Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    15/01/2019    0 recensioni
Da tre anni gli ufficiali dell’Enterprise-J si battono con gli alleati di Andromeda, mentre la galassia si oscura sempre più. Ora che la Scourge minaccia di schiacciare l’ultima resistenza e debordare nella Via Lattea, l’impaurita Flotta Stellare li richiama indietro. Ma il Capitano Chase sa che non è ancora il momento di ritirarsi, se non vogliono perdere tutto ciò per cui hanno combattuto.
La missione ad Andromeda ha profondamente cambiato i nostri eroi, che ora lottano non solo per se stessi, ma anche per i loro figli. Mentre una vecchia nemica riappare con un’ambigua missione, una nuova setta si diffonde sull’Enterprise, proclamando di aver riconosciuto il nuovo Eletto. Ma ciò costringerà Terry alla scelta più lacerante della sua vita.
Con la posta in gioco sempre più alta, non resta che un viaggio attraverso Exosia, la più mistica delle realtà parallele, in cerca dei Proto-Umanoidi. Solo loro possono fermare la Scourge: ma vorranno farlo? L’ultima battaglia imporrà i sacrifici più duri e mostrerà agli eroi il vero significato dell’uroboro: in ogni inizio c’è il germe della fine e ogni fine racchiude un nuovo inizio.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Capitolo 7: Sacrifici

 

   Fu qualcun altro a intervenire.

   Il turboascensore si spalancò proprio dietro a Gorog, che si girò di scatto, temendo l’arrivo di rinforzi nemici. I suoi timori erano fondati; ma non poteva immaginare di quali rinforzi si trattava. L’ingresso era velato da una distorsione perlacea, segno che un’altra anomalia aveva raggiunto la plancia. Ma questa era diversa dalla distorsione che aveva ucciso Grog: era una breccia temporale. Ne uscì una giovane donna, che schizzò in avanti a velocità inumana. Agguantò Gorog per il polso e glielo spezzò all’istante, impadronendosi del disintegratore. Il leader dei Distruttori lanciò un grido strozzato. Non fece nemmeno in tempo a cadere in ginocchio che si trovò a fare da scudo.

   Era successo tutto in un secondo. Preso alla sprovvista, il Generale Wuluw esitò. Per uccidere la ragazza rischiava di colpire il suo superiore. Lui, d’altra parte, non aveva ostaggi che gli facessero da scudo. I federali erano dietro di lui, salvo Neelah che gli era a fianco, a una certa distanza. Chase e Talat la raggiunsero nello stesso momento, frapponendosi. Prima che quella situazione esplosiva giungesse all’epilogo, tutti gli sguardi si appuntarono sulla nuova arrivata.

   Era una giovane sui venticinque anni, dalla pelle chiarissima e i capelli biondo platino. Indossava un’uniforme nera, con le spalle squadrate, che nessuno riconobbe. Era minuta, ma forte e scattante: un piccolo fascio compatto di muscoli, tesi come corde di violino. «È finita, Distruttori. Non sperate di cavarvela» disse con voce tagliente.

   «Ma che...» cominciò Wuluw. Non fece in tempo a finire la domanda. Alle sue spalle, Fanior si era trasformato alla massima velocità possibile. Le sue braccia, divenute tentacoli, schizzarono verso il Distruttore e lo abbrancarono, disarmandolo. Il campo di forza individuale proteggeva Wuluw dalle armi a energia, ma non era pensato contro gli attacchi fisici. Il Generale cadde a terra rantolando, mentre un tentacolo di Fanior gli avvolgeva il collo. All’ultimo istante, Wuluw riuscì a premersi un olo-comando sul polso e si teletrasportò via.

   «Traditore!» urlò Gorog nel vedersi abbandonato. Cercò di fuggire a sua volta, ma la ragazza pallida lo bloccò, impedendogli di premersi l’olo-comando.

   «Delegato Gorog, la Storia afferma che lei morì nella Battaglia di Exosia» disse la giovane, fissandolo con occhi azzurro ghiaccio. «Chi sono io, per contraddire la Storia?» aggiunse con una sfumatura sadica. Puntò il disintegratore contro Gorog. Questi cercò di bloccarla con il braccio sano, ma non aveva speranze. Fatalmente il suo polso si piegò e la punta dell’arma si rivolse contro di lui.

   «Ebbene, chi sei?!» chiese il Distruttore, impaurito da quella forza innaturale, indice di raffinati potenziamenti genetici.

   «Mi chiamo Jaylah» si presentò la giovane. «Sono un Agente Temporale... e sono figlia loro» disse, accennando a Chase e Neelah, che si scambiarono un’occhiata sconvolta.

   Anche Gorog spalancò gli occhi, incredulo. «No... no... no!» gridò, ma era inutile. Jaylah aveva chiuso le mani sulla sua, attorno al calcio dell’arma. Questo le permise di sfruttare il dito del Distruttore per premere il grilletto, che funzionava solo leggendo il suo DNA. Il raggio bianco colpì il Proto-Umanoide proprio al centro della fronte. Dopo qualche secondo di esposizione superò lo scudo, incenerendogli la testa.

 

   Jaylah lasciò cadere il corpo decapitato e si rivolse ai genitori. «Mamma, papà... mi spiace che il nostro primo incontro avvenga così. Ma cercate di capire... non potevo lasciare che vi uccidesse» si scusò. «Anzi, che ci uccidesse. Se i vostri racconti sono esatti, nascerò fra un attimo» aggiunse, accennando al pancione di Neelah.

   «Jaylah?» mormorò l’Aenar, alzandosi a fatica. «Sei proprio tu?» chiese con voce tremante.

   «In carne, ossa e antenne» confermò la giovane. Solo allora le sottili antenne emersero dalla massa dei capelli. Madre e figlia si accostarono, quasi incredule di vedersi, e si abbracciarono strette. «Sono felice di vederti, mamma» disse Jaylah con affetto. «Ma ho poco tempo... l’anomalia che mi ha portata qui può chiudersi da un momento all’altro. Devo tornare nel mio tempo».

   «L’Enterprise esiste ancora? E tu lavori lì?» chiese Neelah, smaniosa d’informazioni.

   «Per gli Accordi Temporali, non posso dirvi niente» sospirò Jaylah, rivolgendosi a entrambi i genitori. «Ma visto che conoscete le brecce temporali, sapete già la risposta. Sì, sono qui perché mi trovavo sull’Enterprise quando l’anomalia ha connesso le nostre epoche. Ma ero solo di passaggio... lavoro altrove» aggiunse evasiva. Si sciolse dall’abbraccio materno e fronteggiò suo padre.

   «Agente Temporale, eh? Tu e io dobbiamo fare un discorsetto» disse Chase in tono di rimprovero, accennando all’uniforme nera e senza contrassegni della figlia. Ma l’abbracciò con lo stesso trasporto.

   «Lo faremo... quando sarà il momento. Ma ora devo andare» disse Jaylah, staccandosi a malincuore. Avrebbe voluto dire di più ai suoi genitori; ma non poteva infrangere gli Accordi Temporali, proprio lei che aveva giurato di difenderli. Quindi schermò i propri pensieri, impedendo a sua madre di scoprire alcunché.

   «Stai attenta... e non esagerare coi potenziamenti genetici!» raccomandò Neelah, già in ansia per lei. Le era bastato vedere sua figlia per dare un calcio a tutte le sue idee sul miglioramento delle specie.

   «Questa è una discussione che faremo spesso, mamma» sospirò Jaylah. «Ma non temete il futuro. Voi pensate a vincere la battaglia; a conservare la linea temporale ci penso io. Arrivederci a fra poco» disse ai genitori, tornando verso l’anomalia perlacea. «Ah, un’ultima cosa» aggiunse, indugiando sulla soglia. «Se a sette anni cambiassi il DNA del gatto per farlo volare, non siate troppo severi con me» chiese, e sparì nell’anomalia. Pochi secondi dopo la breccia si era richiusa, dividendo le loro epoche.

   Chase e Neelah si guardarono negli occhi, cercando di processare l’accaduto. «Noi avremo un gatto?» chiese infine il Capitano.

   Neelah stava per rispondergli a tono, ma d’un tratto si piegò in due. «Ahi! Jaylah aveva ragione... vuol nascere proprio adesso!» gemette, sentendo le doglie. «Devo tornare subito in infermeria».

   «Verrei con te, ma...!» disse Chase, osservando sconfortato la battaglia che infuriava sullo schermo. I Distruttori erano ovunque. La Phoenix non era ancora al sicuro. E Shado minacciava una distruzione così apocalittica che nemmeno gli Agenti Temporali l’avrebbero fermato. Il futuro era ancora in bilico.

   «Lo so. Vinci la battaglia» disse Neelah, echeggiando le parole di Jaylah. Cercò di raggiungere il turboascensore, tornato normale, ma aveva difficoltà a camminare. Fanior risolse il problema prendendola in braccio. «I suoi ufficiali le servono, Capitano, ma io la porterò in infermeria» promise il Kelvano.

   «Vengo anch’io» disse Lantora, non volendo farli andare da soli, mentre i corridoi erano pieni di Distruttori che sparavano. «Tornerò al più presto» promise al Capitano.

   «Non serve» disse però Chase. «Quando Neelah sarà in infermeria, si unisca alla squadra di Wu per proteggere la Phoenix».

   Lantora gli rivolse uno sguardo grato, sapendo che era una scusa per permettergli di aiutare T’Vala in quel frangente pericoloso. Seguì Fanior e Neelah nel turboascensore. Gli altri ufficiali erano già tornati alle loro postazioni, rese nuovamente operative da Terry. Ripresero il contatto con la sala macchine, coordinandosi per riattivare i sistemi chiave.

   «Ora sa perché vi abbiamo creati, Capitano» disse Talat, guardando Chase commossa. «Quando tutto il resto fallisce, sono i figli che ci salvano».

 

   Nello spazio, il braccio di ferro tra Preservatori e i Distruttori continuava, sebbene la morte dei rispettivi leader avesse gettato molti equipaggi nel dubbio e nel disordine. Alcune navi cercarono di disimpegnarsi e abbandonare il campo di battaglia, mentre altre colpirono con rinnovata ferocia. In quel caos, l’Enterprise trasmise un segnale su tutte le frequenze.

   «Qui è Talat, che si rivolge al Popolo» disse l’ex Delegata. «In questo momento Shado sta attaccando la Rete Miceliare, con lo scopo d’annientare ogni forma di vita. Gli unici che possono fermarlo sono Sunny e gli abitanti della Rete. Dovessero fallire, non ci sarà scampo per nessuno. Questa è la portata del tradimento dei Distruttori. So che molti di loro erano sotto il suo controllo e che altri hanno obbedito ai superiori senza conoscerne gli intenti. Ma ora che sono liberi dalla sua influenza, non hanno scuse per l’attacco contro di noi e contro l’Enterprise. Pertanto chiedo ai Preservatori di difendere questa nave, con tutte le loro forze. E ai Distruttori dico: è la vostra ultima occasione di rinunciare al male. Cessate immediatamente l’attacco e arrendetevi. Se non lo farete, sarete maledetti e scacciati da noi e da ogni popolo di Andromeda, sino alla fine dei tempi!».

   A questa minaccia, il dubbio serpeggiò sulle navi dei Distruttori. Persino sull’ammiraglia ci fu chi manifestò la tentazione di arrendersi. «Signore, il bio-scanner di Gorog ci conferma che è deceduto...» notò un ufficiale, rivolgendosi a Rekker.

   «Una disgrazia, ma come nuovo leader vi prometto che porterò avanti il suo progetto» disse il Primarca, chiarendo subito la sua posizione. L’unico che poteva contestarlo era Wuluw, ma il Generale non aveva ancora fatto ritorno. Dalla plancia dell’Enterprise si era trasferito in un altro settore della nave federale, riunendosi ai suoi soldati.

   «Signore, i Preservatori sono più numerosi di noi» insisté l’ufficiale. «In queste condizioni, è inutile continuare a...».

   Rekker estrasse il disintegratore e lo vaporizzò. «La sua opinione è annotata, Comandante» ironizzò, riagganciando l’arma in cintura. Squadrò il resto dell’equipaggio, rimasto ammutolito. «Raddoppiate l’assalto all’Enterprise» ordinò con calma. «La tecnologia temporale deve essere nostra. E penso di sapere come ottenerla» aggiunse. Attivò gli olo-comandi innestati nel polso e inserì le coordinate di teletrasporto.

 

   Forti del loro numero, i Distruttori guadagnavano terreno nell’Enterprise, sebbene la Sicurezza facesse pagare loro un pesante tributo per ogni corridoio e sala conquistati. La lotta era ulteriormente complicata dalla torsione spaziale, la bizzarra anomalia che stava riconfigurando l’interno della nave. Le porte, i turboascensori e persino i tubi di Jefferies non conducevano più dove ci si aspettava. Nemmeno le piantine della nave, disponibili sui pannelli dei corridoi, erano d’aiuto. E il nuovo assetto non era stabile: cambiava di secondo in secondo. La stessa porta, varcata avanti e indietro più volte, conduceva sempre in posti diversi: da un corridoio a una stiva, da una sala controllo a un alloggio privato. L’astronave si era trasformata in un labirinto impossibile, che intrappolava invasori e difensori.

   I Distruttori erano furibondi, sia perché a ogni secondo perso la loro flotta ne pagava il prezzo, sia perché girovagare nei corridoi li esponeva a più scontri a fuoco e quindi a più perdite. Ma non riuscivano a raggiungere la Phoenix né a piedi, né con il teletrasporto. Si divisero allora in piccoli gruppi, per aumentare le probabilità che almeno qualcuno arrivasse a destinazione. La strategia funzionò: mentre centinaia di Distruttori continuavano a vagare nel labirinto, un drappello trovò l’hangar 5. Questo era difeso solo dalla squadra del Maggiore Wu, giunta in posizione prima che iniziasse l’anomalia. Asserragliati dietro l’ingresso semiaperto, i Corpi Speciali falciavano ogni Proto-Umanoide che appariva nel corridoio. O quasi.

   «Wu a Terry, abbiamo un problema!» disse il Maggiore, gridando per farsi sentire sopra il frastuono della sparatoria. «Alcuni Distruttori hanno uno scudo individuale. Sa dirci come possiamo superarlo?».

   «Provate a settare i phaser su frequenze tra 1,39 e 1,47» suggerì Terry, che stava analizzando le tecnologie dei Distruttori, cercando un punto debole.

   Il Maggiore regolò il fucile phaser in base al consiglio e si sporse per fare una prova. Colpì un Distruttore al petto e stavolta lo disintegrò. Il federale si ritrasse subito, mentre una raffica di rappresaglia tempestava il portone corazzato. Era una spessa lastra di yiterium, lo stesso materiale dello scafo esterno; ma le armi nemiche vi scavavano solchi profondi.

   «Wu a Terry, ottimo consiglio» disse il Maggiore. «Ma i Distruttori sono troppi e il portone sta per cedere. Ci servono rinforzi immediati!». Mentre parlava, uno dei suoi fu colpito nel momento in cui si sporgeva per sparare. Un secondo manipolo di Distruttori li aveva trovati e attaccava dall’altro lato del corridoio.

   «La torsione spaziale impedisce alle altre squadre di raggiungervi» spiegò Terry, dispiaciuta.

   «Non puoi allontanarti? Hai ancora i motori a impulso!» obiettò Wu, sporgendosi per un’altra raffica. Abbatté un nemico, sfuggendo per un soffio alla risposta. Il raggio mortale gli passò a un centimetro dalla testa e andò a colpire la parete di fondo dell’hangar, lasciando una chiazza annerita e semifusa.

   «Le mie elaborazioni dicono che senza la torsione i Distruttori ci travolgeranno col numero» rivelò Terry. «Tenete duro. La loro flotta sta per cedere e a quel punto avremo rinforzi. Intanto sto mappando la zona riconfigurata per guidare altre squadre da voi». Non disse che la nave si trasformava così in fretta da vanificare i suoi sforzi. Raggiungere l’hangar 5 era questione di fortuna, più che d’abilità.

   «Faccia presto, non resisteremo a lungo» avvertì Wu, mentre un altro dei suoi cadeva ucciso. Erano rimasti solo in cinque, contro una ventina di attaccanti.

 

   Rinchiusa nella sua cella, Lyra sedeva a gambe incrociate sul lettino, in posa di meditazione. Sapeva, dai molti scossoni della nave, che qualcosa era andato storto. Essendo confinata lì, non le restava che sfruttare le sue facoltà telepatiche per capire che stava succedendo. Chiusi gli occhi e rallentato il respiro, la mezza Vulcaniana si concentrò, abbandonando tutte le emozioni incentrate sull’Io. Di colpo tornò a vedere, ma con gli occhi della mente. Le pareti della cella non ostacolavano la nuova visione, che anzi spaziava per i ponti e le sezioni dell’Enterprise.

   Un’onda di emozioni negative colpì Lyra; erano così violente che il cuore le martellò in petto, mentre un brivido l’attraversava da capo a piedi. Paura, rabbia, tradimento, dolore... morte. Queste emozioni la circondavano da ogni parte, moltiplicate per migliaia di persone. Era in corso una battaglia tremenda... ma contro chi? Non Shado, anche se lui era parte del problema. Lyra si concentrò ancora più a fondo, sebbene il suo cervello dolesse per lo sforzo. Percepì brandelli sfilacciati di pensieri, appartenenti a molti ufficiali diversi, ma tutti impegnati in una lotta all’ultimo sangue. Li confrontò e li rimise assieme, fino a comprendere l’accaduto.

   Con un gemito strozzato, Lyra spalancò gli occhi. Quasi cadde dal lettino, travolta dall’orrore. In vita sua aveva visto cose raccapriccianti, ma nulla di paragonabile al tradimento dei Distruttori. Così fu doppiamente sconvolta nel vedere Rekker in piedi davanti a lei. Entrato chissà come nella cella priva di porte, il Primarca la osservava con calma.

   «Lieto di rivederla, Lyra» esordì Rekker. «Credo che lei sappia cosa sta succedendo, quindi non mi perderò in chiacchiere. Sono qui perché mi occorre la sua collaborazione».

   «No, le occorre un miracolo» corresse Lyra, balzando in piedi. «Dopo quel che avete fatto, voi Distruttori dovete solo andarvene. E pregare che Shado non prevalga» aggiunse, mantenendosi più lontana possibile.

   «È Shado che ci ha portati a questo... ma ora che siamo liberi dalla sua influenza, possiamo rimediare» spiegò Rekker, accorato. «Sappiamo che qui a bordo è custodita una navetta temporale. Con quella possiamo cancellare tutti i nostri errori. La Scourge, Shado... non saranno mai esistiti. Andromeda rifiorirà e l’Universo sarà libero dalla piaga».

   «Che altruisti!» lo derise Lyra. «Avete aspettato fino all’ultimo per farvi spuntare una coscienza. Ma non avete ancora messo le mani sulla Phoenix, o lei non perderebbe tempo con me».

   «Abbiamo cercato di spiegare la situazione al Capitano, ma lui e gli ufficiali non hanno voluto ascoltarci» disse Rekker, nel tono di chi ha subìto una tremenda ingiustizia. «Anzi, hanno brutalmente assassinato Gorog».

   Lyra fischiò d’approvazione. «Bene! Mi stanno sempre più simpatici» infierì. «Le conviene andarsene, se non vuol finire allo stesso modo».

   «Certo che me ne andrò... ma lei verrà con me» insisté Rekker.

   «Perché, a che le servo?» chiese Lyra, fissandolo bieca.

   «So che la Phoenix ha un lettore di DNA che consente a pochi di entrare» spiegò il Primarca. «Abbiamo cercato di prendere il Capitano, ma è andata male. Proveremo con Grenk in sala macchine, ma è facile che le cose vadano storte anche lì. E non siamo riusciti a trovare T’Vala... in plancia non c’era e le distorsioni interferiscono coi nostri sensori. Ma lei, che viene dallo Specchio, è la sua sosia perfetta. Ha lo stesso codice genetico, quindi può aprire la Phoenix. Mi faccia entrare in quella navetta e in cambio le darò ciò che più desidera: la libertà» promise.

   «Ah! Scusi tanto se ho qualche problema a fidarmi dei Distruttori!» rise Lyra, sprezzante. «Dovevate annientare Shado e invece gli avete consegnato l’Universo. Se ora giocate con la tecnologia temporale, combinerete altri disastri».

   «Suvvia, non scimmiotti la sua sosia!» la esortò Rekker, impaziente. «Lei viene da una realtà in cui tradimenti e giochi di potere sono all’ordine del giorno, quindi capisce la situazione. Il suo interesse è collaborare con noi. In fondo, cosa deve a questi federali? Niente! L’hanno riempita di belle parole, ma intanto la tengono in cella. Qual è la sua pena?».

   Lyra perse d’un tratto la sua sicurezza. «L’ergastolo» mugugnò, fissando il pavimento grigio della prigione.

   «Allora non si lasci sfuggire quest’occasione. Se mi apre la Phoenix, non solo la porterò dove vuole, ma la compenserò tanto da farla vivere nel lusso per il resto dei suoi giorni» offrì Rekker, suadente.

   La mezza Vulcaniana tentennò. Quello era il suo sogno fin da quando era fuggita dal Comando Medico. Combattuta fra vecchi e nuovi desideri, Lyra cercò una ragione logica per rifiutare l’offerta. Non ci mise molto a trovarla. «Altro che libertà e lussi. Appena aprirò la navetta, lei mi sparerà in testa» sibilò acida.

   «Ne uscirà incolume, ha la mia parola» promise il Primarca.

   «Bella parola da traditore!» rispose Lyra a muso duro.

   Rekker sospirò, frustrato. «Lei mi delude, speravo fosse più ragionevole» disse. «Ma se le stanno a cuore i suoi carcerieri, è solo un motivo in più per collaborare. Se avrò la Phoenix in fretta, risparmierò l’Enterprise. Se invece dovrò studiarla, per entrare senza far danni... allora eliminerò ogni occupante di questa nave, civili compresi. A lei la scelta, ma decida in fretta!» minacciò, sfiorandosi il polso. Gli olo-comandi si attivarono: Rekker accostò il dito al tasto del teletrasporto. Stava per andarsene ed era chiaro che non sarebbe tornato.

   «Fermo!» gridò Lyra, alzando una mano. «Verrò con te, a patto che l’Enterprise sia salva. E voglio anche il resto: la libertà, un passaggio per il Quadrante Alfa e tanto latinum da fare la bella vita».

   «Vedo che ha ritrovato la logica» sogghignò Rekker, porgendole la mano.

   Lyra esitò un attimo, assalita da dubbi e preoccupazioni. Ma non poteva vacillare, ora che aveva accettato. Strinse la mano di Rekker, che immediatamente si premette l’olo-comando con l’altra. Svanirono entrambi nel teletrasporto bianco dei Proto-Umanoidi.

 

   T’Vala correva per i corridoi e le sale che continuavano a riconfigurarsi. Per avvicinarsi all’hangar 5 si basava sulle informazioni che Terry le forniva in tempo reale, aggiornando di continuo la mappa della nave. Ma anche così le capitava di passare più volte per gli stessi ambienti. Era come un incubo in cui si corre a più non posso, senza per questo farsi avanti. Anche se non cronometrava il tempo, la mezza Vulcaniana sapeva di essere terribilmente in ritardo.

   «Svolta a sinistra» le disse Terry dal comunicatore.

   «Non mi sembra di avvicinarmi» ansimò T’Vala. «Non c’è qualcun altro che possa arrivarci prima?».

   «Nessuno della squadra di Wu è autorizzato a entrare e io non posso cambiare le impostazioni d’ingresso dall’esterno» spiegò l’IA. «Quindi spetta a te distruggere la navetta».

   «Ricevuto» disse la mezza Vulcaniana, asciugandosi il sudore dalla fronte. In quella un manipolo di Distruttori sbucò da una curva del corridoio, pochi metri davanti a lei. Con riflessi fulminei, T’Vala ne abbatté uno e corse a rifugiarsi nella stanza più vicina, il cui ingresso si apriva proprio accanto a lei. Mentre lo varcava, un raggio disintegratore le passò tra i capelli. La timoniera sentì l’odore di bruciato; c’era mancato poco. Guardandosi attorno, scoprì d’essere finita nel laboratorio di astrometria, tre ponti più in basso rispetto a dov’era un attimo prima.

   Vedendo T’Vala rifugiarsi in una stanza, i Distruttori la rincorsero, decisi a finirla. La porta si chiuse dietro di lei, ma si riaprì subito al loro passaggio. Gli inseguitori si trovarono in sala mensa, cinque ponti più in alto. Esasperati, tornarono indietro. E furono travolti da un fiotto d’acqua proveniente dal ponte allagato.

 

   «Indietro!» disse Q, gridando per sovrastare il ruggito delle fiamme. Gli abitanti della Rete arretrarono precipitosamente, uscendo dalla fascia di prateria annerita, dove gli incendi controllati non avevano lasciato un solo filo d’erba. Il muro di fuoco avanzò sin lì... e si fermò. Tra i difensori si levarono fischi di vittoria. Anche Suspiria, che aveva lavorato con gli altri, si deterse il sudore dalla fonte, soddisfatta.

   «Aspettate a festeggiare...» disse Q, intuendo che non era ancora finita. Aveva ragione. L’incendio crebbe in altezza e si plasmò in due forme umanoidi, che lottavano furiosamente. Le fiamme dell’una erano dorate, quelle dell’altra color sangue. Suspiria riconobbe Sunny e Shado.

   «Non mi fermerete, insignificanti parassiti! La Rete è mia!» tuonò l’entità malefica, allungando una mano verso la folla mentre con l’altra respingeva Sunny. Agguantò un Q e lo sollevò, carbonizzandolo nella sua stretta. Quando fu ridotto a uno scheletro calcinato lo lasciò cadere a terra.

   I difensori di Exosia arretrarono, spaventati. Shado allungò ancora il braccio, cercando di ghermire Suspiria, ma all’ultimo Sunny riuscì a tirarlo indietro. La fiammata bruciacchiò comunque il vestito della Nacene e le lasciò un’ustione sulla guancia. Q le venne in soccorso, usando il suo cappello da contadino per spegnerle il principio d’incendio sull’orlo della gonna. Tossirono entrambi, mezzi asfissiati dal fumo.

   «Il fronte dell’incendio avanza ancora a est e sud!» avvertì il figlio di Q, giungendo di corsa. «Se qui la situazione è sotto controllo, mandateci qualcuno».

   «Non credo sia sotto controllo» ansimò Q. Si passò un fazzoletto sul volto sporco e sudato, poi corse fra i suoi, per coordinare meglio gli sforzi. Anche Junior prese un fazzoletto, lo inumidì e lo passò sul viso di Suspiria, per pulire l’ustione.

   «Dopo» disse la Nacene, respingendo l’aiuto. «Ora non possiamo fermarci».

   Un grido richiamò la loro attenzione: un altro difensore era stato colpito da uno sbuffo infuocato di Shado. Avvolto dalle fiamme, il poveretto non volle appiccare ulteriori incendi correndo alla cieca, per cui si buttò in avanti, scomparendo nel rogo. Suspiria e Junior si scambiarono un’occhiata cupa e tornarono al lavoro.

 

   Tossendo per le esalazioni dei condotti esplosi, Grenk si aggirava in sala macchine, cercando di spremere ogni joule d’energia dal nucleo quantico. Quando la gondola si era staccata, provocando guasti a catena, i sistemi di sicurezza avevano portato l’energia al minimo, per evitare sovraccarichi. Ora bisognava ridare potenza all’Enterprise. Ciò significava dirottare l’energia nei condotti secondari, spegnere i sistemi non essenziali e aggirare i protocolli di sicurezza, portando gli impianti ai limiti di tolleranza. C’era una sottile zona grigia, fra “energia insufficiente” e “sovraccarico fatale”, in cui l’Ingegnere Capo si stava barcamenando. Nel frattempo dava fondo alla sua riserva d’imprecazioni.

   «Iniettori del plasma operativi... alla faccia di quei pezzi di dren. Dilitio ricristallizzato... frell, vorrei avere fra le mani chi ti ha ridotta così! Flusso d’antimateria stabile... yotz, le taglierei a loro, le gambe!» borbottò il Tellarita, rivolgendosi alla nave mentre completava il check-up.

   «Così va meglio» disse Terry, riuscendo a materializzarsi in sala macchine. «Sono pronta a riaccendere il nucleo».

   «Un’altra accensione a freddo, eh? Come a Stigia» sospirò Grenk, ricordando malvolentieri quella battaglia disastrosa.

   «Stavolta andrà meglio. Ho riscritto le mie sequenze d’attivazione per farlo in metà del tempo» spiegò Terry, mentre il nucleo s’illuminava alle sue spalle.

   «Tu... hai riscritto le tue sequenze?!» si allarmò Grenk. «Dovrebbe essere impossibile. E perché non mi hai informato?».

   «Sono stati giorni convulsi, mi è mancato il tempo» si scusò Terry, per nulla convincente. «Ma non temere, la nave reggerà».

   «La nave? Ricordo quando ne parlavi in prima persona» notò l’Ingegnere Capo, squadrandola con gli occhietti cisposi. Terry non rispose.

   «Plancia a sala macchine, ci serve più energia, e ci serve subito!» disse Chase dal comunicatore.

   «Continuare a ricordarmelo non mi fa lavorare più in fretta, Capitano» ribatté il Tellarita, correndo a un altro pannello.

   «Stavolta ci serve davvero uno dei suoi miracoli, Grenk» insisté il Capitano. «E c’è un’altra cosa: dobbiamo sigillare il tunnel spaziale, prima che Shado ritorni».

   Terry s’irrigidì, sapendo che bandire Shado significava fare lo stesso anche a Sunny, ma si dominò e non disse nulla.

   «Che?! No, è fuori discussione!» insorse l’Ingegnere. «Ci vorranno giorni prima di poter incanalare così tanta energia nel deflettore!».

   «Allora trovi un altro modo. M’informi appena lo saprà. Chase, chiudo».

   «Ah, i Capitani!» si lamentò l’Ingegnere, mentre inseriva alcune istruzioni su una consolle. «Credono che ci basti premere un tasto per avere energia dal nulla. Sono tre miliardi di terajoules... dove li trovo?». Fece per correre verso uno schermo sulla parete, ma Terry lo prese per un braccio.

   «Devi evacuare questa stanza» disse tono d’urgenza. «C’è un drappello di Distruttori qua fuori. Ho bloccato l’ingresso, ma con le loro armi non impiegheranno molto a farlo saltare» spiegò, accennando al portone principale.

   «Ma non possiamo lasciargli il controllo della sale macchine!» protestò Grenk.

   «No, non possiamo» convenne Terry, squadrando un condotto esploso accanto al nucleo quantico.

 

   «Ci siamo» disse Fanior, riconoscendo l’ingresso dell’infermeria principale. Un drappello di guardie la presidiava. Vedendo avvicinarsi il Kelvano con la dottoressa in braccio, si scostarono per farli passare. Alla retroguardia, Lantora teneva d’occhio il corridoio, con il fucile spianato.

   «Portami dentro, presto» gemette Neelah, con la vista annebbiata dal dolore. Sembrava proprio che Jaylah avesse fretta di nascere. Entrarono di corsa.

   «Ah, eccovi!» li accolse con sollievo la dottoressa Vash’Tot. Avvisata da Terry, era già pronta con una squadra medica. «Venite» disse, affrettandosi verso il reparto maternità.

   Prima che Fanior ve la portasse, Lantora si accostò a Neelah. «Io devo andare... non temere, le guardie all’ingresso vi proteggeranno» disse.

   «Lo so... vai da T’Vala» annuì l’Aenar. «E stai attento a Lyra... i Distruttori potrebbero usarla per aprire la Phoenix». Una nuova contrazione le strappò un lamento.

   «Frell, non ci avevo pensato». Lo Xindi si precipitò fuori dall’infermeria, premendosi il comunicatore. «Lantora a prigioni. Lyra è sempre lì?» chiese con ansia.

   «Negativo... è stata prelevata da un Distruttore» riferì il sorvegliante. «La stiamo cercando, ma non rileviamo neanche il micro-segnalatore che le avevano impiantato. O non è a bordo, o le anomalie impediscono di rilevarla. Oppure i Distruttori le hanno rimosso il segnalatore».

   L’Ufficiale Tattico ebbe un moto di stizza. Non si era mai fidato di Lyra, malgrado T’Vala cercasse di convincerlo che era cambiata. Ora trovava conferma ai suoi sospetti. «Lantora a Sicurezza, Lyra è evasa ed è in combutta coi Distruttori. Cercatela, dobbiamo fermarla a ogni costo» ordinò. «Ma state attenti a non colpire T’Vala!» aggiunse, sapendo che era difficile distinguerle. Sperò che Lyra non trovasse un’uniforme: finché indossava la tuta da carcerata potevano riconoscerla. Corse verso l’hangar 5, sperando di arrivare in tempo; ma aveva fatto poca strada che si trovò davanti una barriera d’energia verdastra.

   «Terry a Lantora, stai per entrare nella zona riconfigurata» lo avvertì l’IA. «Cercherò di guidarti, ma ti avverto che la nave cambia molto in fretta. Trovare l’hangar è più questione di fortuna che d’altro».

   «Frell, ci mancava questa!» imprecò Lantora, varcando la barriera verde. Seguendo le indicazioni di Terry, aveva già regolato il fucile phaser affinché superasse gli scudi dei Distruttori. Con quel settaggio non poteva stordire i nemici, ma solo ucciderli. «E lo farò» si disse, correndo lungo i corridoi e le sale assurdamente contorti. Avrebbe difeso l’Enterprise e la sua famiglia, a qualunque costo.

 

   Sotto il fuoco concentrato dei disintegratori, il portone corazzato della sala macchine andò in pezzi. Venti Distruttori entrarono con le armi spianate, guidati da Wuluw. Trovarono consolle annerite, condotti esplosi e cavi che pendevano dal soffitto, il tutto immerso nella penombra. Il salone era deserto, tranne una tozza figura che si stagliava contro il nucleo quantico in fase di riavvio. Grenk attendeva i Distruttori, dando loro temerariamente le spalle. «Siete arrivati, finalmente» li salutò. «Ho sentito che avete problemi d’orientamento» aggiunse sardonico.

   «Controllare la sala macchine ci aiuterà a risolverli» ribatté Wuluw, prendendolo di mira. Rekker lo aveva informato che non avevano più bisogno dell’Ingegnere per accedere alla Phoenix.

   «Non vi ho dato il controllo» disse Grenk, senza nemmeno voltarsi.

   «Non l’ho chiesto» ribatté il Distruttore, e gli sparò nella schiena. Grenk cadde senza un lamento. «Al lavoro, dobbiamo disattivare l’energia prima che l’Enterprise abbia di nuovo le armi» ordinò il Generale. I Distruttori andarono alle consolle, ma le trovarono tutte disattivate.

   «Come ho detto, non avete il controllo» disse Grenk, rialzandosi. Aveva ancora una chiazza nera sulla schiena, là dove il raggio mortale l’aveva colpito. Si udì un suono metallico, come se una valvola si fosse aperta.

   «E io ti ho detto che non l’ho chiesto» ripeté Wuluw, celando la meraviglia. Regolò la sua arma su un settaggio più alto e lo colpì di nuovo, stavolta in pieno petto. Il Tellarita fu disintegrato.

   «Voi Distruttori siete duri di comprendonio» disse la voce di Grenk, venendo da chissà dove.

   «Che scherzo è questo?!» chiese il Generale con voce strozzata. Lui e i soldati si guardarono attorno inquieti, cercando il Tellarita negli anfratti bui del salone. Non fecero caso al fumo verdastro che usciva da un condotto spaccato, vicino al nucleo.

   «Nessuno scherzo, Distruttori. Venire qui è stata l’ultima delle vostre pessime idee» rispose la voce senza corpo. Stava cambiando timbro, diventando sempre più femminile. Wuluw la riconobbe: era la voce di Terry. Un campo di forza sostituì il portone in frantumi, imprigionando i Distruttori in sala macchine. Nello stesso momento il gas verdastro uscì a fiotti dal condotto lesionato. I Distruttori gridarono e caddero a terra, assaliti da dolori atroci. Con orrore, videro le loro carni corrodersi a vista d’occhio.

   «Refrigerante!» boccheggiò Wuluw.

   «Sì, del tipo che corrode i tessuti organici» confermò Terry, apparendo davanti a lui. Non aveva più bisogno d’imitare Grenk, che in quel momento si era nascosto con gli altri ingegneri nella saletta del propulsore cronografico. Aveva regolato la sua proiezione per rendersi immune agli agenti corrosivi. «Vi sono state offerte molte occasioni di andarvene, ma siete incorreggibili» disse l’IA, gelida. Attorno a lei i Distruttori si rotolavano sul pavimento, incapaci di rialzarsi, mentre il gas gli divorava le carni. Cercarono di attivarsi gli impianti nel braccio, per teletrasportarsi via, ma il danno organico era già così grave da metterli fuori uso.

   «Maledetta!» rantolò Wuluw. Riuscì a rialzarsi in ginocchio e sparò un colpo contro il nucleo quantico, sperando di far esplodere la nave. Terry lo aveva previsto: un campo di forza assorbì il colpo. Il Generale aumentò ulteriormente la potenza dell’arma, ma l’IA gli fu addosso prima che potesse sparare ancora. Dopo una breve colluttazione, Terry disarmò Wuluw e lo rovesciò a terra con un calcio. Indietreggiò di qualche passo, mentre il Generale e i suoi soldati si contorcevano nell’agonia. I loro tessuti si sciolsero, staccandosi dalle ossa come cera fusa e mettendo a nudo gli scheletri.

   Quando le ultime carni si furono dissolte, Terry interruppe l’afflusso di refrigerante. Poi attivò le ventole d’emergenza, poste raso terra, per risucchiarlo. Dopo aver analizzato l’atmosfera, accertandosi che non ci fosse più traccia di gas, andò a liberare gli ingegneri. «Il pericolo è passato» disse stancamente, aprendo la camera cronografica.

   Grenk avanzò con cautela fra gli scheletri dei Distruttori, le sole parti del corpo non completamente disintegrate. «Brutta fine» commentò, scuotendo la testa. «Tu come stai?» le chiese, temendo che quell’azione cruenta avesse leso il suo equilibrio mentale, già fin troppo precario.

   «Sto bene... starò bene» si corresse Terry. «Fra un minuto avremo di nuovo l’energia» disse accennando al nucleo quantico, che aveva quasi terminato la riaccensione.

   «Ma non tanto da attivare il deflettore» disse Grenk, leggendo i dati su una consolle appena riaccesa.

   «No» confermò l’IA, inespressiva.

   Grenk la squadrò in silenzio per qualche secondo. «Dov’è T’Vala?» chiese inaspettatamente.

   «È quasi arrivata all’hangar 5, perché?» chiese Terry, guardandolo con sospetto.

   Il Tellarita rimuginò, visibilmente combattuto. Poi, senza risponderle, si premette il comunicatore. «Grenk a T’Vala, non distruggere la Phoenix!» ordinò.

   «Perché?» chiese la mezza Vulcaniana.

   «Dobbiamo portarla nel wormhole. L’esplosione del nucleo temporale creerà un’onda tachionica che lo destabilizzerà, facendolo collassare» spiegò l’Ingegnere Capo tutto d’un fiato.

   «Il pilota automatico può portare la Phoenix nel tunnel, ma non ci sono procedure per sovraccaricare il nucleo» ricordò T’Vala. «Dovrò farlo io».

   «No!» gridò il Tellarita. «Ti ho avvisata solo per non farti sprecare la navetta, ma non ti devi sacrificare. Aspettami, so io come intervenire sul nucleo per mandarlo in sovraccarico. Mi bastano pochi minuti».

   «Ci metterai di più a trovare l’hangar 5» rispose la timoniera con amarezza. «Addio, Grenk. Dì a Lantora che lo amo tantissimo. T’Vala, chiudo».

   «No, aspetta...». Grenk vacillò, vedendo concretizzarsi il suo timore.

   «Perché non mi hai consultata? Ti avrei detto di non farlo... ora la logica di T’Vala la costringe a sacrificarsi!» accusò Terry.

   «Sapevo che poteva accadere» disse Grenk, guardandola truce. «Ma se ti avessi avvisata, tu mi avresti impedito di contattarla. Non per salvare lei... ma per salvare Sunny. E così Shado sarebbe tornato».

   «Siete tutti contro di me!» sibilò Terry, mentre un bagliore rosso le invadeva gli occhi. La proiezione isomorfa svanì, mentre la luce e il ronzio del nucleo salivano di tono, segnalando che l’Enterprise aveva di nuovo l’energia. L’Ingegnere Capo avrebbe dovuto rallegrarsene, invece sentì le gambe che gli tremavano. Avere l’astronave operativa, mentre Terry era in quello stato, non era un bene.

 

   I Distruttori avanzarono nell’hangar 5 con le armi spianate, calpestando i cadaveri dei federali. I Corpi Speciali avevano resistito fino all’ultimo: ciascuno di loro aveva strappato la vita a tre o quattro nemici in cambio della propria. Ma ora giacevano tutti a terra, compreso il Maggiore Wu, l’ultimo a cadere. I Distruttori, invece, erano ancora in cinque. Una rapida ispezione dell’hangar confermò loro che non c’erano altri difensori. La Phoenix giaceva davanti a loro, con lo scafo geometrico che luccicava come madreperla. La porta sul retro era chiusa.

   «Fate presto» disse il caposquadra, sorvegliando l’ingresso. I suoi sottoposti piazzarono a terra quattro piccoli dispositivi cilindrici, sistemandoli come i vertici di un quadrato. Dopo averli attivati indietreggiarono di qualche passo. I dispositivi ronzarono e si aprirono in sommità, facendo uscire delle antenne telescopiche, che s’innalzarono fino a due metri d’altezza.

   «Squadra 13 a Primarca Rekker, siamo in posizione e abbiamo piazzato gli intensificatori di teletrasporto» disse il caposquadra, parlando nel micro-comunicatore impiantato nel polso. «Ora può venire».

   Gli intensificatori s’illuminarono, creando un campo di stabilità che contrastava la torsione spaziale e permetteva l’aggancio del teletrasporto. Anche così, il trasferimento fu assai più lento del solito. Due sagome bianche apparvero nel campo degli intensificatori, ma solo una aveva il cranio allungato dei Proto-Umanoidi. I Distruttori levarono le armi, inquieti: non si aspettavano che Rekker portasse con sé un alieno.

   Approfittando della loro distrazione, il Maggiore Wu – riverso al suolo sul corpo di un commilitone – aprì gli occhi e li mise a fuoco, attraverso la nebbia del dolore. Aveva il fianco squarciato da un colpo di disintegratore, ma era ancora vivo. Le nanosonde che Neelah gli aveva iniettato, in previsione di un momento come quello, stavano suturando la ferita. Il Maggiore non sapeva se sarebbe sopravvissuto, ma di una cosa era certo: prima di andarsene avrebbe sparato ancora qualche colpo. Accertatosi che nessuno stesse guardando nella sua direzione, mosse lentamente il braccio verso il fucile phaser che giaceva lì vicino. La sua mano si strinse sull’impugnatura. Sopportando le fitte di dolore senza emettere un lamento, l’Umano si preparò a sparare.

   Le due sagome bianche terminarono di materializzarsi: erano Rekker e Lyra. «Ce ne avete messo di tempo» disse il Primarca, uscendo dalla zona degli intensificatori. «Come, siete solo in cinque?!» si stupì.

   «I federali hanno opposto una dura resistenza» si giustificò il caposquadra. «Lei chi è?» chiese, tenendo Lyra sotto tiro.

   «Quella che ci aprirà la navetta... se non vuol finire come questi stolti» disse Rekker, accennando ai cadaveri che ingombravano il pavimento. Wu chiuse gli occhi e s’immobilizzò, non volendo farsi scoprire. Ma il suo movimento non era sfuggito a Lyra. Concentrandosi, la mezza Vulcaniana percepì i suoi pensieri, ottenendo la conferma che il Maggiore era ancora vigile.

   «C’è qualche problema?» chiese Rekker, notando che Lyra si era immobilizzata.

   «Mi sento disorientata... forse è l’effetto della torsione» mentì la mezza Vulcaniana, proteggendo il Maggiore.

   «Attenta... se cerchi di farci perdere tempo, straccerò il nostro accordo» minacciò Rekker.

   Riluttante, Lyra si accostò alla poppa esagonale della Phoenix. Con i Distruttori che la circondavano, tenendola sotto tiro, ogni tentativo di fuggire o prendere un’arma era inutile. Solo se il Maggiore li avesse attaccati alle spalle, distraendoli, poteva tentare. Altrimenti non le restava che tener fede all’accordo. La mezza Vulcaniana alzò lentamente la mano, avvicinandola al lettore di DNA. Al tempo stesso ragionò sui possibili esiti. Se riusciva ad aprire la porta – com’era probabile – Rekker non avrebbe più avuto bisogno di lei. Il Primarca aveva promesso di risparmiarla, ma... poteva fidarsi della sua parola? La logica le disse di no. Ottenuta la Phoenix, i Distruttori l’avrebbero uccisa all’istante. E ben difficilmente avrebbero risparmiato l’Enterprise. Collaborando con loro non avrebbe salvato nessuno, anzi gli avrebbe dato la possibilità di nuocere ancora di più.

   «Aprila, presto!» ordinò Rekker, la voce tagliente come un rasoio.

   Lyra si preparò a scattare contro di lui, pur sapendo che l’avrebbero uccisa prima che arrivasse a mettergli le mani addosso. Ma il sibilo dell’ingresso l’avvertì che la situazione era cambiata.

   T’Vala irruppe nell’hangar, sparando ai Distruttori. Ne centrò uno, evitò i raggi disgreganti facendo una capriola a terra, si rialzò e ne abbatté un altro. Subito dopo mirò a Rekker, ma questi sparò per primo. Colpita di striscio, T’Vala si accasciò davanti al portone.

   Nello stesso momento anche Wu aprì il fuoco contro gli invasori, sebbene la ferita gli impedisse di alzarsi. Riuscì a ucciderne due, prima che il caposquadra lo colpisse in pieno petto con una scarica letale. La distrazione permise a Lyra di afferrare il Distruttore alle spalle, bloccandogli le braccia. Furiosa, gli sbatté la testa contro uno spigolo della Phoenix, più volte, fino a fracassargli il cranio. Presa la sua arma, si rivolse a Rekker, l’ultimo Distruttore rimasto. Gli mirò al petto.

   «Questo è per T’Vala» disse, e premette il grilletto. Non accadde nulla.

   «Anche le nostre armi hanno un lettore di             DNA, stupida» sogghignò Rekker, e le sparò a una gamba.

   Lyra cadde a terra, dolorante, ma non tanto quanto si aspettava. «Spari per stordire» comprese. Guardò T’Vala, accasciata a terra qualche metro più in là, augurandosi che anche lei fosse solo paralizzata.

   «Certo, non mi sognerei mai di uccidervi prima che abbiate aperto quella dannata navetta» confermò il Primarca. Senza perdere di vista Lyra, andò da T’Vala e le sottrasse l’arma. La timoniera, colpita di striscio dal raggio stordente, cominciava già a riprendersi.

   «Avvicinatevi» ordinò Rekker, che voleva tenerle sotto tiro più facilmente.

   Non riuscendo a camminare, per via dei colpi ricevuti, le sosia furono costrette ad arrancare a terra. Quando furono l’una accanto all’altra ricaddero sul pavimento, esauste e doloranti.

   «Li stavi aiutando?» chiese T’Vala. La delusione nel suo sguardo era peggio della collera.

   «Volevo solo uscire di cella... non gli avrei mai consegnato la Phoenix, devi credermi...» farfugliò Lyra, suonando patetica anche a se stessa.

   «Ti ho vista coi miei occhi» disse T’Vala, glaciale. «Ho sbagliato a fidarmi di te. Ha ragione Lantora... voi dello Specchio siete incorreggibili».

   Lyra abbassò lo sguardo, trattenendo a stento le lacrime. Le parole della “sorella” erano come una pugnalata.

   «Che bel quadretto familiare!» le canzonò Rekker, regolando la propria arma. «Signore, vi avverto che il prossimo colpo sarà letale. La domanda è: chi se lo beccherà?» chiese, mirando prima all’una e poi all’altra.

   «Non aprirò mai la Phoenix, né per salvare la mia vita, né per la sua» disse gelidamente T’Vala, accennando alla sosia.

   «Lo stesso vale per me» si affrettò a dire Lyra, sperando di riguadagnare la sua fiducia. T’Vala la guardò incerta, chiedendosi se fosse sincera.

   «Mai dire mai» corresse il Primarca, fissando sinistramente T’Vala. «Prima che iniziasse questo finimondo ho fatto una chiacchierata con un tipo molto devoto a Sunny... e quindi a noi Precursori. È stato lui a dirmi che sei abilitata a entrare nella Phoenix. E a spiegarmi come ottenere la tua collaborazione. Conosci il Priore Anjou?» chiese, premendosi un olo-comando sul polso.

   Gli intensificatori di teletrasporto si attivarono e il raggio bianco illuminò l’hangar, precisandosi gradualmente in una figura umanoide. Il leader dei Figli della Luce si fece avanti, col medaglione d’oro che si confondeva sulle vesti dello stesso colore. Tra le braccia reggeva un bambino piccolo. T’Vala riconobbe con orrore suo figlio e si sentì mancare. Fino all’ultimo aveva sperato che Vrel rimanesse al sicuro.

   «Tenente Shil... mi spiace incontrarla in queste circostanze» disse Anjou, addolorato. «Ma questo è il risultato della sua cieca ostinazione. Ora le chiedo di aprirci la navetta. O i suoi peccati ricadranno su suo figlio» minacciò. Estrasse un disintegratore, uguale a quello di Rekker, e lo puntò alla testa del bimbo.

   T’Vala tacque, annientata. Al suo posto rispose Lyra. «Vigliacco! Ti definisci un uomo di pace e vuoi uccidere un innocente?!» gridò.

   «Non voglio affatto» corresse Anjou. «Ma devo pensare alla salvezza delle vostre anime. Inclusa quella del bambino» spiegò, sempre tenendogli l’arma puntata alla testa. La minima contrazione del dito avrebbe fatto partire il colpo.

   «Non ucciderlo» disse T’Vala con voce incrinata. Alzò gli occhi sul Triannon: erano arrossati e colmi di lacrime. «Qualunque cosa tu creda, qualunque cosa tu voglia, non uccidere mio figlio. Uccidi me, se ti piace. Ma lascia stare lui».

   «Mi creda, nulla mi renderebbe più felice che restituirle questa creatura» disse Anjou, e T’Vala lesse la sincerità nella sua mente. «Ma prima deve aprire la navetta. Tutto dipende da questo. Allora, lo farà?» chiese pacato, chinandosi leggermente su T’Vala.

   La mezza Vulcaniana chinò il capo, singhiozzando. Sapeva cosa sarebbe accaduto, consegnando la tecnologia temporale ai Distruttori. Sarebbero tornati indietro fino a quel momento, negli abissi del tempo, in cui i loro avi avevano deciso di creare altre specie. Gli avrebbero rivelato tutte le disgrazie che li attendevano, convincendoli a desistere. Avrebbero cancellato dalla Storia tutte le stirpi più giovani. Siccome Anjou attendeva ancora la sua risposta, T’Vala alzò il viso bagnato di lacrime. Non riuscendo a parlare, scosse il capo in un cenno appena percettibile di diniego.

   «Lei è un mostro» disse il Triannon, osservandola con commiserazione. «Vuole sacrificare suo figlio sull’altare della sua ideologia. Che squallore... credevo che tutti potessero redimersi, ma lei è oltre ogni speranza».

   «Sei tu che gli punti un’arma alla testa» riuscì a dire T’Vala, sebbene tremasse tanto da balbettare.

   «Sono al servizio dell’Aureo e questo mi assolve da ogni colpa» rispose serenamente Anjou. «Se anche ci fosse peccato, sarà Lui a farsene carico».

   «Se Sunny sopravvive, ti tratterà come l’infanticida che sei» mormorò T’Vala, il viso solcato di lacrime.

   «Cerco solo di aiutare le forze della Luce a sconfiggere Shado. Come fai a non capirlo, sciagurata?!» inveì il Triannon.

   «Su, forza, non abbiamo tutto il giorno!» s’intromise Rekker, impaziente. Temeva che altre squadre della Sicurezza li sorprendessero. Peggio ancora, aveva contattato la sua flotta, scoprendo che ormai era in rotta: gli ufficiali rifiutavano persino di mandargli rinforzi. «Se non collaborano, sbarazzati di loro. Ci riproveremo con qualcun altro».

   «È proprio indispensabile?» chiese Anjou.

   «Se avessi fede nell’Aureo, non mi faresti neanche questa domanda» rispose perfidamente il Primarca.

   «La mia fede è fuori discussione... va bene, allora» disse il Triannon, raccogliendo le forze. «Guardami, T’Vala. Guarda come la tua empietà ricade su tuo figlio» disse con fermezza. Usò la punta del piede per rialzarle il mento, affinché vedesse.

   «Dici di volerti opporre a Shado, e non ti avvedi che sei suo servitore!» gridò T’Vala, le parole come un fiotto di sangue.

   «Santo è l’Aureo, e io sono il suo Emissario» cantilenò Anjou. Per proteggersi dagli effetti del disgregatore decise di lasciare il bimbo. Lo scaraventò verso sua madre, che scattò in avanti, prendendolo al volo. T’Vala strinse a sé il figlio e si girò, facendogli da scudo. Ma sapeva che l’arma dei Distruttori avrebbe vaporizzato entrambi. Anjou li prese accuratamente di mira. Non c’era il minimo dubbio in lui: quello era il suo contributo alla lotta contro l’Oscurità.

 

   «Frell, questi corridoi non finiscono mai?!» imprecò Lantora. Si era fatto strada combattendo da un ponte all’altro, in testa a una squadra della Sicurezza. Molti Distruttori giacevano senza vita dietro di loro, come anche molti federali, caduti nella lotta. Ma la torsione spaziale che deformava l’Enterprise gli impediva ancora di raggiungere l’hangar 5.

   «Se la nave continua a cambiare, non arriveremo mai» commentò una guardia.

   «Vediamo se ci siamo avvicinati, almeno» mugugnò lo Xindi. «Occhio in modalità sensore». Chiuse l’occhio destro, mentre il sinistro – quello artificiale – eseguiva il comando. Di colpo le paratie divennero trasparenti. Lantora ne vedeva ancora i contorni, ma poteva guardarci attraverso, fino a notevole distanza. Nei corridoi si affrontavano Distruttori e federali, visibili come sagome azzurrine, dai lineamenti appena riconoscibili. L’Ufficiale Tattico non si soffermò sugli scontri. Si guardò attorno finché vide l’hangar 5, in fondo a una lunga successione di porte. Di regola quell’hangar si apriva su un corridoio, per cui era dirimpetto al muro. Ma con le sale e i corridoi alterati dalla torsione spaziale, ora aveva un ingresso che gli si apriva proprio di fronte. Era l’occasione perfetta: Lantora poteva raggiungerlo semplicemente camminando in linea retta.

   «Amplifica» ordinò lo Xindi, per controllare la situazione all’interno. Il suo occhio artificiale ronzò, aumentando la risoluzione. Lantora ebbe l’impressione di precipitare verso l’hangar. Vide attraverso il portone... e si sentì morire. Sua moglie era inginocchiata a terra, come anche Lyra. Davanti a loro c’erano un Distruttore e... Anjou, a giudicare dalle vesti larghe. Gli vide persino il medaglione, che spiccava più scuro sul petto, a causa della maggior densità dell’oro.

   Con orrore, Lantora si accorse che il Triannon aveva un bimbo in braccio e lo stava minacciando con un’arma. Se stava ricattando T’Vala... allora il piccolo non poteva che essere Vrel. L’Ufficiale Tattico pensò di precipitarsi in avanti, ma scartò subito quest’idea. La distanza era troppa, Anjou avrebbe sparato prima che lui lo raggiungesse. E l’Enterprise poteva cambiare ancora, chiudendogli il tragitto. Aveva pochi secondi per agire.

   «Terry, spalanca tutte le porte della nave» ordinò lo Xindi, settando il fucile in modalità cecchino.

   «Perché?!» chiese l’IA.

   «Uccideranno mio figlio. Aprile e basta!» gridò Lantora, inginocchiandosi nella posizione da tiratore. Vide Anjou gettare Vrel a T’Vala, che lo prese al volo e si girò, facendo da scudo.

   Con il nucleo quantico riattivato, Terry aveva ripreso il controllo di quasi tutti i sistemi. Gli ingressi erano tra questi. Li aprì tutti, compresi quelli allineati fra Lantora e Anjou. Una lunga successione di porte si aprì nel medesimo istante, liberando la linea di tiro. Un secondo dopo, Lantora premette il grilletto.

 

   Il sibilo dell’ingresso distrasse Anjou un attimo prima che premesse il grilletto. Il Triannon si volse immediatamente alla porta, per uccidere chiunque stesse entrando, ma con sgomento non vide nessuno. C’era solo una lunghissima successione di porte, incorniciate una nell’altra, come in un gioco di specchi. Si aprivano nella parete opposta del corridoio: un’assurdità, visto che lì doveva esserci il muro. E in fondo alle porte c’era una figura inginocchiata, troppo distante per riconoscerla. Il Triannon pensò di sparare ugualmente, ma prima che potesse mirare fu colto in pieno petto da un raggio phaser ad alta energia. Il colpo gli disintegrò il medaglione – il sacro medaglione contenente le leggi dell’Aureo. Con stupore, Anjou vide allargarsi la chiazza della disintegrazione sul suo petto. Tempo un secondo e ne fu consumato. Il suo ultimo pensiero fu che moriva da martire.

   «No!» gridò Rekker, vedendo svanire il suo alleato e con esso le speranze di vittoria. Fece per colpire T’Vala e Vrel, ma Lyra si rialzò e gli fece volare via l’arma con un calcio. L’attimo dopo, anche lui fu disintegrato da Lantora con un preciso colpo da cecchino. Il suo urlo rabbioso si spense nello sfrigolio di tessuti vaporizzati. A pochi metri di distanza, la Phoenix giaceva inviolata.

 

   «Stai bene?» chiese Lyra, accostandosi alla sosia.

   «Sì... ma non è finita, purtroppo» rispose T’Vala.

   «Che intendi?».

   «Non devo semplicemente distruggere la Phoenix. Devo portarla nel wormhole e far esplodere il nucleo temporale... solo così potremo chiudere il tunnel prima che Shado ritorni» spiegò T’Vala, rialzandosi a fatica con il figlio in braccio. «Darò Vrel a Lantora e poi... devo chiederti di distrarlo, mentre salgo a bordo».

   «Sì... dammi solo il tempo di levare questi, prima che arrivino altri Distruttori» disse Lyra, zoppicando verso gli intensificatori di teletrasporto. Li rovesciò a terra e li richiuse, per poi gettarli lontano.

   T’Vala non le badò: arrancò verso Lantora, che a sua volta le correva incontro. Si raggiunsero verso la fine del corridoio creato dalla torsione e si abbracciarono, con le lacrime agli occhi. Confuso da tutti quegli sballottamenti, Vrel cominciò a piangere.

   «Sssshhhh... va tutto bene» disse Lantora, carezzandolo. «Tu e la mamma siete al sicuro, ora». Ma così dicendo, si accorse che T’Vala era tutt’altro che sollevata. «Ehi, che succede? Sei ferita?» si preoccupò.

   «No, era solo un colpo stordente» mormorò T’Vala, ancora debole. Guardando il marito e il figlio, sentì come una stilettata al cuore, al pensiero di perderli. Si sforzò di ragionare secondo logica: il bene dei molti travalicava quello dei pochi, quindi doveva andare. «Prendilo» disse, porgendo il bimbo a Lantora.

   Lo Xindi non se l’aspettava, ma cedette il fucile phaser a un sottoposto per prendere in braccio il figlio. «Che hai? Lo capisco che c’è ancora un problema» disse, con uno sguardo che esigeva una risposta immediata.

   «Lantora, io... devo andare...» cominciò T’Vala, maledicendo Lyra per la sua mancata collaborazione. Ma vide gli occhi di Lantora spalancarsi, pieni di uno stupore che divenne subito collera.

   «Traditrice!» gridò lo Xindi, fissando qualcuno alle sue spalle. Le restituì bruscamente il bimbo e imbracciò di nuovo il fucile phaser. T’Vala si girò, confusa, e vide qualcosa che la raggelò. Lyra aveva aperto la Phoenix e vi stava entrando. Dunque la sua natura egoista e ingannatrice aveva preso ancora una volta il sopravvento. Voleva fuggire con la navetta temporale, abbandonandoli alla vendetta di Shado.

   La sosia dello Specchio si voltò, indugiando sulla porticina. Il suo sguardo incontrò quello di T’Vala, solo per un istante. Vedendo Lantora che imbracciava il fucile, entrò del tutto e chiuse l’ingresso. Appena in tempo. Il raggio phaser colpì il retro della navetta, senza provocare gravi danni. Lantora corse verso l’hangar 5, ma dovette fermarsi dopo pochi metri: un muro si era riformato davanti a lui, per via della torsione. La strada per la Phoenix era chiusa.

   «NO!» gridò lo Xindi, dando un pugno sulla paratia. «Ora non la prenderemo più!».

   «C’è di peggio» rivelò T’Vala, venendogli accanto. «La Phoenix ci serviva per chiudere il wormhole, visto che non possiamo farlo col deflettore». Mentre parlava cullò Vrel, perché smettesse di piangere.

   «Si può farlo col pilota automatico?» chiese Lantora, agitatissimo. T’Vala non rispose e anzi distolse lo sguardo, confermando i suoi timori. Non sapendo se essere sollevato o meno dall’azione di Lyra, lo Xindi guardò attraverso il muro con il suo occhio artificiale. La Phoenix si stava alzando in volo e non c’era modo di raggiungerla in tempo.

 

   Terry si aggirava sulla plancia dell’Enterprise come un animale in gabbia. D’un tratto alzò la testa. «I Distruttori si ritirano» disse. «Rilevo centinaia di teletrasporti dalle zone non soggette alla torsione spaziale. Ma da quelle trasformate i Distruttori non riescono a partire».

   «Allora aiutiamoli» disse Chase, ansioso di liberare la nave. «Se i motori a impulso sono di nuovo in linea, usciamo dalla torsione».

   «Lo sono» confermò Ilia, che aveva sostituito T’Vala al timone. La Trill fece avanzare adagio l’Enterprise, sottraendola all’anomalia. Man mano che ne usciva, lo scafo riprendeva la forma originale, finché la nave tornò alla normalità, salvo per la gondola perduta. «Ecco, siamo fuori» disse la Comandante.

   «I miei sensori sono tornati a piena efficienza» informò Terry. «Confermo che sia lo scafo, sia gli interni hanno ripreso la configurazione originale. E gli ultimi Distruttori ci stanno lasciando... ecco, sono andati tutti».

   «Su gli scudi» ordinò il Capitano.

   «Scudi alzati all’80%» riferì l’IA. «Permesso di colpire il nemico?».

   «Non ancora» disse Chase, osservando l’ammiraglia dei Distruttori, inquadrata sullo schermo. La grande astronave era circondata dai vascelli dei Preservatori. I suoi scudi stavano cedendo e le prime esplosioni segnavano lo scafo. Ma al Capitano non interessava finirla: il problema era un altro. «Chase a T’Vala, rapporto» ordinò, premendosi il comunicatore. Grenk l’aveva informato della sua idea per chiudere il tunnel, ma il Capitano non voleva sacrificare né lei, né altri.

   «Ho fallito, Capitano. Mi dispiace» rispose la timoniera. In quella l’Enterprise subì un altro, violento scossone.

   «La Phoenix ha aperto il fuoco contro il portello dell’hangar» informò Terry. «Lo ha distrutto e sta uscendo». Inquadrò sullo schermo la navicella opalescente.

   «Se T’Vala è qui, chi c’è alla guida?» si allarmò il Capitano.

   «Lyra» disse Terry. «Ma non farà molta strada. Il raggio traente è operativo». Così dicendo agganciò la navetta in fuga, modulando la frequenza del raggio per fare presa sullo scafo in tritanio plastificato. Ironicamente i Distruttori ignorarono la Phoenix proprio ora che ce l’avevano sotto al naso. La loro flotta era a pezzi e le ultime navi battevano in ritirata. L’ammiraglia si dibatteva sotto il fuoco serrato dei Preservatori, che non le lasciava tregua.

   «Se ha di nuovo il teletrasporto, riporti qui T’Vala e Lantora» ordinò Chase, ansioso di sapere cos’era successo. Terry annuì e li trasferì all’istante.

   «Dov’è Vrel?» chiese la mezza Vulcaniana, che aveva il figlio in braccio fino a un istante prima.

   «Niente paura, l’ho trasferito nella zona protetta dove le educatrici hanno radunato i bambini» la rassicurò Terry.

   «Lieto di rivedervi» disse il Capitano ai nuovi arrivati. «Ma che ci fa Lyra sulla Phoenix?».

   «Rekker l’ha liberata perché gliela aprisse» spiegò T’Vala. «Lui è morto, ma...».

   «... Lyra ha colto l’occasione per scappare» completò Lantora. «Ne sarei dispiaciuto, se non sapessi cosa volevi fare».

   «Calmi...» disse Chase, ma in quella la postazione di Grog ebbe un bip.

   «Lyra ci chiama» disse Terry, mentre Lantora tornava al tattico e T’Vala al timone.

   «Sentiamola» disse il Capitano.

   Lyra apparve sullo schermo, pallida e col viso tirato. «Lasciatemi andare» disse con voce un po’ roca.

   «Non con la Phoenix» obiettò Chase. «Ci serve per sigillare il tunnel».

   «È proprio quel che voglio fare» fu l’inaspettata risposta. «Siete brave persone, non dovete sacrificarvi. Ma io... ho fatto cose orribili. Permettetemi di fare ammenda».

   «No, non devi!» disse T’Vala, pur sapendo che non l’avrebbe ascoltata.

   «Addio, sorella» disse Lyra, con un sorriso triste. «Avevi ragione sul mio conto... non posso rubarti la vita. Ma posso aiutarti ad averne una lunga e prospera. Ricordati di me». Ciò detto, chiuse il canale.

   Lantora era stato sul punto di lanciarle i suoi strali, ma si trattenne. Il dubbio si fece strada in lui, come in tutti gli altri. Anche se il passato l’accusava, non c’era modo di sapere le vere intenzioni di Lyra.

   «T’Vala... lei conosce la sua sosia meglio di chiunque altro» disse Chase. «Pensa che sia sincera?».

   T’Vala si girò verso di lui, ma il suo sguardo era distante. Rimuginò per qualche secondo. «Io... credo di sì» mormorò infine.

   «Allora rilasciate la Phoenix» ordinò il Capitano, conscio di correre un rischio enorme, affidando la salvezza di tutti alla clandestina dello Specchio.

   «No!» gridò Terry, levando un braccio verso la navetta inquadrata sullo schermo. Il raggio traente continuò a trattenerla e anzi la tirò indietro, verso l’Enterprise.

   «Che fai?!» la richiamò Chase. «Lyra deve far collassare il wormhole, o sarà stato tutto inutile. Shado tornerà nel nostro Universo e saremo daccapo».

   «Troveremo un altro modo» disse l’IA, senza nemmeno guardarlo: i suoi occhi restavano fissi all’imboccatura del tunnel.

   «A te ne viene in mente uno? Rispondi... e guardami, maledizione!» esclamò il Capitano, andandole davanti e afferrandole le spalle, per distrarla da quanto accadeva all’esterno.

   «No, ma... Sunny è la mia metà, non posso lasciarlo morire!» gemette Terry, riscuotendosi a stento.

   «Te l’ha chiesto lui. Anche se Shado venisse scacciato da Exosia, ha ancora il potere di consumare quest’Universo. Dobbiamo impedirgli di tornare, Terry... dobbiamo vincere questa battaglia!» disse Chase.

   «Perché dev’essere Sunny a sacrificarsi? Perché devo essere io a perdere chi amo?!» gridò Terry, il dolore già trasformato in collera. La proiezione isomorfa sfrigolò: la pelle e l’uniforme divennero un reticolo informatico bluastro, mentre gli occhi lampeggiarono rossi. Perso il bell’aspetto con cui era stata programmata, Terry divenne molto brutta. Si avventò contro il Capitano, che indietreggiò precipitosamente, finché si trovò con le spalle allo schermo. Furiosa, l’IA lo agguantò per la gola e lo sollevò da terra. Gli ufficiali si fecero avanti per aiutarlo e Lantora impugnò il phaser, ma Ilia gli segnalò di attendere, sapendo che una sparatoria non avrebbe risolto la crisi.

   «È colpa vostra!» ringhiò Terry, la voce distorta come l’aspetto. «Di voi umanoidi! Shado è scaturito dalle vostre menti, l’avete creato voi!» accusò, serrando la stretta.

   «A-anche Sunny!» gemette Chase, aggrappandosi al braccio di Terry, per evitare che fosse il suo collo a sopportare tutto il peso. «Sono nati assieme... l’uno non può esistere senza l’altro!» rantolò, sul punto di svenire asfissiato.

   Terry spalancò gli occhi, che brillarono ancora più rossi. Chase pensò che gli avrebbe spezzato il collo. Invece l’IA lanciò un grido terribile, come d’innumerevoli voci che urlassero assieme il proprio dolore; un grido che echeggiò nella plancia e in tutto il resto della nave, diffuso dagli altoparlanti. Lo lasciò andare e si accasciò in ginocchio, tremante. La sua proiezione sfarfallò ancora, tornando ai colori abituali.

   Chase boccheggiò in cerca d’aria e si girò verso lo schermo. Il raggio traente era stato disattivato. Non più trattenuta, la Phoenix schizzò in avanti, scomparendo nel tunnel spaziale. Lyra era stata di parola.

 

   Giunta a metà tragitto, Lyra arrestò la navetta. Le pareti violette del wormhole riempivano lo schermo olografico, abbaglianti. La mezza Vulcaniana diede piena energia al nucleo temporale, ma senza inserire le coordinate di destinazione. Le sue mani si muovevano svelte sugli olo-comandi: anche dopo tanti anni, ne ricordava il funzionamento. In realtà non aveva mai pilotato la Phoenix, bensì il Basilisk, il suo corrispettivo dello Specchio. Ma dato che le due navette erano identiche, il suo addestramento le permetteva di cavarsela.

   Sentendo il ronzio del nucleo temporale che saliva di tono, Lyra lasciò la poltroncina di comando. Aprì il portello su pavimento, mettendo a nudo il nucleo. «Ci siamo» pensò, impugnando il phaser. Mirò il punto più delicato del meccanismo e settò l’arma sulla massima potenza. L’esplosione l’avrebbe disintegrata prima ancora che potesse sentire dolore. Non era un brutto modo di andarsene... ma Lyra sentì ugualmente una gran pena. Aveva appena cominciato a riscoprire la vita, ed ecco che doveva rinunciarvi. Almeno era per una buona causa, si disse. Se fosse rimasta nello Specchio, dove ogni giorno era una lotta, probabilmente sarebbe finita come i suoi colleghi dell’ISS Enterprise. Sarebbe morta inseguendo obiettivi personali: ricchezza, potere, forse vendetta. Così, invece, poteva fare del bene... dimostrando che non era solo una copia cattiva di T’Vala.

   Lyra chiuse gli occhi e sgombrò la mente dai ricordi dolorosi. Sentì che anche la paura l’abbandonava. E finalmente, dopo tanti anni, si sentì in pace con se stessa. Pensò a Exosia, il luogo oltre lo spazio e il tempo che aveva visitato con Suspiria. Se esistevano altri piani di esistenza... altre realtà oltre a quelle percepibili... Lyra si concesse questa speranza, illogica ma consolatrice. E premette il grilletto.

 

   Dall’inizio della loro lotta, Sunny aveva difeso strenuamente l’imboccatura del tunnel spaziale, per impedire al fratello di tornare ad Andromeda. Ora però Shado raddoppiò il suo attacco, spinto non solo dalla rabbia, ma anche dalla paura. La porzione di Exosia in cui si trovavano era stata recisa dal resto, grazie agli sforzi combinati dei suoi abitanti. Non più supportata dal micelio, che la battaglia aveva consumato e distrutto, la regione stava collassando nel nulla.

   «No, io non posso morire!» ruggì Shado, lanciandosi nel suo attacco più forsennato contro Sunny. Le loro immense forze di volontà si affrontarono finché, con uno sforzo atroce, Shado riuscì ad aprirsi un varco fino al tunnel. La Melma Nera vi fluì come un fiume di catrame, in cerca di salvezza. E captò la Phoenix. Sulle prime, Shado non capì cosa ci facesse lì la navetta temporale. Ma percependo le emissioni tachioniche del nucleo, comprese in che modo potevano essere utilizzate.

   «NO!» gridò Shado. Per la prima volta nella sua vita fu assalito da un autentico terrore: sapeva che, se il wormhole si fosse chiuso prima che ne uscisse, non avrebbe avuto scampo. Schizzò in avanti ancora più rapido. Stava per travolgere la Phoenix quando il nucleo temporale esplose, dissolvendo la navetta a livello subatomico. Un violento flusso di tachioni fu proiettato in entrambe le direzioni del tunnel. Dissolse l’ondata di Melma Nera e spezzò il condotto a metà. Il rigurgito di tachioni si fece sentire anche a Exosia, mentre l’estremità del tunnel collassava. Pazzo di rabbia, Shado raccolse altra Melma e avanzò di nuovo, ma non c’era più un condotto in cui entrare.

   «Questa è la fine, fratello mio» disse Sunny con calma, mentre la realtà collassava intorno a loro. «Insieme siamo nati e insieme moriremo; ma il Multiverso vivrà».

   «Tu però non sarai lì a godertelo!» ribatté Shado, e Sunny ne percepì l’odio sconfinato. «Persino la morte mi riesce accettabile, sapendo che la condividi con me».

   «Così doveva essere» sospirò Sunny con rassegnazione. «Il nostro destino è compiuto».

   «Ma pensa ai tuoi amici... pensa a Terry!» gli ricordò Shado, per farlo soffrire più che poteva in quegli ultimi momenti. «La tua morte le lascerà una ferita inguaribile, rovinerà tutto ciò che ami di lei. Terry soffrirà in eterno! E ogni istante della sua agonia sarà la mia vittoria!» ruggì trionfante. La sua risata malefica riempì i pensieri di Sunny, prolungandosi fino all’ultimissimo istante delle loro esistenze.

 

   Dalla plancia dell’Enterprise, il collasso del tunnel spaziale apparve come una cascata d’energia azzurrina che eruppe dal vortice. Le pareti del wormhole tremarono e infine si dissolsero, generando una violenta onda d’urto che scosse la nave. I federali compresero che Lyra aveva tenuto fede alla parola data.

   «Addio, sorella» mormorò T’Vala, chinando il capo affranta.

   «Il tunnel non c’è più» confermò Ilia, leggendo i dati sulla consolle. «Scudi al 60%, l’energia principale regge».

   Chase osservò i resti azzurri dell’esplosione finché non si furono dissolti nello spazio. Aveva timore di voltarsi, perché voleva dire affrontare Terry... ma naturalmente andava fatto. Rinviare il confronto avrebbe solo peggiorato le cose. Perciò il capitano si voltò, adagio.

   Terry era in condizioni pietose. Si era raggomitolata sul pavimento, cingendosi le ginocchia con le braccia, e in quella posizione fetale piangeva in modo incontrollabile. Ma non aveva abbandonato il controllo della nave. L’Enterprise tornò all’attacco, colpendo l’ammiraglia dei Distruttori con tutte le sue armi.

   Martoriata dai Preservatori, la nave oblunga aveva perso gli scudi; il suo scafo era crivellato da falle. Stava cercando d’andarsene, lasciando dietro di sé una scia di rottami. Localizzati gli squarci nello scafo, Terry v’indirizzò i siluri quantici e transfasici. Immani esplosioni lacerarono l’astronave, finché il nucleo cedette, annichilendola in un lampo bianco. L’Enterprise sussultò per l’onda d’urto, ma gli scudi ressero anche stavolta.

   Incalzati dai Preservatori, privati dei loro capi e consapevoli che tutto era perduto, i Distruttori batterono definitivamente in ritirata. Le loro ultime astronavi entrarono in transcurvatura: decine di lampi che illuminarono lo spazio come fuochi d’artificio.

   Fu allora che Suspiria riapparve. La Nacene aveva i vestiti bruciacchiati, come anche i capelli, e un’ustione sul volto. Si accasciò sul pavimento, stremata. «È fatta» sussurrò, per poi tossire debolmente. «Abbiamo domato l’incendio di Shado, assieme ai Q e a molti altri. Lo abbiamo isolato e gli abbiamo tolto il combustibile, finché si è estinto. Questo l’abbiamo pagato con molte vite. Exosia è danneggiata, ma vive e tornerà a crescere. Il Multiverso è... salvo».

   «Ha ragione» confermò Ilia, leggendo il rapporto dei sensori. «Le anomalie spaziali e temporali si sono dissolte. La battaglia è finita, abbiamo vinto».

   «E Sunny?» chiese Terry, rivolgendo un’occhiata implorante alla Nacene.

   «Ha trattenuto Shado, mentre noi facevamo terra bruciata. Non ce l’avremmo fatta senza di lui» rispose Suspiria. Tossì ancora e riprese con voce fioca: «Mi spiace, so quanto ti stava a cuore. Il suo sacrificio non sarà dimenticato». Ciò detto, svenne.

   Un silenzio opprimente calò sulla plancia. Il sollievo della vittoria era offuscato dal suo tremendo prezzo. Sunny era nato dalle loro menti: la sua morte li colpiva tutti, come se avessero perso una parte di se stessi. Ed era ancora più amara per Terry, che aveva sperato fino all’ultimo di salvarlo. Il Capitano sentì che doveva farle avvertire la sua vicinanza, o il dolore l’avrebbe inghiottita, cancellando tutto ciò che di buono aveva appreso in quegli anni. Così le s’inginocchiò accanto e l’aiutò ad alzarsi. «Vieni» disse, conducendola nel suo ufficio, dove potevano parlare in privato. Sentì i singhiozzi che la squassavano.

   «Non è... giusto!» riuscì a dire Terry fra le lacrime.

   «Non lo è» convenne il Capitano. La fece accomodare sul divanetto e le si sedette accanto. «Ti è toccata la prova più crudele. Però...» aggiunse, cercando le parole adatte «... perdere quelli che amiamo, elaborare il lutto, fa parte della condizione umana. Contribuisce a definire chi siamo. E tu sei umana, su questo non ho alcun dubbio» aggiunse, abbracciandola come a volte aveva fatto con sua sorella Helen, quand’erano bambini e qualcosa la faceva piangere.

   Udendo questo, Terry riuscì a frenare i singhiozzi. Si girò verso Chase, che la lasciò andare pur restandole accanto, e alzò gli occhi arrossati su di lui. «Dici sul serio? Mi consideri umana?» chiese, come se da questo dipendesse la sua vita.

   «Sì, te lo giuro» rispose il Capitano, fissandola con la stessa intensità. «Tengo a te come tenevo a mia sorella, prima di perderla. Perciò non ti mentirei mai. Tu sei uno degli esseri più umani che conosco» ripeté convinto. «E anche se sembra che il dolore ti annienti... anche se pensi che non se ne andrà mai... non lasciare che distrugga quanto di buono hai dentro. C’è ancora chi ti vuol bene».

   Terry respirò in fretta, col volto bagnato di lacrime. «È come se mi avessero strappato una parte di me... fa così male... perché fa così male?» ansimò, portandosi una mano al cuore.

   «Perché era vero» spiegò il Capitano.

   «Ma perché darmi le emozioni?» insisté la proiezione isomorfa. «Potevo fare meglio il mio lavoro, senza. E potevo risparmiarmi... questo!» disse, annaspando come se stesse annegando.

   «Ci somigli per lo stesso motivo per cui noi siamo come i Proto-Umanoidi: i figli somigliano ai genitori» rispose Chase.

   «Bell’affare! Preferirei non aver mai amato, piuttosto che amare... solo per perdere» commentò Terry con amarezza.

   «In molti lo pensano, nell’ora del dolore» ammise il Capitano. «Ma guarda T’Vala: ha perso sua madre a sette anni, eppure ha scelto di continuare a provare emozioni. Per non perdere la gioia dei bei momenti, ha accettato il dolore del distacco».

   Terry deglutì e tornò a guardarlo. «Io dovrò convivere col dolore per molto tempo» disse tetra.

   «Questo è vero» sospirò Chase. «Ma qualunque cosa tu scelga... restare nella Flotta o andartene... noi saremo dalla tua parte» promise. In quella il suo comunicatore si attivò.

   «Infermeria a plancia» disse la dottoressa Vash’Tot. «Qui c’è una signorina che vorrebbe salutarla». Il pianto della neonata si sovrappose alla sua voce.

   «Verrò appena possibile. Chase, chiudo» mormorò il Capitano.

   «Congratulazioni» disse Terry, tirando su col naso.

   «Mi spiace che questo accada mentre sei in lutto» disse Chase, imbarazzato. In altre circostanze l’avrebbe invitata a seguirlo, ma stando così le cose, temeva che vedere la gioia altrui ne avrebbe esacerbato il dolore.

   «Lascia stare» disse l’IA, e in qualche modo riuscì a sorridere, sebbene avesse ancora gli occhi arrossati e il viso inumidito dal pianto. «Mi consola sapere che Jaylah sta bene. Posso vederla?» chiese.

   «Certo, se lo desideri» annuì Chase. Si alzarono e tornarono in plancia.

   «Abbiamo portato Suspiria nell’infermeria 2» riferì Ilia. «Abbiamo anche completato l’analisi sensoriale della nave: non ci sono più Distruttori in vita».

   «Ho contattato la mia gente: mi hanno chiesto di tornare» aggiunse Talat.

   «Riconoscono di nuovo la sua autorità?» chiese il Capitano.

   «Così sembra» annuì Talat, confortata. «Farò in modo che vi aiutino con le riparazioni. È stato il sacrificio dei vostri a salvarci; per questo avete la nostra gratitudine».

   «Ogni aiuto è ben accetto» disse Chase. Attorno a lui, gli ufficiali stavano ancora redigendo la lista dei danni e delle vittime, ma il Capitano sentì che non era più necessaria la sua supervisione. «A lei la plancia, Comandante» disse, scambiando un’occhiata d’intesa con Ilia. Lui e Terry entrarono nel turboascensore, diretti all’infermeria principale.

 

   Neelah era ancora stesa sul lettino medico dove aveva partorito. Stringeva a sé un fagottino da cui uscivano due minuscole antenne, sottili e fragili come fili d’erba. Quando Chase entrò, alzò gli occhi su di lui. «Abbiamo vinto?» chiese subito.

   «Sì» rispose Chase avvicinandosi, mentre Terry restava più indietro. «Ma a caro prezzo. Wu e molti altri della Sicurezza sono morti. Lyra si è sacrificata con la Phoenix per chiudere il tunnel. E Sunny... ha dovuto trattenere Shado finché quelli di Exosia li hanno tagliati via dalla Rete».

   L’Aenar guardò Terry, sgomenta e addolorata. «Oh, Terry... mi dispiace» disse con gli occhi lucidi. «Non posso neanche immaginare come ti senti».

   «Sto ancora cercando di dargli un senso» ammise la proiezione isomorfa. «Posso vedere Jaylah? Mi conforta sapere che se uno ci ha lasciati, un’altra è venuta fra noi».

   «Certo... avvicinati» la invitò Neelah. «Tu sei parte della famiglia» aggiunse a bassa voce.

   Terry la guardò con gratitudine e venne avanti, lasciando comunque la precedenza al Capitano. Con le gambe molli, Alexander Chase si avvicinò al bio-letto e si chinò sul fagottino di panni bianchi. Guardò il futuro. E il futuro gli ricambiò lo sguardo con due enormi, sconvolgenti occhi azzurri.

   «Ciao, stellina» mormorò il padre. Non osando toccare quel visino tondo, né tantomeno le antenne fragilissime, le sfiorò un braccino. «Benvenuta fra noi». Baciò Neelah, sentendone la stanchezza ma anche l’appagamento.

   Passato qualche minuto, Terry si affiancò a lui e osservò la neonata, che aveva cominciato a sbavare. Forse stava cercando di sorridere. Neelah le pulì delicatamente la bocca con una salvietta. «Ora comincia il bello... pannolini e notti insonni!» scherzò l’Aenar, ma alzando gli occhi su Terry sentì una gran pena per lei.

   «Sei fortunata, Neelah» disse la proiezione isomorfa. «Io non avrò mai figli, ma... pazienza. La mia vocazione è proteggere chi sta su questa nave. Finora l’ho fatto perché seguivo il mio programma. D’ora in poi lo farò perché l’ho scelto» decise. Guardò gli occhioni azzurri di Jaylah e le sfiorò il braccino paffuto. La neonata strillò, piena di vita: un balsamo per il cuore sanguinante di Terry.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil