Serie TV > Star Trek
Segui la storia  |       
Autore: Parmandil    15/01/2019    0 recensioni
Da tre anni gli ufficiali dell’Enterprise-J si battono con gli alleati di Andromeda, mentre la galassia si oscura sempre più. Ora che la Scourge minaccia di schiacciare l’ultima resistenza e debordare nella Via Lattea, l’impaurita Flotta Stellare li richiama indietro. Ma il Capitano Chase sa che non è ancora il momento di ritirarsi, se non vogliono perdere tutto ciò per cui hanno combattuto.
La missione ad Andromeda ha profondamente cambiato i nostri eroi, che ora lottano non solo per se stessi, ma anche per i loro figli. Mentre una vecchia nemica riappare con un’ambigua missione, una nuova setta si diffonde sull’Enterprise, proclamando di aver riconosciuto il nuovo Eletto. Ma ciò costringerà Terry alla scelta più lacerante della sua vita.
Con la posta in gioco sempre più alta, non resta che un viaggio attraverso Exosia, la più mistica delle realtà parallele, in cerca dei Proto-Umanoidi. Solo loro possono fermare la Scourge: ma vorranno farlo? L’ultima battaglia imporrà i sacrifici più duri e mostrerà agli eroi il vero significato dell’uroboro: in ogni inizio c’è il germe della fine e ogni fine racchiude un nuovo inizio.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-Capitolo 8: Addio ad Andromeda

 

   Finito il loro turno in plancia, Lantora e T’Vala si recarono alla zona protetta in cui le educatrici avevano radunato i bambini dell’Enterprise. Ora che l’emergenza era cessata, li stavano restituendo ai genitori, man mano che questi si liberavano dagli impegni. La coppia trovò Vrel intento a disegnare, insieme ad altri bambini della sua età, attorno a un basso tavolino. Come vide i genitori, il bimbo strillò di felicità e corse loro incontro. «Mamma!» gridò, trottando sulla gambette corte.

   T’Vala s’inginocchiò e lo abbracciò stretto. «Ciao, tesoro... mi sei mancato» disse, trattenendo le lacrime di gioia. Siccome Vrel si agitava, T’Vala lo lasciò andare. Il bimbo corse di nuovo al tavolino, prese il suo disegno e lo riportò di corsa ai genitori. «Tuo!» disse emozionato, porgendolo al babbo.

   Lantora prese il foglio e anche T’Vala si rialzò per osservarlo. Il disegno era confuso come ci si poteva aspettare da un bambino di un anno, ma s’intuiva che Vrel aveva raffigurato lo scontro nell’hangar 5, con i genitori che lo proteggevano.

   «Bellissimo, questo lo metteremo nella tua cameretta» promise Lantora, carezzandolo sulla testa. Vrel fece un gridolino di gioia e prese a correre avanti e indietro.

   «Quando ho sparato, lui...» sussurrò lo Xindi.

   «Non credo abbia visto, ero in mezzo» rispose la mezza Vulcaniana.

   «Beh, speriamo» sospirò Lantora. «Vieni, artista. Torniamo a casa» disse, richiamando il figlio. Vrel gli afferrò un dito con la manina e tutti e tre lasciarono la zona protetta.

 

   Tornati nel loro alloggio, lo trovarono sottosopra per via degli scossoni e delle anomalie sopportati dall’Enterprise. Il terminale del computer era fuori uso e c’erano altri danni, ma decisero di rimandare i lavori all’indomani. Consumata una rapida cena, misero Vrel a nanna – non prima che Lantora appendesse il suo capolavoro nella cameretta, come promesso. Finalmente liberi, crollarono sul divano.

   «Sai che ci serve? Una lunga licenza, appena torneremo all’Unione» disse lo Xindi, abbracciando la moglie. «Abbiamo accumulato un bel po’ di vacanze. Possiamo andare su Xindus, così Vrel incontrerà la mia famiglia. E naturalmente anche su Vulcano, da tuo padre».

   «Hm-hm» annuì T’Vala, raggomitolandosi fra le sue braccia.

   «Sempre che tu non voglia mollare» aggiunse Lantora, più serio.

   «Mollare cosa?» chiese lei.

   «La Flotta Stellare. Per non esporre il pupo ad altri pericoli» disse lo Xindi. «Andiamo, non dirmi che non ci hai pensato. Dopo quel che è successo oggi, non ti biasimo... anch’io ci sto riflettendo».

   T’Vala gli si rigirò tra le braccia, per guardarlo negli occhi. «Sono così stanca che preferirei rimandare questi ragionamenti» disse. «Comunque... quando torneremo nel Quadrante Alfa non correremo più pericoli così gravi. Inoltre so che la carriera è importante per te. Ti sei impegnato tanto, in questi anni, e ora che la promozione è nell’aria non voglio guastarti tutto. Anch’io, del resto, non voglio buttar via il mio lavoro».

   «Allora siamo d’accordo... restiamo nella Flotta» concluse Lantora, sollevato nel vedere che la pensavano allo stesso modo.

   «Restiamoci» annuì T’Vala. «Ma voglio la vacanza di cui parlavi!» sorrise. «Vulcano, Xindus... magari anche Betazed. Che li difendiamo a fare, se poi non ci mettiamo piede?».

   «La tua logica è impeccabile» sorrise Lantora, e la baciò. Ma comprese che sua moglie stava ancora soffrendo. «Pensi ancora a Lyra, vero?» le chiese.

   T’Vala si lasciò sfuggire un sospiro e annuì.

   «Mi ero sbagliato sul suo conto» ammise lo Xindi. «Quale che fosse il suo passato, si è riscattata. Con la Phoenix a disposizione poteva andare dove voleva, sapendo che non l’avremmo più presa. Invece si è sacrificata per tutti noi. Le sarò grato finché avrò vita».

   «Almeno abbiamo potuto conoscerci» disse la mezza Vulcaniana. «Ma vorrei che fosse ricordata, in qualche modo. Stavo quasi pensando... so che è strano, ma...».

   «Dimmi» la invitò Lantora.

   «L’ultima volta che ne parlammo, dicesti che eri favorevole ad avere un altro bambino. È ancora così?» chiese T’Vala, speranzosa.

   «Sì, perché?» chiese lo Xindi, sebbene intuisse il motivo.

   «Se sarà femmina vorrei chiamarla Lyra» disse T’Vala, tutto d’un fiato.

   «Nulla in contrario» disse Lantora, carezzandole ritmicamente i capelli. «Nulla in contrario».

 

   «... e vedendo che Anjou stava per ucciderli, Lantora non ebbe altra scelta che sparare» disse Chase. La sala conferenze dell’Enterprise era gremita da centinaia di spettatori. Molti altri seguivano il discorso in olovisione dai loro alloggi. «Non sapendo se Anjou era stato equipaggiato con lo scudo dei Distruttori, il Tenente dovette mantenere alto il settaggio dell’arma, uccidendolo. E quando Rekker cercò a sua volta d’assassinare gli ostaggi, Lantora dovette colpire anche lui. Vi ricordo che era stato Rekker a manipolare Anjou. Ed era sempre lui a dirigere l’attacco contro questa nave, dopo la morte di Gorog». Terminato il resoconto, il Capitano prese fiato e scrutò il vasto uditorio.

   «Ho voluto riferirvi i dettagli della morte di Anjou perché so che molte persone, qui a bordo, lo considerano una guida spirituale, se non addirittura un profeta» spiegò Chase. «Mi riferisco ai Figli della Luce, coloro che attribuiscono qualità sovrannaturali al nostro amico Sunny. Ebbene, Sunny era indubbiamente un essere speciale, diverso da chiunque altro. Aveva grandi poteri, combinati con una compassione ancora più grande, che l’ha spinto all’estremo sacrificio. Lo ricorderemo sempre con gratitudine, al pari di altri che hanno dato la vita in questa battaglia, come Lyra e Wu. Ma chi ha conosciuto meglio Sunny può testimoniare che egli non si è mai considerato una figura messianica. Il suo sacrificio merita profondo rispetto, ma non venerazione. E quanto ad Anjou... il suo auto-proclamato Emissario... lui non merita né l’uno, né l’altra» sottolineò il Capitano.

   «Molti di voi potrebbero essere tentati di scusarlo, dato che credeva d’aiutarci nella lotta contro Shado» proseguì Chase. «Ma io credo che, a prescindere dalle nostre idee, siano le azioni a definirci. Anjou ha aiutato i Distruttori nel loro attacco all’Enterprise. Ha minacciato T’Vala di uccidere suo figlio e poi, per ordine di Rekker, ha cercato di assassinarli entrambi. Non ci sono scuse per queste azioni efferate. Pertanto mi rivolgo ai Figli della Luce: vi consiglio caldamente di sciogliere la vostra setta. Non condanno la vostra sete di spiritualità, ma la strada violenta su cui vi ha portati. Se ammirate Sunny, cercate d’imitarlo nel bene; ma non date ad Anjou meriti che non ha. Non fatene un martire. L’Unione Galattica vi garantisce libertà di culto, ma solo finché rispettate le sue leggi. È tutto» disse il Capitano, ritirandosi dal podio.

   Gran parte del pubblico applaudì. Ma Chase notò che alcuni dei presenti – i Figli della Luce – si allontanavano con aria ferita o infuriata. Si augurò che nessuno prendesse il posto di Anjou per sobillarli. Accanto a lui, Terry rimase silenziosa. Anche se si occupava delle riparazioni con grande professionalità, chi la conosceva bene sapeva che era in lutto. Come Chase aveva riscontrato spesso, concentrarsi sul lavoro era un modo per tenere la mente occupata, distraendosi dai propri affanni. Ma sebbene Terry avesse accennato al fatto di voler restare in servizio, il Capitano non era affatto sicuro che questa fosse la sua decisione finale.

 

   Cinque giorni dopo la battaglia, Chase convocò gli ufficiali superiori in sala tattica, per fare il punto della situazione. Venne anche Neelah, riavutasi dal parto a tempo record. L’Aenar però non si era ancora re-iniettata le nanosonde e non sembrava aver fretta di farlo. Naturalmente era già tornata al lavoro, per occuparsi dei feriti, alcuni dei quali versavano ancora in gravi condizioni. Aveva però dei turni ridotti, per passare del tempo con Jaylah. Chase sorrise fra sé: la bimba era ancora nella culla, ma il loro alloggio – un tempo ordinatissimo – era già ingombro di sonaglini, peluche e biberon.

   Oltre agli ufficiali dell’Enterprise, alla riunione parteciparono anche Fanior, Suspiria e Talat. La Proto-Umanoide aveva ora la fronte contornata dal cerchietto argenteo che spettava al leader del suo popolo.

   «Ben arrivata, Prima Delegata» l’accolse Chase, calcando la voce sul titolo. «Ho saputo con piacere della sua nomina».

   «Una responsabilità che ho dovuto prendermi» annuì Talat. «Ma se non vi spiace, vorrei levarmi questo per un poco. Non sapete quant’è scomodo!». Si levò il cerchietto e lo posò sul tavolo tattico, davanti a sé. «Allora, avete quel che vi occorre? Se manca qualcosa, non esitate a chiedere».

   «Con le vostre squadre che ci aiutano, le riparazioni procedono dieci volte più veloci del normale» disse Grenk, soddisfatto. «Entro domani sarà tutto a posto, tranne la gondola di dritta. Quella è più complicata da sistemare».

   «Quanto complicata?» chiese il Capitano.

   «In circostanze normali, direi che è impossibile riattaccarla senza passare da un cantiere dell’Unione» rispose l’Ingegnere Capo. «Ma la tecnologia dei Progenitori è fantastica. Credo che fra una settimana avremo la gondola al suo posto».

   «Si prenda il tempo che le occorre per fare tutto in sicurezza» raccomandò Chase.

   «Mi offrirei di trasferirvi io» intervenne Suspiria. «Ma Exosia è stata danneggiata dalla battaglia. È meglio aspettare che si rigeneri, prima di tornare a usarla per viaggiare» spiegò. La Nacene era stata appena dimessa dall’infermeria. Le erano serviti giorni per riprendersi dalle ferite e dallo sfinimento della lotta. Sebbene fisicamente fosse tornata a posto, si stava ancora riavendo dallo sforzo, come rivelava la voce bassa e stanca.

   «Spero che la tua patria guarisca quanto prima» si augurò il Capitano. «Quanto a noi, per prima cosa andremo a Kelva, per riaccompagnare il Consigliere Fanior a casa. Poi torneremo nel Quadrante Alfa, come ci ha ordinato il Comando di Flotta».

   «Andromeda non sarà la stessa, senza di voi» ammise Suspiria.

   «Questo non è un addio» sostenne Chase. «Non sappiamo se e quando l’Enterprise tornerà ad Andromeda. Ma ora che la rotta è tracciata, altre navi munite di propulsore cronografico verranno qui. Forse non subito, ma verranno. E se la Rete guarirà, voi Nacene potrete raggiungere la Via Lattea ancora più facilmente. Perciò spero che le nostre genti restino in contatto».

   «Lo spero anch’io» assicurò Fanior.

   «C’è un’altra questione di cui dobbiamo discutere: i Distruttori» ricordò Ilia. «La loro sconfitta militare è irrilevante, se comparata all’effettiva dimensione della loro flotta. Prima Delegata, dobbiamo chiederle se ha informazioni aggiornate».

   Vedendo che tutti i presenti si aspettavano una risposta esauriente, Talat si schiarì la voce. «Il grosso delle loro forze, schierato intorno alla galassia, ha lasciato l’allineamento dopo la distruzione dell’Uroboro» spiegò. «Ci sono stati scontri con le nostre navi, laddove le flotte erano miste, ma l’inferiorità numerica li ha costretti a ritirarsi. Ora che la loro leadership è stata decapitata, dovranno riorganizzarsi. I nostri ricognitori indicano che si stanno radunando alla periferia di Andromeda, sul lato opposto rispetto a Kelva. Stiamo seguendo i loro movimenti, ma non lancerò un attacco... è già scorso abbastanza sangue fra noi».

   «Potrebbero attaccare loro» obiettò Chase con gravità. «Se ricorda le parole di Gorog, non hanno mai smesso di odiarvi. Hanno solo celato il loro astio, dovendo collaborare contro la Scourge; ma alla prima occasione vi si sono rivoltati contro. Spero che, se tratterete di nuovo, lei stia molto attenta».

   «Oh, non sono così ingenua» assicurò Talat. «Mi è chiaro ormai che la Riunificazione è impossibile. Il Popolo non tornerà mai unito... ma non è detto che debba combattersi per sempre. Forse potremo vivere ciascuno nei propri confini. Dopotutto Andromeda è una galassia vasta».

   «Spero che anche fra noi possano mantenersi i contatti» intervenne Fanior. «La Coalizione ha subìto gravi perdite nella lotta contro Shado. Se i Distruttori ci attaccheranno, forti del loro numero, voi sarete la nostra sola speranza».

   «Non vi abbandoneremo» promise Talat. «Se mai i Distruttori vi attaccassero... o se invadessero la Via Lattea... noi interverremo».

 

   Per la decima volta, Terry cambiò la posizione dei soprammobili nel suo alloggio, cercando di fare spazio per i bonsai. Dopo la scomparsa di Sunny si era ritrasferita nel suo vecchio alloggio singolo, ma aveva difficoltà a farci stare tutto. Negli ultimi anni si era procurata più oggetti personali, come ad esempio gli alberelli; ma le doleva non avere nulla che le ricordasse Sunny. Data la sua natura e le sue capacità, l’umanoide dorato non aveva molti bisogni. All’occorrenza si era servito di oggetti d’uso comune, ma non c’era alcun cimelio particolare associato a lui. Tutto ciò che restava a Terry erano i ricordi.

   Osservando i bonsai che aveva tra le mani, Terry si chiese se davvero aveva voglia di conservarli. Ciascuno degli alberelli richiedeva attenzioni: acqua in giusta quantità, attente potature, travasi da una vaschetta di terra all’altra. In precedenza le piaceva prendersene cura, ma ora si sentiva svuotata e priva d’interesse per quell’arte. Decise di sbarazzarsene. Prese un bonsai – il primo a cui si era dedicata – e lo mise nell’inceneritore di rifiuti. Stava per azionare il dispositivo, quando il segnale d’ingresso l’avvertì di una visita. Terry lasciò l’inceneritore, con il bonsai ancora dentro, e si recò alla porta. La visitatrice era la signora Murphy, che aveva con sé una valigetta.

   «Ehm, ciao» salutò la donnina. «Come stai?».

   «Come vede» rispose Terry. Indossava un kimono bianco – il colore del lutto in Estremo Oriente – e aveva un aspetto disordinato. «Che posso fare per lei?» chiese stancamente. «Se è qui per uno dei suoi disturbi, devo chiederle di andare in infermeria. Non si fanno più miracoli, su questa nave».

   «Io e gli altri siamo vivi... questo è il miracolo» rispose la Murphy, spostando il peso da un piede all’altro. «Cosa di cui dobbiamo ringraziare anche te. Non solo per stavolta... ma per tutte le volte che la nave è stata in pericolo. Ti sei sempre prodigata per noi... e invece di ringraziarti, ti abbiamo dato altri problemi. Vorrei scusarmi per questo. E per... ehm, per tutto il resto» aggiunse a occhi bassi.

   «Scuse accettate» disse Terry, sperando di non avere più grattacapi da lei. «C’è altro?».

   «Sì, vorrei darti questo» annuì la donnina, porgendole la valigetta. «Contiene un’unità di memoria con le lettere scritte da molte famiglie dell’Enterprise. Lettere di genitori che ti esprimono gratitudine per aver protetto i loro figli. E letterine di bambini che ti ringraziano con le loro parole. Ci sono anche dei disegni fatti a mano dai bimbi, sempre per dirti grazie. Così saprai quanto sei importante, per tutti noi».

   «Grazie del pensiero» mormorò Terry, prendendo la valigetta. «Quest’iniziativa è una sua idea?» volle sapere.

   «Ehm, sì. Era partita come una cosa fra amici, ma alla fine ha coinvolto quasi tutte le famiglie di bordo» spiegò la signora Murphy. «Ora vado... scusami ancora per tutto quanto. E condoglianze per la tua perdita». Arretrò in fretta, lasciando che la porta si richiudesse.

   Terry soppesò la valigetta, riflettendo sul significato di quel gesto. La posò sul divano, per leggere i messaggi più tardi; prima voleva risolvere la faccenda dei bonsai. Tornò all’inceneritore. Il suo dito indugiò sul tasto d’attivazione.

   «No» mormorò la proiezione isomorfa. Tirò fuori il bonsai e lo sistemò su una mensola. Se c’era qualcosa che poteva ricordarle Sunny, erano proprio quegli alberelli, che aveva iniziato a coltivare mentre vivevano assieme. Posando i più grossi a terra e i più piccoli su mobili e mensole, riuscì a disporli tutti senza che fossero d’intralcio. Poi li annaffiò e recise alcune foglioline; aveva già nuove idee su come indirizzarne la crescita.

   Quando ebbe finito, Terry arretrò verso l’ingresso e osservò soddisfatta il suo alloggio, ora pieno di verde. Infine tornò al divano e aprì la valigetta che le aveva dato la Murphy. Prima ancora di leggere le lettere, sfogliò i disegni infantili. Erano le cose più tenere che avesse mai visto: i bambini l’avevano raffigurata grande e importante come i loro genitori e a volte persino di più. Per quanto i tratti fossero incerti, le proporzioni errate e la prospettiva inesistente, Terry si rese conto che quei disegni contavano per lei più di tutta la sua banca dati artistica. Finito che ebbe di sfogliarli, inserì l’unità di memoria nel terminale del computer. Invece di scaricare tutto nel suo database, lesse alla maniera degli Umani: riga dopo riga, parola dopo parola, rileggendo le parti che più la commuovevano. Le lettere erano moltissime e alcune – specialmente quelle dei genitori – erano piuttosto lunghe, quindi non le lesse tutte in una volta. Ma nei giorni seguenti, ogni volta che tornava al terminale e ne leggeva una, si sentiva il cuore più leggero.

 

   Come promesso da Grenk, le riparazioni procedettero con una rapidità senza precedenti, grazie all’aiuto dei Proto-Umanoidi. La gondola di dritta fu riattaccata, un’operazione che avrebbe richiesto un mese anche nei migliori cantieri spaziali dell’Unione. Uno dopo l’altro, i sistemi tornarono a piena efficienza. Nel frattempo gli ultimi feriti furono dimessi dalle infermerie. Purtroppo le perdite erano gravi, soprattutto tra il personale della Sicurezza. L’Enterprise non poteva affrontare un’altra battaglia del genere: un motivo in più per lasciare Andromeda, prima che i Distruttori facessero la loro mossa.

   Dodici giorni dopo la Battaglia di Exosia, l’Enterprise lasciò il nucleo galattico e la flotta dei Preservatori. Un solo balzo con il propulsore cronografico la riportò a Kelva, dove la Coalizione si era riorganizzata dopo l’Assedio. I federali si trattennero ancora tre giorni, per sistemare gli ultimi dettagli e fare il check-up finale dei sistemi. Fatto questo, giunse l’ora degli addii. Chase e i suoi ufficiali accompagnarono Fanior in sala teletrasporto.

   «Beh, Consigliere... è stato un onore averla fra noi. Buona fortuna per i giorni a venire» disse Chase.

   «Grazie, Capitano» rispose Fanior, compunto come sempre. «Se mai voi, o altri federali, tornerete qui, sarete i benvenuti» garantì, stringendogli la mano.

   «Ma troveremo ancora la Coalizione? O le vostre specie torneranno a dividersi?» chiese il Capitano, con una certa apprensione.

   «Io e Suspiria ci stiamo battendo per tenerla unita, almeno nella prima fase della ricostruzione» spiegò il Kelvano. «La Scourge ha afflitto Andromeda per seicento anni. Le distruzioni sono immani... serviranno secoli per ricostruire le nostre civiltà. In tutto questo, la Coalizione può ancora fare molto».

   I federali non invidiarono Fanior per la responsabilità che si era assunto. Dirigere la ricostruzione di Kelva, e aiutare gli alleati a fare lo stesso sui loro mondi, era un compito che lo avrebbe assorbito per il resto della vita.

   «Alla sua gente su Kelva II spiacerà di non rivederla» disse Ilia, alludendo alla colonia kelvana nella Via Lattea.

   «Ho registrato un messaggio per loro» disse il Consigliere, estraendo un’unità di memoria da un taschino. «Tutti si aspettano il mio ritorno... devo spiegare perché resto ad Andromeda».

   «Se per lei va bene, vorrei portarlo io stessa» si offrì Ilia.

   «Certo» disse Fanior, consegnandole l’unità. La guardò con gratitudine: quel semplice favore era il segno di una profonda stima maturata fra i due, anche se non avevano mai superato certe barriere.

   «Quasi dimenticavo, c’è un’altra cosa che devo darvi» aggiunse il Kelvano. Andò alla consolle del teletrasporto e trasferì a bordo una grande cassa metallica.

   «Di che si tratta?» chiese il Capitano.

   «Germogli di Sashira, il nostro fiore cristallino. Vi prego di consegnarne alcuni alla nostra colonia, così avranno un pezzo di Andromeda fra loro» disse il Consigliere. «Il resto è per voi, se li trovate gradevoli. Vi avverto però di maneggiarli con cautela, perché sui vostri mondi potrebbero essere infestanti, rispetto alla vegetazione locale. Vorrei esprimere meglio la nostra gratitudine, ma...».

   «Non ce n’è bisogno; grazie del pensiero» disse Chase.

   Terry trasferì la cassa in una stiva di carico, liberando la pedana del teletrasporto. Fanior vi salì e si rivolse ai federali: «Grazie ancora per quanto avete fatto. Io e il mio popolo non vi dimenticheremo mai». Il suo ultimo sguardo fu per Ilia, prima che svanisse nel bagliore azzurro del teletrasporto. La Comandante sospirò, portandosi al cuore l’unità di memoria. L’avrebbe consegnata di persona a Kelva II, come promesso.

   «È ora che vada anch’io» disse Suspiria. «Il Clan degli Esuli mi attende. No, non serve il teletrasporto; ho i miei metodi. E niente facce tristi... vi farò visita nella Via Lattea» promise.

   «Se puoi trasferirti di nuovo tramite Exosia, significa che il micelio si sta rigenerando?» chiese il Capitano, ansioso per le sorti di quella dimensione.

   «Eccome! Sapete come fanno i funghi... spuntano in una notte!» ammiccò la Nacene, e svanì in un lampo giallo.

 

   L’Enterprise lasciò l’orbita di Kelva, dove alcune navi della Coalizione erano ancora impegnate a scaricare materiali e provviste, o al contrario a caricarli per soccorrere altri mondi. Kelva era infatti uno degli snodi in cui la Coalizione ridistribuiva le proprie risorse. Ora che Andromeda era purificata dalla Scourge, poteva farlo apertamente, invece di doversi nascondere. Questo rendeva le operazioni molto più facili.

   «Mi mancherà Kelva» ammise Chase, osservando il pianeta bruno, screziato dall’azzurro dei boschi di Sashira. «Mi mancherà Andromeda» sospirò.

   «Rilevo un’astronave in avvicinamento a transcurvatura» avvertì Terry. «È dei Proto-Umanoidi».

   «Preservatori o Distruttori?» si allarmò Lantora.

   «Impossibile dirlo, finché sono nel condotto; ma ne usciranno a momenti» rispose l’IA.

   «Allarme Rosso» ordinò il Capitano, chiedendosi se quello era l’inizio di un’invasione dei Distruttori. Dopo la Scourge, Andromeda rischiava di essere martoriata da una seconda calamità. L’astronave ovoidale uscì dalla transcurvatura a poca distanza dall’Enterprise.

   «Hanno gli scudi abbassati» rilevò Terry. «Ci stanno chiamando».

   «Apra un canale» ordinò il Capitano, alzandosi. Con sommo conforto vide il volto familiare di Talat.

   «Temevo che foste già partiti» salutò la Prima Delegata.

   «Stavamo per farlo, ma è un piacere rivederla» disse Chase. Fece segno a Terry di uscire dall’Allarme Rosso. «La vostra flotta si è riunita?» chiese.

   «Sì, ci siamo radunati intorno a una stella di tipo G nel nucleo galattico» spiegò Talat, soddisfatta. «D’ora in poi non ci nasconderemo più in periferia, mentre il resto della galassia soffre. Ho fatto passare la mia linea d’azione: aiuteremo la Coalizione a ricostruire, almeno nella prima fase. Ma c’è dell’altro... vi porto notizie dei Distruttori» aggiunse, facendosi più seria.

   «L’ascolto» disse l’Umano, con il cuore in gola.

   «La loro flotta ha continuato a raccogliersi all’estremità più lontana di Andromeda, fino a confluire in un unico Sciame» spiegò Talat. «Stavamo per contattarli, quando... se ne sono andati».

   «Andati dove?» si preoccupò il Capitano.

   «Nel vuoto intergalattico. Sono partiti in direzione opposta alla Via Lattea, allontanandosi finché i nostri sensori li hanno persi di vista» rivelò la Prima Delegata. «In quella direzione non ci sono galassie locali, nemmeno nane. Forse i Distruttori cambieranno rotta. Ma noi pensiamo che stavolta usciranno proprio dal Gruppo Locale. L’Universo è di una vastità incommensurabile... ovunque vadano, non credo che torneranno».

   «Buona notizia per noi... e pessima per chiunque se li vedrà arrivare» commentò Chase.

   «Ne convengo, ma non possiamo inseguirli per tutto l’Universo» disse Talat. «Né ho voluto scatenare una battaglia fra i nostri Sciami, che sarebbe costata milioni d’astronavi e miliardi di vite. Forse ci giudicherà opportunisti, ma... penso che il loro destino non sia più nelle nostre mani. Se non torneranno a minacciare Andromeda o la Via Lattea, non li cercheremo più».

   «Nessuno, qui, può ergersi a vostro giudice» rispose Chase. «Come dice lei, l’Universo è vasto. Spero che i Distruttori trovino un angolo libero in cui vivere senza più guerre. Quanto a voi Preservatori... avrete sempre la nostra gratitudine per averci messi al mondo. E per averci difesi nell’ora del pericolo».

   «Siete i nostri figli... e noi siamo molto fieri di voi» sorrise Talat. «Vi trasmetto le coordinate del nostro nuovo domicilio, assieme a un olo-messaggio per l’Unione Galattica. È più aggiornato rispetto a quello che lasciammo quattro miliardi di anni fa» scherzò.

   «Ho ricevuto tutto» confermò Terry qualche attimo dopo.

   «Lo consegneremo alla nostra gente» promise il Capitano. «Conoscere le nostre radici comuni aiuterà a consolidare l’Unione, spero».

   «Bene... questo invece è per lei, come ricordo» disse la Prima Delegata. Si sfilò dal collo il medaglione con l’uroboro. Ci fu un lampo bianco e il monile riapparve sulla sedia del Capitano.

   «Lo dia a sua figlia Jaylah, quando sarà grande. E le dica di trasmetterlo ai suoi eredi» raccomandò Talat. Poi si rivolse a tutti i presenti, con voce solenne. «Ricordate: in ogni inizio c’è il germe della fine e ogni fine è un nuovo inizio. Tutto cambia, tutto scorre in un eterno rinnovamento. E così siamo legati non solo gli uni agli altri, ma anche ai nostri avi e ai nostri posteri. Custodendo la memoria di ciò che siamo, possiamo comunicare con loro. Addio, miei coraggiosi e amatissimi figli!» disse, levando la mano in segno di saluto. Poi la Progenitrice svanì, la sua nave fece manovra e tornò in transcurvatura, diretta verso il nucleo galattico.

 

   Tornando a sedersi, Chase raccolse il medaglione. Lo contemplò brevemente, sfiorando il serpente inciso sulla superficie. Infine lo posò sul bracciolo. «Plancia a sala macchine, siamo pronti a partire?» chiese.

   «La cavitazione quantica e il propulsore cronografico sono operativi, Capitano» rispose Grenk. «A meno che voglia raggiungere la Terra con sua figlia già diplomata, suggerisco di usare il propulsore».

   «Quando vuole, signor Grenk» sorrise il Capitano. «Ma stavolta limitiamo il numero di balzi e riduciamo le soste fra l’uno e l’altro. Il Comando di Flotta ci ha richiamati da un pezzo; non facciamolo aspettare».

   «Non facciamo aspettare le licenze!» ridacchiò Grenk. «Sapevo che saremmo tornati in fretta, quindi ho già predisposto il piano di rientro con Terry. Raggiungeremo i margini della Via Lattea in appena tre balzi. Fra l’uno e l’altro sosteremo un giorno, per ricalcolare la posizione e controllare gli strumenti. Il pilota sta prendendo posizione sulla sedia cronografica; cinque minuti al primo balzo».

   «Eccellente» disse Chase. «Ha sentito, T’Vala... fra tre giorni attraverseremo la Barriera Galattica. Stavolta la voglio in una capsula cronofasica, come gli altri telepati. E se accuserà ugualmente dei sintomi, ce lo dica subito» raccomandò.

   «Il mio livello ESP va bene com’è... non ci tengo a elevarlo» assicurò T’Vala, ricordando l’incidente con la Barriera. Non voleva ripetere l’esperienza, soprattutto ora che c’era Vrel.

   «Un minuto al balzo» avvertì Terry, mentre l’Enterprise vibrava, raccogliendo l’energia. «Stiamo per lasciare Andromeda» disse. Aveva gli occhi appannati; il Capitano intuì che stava pensando a Sunny.

   Volendo esprimerle la sua vicinanza, Chase le venne accanto e le posò una mano sulla spalla. Terry alzò gli occhi su di lui, grata. Poi guardò un’ultima volta le stelle di Andromeda. «Addio, Sunny» sussurrò, così piano che solo il Capitano l’udì. L’attimo dopo, le stelle svanirono e il vuoto intergalattico riempì lo schermo. L’Enterprise aveva lasciato Andromeda, con le sue vittorie e i suoi lutti.

 

   Il viaggio di ritorno fu rapido e senza contrattempi. L’unico ostacolo fu la Barriera Galattica, la bolla di distorsioni subspaziali che avvolgeva la Via Lattea. L’Enterprise l’aveva già attraversata all’andata: quell’esperienza permise di ottimizzare gli scudi e di tracciare una rotta più sicura. I telepati di bordo, fra cui Neelah e T’Vala, entrarono nelle capsule cronofasiche come ulteriore protezione dagli effetti della Barriera. Sempre per ragioni di sicurezza presero con sé i rispettivi figli. Quando l’Enterprise superò le ultime distorsioni, rientrando nella Via Lattea, tutti i telepati furono sottoposti a dettagliate analisi mediche. Fortunatamente risultò che nessuno aveva subìto alterazioni. Con il balzo successivo, l’Enterprise si addentrò nel Quadrante Alfa, emergendo direttamente nel sistema solare.

   Nel vedere il Sole che brillava sullo schermo, Chase sentì un gran sollievo. Anche se a una parte di lui spiaceva aver lasciato Andromeda, era lieto di aver fatto ritorno senza incidenti. L’Unione era indubbiamente un posto più sicuro in cui crescere Jaylah.

   «Siamo a centoventi milioni di km dalla Terra» riferì T’Vala, nuovamente al timone. «Traccio la rotta di rientro».

   «Avanti a massimo impulso» ordinò il Capitano. «Terry, può mostrarcela?».

   «Certo; sensori a massimo ingrandimento» disse la proiezione isomorfa. Il globo bianco e blu della Terra apparve al centro dello schermo, come una biglia luminosa. Prese a ingrandirsi lentamente, man mano che l’Enterprise si avvicinava. Chase la fissò rapito: per quante meraviglie ci fossero nel cosmo, niente eguagliava la vista di casa.

   «Rilevo dieci navi federali in rotta d’intercettazione» riferì Terry dopo qualche minuto. «Sono del Perimetro Difensivo del sistema solare. C’è anche una chiamata dal Comando di Flotta».

   «Sullo schermo» disse il Capitano, alzandosi. L’Ammiraglio Rota Falas apparve davanti a lui, con la faccia rinsecchita sormontata dall’enorme crocchia color ferro.

   «Ammiraglio Rota a Enterprise, bentornati a casa» esordì la Bajoriana. «Dov’è la Nautilus? Pensavo che sareste tornati assieme».

   Chase si aspettava quella domanda. «Mi duole informarla che la Nautilus è stata distrutta in un attacco di Shado, poco dopo il nostro incontro ad Andromeda» spiegò. «Il nemico ci ha attaccati con forze preponderanti. Purtroppo non ci sono superstiti».

   «Una tragica notizia» si adombrò l’Ammiraglio. «Mi aspetto un rapporto completo sulle circostanze che hanno portato alla sua distruzione».

   «L’avrà» promise Chase, sperando che questo non mettesse nei guai Terry. «Permesso di entrare in orbita?».

   «Accordato, naturalmente... ma mi dica di più» ordinò Rota, fissandolo con gli occhietti da topo. «Quand’è che avete preso contatto con la Nautilus?».

   «In data stellare 2560.012» rispose garbatamente il Capitano.

   «Più di quaranta giorni fa!» protestò l’Ammiraglio. «Mi ero raccomandata che rientraste immediatamente».

   «Abbiamo fatto il prima possibile; ma dovevamo assicurarci di restare in buoni rapporti con la Coalizione. Così, quando l’Unione riprenderà l’esplorazione di Andromeda, troverà degli alleati che ci offriranno porti sicuri» si giustificò Chase, celando ancora le notizie più importanti. I suoi ufficiali si scambiarono sguardi divertiti, pregustando il momento in cui avrebbe sganciato la bomba.

   «Uhm, sì» disse Rota, con l’aria di tollerare appena la risposta. «E che mi dice di Sunny, l’avete portato con voi?».

   «Temo di no» si rattristò il Capitano. Poco più indietro, Terry chinò il capo e gli altri ufficiali smisero di sorridere.

   «Così non va, Chase!» sbottò l’Ammiraglio, severissima. «Non ha fatto niente di ciò che le avevo raccomandato. Avere la Melma Dorata è fondamentale per proteggere l’Unione dalla Scourge. Il suo fallimento è inqualificabile. Ha qualcosa da dire a sua discolpa?».

   «Mi spiace, Ammiraglio... non abbiamo scuse...» disse lentamente il Capitano «... salvo il fatto che abbiamo trovato i Proto-Umanoidi e con loro abbiamo sconfitto la Scourge» aggiunse, rialzando lo sguardo. E si godette l’espressione esterrefatta dell’Ammiraglio.

   Scortata dalle altre navi federali, l’Enterprise proseguì la rotta verso la Terra. Dopo tre anni d’assenza – anni di scontri e scoperte, vittorie e sacrifici – rientrò nell’orbita del pianeta azzurro. Lo stesso pianeta che, eoni prima, aveva destato l’interesse e le speranze dei Proto-Umanoidi. Dopo la Guerra delle Anomalie, la ricostruzione era proseguita a ritmo serrato. Nuovi abitanti si erano trasferiti dalle colonie nelle città riedificate. E ad Atlantide, l’isola artificiale in mezzo all’oceano, i palazzi della nuova Unione Galattica si levavano sempre più alti. Le loro cuspidi oltrepassavano le nubi, puntando verso le stelle che racchiudevano il passato e il futuro dell’umanità.

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Star Trek / Vai alla pagina dell'autore: Parmandil