potrebbe celare un piano diabolico per serrare la fragile Unione Galattica tra il martello e l’incudine, distruggendola per sempre. Privato del comando alla vigilia della battaglia decisiva, Chase non è che un uomo, in lotta contro forze inarrestabili.
La salvezza, se c’è, potrebbe venire dal Tox Uthat, la cui caccia – interrotta tre anni prima – può finalmente ricominciare. Ma il nemico più sfuggente di tutti – il padrone della Cabala, che nemmeno Archer riuscì mai a sconfiggere – ha già il controllo dell’arma. Mentre il Fronte Temporale fa scattare la sua trappola, egli prepara un’atroce vendetta. Questa è la resa dei conti; e stavolta non tutti i nostri eroi ne usciranno vivi.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dottore, Nuovo Personaggio, Romulani
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Star Trek Universe Vol. V:

La Battaglia di Procyon V

 

 

SPAZIO, ULTIMA FRONTIERA.

QUESTI SONO I VIAGGI DELLA

NAVE STELLARE ENTERPRISE.

LA SUA MISSIONE È ESPLORARE

STRANI, NUOVI MONDI,

SCOPRIRE NUOVE FORME DI VITA

E NUOVE CIVILTÀ,

FINO AD ARRIVARE LÀ

DOVE NESSUNO È MAI GIUNTO PRIMA.

 

 

-Prologo:

Data stellare 2553.131

Luogo: Sacra Terra

 

   La mole opprimente del Palazzo Imperiale sovrastava il resto della megalopoli, facendo apparire insignificanti tutti gli altri edifici. Anche il continuo traffico aereo ne veniva ridimensionato; astronavi e veicoli sembravano moscerini che si agitano intorno a un pachiderma. Massiccio come una montagna, il palazzo aveva uno stile barocco, opulento. Decine di guglie svettavano verso il cielo, proclamando la grandezza dell’Impero Terrestre. Molto del metallo usato per costruirlo veniva dagli scafi delle astronavi nemiche, così come molti dei materiali pregiati che ne ornavano gli interni erano frutto di saccheggi. Da fuori, era il simbolo di un potere schiacciante, che si proclamava eterno.

   All’interno le cose erano un po’ diverse. Nelle stanze rivestite di marmi e stoffe pregiate, le congiure e gli assassinii erano all’ordine del giorno. Era il terreno di caccia dei burocrati, dei militari, dei cortigiani assetati di potere. Una sera brindavano assieme, giurandosi eterna amicizia; il mattino dopo qualcuno veniva trovato morto, o era trascinato via dalle guardie, e gli “amici” lo disconoscevano. La polizia segreta aveva occhi ovunque, eppure certe trame restavano celate fino all’ultimo.

   Nel cuore del palazzo si trovava la sala più sontuosa, quella del trono. Era un ambiente vasto e rimbombante, con la volta altissima, progettato per schiacciare il visitatore e farlo sentire una nullità. Marmi purpurei e decorazioni d’oro brunito ne coprivano ogni centimetro quadrato. Su tutto incombeva il trono imperiale, d’oro massiccio e incrostato di gemme, collocato in cima a una ripida scalinata che lo poneva ben sopra le teste dei miseri mortali. Ancora più in alto incombeva il simbolo dell’Impero: un pugnale che trafiggeva verticalmente il globo terrestre.

   L’Ammiraglio N’Rass percorse il lungo salone, scortata da un manipolo di guardie. Non erano le sue guardie personali. Erano quelle imperiali e avevano l’ordine di sorvegliarla. I loro passi militareschi rimbombavano sul pavimento, perfettamente sincronizzati. Ciascuno di loro portava un fucile phaser a tracolla, una vibro-lama in cintura e la mostrina con il teschio sulla spalla.

   Ai lati del salone, i dignitari parlottavano fra loro, scambiandosi sorrisetti e bisbigliandosi commenti all’orecchio. N’Rass non riusciva a sentirli, ma ne immaginava la malignità. Perché lei era l’unico Ammiraglio non umano della Flotta Imperiale e quegli avvoltoi non vedevano l’ora che cadesse in disgrazia. N’Rass li detestava: adulatori col miele sulla lingua e pugnali dietro la schiena, funzionari corrotti che si contendevano i favori imperiali, burocrati agghindati con le vesti ancora calde dei defunti proprietari. Erano quei parassiti che mandavano avanti l’Impero, in mezzo ai sorrisi, ai banchetti e alle congiure. La Caitiana passò fra loro senza degnarli d’uno sguardo.

   Eppure, man mano che si avvicinava al trono, l’Ammiraglio sentì la sua sicurezza scemare. Il cuore le batté più forte, il respiro divenne affannoso e persino la pelliccia si drizzò leggermente, tradendo il suo nervosismo. Però mantenne un passo lento e regolare; la fretta non si addiceva al suo rango. I grandi leader non si affrettano... semmai costringono gli altri ad affrettarsi. N’Rass non dava a nessuno la soddisfazione di vederla correre: nemmeno all’Imperatore.

   «Rendete omaggio a Sua Altezza Imperiale!» proclamò un araldo, che sostava al lati della scalinata del trono. «Inchinatevi a Jason Nelscott Augustus Hyperion Invictus, sovrano dell’Impero Terrestre!» aggiunse con voce stentorea.

   «Lunga vita all’Imperatore» disse N’Rass, inchinandosi profondamente. Per il momento non osò alzare lo sguardo oltre la scalinata del trono.

   «Bentornata, Serleen. Da troppo tempo non ti vedevo in carne e ossa. Forse non ti piacciono il mio palazzo e la mia corte; forse non credi che un soldato debba perderci del tempo» disse l’Imperatore, con voce profonda e vellutata.

   «Riverisco la Vostra persona e la Vostra corte, Altezza» rispose N’Rass, sempre con gli occhi bassi. «Ma per servirli al meglio devo stare al fronte».

   «E mi hai servito bene... in passato» disse l’Imperatore. Serleen udì i suoi passi prima ancora di vederne i piedi che scendevano la scalinata del trono. In contrasto con l’opulenza che lo circondava, Nelscott vestiva un’uniforme militare piuttosto sobria. Solo i galloni d’oro con l’emblema imperiale indicavano il suo status. «Alzati» ordinò.

   La Caitiana obbedì con lentezza e solo quando ebbe completamente drizzato la schiena osò levare anche lo sguardo. Nelscott non era cambiato dall’ultima volta. I capelli neri e corti si erano leggermente striati di grigio sulle tempie, ma gli occhi erano quelli di sempre, profondi e imperscrutabili. L’Umano dalla pelle scura e la Caitiana dalla pelliccia dorata si fissarono per un attimo, divisi da qualcosa di peggio che la differenza razziale in un Impero xenofobo: la sconfitta militare.

   «Sai cosa mi piace di te?» riprese l’Imperatore con voce pastosa. «Il fatto che non sei Umana, eppure sai guidare gli Umani in battaglia. Per questo sono stato il tuo mecenate. Per questo ti ho permesso di far carriera nella Flotta ben oltre i limiti fissati agli alieni. Vedi, non c’è un solo Ammiraglio che non venderebbe sua madre per soppiantarmi. Ma tu no... perché sei aliena, e sai che non dureresti cinque minuti sul trono terrestre. Ecco perché posso fidarmi di te».

   N’Rass non rispose. Sapeva che dopo le lodi sarebbero piovute le accuse. Forse Nelscott sarebbe stato clemente e le avrebbe dato un’altra possibilità. O forse avrebbe fatto ruzzolare la sua testa sul tappeto di porpora che lei aveva calpestato per raggiungerlo.

   «Questa fiducia personale che nutro per te è ancora intatta, Serleen» assicurò l’Imperatore. «È l’altra fiducia, nella tua competenza militare, che vacilla. Hai inviato la nostra nave ammiraglia in un Universo ostile, sola e senza appoggio. Sapevi che la via d’accesso, il Tunnel Spaziale Bajoriano, poteva essere sigillata... com’è accaduto. Sapevi che l’Enterprise poteva essere distrutta, con la forza bruta o con l’inganno... com’è accaduto. E sapevi che in tal caso la Federazione avrebbe appreso molto sull’Impero, mentre noi non avremmo scoperto nulla su di essa. Alla luce di tutto questo... c’è qualcosa che vuoi dirmi?» chiese. Se avesse urlato, o sussurrato con odio, N’Rass non si sarebbe fatta intimidire. Ma quel tono calmo e garbato la spaventava più di qualunque minaccia.

   «Sì, Maestà» disse l’Ammiraglio. «I Capitani sono sempre stati responsabili delle loro navi. Quando Chase si fece cogliere impreparato dai Breen, furono i miei rinforzi a salvare l’Enterprise. Mentre Chase riparava la sua nave, sono stata io a proseguire la guerra, fino all’epilogo che conosciamo: i Breen sono distrutti, non ci minacceranno mai più».

   «Sì, è stato l’apice della tua carriera» riconobbe Nelscott. «Ma una volta giunti in vetta, non si può che ridiscendere. Perché hai mandato l’Enterprise oltre lo Specchio, da sola?».

   «La Flotta Imperiale ha subito ingenti perdite nella Guerra Breen. Pensavo che una nave di classe Universe fosse sufficiente per una missione esplorativa» ammise N’Rass. «Lo scopo dell’Enterprise era saggiare la resistenza della Federazione, comprenderne le strategie belliche e se possibile riportare nuove tecnologie. I primi due obiettivi sono stati conseguiti e quanto al terzo... il fallimento è imputabile al solo Capitano Chase».

   «Quindi hai usato il mio ex Primo Ufficiale come cavia» si accigliò Nelscott. «Sarei maligno a pensare che, in realtà, volevi sbarazzarti di lui?».

   «Altezza, se avessi voluto sbarazzarmi di lui, lo avrei giustiziato per il suo fallimento nella Battaglia di Deep Space Nine» obiettò N’Rass, con più decisione. «Invece, memore del favore che gli avete sempre riconosciuto, gli ho dato la possibilità di riscattare il suo onore. Ho agito conformemente alle tradizioni dell’Impero. Il definitivo fallimento di Chase è certo deludente... ma ora che la Federazione ci ha sfidati, dobbiamo punirla come merita. Chiedo d’essere io stessa a mostrare la superiorità dell’Impero Terrestre su quel caotico agglomerato di specie».

   «Quindi vuoi sfruttare la distruzione dell’Enterprise a tuo vantaggio. Dovrei addirittura premiarti, affidandoti una flotta d’invasione!» fece l’Imperatore, stupito da tanta audacia.

   La Caitiana strinse gli occhi gialli, dalle pupille verticali, e scoprì i canini in un sogghigno. Era il momento di ribaltare la situazione, facendo leva sulle peggiori paure degli Umani. «Maestà, dobbiamo provare la nostra supremazia, o i federali ci contageranno con le loro idee: democrazia, uguaglianza, Diritti dei Senzienti. Persino repellenti incroci fra specie. Non possiamo permettere a questi concetti di sopravvivere, o tutto ciò che tiene unito l’Impero si sgretolerà. È già successo una volta... e i Terrani patirono cent’anni di schiavitù».

   «So bene quale pericolo sia la Federazione per il nostro stile di vita!» esclamò l’Imperatore, alzando una mano. «Per quanto le opportunità siano invitanti, forse sarebbe meglio impedire ogni contatto fra i nostri Universi».

   «Ma stando agli ultimi rapporti, la Federazione è in grave affanno a causa di un’invasione aliena» incalzò N’Rass. «Se vogliamo abbatterla, questo è il momento. Potremmo non avere più una simile occasione!».

   «Vuoi uccidere una bestia ferita?» chiese Nelscott.

   «L’Impero ha costruito così la sua grandezza» rispose arditamente la Caitiana. «È la legge di tutti gli Universi... i deboli periscono e i forti regnano».

   «Se la Federazione fosse moribonda come la dipingi, non avrebbe distrutto l’Enterprise» obiettò l’Imperatore. «Evidentemente è ancora pericolosa. Se vendicherò l’affronto, sarà con un’invasione su vasta scala. Potrebbe essere la più grande guerra della nostra storia... e tu vorresti condurla. Che audacia! O che insolenza. Sentiamo... quante navi ti servono, per mettere in ginocchio la Federazione?».

   «Almeno mille... ma duemila sarebbero meglio» rispose una voce femminile. Nella sala del trono scese il gelo. Era una richiesta spropositata, assurda. Mai, nella sua storia, l’Impero aveva schierato una forza di duemila navi. I cortigiani si guardarono increduli e persino le guardie persero un poco della loro compostezza. Ci volle qualche secondo perché realizzassero che non era stata N’Rass a parlare.

   C’era una nuova presenza in sala. Umanoide nelle linee generali, ma aliena per la pelle grigia e il cranio glabro dai lineamenti infossati. Gli occhi dai riflessi metallici erano sprofondati nel teschio, le narici erano due fessure, le orecchie nient’altro che fori. Stava a pochi passi dall’Imperatore, vestita con un attillato abito violaceo dagli ornamenti bronzei, e sorrideva lievemente. Non era entrata a piedi, ma nessuno aveva visto il bagliore del teletrasporto.

   «Arrestate quest’intrusa!» ordinò l’Imperatore, oltraggiato.

   Le guardie si avventarono sull’aliena, ma non c’era alcun corpo da uccidere o incatenare. Era solo una proiezione intangibile, che ogni tanto si sfocava, divenendo una macchia grigiastra.

   «Puoi ritirare i tuoi custodi, Imperatore» disse la nuova arrivata, con un sorriso ironico. «Come avrai capito, non sono realmente qui. Ti sto inviando la mia immagine da un dominio extra-dimensionale, nel quale risiede il mio popolo».

   «Sei una dei Tuteriani... i Costruttori di Sfere» riconobbe Nelscott, superata la sorpresa.

   «Sono la loro Messaggera» confermò l’aliena. «Infatti sono qui con informazioni... e con consigli, Altezza».

   Molti dei presenti si avvicinarono per vederla meglio. Le guardie avrebbero voluto tenere a distanza l’Imperatore, ma questi le respinse. «Ti ascolto» disse.

   «Ciò che ha detto il tuo Ammiraglio corrisponde a verità» disse la Messaggera. «Da tre anni siamo impegnati in una lotta all’ultimo sangue con la Federazione. E non siamo soli. Altre specie di quella Galassia si sono unite a noi: i Krenim, i Vorgon, i Na’kuhl. Insieme abbiamo formato il Fronte di Liberazione Temporale, che condivide le scoperte sulla previsione del futuro e sul viaggio nel tempo. Ma anche la Federazione ha degli alleati, che voi conoscete bene: i selvaggi Klingon, gli infidi Romulani. Insieme hanno proclamato l’Unione Galattica... il trionfo della loro ideologia di appiattimento».

   «E volete il nostro aiuto per sconfiggerla? Imparate a fare la guerra, piuttosto!» la derise l’Imperatore.

   «Altezza, dovete comprendere la posta in gioco» avvertì la Messaggera. «Questo conflitto travalica gli Universi e plasmerà il futuro per tutti i secoli a venire. Il vincitore potrà dettar legge sul tempo e sullo spazio. Ciò significa che anche la vostra sopravvivenza è a rischio».

   «La Federazione non oserà invaderci» sostenne Nelscott.

   «Forse no... ma il nostro Universo sta collassando e se non riusciremo a conquistare la Federazione dovremo cambiare obiettivo» avvertì la Messaggera. «Il prossimo Universo sulla lista è il vostro» precisò, fissando l’Imperatore con occhi gelidi.

   «È una minaccia?!» chiese Nelscott, mentre un mormorio agitato si diffondeva fra i dignitari.

   «Un semplice dato di fatto» disse la Messaggera. «A noi serve spazio. Preferiremmo prenderci quello federale, dividendo con voi il bottino di guerra. Ma se saremo respinti, ci vedremo costretti a cercare... altri pascoli» disse, leccandosi le labbra. «Spero che prenderete la decisione più saggia».

   «Altezza, questi alleati sono la nostra occasione» intervenne N’Rass. «Ci apriranno le porte a conquiste inimmaginabili e faranno progredire la nostra scienza temporale. Lasciate che guidi una flotta in loro soccorso e avrete una seconda Terra da governare!».

   In realtà la prospettiva che i Tuteriani rivolgessero le loro brame contro l’Impero l’atterriva. Ma proprio per questo non voleva inimicarli. Era un gioco terribilmente pericoloso... ma il pericolo non la spaventava, anzi era inebriante. Era sfidando i pericoli che si era conquistata l’Ammiragliato; e le sue ambizioni erano ancora inesauste. Il fallimento di Chase le dava la possibilità di diventare il più grande condottiero della storia imperiale.

   «Se decidessi di aiutarvi, ci sarebbe ancora da sbloccare il Tunnel Spaziale...» disse Nelscott, ma era evidente che stava cedendo.

   «Il Tunnel Spaziale è storia vecchia» disse la Messaggera. «Gli emissari federali hanno chiesto ai suoi abitanti di non lasciar passare le vostre forze. Potete ancora usarlo per raggiungere il Quadrante Gamma, ma se proverete a servirvene per attraversare lo Specchio, le vostre navi saranno... obliterate, come accadde al Dominio. Vi do questo avvertimento come garanzia della mia buona fede».

   «Ne terremo conto» assicurò l’Imperatore, inquieto ma anche sollevato per l’informazione, che aveva salvato chissà quante navi. «Quindi come dovremmo varcare lo Specchio? Gli esperimenti col teletrasporto danno risultati altalenanti e comunque non possiamo trasferire intere astronavi».

   «Penseremo noi a costruire un portale che consenta il passaggio di una grande flotta» promise la Messaggera. «Dovremo spendere molte risorse, ma siamo disposti a farlo... in cambio di un vostro massiccio intervento. Ebbene, Altezza? Siete con noi o contro di noi?» chiese in tono vellutato. Si avvicinò a Nelscott, osservandolo attentamente: una risposta sbagliata e sarebbe tornata nel suo reame, ritirando per sempre l’offerta di pace.

   Tutti gli sguardi si appuntarono sull’Imperatore, che lesse l’apprensione sul volto dei suoi sudditi. Era un’alleanza pericolosa... ma la posta in gioco era altissima. E l’Impero Terrestre non poteva mostrare alcuna debolezza. Più ancora dei nemici esterni, Nelscott temeva le insurrezioni interne, se fosse crollato il mito dell’invincibilità imperiale. Ecco perché non poteva esimersi dal vendicare l’Enterprise, fiore all’occhiello della Flotta. Ma non voleva nemmeno entrare a pieno titolo nel Fronte Temporale. Era un’alleanza in cui, lo intuiva, i Tuteriani facevano da padroni e le altre razze erano sacrificabili. L’Impero Terrestre non doveva avere alcuna autorità sopra di sé.

   «Mi addolora sapere che il vostro Universo sta collassando» disse infine l’autocrate. «L’Impero Terrestre accoglie la vostra richiesta d’aiuto. Invieremo la più grande flotta che abbiamo mai schierato... ma a una condizione» avvertì.

   «Quale?» chiese la Messaggera.

   «Non desidero impaniarmi in un lungo conflitto. Se costringerete la Federazione e i suoi alleati a una grande battaglia, che possa decidere le sorti della guerra, noi ci saremo. Non dovrebbe essere difficile, con le vostre capacità...» sorrise l’Imperatore.

   «Non è nemmeno semplice» disse la Messaggera, un po’ delusa. «Ma accetto la vostra offerta: una grande flotta per una grande battaglia. Decideremo noi quando e dove si terrà. Voi tenetevi pronti a schierare le navi. Potrebbero servirci in qualunque momento... tutto dipende da come oscilleranno le linee temporali. Appena costruito il portale vi comunicheremo la sua posizione. Naturalmente non potete pretendere lo stesso bottino che se entraste a pieno titolo nel Fronte...».

   «Mi accontenterò del sistema solare» disse l’Imperatore. «È uno solo fra centinaia... non vi accorgerete nemmeno della differenza». Si augurò di aver fatto la scelta giusta. Le cose si possono fare o non fare; ma farle a metà rischia di essere la scelta peggiore. Eppure un intervento limitato gli sembrava l’opzione migliore, di fronte a tante incognite.

   «E sia!» disse la Messaggera. La sua immagine divenne grigia e sfocata, per poi svanire del tutto. La tensione in sala si allentò sensibilmente. Molti si lasciarono sfuggire sospiri di sollievo e si scambiarono persino qualche sorrisetto nervoso. Ma l’Imperatore e l’Ammiraglio non erano per nulla sollevati; sapevano bene cosa si era messo in moto.

   «Serleen N’Rass, ti nomino Ammiraglio di Flotta con decorrenza immediata» disse Nelscott. La Caitiana s’inchinò, mentre il sovrano le toccava spalle e testa con lo scettro. «Riporta la Flotta Imperiale al massimo della potenza. Apri coscrizioni obbligatorie su ogni pianeta dell’Impero e accelera i lavori dei cantieri navali. Quando i Tuteriani completeranno il portale, dobbiamo essere pronti a schierare la forza più letale che si sia mai vista».

   «Sarà mia gioia e premura, Vostra Maestà» disse N’Rass, rialzandosi con una luce di trionfo negli occhi felini. L’arrivo della Messaggera era stato provvidenziale. Si era presentata proprio al momento giusto, appoggiando la sua richiesta. E l’aveva fatto in pubblico, costringendo l’Imperatore a fornire una risposta chiara e a rispettarla. La Caitiana non avrebbe potuto chiedere di meglio. Da ufficiale sotto inchiesta era diventata la seconda personalità dell’Impero. Adesso doveva ricostruire la Flotta Imperiale e tenerla pronta finché i Tuteriani avessero chiamato. Si augurò che lo facessero il più tardi possibile; così nel frattempo si sarebbe goduta i nuovi privilegi.

   «Terra firma!» disse l’Ammiraglio, levando il braccio nel saluto militare. I dignitari e i gerarchi, che fino a pochi minuti prima avevano ridacchiato e sparlato di lei, la imitarono. Adesso erano ai suoi ordini.

 

   
 
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