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Autore: shilyss    14/01/2019    45 recensioni
Soulmate!AU
In un mondo dove non c’è scelta e anche la morte è scritta tra le righe di una vecchia profezia pronunciata da una veggente cieca e forse folle, l’amore imposto dal destino è solo l’ennesima catena.
Durante una delle più furiose battaglie contro il Titano, Loki è stato ferito in maniera gravissima. Per colpa di una maledizione filata dalle Norne, solo una donna può salvarlo. Ma ogni cosa, col dio degli inganni, ha un prezzo…
(Loki/Sigyn) (Alternative Infinity War) (hurt/comfort)
[ ♦ Storia Vincitrice del contest 'Share with me...', indetto da Fiore di Cenere sul forum di EFP, a parimerito, e Vincitrice del Premio Speciale "Real Character". ♦ ]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sigyn, Thor
Note: Missing Moments, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dentro di me

 

 

 

Sigyn dormiva rannicchiata con le ginocchia al petto, i biondi capelli sparsi sul cuscino, le labbra dolcemente schiuse. Un’immagine delicata e fragile che la penombra in cui era avvolta la stanza contribuiva a rendere più eterea, irreale. Loki Laufeyson piegò le labbra in una smorfia indispettita, vedendola al suo capezzale. Erano anni che limitava ogni incontro, evitava qualsiasi contatto, per ingannare le Norne e dir loro che si erano sbagliate, su lui e la ragazza. Che la Lingua d’Argento di Asgard non aveva padroni né catene, né tantomeno morbidi lacci di seta a stringergli il petto. Suo fratello si era irrigidito e aveva fatto un passo indietro, quando aveva ammesso che lei c’era, esisteva. Era corso a cercarla senza voltarsi, nascondendo nel silenzio la delusione per essere stato tagliato fuori dalla sua vita. Loki s’inumidì le labbra secche e riarse per svegliarla e mandarla via, ma scoprì di avere la gola secca e di non riuscire, lui che era signore e padrone della retorica e dei bei discorsi, ad articolare nemmeno una frase. Colpa delle pozioni curative che ancora lo stordivano. Si mosse appena e il movimento, seppur limitato, gli strappò un lamento cupo. Quando tornò a guardarla, Sigyn lo stava fissando.

 

La ragazza si sollevò leggermente. Era scarmigliata, pallida, visibilmente stanca. Non dovevano essere passate troppe ore, da quando aveva offerto il suo braccio candido e sottile per donargli la vita che gli stava sfuggendo dalle dita. Il fatto di vederlo sveglio la dovette sorprendere e spaventare, perché si tirò a sedere e tentò di dargli sollievo bagnandogli le labbra con dell’acqua, posando una mano sulla fronte per capire se avesse la febbre. Tutti gesti che aveva senz’altro già fatto diverse volte, ma che ora, sapendolo sveglio, le risultavano sicuramente innaturali e difficili. Dovuti, persino.

“Chiedimelo.” La voce di Loki suonò come un ordine rauco.

Sigyn s’immobilizzò, torcendo tra le dita sottili la pezza bagnata. Gli concesse un’occhiata lunga e severa, poi si sedette rigidamente al suo capezzale, stando ben attenta a non toccarlo più del dovuto, a non sfiorarlo neanche.

“Sei rimasto privo di conoscenza a lungo. I guaritori hanno dovuto usare molto seiðr e infinite cure, per evitare che tu raggiungessi Hel. Non è il momento per chiederti niente.”

Il dio degli inganni non aveva abbastanza forza per ironizzare sulle sue condizioni, come altrimenti senz’altro avrebbe fatto, né per chiederle se anche lei, come tutti, si era lasciata trasportare dall’illusione e dal senso del dovere ed era accanto a lui solo perché doveva esserci, nient’altro.

Aggrottò la fronte, rendendosi conto di essere ancora troppo debole per affrontare un discorso, ma curioso, questo sì, di vedere la maschera che Sigyn indossava creparsi, cadere a pezzi.

Chiuse una mano a pugno e colpì il materasso: il gesto improvviso gli causò una fitta lacerante.

“Chiedimelo! Adesso!”

Sigyn si alzò circospetta, continuando a fissarlo con quei suoi occhi grandi e spaventati, rotondi e grigi. Quanto, del suo sangue, era servito? Loki valutò la figura esile e sottile della ragazza e la paragonò col suo fisico alto e slanciato, di guerriero. L’analisi lo lasciò insoddisfatto. Non era rimasta lì solo per un mero senso del dovere, no. Per rimetterlo in sesto ed evitare che morisse, a lei era stato tolto forse persino più del dovuto e quella branda posta accanto alla sua era servita per consentirle di riprendersi da un gesto che l’aveva lasciata stanca, sfinita e bisognosa di cure.  Seminascosta dalla stoffa della veste che indossava, l’Ase vide la macchia scura e violacea che deturpava il braccio candido della ragazza. Durante il necessario scambio di sangue, una delle vene si era spezzata.

 

“Da quanto tempo?” Le labbra di Sigyn tremavano. “Da quanto, lo sai?”

Il dio degli inganni pensò che fosse la domanda giusta e le rivolse un sorriso breve e laterale, nient’altro che l’eco sbiadita del ghigno scaltro che era solito rivolgere ad avversari e alleati. Sostenne il suo sguardo con la fierezza del re che avrebbe potuto – dovuto – essere.

“Anni.”

Lei impallidì. “Menti.” La voce le era uscita simile a un sussurro sottile.

“Vorresti che mentissi? Che ti ingannassi?”

“Lo hai già fatto. Nascondere una cosa così importante è stato…”

“Orribile? Spaventoso? Contro la natura e le regole di noi Aesir?” La stava incalzando per provocarla e costringerla a fuggire, per insinuare nei suoi occhi grigi il sospetto. “Non è la prima delle leggi che infrango, né sarà l’ultima. Sai come mi chiamano, cos’ho fatto.”

“Mentre eri sotto effetto dei sedativi, hai parlato.”

Una risata secca e ironica, dolorante. “Mi pareva di aver augurato a Thor di farsi sbranare da un troll, in effetti…”

“Più volte.” Il tono di Sigyn ora si era fatto più dolce, gentile. “Quello gliel’hai augurato più volte, ma hai parlato anche d’altro. Hai chiesto di fermare Odino, di non organizzare nessuna cerimonia, nonostante il vincolo che ci lega.”

Le labbra dell’Ase ferito si piegarono in una smorfia. “E cosa ci lega, Sigyn?”

“Le Norne hanno intrecciato il nostro destino. Nelle tue vene scorre il mio sangue.”

“È una maledizione, quella che ci unisce. Una suggestione, un inganno. Dicono che le nostre anime si completano: tre esseri fuori dal tempo e dallo spazio l’hanno deciso, ma allora rispondimi, piccola, cara, spaventata Sigyn: perché di fronte all’altra metà del tuo cielo provi terrore? Perché l’idea di dovermi amare è così spaventosa, atroce? Lo vedo nel tuo sguardo. Ti senti in trappola.”

La ragazza sussultò, colpita dall’arguzia maligna di quelle parole. Era come se Loki, pure se costretto in un letto e ferito, con i suoi occhi freddi e verdi avesse avuto il potere di scandagliarle il cuore. Aveva parlato, e le sue frasi non erano suonate come un’ipotesi o il tentativo di comprenderla: possedevano il sapore amaro di una sentenza implacabile, assoluta. Ma allora dov’era, l’inganno? Lingua d’Argento le aveva scavato il cuore rivelandole il terrore che aveva popolato i suoi incubi nelle ultime, dolorose ore come se l’avesse visto.

Gli rispose accusandolo. “In trappola, dici? Tu hai mangiato il frutto della conoscenza degli dèi; tu hai addentato il pomo di Iðunn e, pur facendolo, non hai rispettato la nostra tradizione, non mi hai chiesta in moglie. Tu mi hai nascosto ogni cosa. Tu sei il dio degli inganni che ha tradito Asgard, che ha ucciso il re di Jotunheim. Non so davvero chi sei né cosa vuoi, Loki figlio di Odino.”

“Ogni cosa che posso conquistare, tranne un legame imposto. Ogni cosa tranne te, noi.” L’ingannatore lo disse con lentezza, sforzandosi di raccogliere le parole. Il discorso, seppur breve, aveva esaurito le sue energie non ancora ritrovate di convalescente, senza però fiaccare il sarcasmo perfido. “Ti ringrazio per avermi salvato: metà dell’universo ti odierà per questo, ma io ti sono comunque riconoscente.”

Incapace di rimanere anche solo un minuto di più nella stanza, bisognosa d’aria, Sigyn si allontanò senza nemmeno voltarsi, quasi fuggendo.

 

 

Gli appartieni, sei sua come lui è tuo, tanto che l’unica creatura in grado di salvargli la vita, in tutto l’universo, sei tu. Parole martellanti che avevano il sapore di una maledizione e riuscivano a dare vita a una ridda di domande destinate a non avere quasi nessuna risposta. La consuetudine li avrebbe obbligati a stare insieme, le Norne avevano unito tra loro i fili rossi del loro fato. Loki avrebbe dovuto chiedere la sua mano e il segreto che si era ostinato a celare – a negare – l’aveva quasi portato alla tomba.

Da soli, avrebbero sofferto. Sigyn raggiunse l’esterno, lasciandosi alle spalle la severa struttura dove i guaritori, avvolti nelle loro lunghe tuniche bianche, s’affaccendavano celeri e silenziosi fingendo di non guardarla.

Il dio degli inganni non era un totale estraneo. C’era una conoscenza superficiale, blanda, tra loro. Diverse volte si erano incrociati nella ricca biblioteca di Asgard, ma il principe cadetto non le aveva mai riservato altro che qualche occhiata lunga e attenta e un saluto lieve fatto col capo. Una volta, qualche anno prima, le serviva il medesimo testo che stava consultando lui e Loki l’aveva chiuso di scatto, porgendoglielo rapido con una smorfia quasi indispettita.

Poco tempo dopo, era avvenuto che Asgard vincesse una cruenta battaglia; si vociferava di come Odino fosse intenzionato a nominare il suo erede diretto di lì a poco[1]. L’idromele scorreva a fiumi, danzatrici e musici allietavano il banchetto con le loro canzoni allegre e incalzanti. Loki, un braccio al collo e un sorriso furbo sulle labbra sottili, raccontava le sue gesta eroiche – l’incantesimo di una nebbia fittissima che aveva permesso all’esercito Aesir di cogliere di sorpresa gli avversari – affascinando le dame con cui, a turno, danzava. Anche quando si trovò di fronte a lei, ballò. A Sigyn parve che il ghigno sbieco e soddisfatto del bel principe mutasse in altro – disappunto, probabilmente – e credette che l’ingannatore non la reputasse alla sua altezza o abbastanza bella. Si detestò per quel pensiero vanesio, perché non avrebbe dovuto interessarle l’opinione di un guerriero troppo tronfio e sicuro di sé. Loki la fece danzare esattamente come aveva fatto con le ragazze prima di lei, ma evitò di raccontarle aneddoti succulenti sulla battaglia da cui era uscito lievemente ferito, sì, ma trionfante. Così, Sigyn si era convinta che il principe cadetto la disprezzasse. L’inesperienza e la giovane età le avevano coperto gli occhi sulla probabile natura delle vere intenzioni del dio degli inganni: fuggire da un destino già scritto.

 

 

Rallentò il passo. Sottile e minuta com’era, si era indebolita terribilmente in quegli ultimi giorni. Si ritrovò stanca e spossata e fu per quello che non s’accorse immediatamente del canto. Era una nenia mormorata appena da una donna, una vecchia ballata che Sigyn aveva sentito infinite volte dalla bocca di sua nonna. Una di quelle che crediamo di non ascoltare e, invece, si scolpiscono nella nostra memoria per riemergere con un senso nuovo anni dopo: quand’era bambina aveva trovato il canto noioso e fin troppo infelice, ma, in quel momento, le strofe le salirono alle labbra colme di un significato nuovo, inaspettato, struggente. Sigyn seguì il suono della voce melodiosa che cantava e finì per avvicinarsi a una finestrella oltre cui un’anziana sposa si accomiatava per l’ultima volta, forse, dal vecchio consorte morente. Vorrei perdermi così tanto in te, da non voler più trovare altro, cantava la donna carezzando con dita lievi la fronte ormai calva dall’uomo riverso nel letto. Ogni suo movimento era carico d’una dolcezza totale, infinita. Si rese conto di stare osservando l’amore in una delle sue forme più totalizzanti e si sentì in colpa perché, con la sua presenza, violava la sacralità di un momento perfetto e doloroso assieme. Come mai la coppia aveva rinunciato a nutrirsi dei pomi di Iðunn? Quanti anni, decenni, secoli, avevano passato credendo che le Norne avessero unito il loro destino? Anche loro, come lei e Loki, quand’erano stati giovani si erano ritrovati sgomenti e furiosi di fronte a un fato imposto e, per questo, ritenuto ingiusto?

 

Vorrei perdermi così tanto in te, da non voler più trovare altro, diceva la strofa antica e mesta. Sigyn sentì il cuore batterle con più forza nel petto, perché anche lei si era persa: una parte del suo sangue scorreva nelle vene del dio degli inganni e si era mescolata col suo, consentendogli di sopravvivere all’orrenda ferita e guarire. Si era persa dentro di lui, aveva accantonato ogni cosa per potergli essere d’aiuto, ma davvero non voleva più trovare altro? Si sarebbe innamorata, mangiando il pomo? Lo era già? Ma che significava, poi, amare? I guaritori e le ancelle preposte alla cura dei malati avevano definito il suo comportamento congruo e nobile. Aveva fatto ciò che tutti si aspettavano – dedicarsi all’uomo scelto per lei dalle Norne fin quasi a mettere a repentaglio se stessa – ma, così facendo, era riuscita solo a scontentare lui, il furbo e scostante e volubile dio dell’inganno, che sosteneva a testa alta come l’amore imposto dal fato fosse una maledizione, nient’altro. Un’infezione del cuore, una suggestione, l’illusione su cui si reggeva un regno abitato da creature che venivano chiamate dèi destinate a vivere troppo a lungo e a congelarsi nelle proprie meschinità, debolezze, virtù. Non la voleva, come se ritenesse semplicemente ripugnante l’idea di trascorrere l’esistenza con lei, anzi, peggio: pareva che non ci fosse niente di più orrendo e ingiusto che il loro stare insieme, nell’universo tutto.

Sigyn si allontanò dalla finestra, lasciando la vecchia coppia alla sua tenerezza: è un’aberrazione unire la fedeltà all’inganno. È un errore delle Norne, una beffa del destino. Così aveva detto Loki quando, circondato dai guaritori per le orrende ferite, aveva posato gli occhi su di lei, riconoscendola prima di perdere i sensi. Nella fretta concitata di quei minuti terribili, Sigyn non aveva fatto abbastanza caso al modo in cui l’aveva fissata, ma ora, ripensandoci, le sembrò di aver trascurato un dettaglio importante, per poi chiedersi se non stesse inventando ad arte un ricordo per giustificare pensieri e intenzioni. Le pupille verdi di Loki l’avevano scrutata quasi trapassandola, ma c’era, in quello sgiardo, una luce incomprensibile, strana. Da interpretare e travisare. Era come se l’ingannatore avesse, di lei, una conoscenza profonda e intima. Le aveva confessato di conoscere da anni il responso delle Norne crudeli e allora Sigyn si chiese se l’Ase non si fosse messo a tenerla d’occhio per cercare di capire che radici possedesse il legame che pareva dovesse unirli. Eppure, forse, Loki mentiva, perché questo era il suo potere: era il dio scaltro e bugiardo che truffava e irretiva il prossimo, che lo incantava col suo sorriso lupesco e affilato, trascinandolo in una ridda di illusioni. Sigyn lo sapeva. Lo aveva visto mille volte corteggiare e convincere, insinuare e spiegare. Il brivido che le scorreva lungo la schiena di fronte a quelle labbra sottili leggermente segnate da una cicatrice ormai bianca, che si piegavano fin troppo spesso in un ghigno divertito e sarcastico, più volte l’avevano confusa e resa inquieta.

C’era sempre stato qualcosa di profondamente oscuro e sbagliato, in Loki.

 

 

 

“Sei tornata. Mossa prevedibile, ma sciocca.”

Loki stava decisamente meglio. Sebbene ancora costretto a letto, aveva trovato il modo per tenersi occupato; sopra le coperte, giacevano libri aperti e appunti scribacchiati. Sigyn rimase sulla soglia, esitante. Per alcuni giorni, aveva evitato accuratamente di recarsi nella stanza ampia e spaziosa del dio degli inganni mentre lui era sveglio. Il pensiero che fosse l’uomo della sua vita continuava a esserle estraneo, alieno. Era il tramonto. Una luce calda e rossastra filtrava dalle imposte rendendo l’atmosfera sospesa, quasi irreale. La ragazza avanzò fino a raggiungere il punto in cui c’era stata la branda dove aveva riposato, ora sostituita da una poltrona dai manici intarsiati con draghi marini, guerrieri e drakkar dalle prue snelle. Si sedette anche se lui non l’invitò a farlo. Si chiese se Loki potesse leggerle nella mente e scoprire che anche lei voleva violare la legge degli Aesir. Sarebbe stata costretta a farlo, perché attendere che trascorressero altri due cicli completi delle stagioni rimanendo con un simile peso sul cuore, non era qualcosa di accettabile né possibile. Meglio affrettare i tempi e mordere di nascosto il frutto proibito di Iðunn, allora.

Durante le sue brevi e tormentate visite notturne, il figlio cadetto di Odino dormiva sempre placidamente e, sul suo bel viso affilato, Sigyn non aveva scorto traccia alcuna del fuoco in grado di animarlo da sveglio. Cos’era, lei? La dea della fedeltà. Così avevano detto le Norne. E cosa significava, esattamente? Il respiro del dio degli inganni, abbandonato in chissà che sogni, era lento e profondo e, alla luce della luna, le sue fattezze di guerriero suggerivano l’idea di come fosse agile e svelto; cosa che, in effetti, corrispondeva a quanto aveva sentito dire più volte della Lingua d’Argento di Asgard, imprevedibile e rapida, pericolosa e terribile. Qualcosa continuava ad attirarla lì al suo capezzale; alcuni l’avrebbero chiamata attrazione, spiegando che si trattava del principio dell’inscindibile legame che li avrebbe uniti. Sigyn, invece, si sforzava di chiamarlo senso del dovere e curiosità, ma un paio di volte aveva osato ammirarlo e accarezzargli i capelli scuri, sfiorare il petto ampio e scoperto. Quel contatto l’aveva lasciata confusa e piena di ancora più domande.

 

“Cosa siamo, Loki?”

“Maledetti. Mi pareva di avertelo detto.” Aveva smesso di leggere non appena era entrata, mettendola ulteriormente a disagio con quel suo sguardo aguzzo e feroce.

Sigyn sospirò. “Le altre persone, nella nostra condizione, s’innamorano l’uno dell’altra. Per noi è diverso, hai ragione. L’idea di vivere tutta la mia esistenza con te mi spaventa.”

“Fai bene.”

“Quando tuo fratello mi ha portata qui, prima di perdere i sensi hai detto che unire la fedeltà all’inganno era un’aberrazione,” ricordò, “ma possiamo davvero ribellarci al destino?”

Lingua d’Argento sollevò fieramente il mento. Non sarebbe potuta che andare diversamente, tra di loro, ma c’era, nella voce di Sigyn, il principio di una nota accorata che non piacque all’Ase. Sapeva delle sue visite notturne rapide e brevi e intuiva, dal tormentarsi nervoso delle sue dita sottili, quanto fosse ancora profondamente scossa per quella rivelazione. Desiderava stargli lontana, ma non riusciva a tenere fede a quella promessa per più di qualche ora, lei, che era la dea della fedeltà.

 

Eppure, pensò Loki, Sigyn non era così. Non era da lei farsi mangiare l’anima da dubbi e confusioni; quell’esitare accanto al suo letto, quel tornare da lui in cerca di spiegazioni vane, era indice senz’altro di come anche lei stesse cadendo nella favola mesta delle anime costrette ad amarsi dal destino. L’aveva osservata a lungo, da quando le Norne erano riuscite a rivelargli il destino tessuto per lui. Si era messo in testa di studiarla per capire cos’avesse di speciale. Aveva scoperto che dietro l’aspetto grazioso c’era un’intelligenza acuta e attenta, uno spirito temperante che, quando si appassionava a talune cause, le difendeva con coerenza e costanza. La magia nascosta nel pomo della dea Iðunn gli si era rivelata tra gli scaffali polverosi della biblioteca, un lontano pomeriggio d’autunno. Lei era in piedi e leggeva un volume che aveva appena estratto da uno scaffale e non si era accorta che Loki la stava osservando. Se anche avesse alzato le ciglia nere verso il dio dell’inganno, tuttavia, non sarebbe cambiato nulla, perché lei non aveva ancora morso la mela incantata, per fortuna.

 

“Voglio sapere cosa si prova,” mormorò Sigyn, “voglio vedere le sbarre della mia prigione. Tu parli di un inganno, di una maledizione, ma saresti morto, se non avessi condiviso con te il mio sangue. Quindi questo legame è vero, è reale.”

“La dipendenza, la compatibilità lo è,” concesse Lingua d’Argento socchiudendo le palpebre. “Per giustificare la necessità di avere il più vicino possibile colui o colei che può salvarci la vita, ci siamo inventati la favola d’un amore eterno, a prima vista, a eterna vista, a ultima vista,” ironizzò amaro, chiudendo con un gesto secco il libro che aveva posato sulle gambe. “È solo il bisogno di sopravvivere, che ci lega.”

Sigyn si tese sulla sedia. Vorrei perdermi così tanto in te, da non voler più trovare altro, diceva la vecchia ballata che l’aveva fatta riflettere tanto a lungo sul senso di quella condivisione. Non desiderava appartenere al dio degli inganni, non riusciva a figurarsi tra le sue braccia o nel suo letto. Così si disse. Il bisogno impellente di essere lì, in quella stanza, era suggestione, curiosità. Nient’altro, non poteva essere nient’altro.

“Parli di vantaggi, ma tu, mantenendo il segreto, hai rischiato seriamente di morire. Perché?”

Loki non rispose immediatamente. Si concesse di guardare la sfumatura color miele dei capelli di Sigyn, di posare lo sguardo sull’arco ben delineato delle sue sopracciglia, sulle labbra probabilmente dolci, sul viso delicato. L’incanto delle Norne era qualcosa da cui sarebbe fuggito ancora e per sempre, anche se il prezzo da pagare sarebbe stato continuare a sognarla all’improvviso, perché questo era lei. Una luce scintillante impossibile da scacciare, che veniva a tormentare sogni di gloria e a scuotere ambizioni, ma senza spezzarle.

“Conosco il peso delle catene, cara Sigyn,” sorrise col tono di chi ha visto centinaia di cieli e di mondi. “Sono nato per essere re e ho provato l’ebbrezza di sedermi su un trono e il rancore per essere stato incarcerato. L’amore è una schiavitù da cui desidero liberarti.”

La sera avanzava lenta oltre le finestre. L’arancio e l’oro sfumavano leggermente verso il viola e l’azzurro e gli occhi del dio degli inganni, verdi e quasi trasparenti, a volte assumevano una sfumatura diversa, quasi cerulea.

“Lo dici come se lo conoscessi a fondo,” osò fargli notare la ragazza.

“Sei giovane.” Una smorfia attraversò il viso affilato dell’Ase. “Sei ancora troppo giovane. È attrazione, quella che senti, nient’altro. Se ti ci abbandonerai, sarà il caos.”

“Hai detto che hai scoperto anni fa che ero io. Cos’hai provato, allora? Cos’hai sentito? Cosa senti, ora?”

“Il peso di un vincolo che non ho chiesto,” fu la risposta secca e crudele. “Unire la fedeltà e l’inganno è un’aberrazione, è un’ingiustizia. Tutto qui.”

Sigyn tremò, scossa, come sempre, dal peso terribile di quelle parole. “Da allora combatti? Contro cosa stai lottando?”

“Non voglio legarti a me, Sigyn. Sono il dio degli inganni e non cambierò la mia natura o i miei desideri perché le Norne hanno deciso che devi esserci tu, al mio fianco. Fidati delle mie parole, non c’è pentimento, in me, per quello che ho fatto. Nemmeno adesso, neanche ora che il Titano ha deciso di volgere il capo verso i Nove Regni,” puntualizzò mascherando il brivido d’orrore che gli provocava il pensiero di Thanos. “Rifarei tutto, pagherò per ogni cosa, ma non m’importa. Non sono un eroe senza macchia, come mio fratello. Io sono il principe bugiardo, il truffatore di Asgard, il lupo in mezzo al gregge. Le Norne non possono averti condannata a pagare per le mie scelte, né io lo vorrei.” Un ghigno gli attraversò il bel viso affilato. “La verità è che Thor è stato troppo zelante, non avrebbe dovuto chiamarti.”

Di fronte a quella spiegazione, Sigyn pensò che avrebbe donato il proprio sangue non una, ma cento, mille volte a quel principe maledetto fiero e feroce, nobile e crudele, ambizioso e astuto. In qualche modo che ancora non sapeva descrivere a fondo, era nobile in ognuno dei suoi gesti, anche il più esecrabile. Gli cercò la mano e la prese tra le sue.

“Mi vuoi proteggere da te, Loki?”

L’Ase non ribatté.

S’impose di soffocare ancora una volta l’istinto primitivo che lo spingeva a prenderle il viso tra le mani e a baciarla, però. A prometterle regni e troni e poteri di cui a lei non sarebbe importato nulla, ma ai quali Lingua d’Argento non avrebbe saputo mai rinunciare, perché era proprio questo il dramma: il dio degli inganni desiderava avere tutto, ogni cosa, persino Sigyn, e non era in grado di rinunciare davvero a niente, Thor lo sapeva fin troppo bene. Eppure, legarla a sé era fuori discussione: l’avrebbe avuta per poi perderla, condannandola a esaltare la sua natura di dea della fedeltà imprigionandola in un’attesa senza fine, costringendola a dividere il peso di colpe non cercate né meritate, in una punizione eterna. Non l’avrebbe mai saputa amare con la dedizione e l’esclusività che lei meritava e glielo disse quella sera e lo ripeté quelle in cui lei, ostinata, ritornò.

 

Le raccontò come sarebbe stata infelice, insieme a lui, ad attenderlo invano in un letto troppo freddo, a implorare Odino di non punirlo con eccessiva severità, ad addormentarsi senza sapere sotto quali cieli lui fosse nascosto, in che trame avesse deciso di infilarsi, oppure scoprendolo e, per questo, soffrire ancora di più. Spiegò e immaginò ogni cosa e lo fece assaggiandole le labbra in una sera di pioggia, l’ultima che passarono insieme a dirsi perché dovevano ribellarsi alle Norne crudeli e cieche. Troppe volte l’aveva scacciata dai suoi sogni e dalle sue fantasie dicendosi che era il corpo sottile e ben fatto di lei, ad attirarlo, nient’altro. Che lo stesso trasporto, sepolto sotto strati d’indifferenza e inganni, avrebbe potuto nutrirlo per qualsiasi altra ragazza, che quel battito mancato del cuore non significava niente. Sì, Loki Laufeyson aveva lottato a lungo con ogni fibra del suo essere contro l’attrazione sbagliata verso Sigyn. Probabilmente, il desiderio di lei si era acuito proprio per colpa di quella voluta assenza, della rigida imposizione che si era dato di non cedere alla curiosità di sapere se fosse vera, la leggenda in cui erano intrappolati.

 

“Ti rinnego oggi, per non farti soffrire domani,” spiegò con le labbra ancora sopra le sue, le dita perse tra le ciocche bionde, un braccio a cingerle la vita stretta. Era, allo stesso tempo, un addio e una scommessa, quel bacio intenso a lungo cercato ed evitato, dato poche ore prima che l’ultima offensiva di Asgard contro l’immenso esercito di Thanos avesse inizio. Il pegno rubato d’un principe fiero e feroce che non avrebbe cambiato i suoi piani nemmeno in nome del vincolo imposto dalle Norne e sancito dai pomi di Iðunn. Le assaggiò le labbra, le sfiorò appena per poi gustarle con lentezza e scoprì che erano morbide e dolci da baciare e che Sigyn lo desiderava forse con la stessa intensità con cui lui voleva lei. Colpa dei fili rossi delle loro esistenze che erano stati intrecciati con indifferente perizia o delle parole che si erano scambiati mentre il giorno scivolava nella sera, nella quiete delle ampie stanze dei guaritori? O era la morte racchiusa nell’eco di uno schiocco, spettro invisibile e spaventoso, a rendere necessario quell’abbraccio febbricitante e disperato, l’ultimo e l’unico che avevano giurato di scambiarsi?

Era dolce, il sapore della maledizione che li univa. Questo pensarono mentre le loro labbra si accarezzavano e lambivano, cercavano e consolavano.

“Sei libera, Sigyn. Voglio che tu sia libera,” ordinò l’Ase con voce roca.

Lei gli sfiorò il mento affilato e sbarbato con le dita sottili. “Ho mangiato il pomo, oggi,” confessò.

“Hai violato le leggi di Asgard. Sei troppo giovane.”

Loki, irritato, provò a staccarsi da lei, ma la ragazza lo trattenne.

“L’ho mangiato e non è cambiato niente, vedendoti. Mi sento ancora libera. Era già successo, credo.”

“Sai chi sono e dove sto andando. Non aggrapparti a un vincolo che ti porterà solo sofferenza.”

La voce dell’Ase era severa e aveva in sé il tono d’una profezia, ma a Sigyn non importò. Si strinse contro la corazza robusta di pelle intrecciata e gli rivolse un’unica, sola preghiera.

“Torna da me, Loki, dio degli inganni.”

 

 

Forse fu colpa delle Norne che, divertite dall’ostinazione del fiero principe degli Asi, diedero fortuna alla terrificante impresa, o forse dei pomi incantati di Iðunn oppure del tempo trascorso assieme a raccontarsi il disincanto verso la leggenda d’un amore immortale e inevitabile, ma c’è chi racconta che davvero l’ingannatore, alla fine, tornò da lei per rivolgerle quel suo sorriso furbo e affascinante.

 

 

Fine

 

 

 

Note Autore:

Cosa sono le Soulmate!Au?

Sono universi paralleli dove esiste l’Anima Gemella. Esiste veramente. Ho pensato a lungo a come potesse essere scritta la vicenda di Loki e Sigyn in questa chiave di lettura precisa, e il contest indetto da Fiore di Cenere “Share with me” mi ha dato l’occasione di cimentarmi in una di queste storie generalmente molto drammatiche e romantiche. Come sempre quando si tratta di me, ho mescolato tantissimo mito e canone MCU.

La questione relativa ai pomi di Iðunn è un canone norreno: nel mito, gli dèi di Asgard mantengono un aspetto giovane perché si cibano regolarmente di queste mele. Quando non possono mangiarle, iniziano a invecchiare, come racconta l’Edda (l’UNICA cosa cui faccio riferimento). Le mele di Iðunn ricordano molto da vicino quelle del famoso albero della tradizione biblica, ed ecco che ho tirato fuori il concetto della soulmate. Giunti all’età adulta, gli Aesir mangiano il pomo e bloccano la loro crescita biologica, acquisendo così la conoscenza necessaria e utile a poter scoprire (prima o poi) la Soulmate. Poiché Sigyn non aveva ancora raggiunto l’età adeguata, era solo Loki a conoscere il segreto riguardo la loro predestinazione e il solo a sapere che Sigyn era l’unica che potesse donargli il sangue in caso di necessità. Come forse (spero) si sarà capito, prima di trovare la Soulmate la condivisione del sangue è possibile con chiunque.

La vicenda si colloca a metà strada tra Thor: The Dark World e Infinity War, di cui ho ridato una rilettura più positiva.

Gli elementi del pacchetto sono stati usati interamente: la scena si svolge in un ambiente ospedaliero (o vicino all’ospedale), c’è la Soulmate! AU che era da considerarsi come bonus, mentre la frase, ricorrente nel testo, è stata tradotta come Vorrei perdermi così tanto in te, da non voler più trovare altro (in originale era I wanna be so far gone in you / so far nothing else will ever do", da "So far gone" dei Thousand Foot Krutch). L’elemento di condivisione, neanche a dirlo, era il sangue che Sigyn offre a Loki.

Note di stile: talune ripetizioni sono efficaci ai fini della lettura, mentre per quanto concerne alcune mie scelte stilistiche (trattino – non chiuso alla fine come spesso usato da Mazzucco nelle edizioni Einaudi e virgola dopo “e”) sono da intendersi come precise scelte stilistiche e non come refusi.

Generalmente, la “mia” Sigyn sceglie Loki; anche qui lo fa, si innamora di lui ancora prima di mangiare il pomo. E allora, le Norne avevano ragione? Che ne dite?

Ero parecchio indecisa se postare o meno questa storia e la sua genesi non è stata facile per tante, tantissime ragioni: la vedete scritta e postata “per colpa” ♥ di una serie persone che mi hanno sostenuta in questi non facilissimi giorni. Augurandomi che possa essere comunque stata di vostro gradimento, ringrazio chi avrà la forza di arrivare fin qui. E a chi ha ascoltato tutte le mie paturnie, ovviamente.

Un caro saluto,

 

Shilyss



[1] La connotazione temporale di questo missing moment inventato è da imputarsi alla scena tagliata del primo Thor in cui Loki si vanta di aver vinto la battaglia di Nornheim.

   
 
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