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Autore: WallisDennie    15/01/2019    5 recensioni
Magnus/Alec, accenni di altre coppie | ElisadiRivombrosa!AU | Earl!Magnus, Butler!Alec.
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In seguito alla morte del padre, Alec Lightwood diviene maggiordomo alla tenuta Bane, preso a servizio per la sua onestà e per il carattere fedele e coraggioso. La contessa Bane lo considera quasi un figlio, ma un dolore pesa sull'anziana donna: il figlio Magnus, arruolatosi nell'esercito, è lontano da casa da ormai otto anni per dimenticare le ferite di un amore non corrisposto.
Sullo sfondo di un complotto ordito da nobili ai danni del re, il ritorno di Magnus scatenerà una catena di eventi che stravolgerà le vite di ognuno dei personaggi, ma soprattutto, il cuore di un giovane ragazzo dagli occhi blu.
Un amore pieno di insidie, forse impossibile, che li spingerà ad affrontare le paure, i pregiudizi e anche i sentimenti.
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Liberamente ispirato alla serie televisiva di Cinzia TH Torrini, con i meravigliosi personaggi di Cassandra Clare, in un esperimento che mi ha fatto piacere scrivere.
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quarto
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Villa Bane.
 

 
La cerimonia funebre fu di quanto più solenne ed elegante si potesse organizzare. La contessa venne impreziosita del suo abito nero migliore, arricchito di perle e dei suoi fiori preferiti. La salma venne sposta nel salone delle cerimonie, affinché tutti potessero rivolgere l’estremo saluto.
In molti si recarono alla tenuta, tra nobili e gente del popolo. Giunsero i Verlac, gli Starkweather, i Carstairs. i Blackthorn, i Belcourt e tutte le famiglie nobili vicine alla tenuta. Da chi non poté presenziare, arrivarono numerose lettere di condoglianze.
Durante la processione indetta dal prete del paese, Magnus e Catarina si trovavano in prima fila, con una maschera di assoluta indifferenza che mascherava il loro profondo dolore. Accanto all’amico, stava il conte Ragnor Fell, che stringeva con solidarietà la spalla dell’amico.
Come di regola, ai servitori era permesso assistere dal fondo della sala, vicino all’ingresso principale. Alec teneva il viso chino, quasi come se il suo collo non riuscisse a sopportare un tale peso. Non era solo il dolore della perdita di una donna che gli era stata vicino addirittura più di sua madre, ma anche la straziante consapevolezza che lui non era stato lì fin dall’inizio, quando la contessa si era sentita male e aveva avuto bisogno del suo aiuto. Era il suo dovere assisterla e lui non lo aveva fatto. Si ritrovò a pregare che l’animo dell’anziana lo perdonasse per le sue mancanze.
Accanto ad Alec, stavano sua madre Maryse – rigida nella sua freddezza, ma con la mano a stringere il braccio del figlio – e Clary, che proprio non riusciva ad impedire che le lacrime le sfiorassero il volto.
Nell’enorme stanza risuonava flebile, come l’ultimo respiro, la Dead March di Händel. Nel momento dell’estrema unzione, la musica si interruppe, per poi riprendere più maestosa quando le spoglie della contessa vennero portate fuori dal salone. Venne caricata sul carro funebre, nel suo ultimo viaggio sino alla tomba di famiglia. Per tutto il tragitto, la contessa venne scortata da un’ossequiosa processione a cui poterono partecipare tutti.
Tuttavia, come da tradizione alla lettura del testamento, ciò non venne concesso ai parenti prossimi e ai servitori della tenuta. Si riunirono tutti nella biblioteca tanto cara alla contessa, dove il signor Maverick – il notaio e avvocato della famiglia Bane – seduto dietro l’elegante scrivania, stava disponendo gli atti testamentari della defunta. Alec vide il conte Bane parlare con l’amico Ragnor, prima che questi strinse l’amico in un abbraccio e gli passò accanto rivolgendogli un’occhiata, scendendo poi le scale e lasciando la tenuta.
Magnus seguì lo sguardo dell’amico, soffermandosi sul volto di Alec, il quale distolse lo sguardo e una volta che il conte fu entrato in biblioteca lo seguì, chiudendo la porta. Raggiunse la madre e gli altri servitori, in fondo alla biblioteca, poco distante dalle due poltrone su cui stavano seduti Magnus e Catarina.
Il signor Maverick era affiancato, in piedi, da Luke quale medico personale della defunta contessa.
Il notaio aveva un aspetto molto curato, teneva la barba brizzolata a coprirgli metà del volto e portava un paio di occhialetti dalle lenti ovali che dovette sorreggere con la mano sinistra affinché non cadessero sui fogli.
Si schiarì la voce profonda ed incominciò la lettura.
« Queste sono le ultime volontà testamentarie della compianta contessa Bane: “Nel pieno delle mie facoltà fisiche mentali e della capacità di intendere e di volere, designo quale erede della tenuta e di tutti i possedimenti di famiglia, il mio amato figlio Magnus. Sarà sua discrezione destinare parte di tale eredità a favore di mia figlia Catarina, al fine di governare insieme e nel rispetto l’uno dell’altra Villa Bane, come ho sempre fatto io fino ad ora » Nella stanza eruppe il singhiozzo trattenuto della contessa Catarina, che si coprì il volto con un fazzoletto ricamato.
Alec si ritrovò a chiedersi come fosse l’espressione del conte in quel momento, ma essendo seduto con la nuca rivolta verso di loro non poté saperlo. Maverick riprese la lettura: « Dispongo inoltre che sia devoluta la somma di dieci monete d’argento a tutti i membri della servitù come ringraziamento per i tanti anni di servizio affettuoso e impeccabile » Dal gruppo si elevarono sospiri e sussurri di sorpresa. Alec vide gli occhi di sua madre sgranarsi mentre si portava la mano sul cuore. Allo stesso modo, osservò le cameriere stringersi le mani e Simon spalancare leggermente la bocca in un’espressione quasi comica.
Il colpo di tosse di Maverick fece tornare il silenzio assoluto.
« Stabilisco, inoltre, che vengano donate venti monete d’argento al mio fidato medico Luke Garroway, che con dovizia e costanza si è sempre preso cura delle mie condizioni » Fu il turno di Luke a sorprendersi. « e che si aggiungano altre dieci monete d’argento per la giovane Clary Fairchild, che avrei voluto aiutare di più in seguito alla sua grave perdita » Lo stupore per il grande e generoso cuore della contessa avvolse nuovamente l’intera stanza, mentre Luke chinava il capo stringendo le labbra per la commozione.
Maverick, tuttavia, sembrava non aver concluso la lettura, pertanto chiede nuovamente il silenzio.
« Infine, ad Alexander Lightwood » Alec rizzò lo sguardo verso Maverick, irrigandosi come un soldato sull’attenti. « il quale si è sempre dimostrato devoto e inappuntabile ai suoi compiti di amministrazione e gestione della tenuta, in assenza di mio figlio Magnus » Alec avvertì molti sguardi indistinti posarsi su di lui, ma il suo era fisso dinnanzi a sé. « lascio il diritto di utilizzare a proprio piacimento la biblioteca di famiglia, la proprietà del cavallo Lux che gli affidai quando prese servizio e l’arco e la faretra da caccia del mio defunto marito, affinché questi doni possano ricordargli il mio profondo rispetto e l’immensa gratitudine » Su quell’ultima frase, una lacrima si decise a scendere dal volto di Alec, che incrociò per un attimo lo sguardo indecifrabile del conte prima che questi si girasse nuovamente verso Maverick.
Il notaio richiuse i fogli e li dispose nella sua valigetta. Lentamente tutti si accinsero a lasciare la stanza. Alec raggiunse con gli altri servitori il piano inferiore, per aiutare a sistemare il salone della cerimonia funebre.
Per tutto il tempo non riuscì ad allontanare la sensazione di un paio di occhi che lo seguivano ovunque.
 
 
Magnus si versò un doppio cognac, di nuovo.
Dalla morte della madre non aveva fatto altro che bere, solo nella biblioteca. Era stato anni lontano da casa, eppure quei due miseri giorni passati dal funerale sembravano pesare più di quattro mesi sul campo di battaglia.
Magnus non cercava conforto, non cercava di dimenticare. Voleva solo assopire quelle sensazioni, non pensare a cosa gli spettava. Nella benevolenza affettuosa ed un po’ egoistica che hanno tutte le madri, designandolo quale erede universale della tenuta e dei possedimenti, la sua defunta madre aveva voluto assicurarsi che il suo amato figlio rimanesse a casa. Doveva aver sofferto profondamente la sua mancanza.
Se non si prende in considerazione la fedele e reciproca devozione con Alexander, si ritrovò a pensare.
Strinse forte il bicchiere. In un modo o nell’altro, quel ragazzo tornava ad insinuarsi nella sua mente in maniera talmente sfacciata da rasentare l’innocenza. Ma innocente lui lo era davvero, sebbene gli occhi di Magnus – coperti da lascivia e trasporto – avessero tentato di etichettarlo in ogni modo come provocatore indiscusso.
Ma alla fine, era stato proprio Magnus il primo ad approcciarsi all’altro.
Buttò giù il cognac, sentendolo bruciare nella gola.
Non avrebbe porto alcuna scusa. Lui era un conte, il conte di Villa Bane.
Non si sarebbe scusato per quella fulgida attrazione che sapeva di provare.
Era un conte, mentre Alexander un semplice servitore.
Non è vero, una vocina melliflua si fece strada tra i propri pensieri. Magnus la zittì immediatamente, con poco successo.
Lui è molto di più.
 
 
Tre giorni dopo il funerale, Alec era sulla via di ritorno dall’abitazione di Luke e Clary assieme al cavallo Lux.
Clary era rimasta profondamente sorpresa e commossa della generosità della contessa anche nei suoi confronti, e non mancò di presentare delle parole di conforto ad Alec, il quale le aveva rivelato la sua decisione di andarsene dalla tenuta. Alle domande di Clary e Luke, aveva risposto che aveva in animo il desiderio di spostarsi e magari viaggiare. Il tutto dopo aver risparmiato abbastanza da permettersi di partire senza lasciare sua madre e il fratellino Max in condizioni di difficoltà. Aveva provveduto a far giungere alcune monete d’argento lasciategli dalla defunta contessa a sua sorella Isabelle, la quale per motivi di studio e di tempistiche relative al funerale non aveva potuto raggiungerli, ma che aveva comunque scritto ad Alec pregandolo di presentare le proprie condoglianze al conte.
Ovviamente Alec non aveva avuto modo di parlare con il conte, non che ne avesse avuto alcuna intenzione comunque.
Pertanto, Clary lo aveva informato circa un annuncio di lavoro presso la locanda dei Roberts, dove la sua amica Maia faceva la cameriera. Alec l’aveva ringraziata per l’informazione, mostrandosi interessato all’idea di andare a lavorare a Newark.
In ogni caso, lontano dalla villa del conte. Non c’era poi molto per lui lì, adesso.
Clary, che doveva recarsi in città proprio quel pomeriggio, si era offerta di parlare di lui con i Roberts e Alec l’aveva ringraziata, perché per via degli impegni alla villa non avrebbe potuto comunque passarvi lui prima di qualche giorno.
Stava ora rientrando alla tenuta, in groppa al suo Lux. Gli dette una pacca affettuosa e il cavallo scosse leggermente la coda, per nulla infastidito.
Aveva sempre desiderato avere un cavallo tutto suo, e con Lux erano divenuti ormai come pappa e ciccia.
Sorrise, come non faceva da tempo.
Giunto dinnanzi alle scuderie, scese da cavallo e fece per portare Lux all’interno, quando vide con la coda dell’occhio una figura avvicinarsi.
« Alexander » Alec ingoiò il groppo che gli si stava formando in gola e si voltò a fronteggiarlo con l’espressione più indifferente che possedeva.
« Signor conte, buongiorno »
Alec si ritrovò ad osservare i capelli leggermente in disordine, la giacca spiegazzata in più punti e il colletto slacciato. Doveva aver passato una notte in bianco.
« Sono pronti i cani da caccia? » Allo sguardo confuso dell’altro, il conte alzò gli occhi al cielo seccato. « Ho detto a Simon di sellarmi il cavallo per la caccia, non ti ha detto niente? » aggiunse, passandogli di fianco e avvicinandosi a Lux.
« No, signore. Non mi ha detto nulla »
La mano del conte si alzò a sfiorare la criniera di Lux, con una gentilezza che sembrava non appartenere ai ricordi di Alec.
« Davvero uno splendido regalo, non trovi? » chiese, trovando Alec indeciso su come rispondere.
« Si, molto »
Magnus sorrise, a metà tra lo scherno e una leggera amarezza.
« Ah, non guardarmi cosi, Alexander » Gli diede una pacca sulla spalla e Alec fece per ritrarsi, ma l’espressione ora severa dell’altro lo bloccò. Seguirono alcuni istanti di silenzio, lo spazio tra loro teso come una corda di violino. Fu proprio il conte il primo a rivolgere lo sguardo altrove. « Proprio un bell’esemplare. Te lo meriti »
E si allontanò di qualche passo.
« Simon! » gridò a un certo punto. « Dov’è il mio cavallo? »
Nessuno rispose. All’improvviso Alec si ricordò che da quella mattina Simon si era dovuto recare al paese per delle commissioni affidategli dalle cucine e che non era ancora rientrato. Inoltre era assai improbabile che il conte avesse richiesto una battuta di caccia allo stalliere, dal momento che aveva lasciato le stanze patronali da non prima di quel pomeriggio. Non poteva, quindi, aver incontrato Simon durante la mattina.
Che il conte si fosse sognato di ordinare la battuta di caccia? Da quel che Alec aveva visto, doveva aver bevuto parecchio.
« Alexander » lo chiamò di nuovo. « Dove diavolo è finito Simon? »
« Simon è in paese, signore »
Magnus sembrò ancora più confuso.
« E che diamine ci è andato a fare? »
« Delle commissioni. E’ partito stamattina, dovrebbe essere di ritorno a momenti »
Magnus fece per imprecare e si mise le mani in tasca.
Sembra un bambino.
Alec scosse la testa, scacciando quel pensiero. Serrò tra le dita le briglie di Lux.
« Signor conte, sistemerò io Presidente per voi, se volete comunque uscire per una passeggiata »
L’altro si voltò, sorpreso. Poi tornò sulle sue labbra il solito ghigno di scherno.
« Pensavo fossi un maggiordomo che non si piega a compiti da stalliere »
Alec sbuffo, diretto verso le scuderie, con il conte che lo seguiva.
« Siete stato voi ad assegnarmi alle scuderie, pertanto porto a termine qualsiasi lavoro che ne concerne » Legò Lux al suo palo, e andò a prendere la sella di Presidente, mentre Magnus lo osservava dall’entrata. « E dal momento che Simon non è qui, svolgo il mio lavoro »
« Come sei diligente » Alec non si fece toccare da quel commento sarcastico e sistemò la sella sul cavallo, dirigendosi poi verso le briglie. Presidente nitrì in direzione del padrone, come a dargli man forte a quel commento piccato. Si può dire tale padrone, tale cavallo?
« Lo sei sempre stato » Quelle parole appena sussurrate. Alec si voltò verso il conte, trovandolo con lo sguardo verso un punto indistinto della scuderia. « Forse ti ho giudicato con troppa fretta »
Si sta scusando?
No, un conte non si scusava mai con un servo. Lo aveva detto lui, no? Aveva certamente sentito male.
« Non vi preoccupate, signor conte » disse, finendo di sistemare il cavallo e tirandolo per le briglie fino al suo padrone. « Continuerò il mio lavoro al meglio delle mie capacità, come ho sempre fatto » I loro occhi si incrociarono per un breve istante e ad Alec parve di vedere qualcosa negli occhi dell’altro. Qualcosa che scomparve immediatamente non appena finì il suo breve discorso. « fintanto che sarò a vostro servizio »
Un lampo di confusione, che fece pentire immediatamente il ragazzo di averlo avvertito. Ma tanto per licenziarsi avrebbe comunque dovuto farglielo sapere con dei giorni di anticipo. Tanto valeva farlo subito.
« Cosa..come- In che senso finché sarai a servizio? »
« Volevo per l’appunto avvisarvi, come è giusto, con dei giorni di anticipo affinché possiate sostituirmi, se lo desiderate » Il conte, interdetto, conservava quell’ombra di sorriso che gli dava un’aria quasi amara.
« Sostituirti? »
« Ho intenzione di andare a lavorare altrove, in città » Meglio non dirgli dove. « E volevo ringraziarvi, visto che non ho avuto l'occasione di ringraziare vostra madre, per la possibilità di lavorare presso la vostra dimora. Ho imparato davvero moltissimo »
« No, no no no. Fermo un attimo » Magnus tese una mano dinanzi a sé, come a bloccarlo metaforicamente. « Vuoi andare via? »
« Sì. »
« E perché, di grazia? »
« Signor conte- »
L’espressione del conte si fece furiosa, ma si forzò di mantenere la calma.
« Se ti aspetti delle scuse per quanto è accaduto, te le puoi scordare »
« Io non mi aspetto niente da voi »
« Quindi è così. Te ne vai senza alcuna giustificazione »
« Io non devo giustificarmi, ma solo avvertirvi »
A questo punto, il conte eruppe in una risata.
« Avvertirmi? » gli si avvicinò minaccioso. « Ma chi ti credi di essere per parlarmi in questo modo? Devo forse ricordarti chi sono io? »
« Lo so benissimo chi siete, dal momento che non fate che ricordarmelo. Non potrei ignorare chi siete neanche volendo » gli lasciò le briglie in mano, rimanendo a fronteggiarlo. Alec aveva troppo rispetto verso sé stesso per continuare ad addossarsi colpe che non erano sue e per lasciarsi denigrare in quel modo senza ribattere. « Sono sicuro che voi non provate alcun rimorso per ciò che mi avete fatto, né voglio costringervi a provarlo. E per quanto io ami questa tenuta, non potrei continuare a vivere con la paura di subire ancora le vostre prepotenze e i vostri capricci »
Magnus lo guardò fingendo indulgenza e commiserazione.
« Oh, mio povero Alexander… » Ma Alec non colse la provocazione.
« Andrò via, nel bene sia mio che vostro »
« Quale presunzione! Ora intendi dirmi che lo fai per il mio bene? Ma cosa vuoi saperne tu di quello che penso, stupido ingrato- »
« Al contrario, io vi sono molto riconoscente. Ma non posso restare e mi spiace che non vogliate accettarlo »
Rise, di nuovo. Di scherno. Di rabbia.
« Sai quanti ne trovo di lavoratori più solerti e soprattutto più rispettosi di te, qui in giro? Hai proprio una bella faccia tosta se credi che- »
« Non avrete dunque problema a rimpiazzarmi, quindi non vi sto arrecando alcun danno o preoccupazione. Se vi ho offeso, mi scuso »
« E cosa vuoi che me ne faccia delle tue scuse? Mi ci pulisco gli stivali! La verità è che ti sei rivelato per il ragazzino approfittatore e codardo che sei »
« Cosa- »
« Non hai perso tempo, vero? » Il conte gli si avvicinò facendolo indietreggiare fino al muro accanto, imprigionandolo tra le braccia tese verso la parete fredda. « Sei uno che sa riconoscere il momento giusto per filarsela, non è così? Ma guardati » Alec non riusciva a ribattere, era gelato dallo sguardo sprezzante dell’altro. « Non hai aspettato nemmeno che il corpo di mia madre si raffreddasse prima di prendere la tua fetta e andartene! »
Sgranò gli occhi blu, una stilettata al cuore. Questo era crudele, troppo crudele da parte sua.
« Non merito questo vostro veleno » Un sussurro flebile, appena percettibile dalle orecchie di Magnus. « Io… volevo veramente bene a vostra madre. L’ho sempre rispettata e servita al meglio delle mie possibilità. Ho cercato di compiacerla in ogni modo, e non per qualche assurdo interesse nei suoi confronti che anche voi mi avete imputato »
Anche voi.
Magnus si soffermò su quel dettaglio. Quindi, altri prima di lui avevano attribuito ad Alexander delle mire infamanti nella sua innocenza? Perché sì, Magnus in fondo lo sapeva che non era un giovane senza scrupoli e senza onore. Al contrario.
Lo aveva sempre saputo.
E lui più di tutti, pur sapendolo nell’angolo più profondo di sé, lo aveva denigrato in ogni modo. Prima con le parole e poi con le azioni.
E in quel preciso momento, nel guardare l’altro con il capo chino di un peso troppo a lungo sopportato e dalle ciglia umide di un pianto che l’orgoglio gli impediva di sfogare dinnanzi a chiunque, in quel momento…Magnus ebbe pena per sé stesso, condannandosi per aver aumentato il patimento di Alexander.
Si rese conto che quel ragazzo doveva essersi sempre sentito solo, per questo motivo.
« Non sono il tipo di persona che voi credete, non mi conoscete affatto » aggiunse Alec, lapidario. « Ho il pieno diritto di cercare un posto dove condurre l’esistenza che desidero »
Magnus ebbe un sussulto, a quelle parole. Sembravano così simili a quelle che pronunciò lui stesso, prima di partire molti anni prima.
« E tua madre e tuo fratello? A loro non ci hai pensato » Il conte aveva smesso di urlare, entrambi avevano smesso. Sembrava una semplice discussione, ormai. Se Alec non fosse stato ancora con le spalle al muro e il conte davanti a lui. Si scostò, liberandosi dalla presa dell’altro.
« Ne ho già parlato con la mia famiglia, signor conte, non è una decisione improvvisa »
« Quindi vuoi andartene sul serio »
Alec si bloccò. Il tono del conte sembrava quasi…triste.
« Con il vostro permesso, resterò ancora qualche giorno »
Seguì nuovamente il silenzio.
Poi il conte si diresse verso il cavallo, lo afferrò per le briglie conducendolo all’uscita delle scuderie. Tutto ciò che Alec riuscì a sentire prima che salisse in groppa al destriero e partisse al galoppo verso chissà dove, fu:
« Ma fai quello che vuoi. Peggio per te »
 
 
Alla fine, non era vero che Alec aveva avvertito la madre e il fratello. Gliene parlò quella sera stessa, dopo la cena dei padroni, mentre tutti erano intenti a pulire la cucina. Dopo molte reticenze da parte di Max, alla fine entrambi avevano capito che probabilmente era la decisione migliore. Dopotutto Maryse aveva sempre visto di buon occhio l’idea che Alec si allontanasse dalla villa e dagli agi della tenuta, per conoscere il mondo vero e proprio del lavoro. Non lo immaginava certo a spezzarsi la schiena nei campi, ma il lavoro duro gli avrebbe fatto bene. Che fosse per capire qual era il suo posto, come diceva sua madre, oppure anche solamente per andare avanti e ricominciare.
Ben presto la voce si sparse tra i restanti della servitù, tra chi lo guardava con compassione augurandogli il meglio e quelli che lo scrutavano immaginando chissà quale ragione lo spingesse ad abbandonare un così buon lavoro. Non mancava qualche cameriera deridente alle sue spalle, certa di non essere ascoltata, o qualche cameriere ansioso di ambire alla carica e soprattutto al compenso che spettavano ad Alec.
Ma lui non ci fece troppo caso, preferendo svolgere il proprio lavoro con dovizia.
Aveva ottenuto il lavoro, comunque. Recandosi in città, assieme a Clary, aveva incontrato Maia che lo aveva rassicurato che il padre era ben felice di farlo lavorare presso la loro attività come cameriere protempore e, magari, di aiutare anche nelle attività contabili.
Alec l’aveva ringraziata e Maia, dalle gote arrossite e un tenero sorriso, l’aveva salutato invitandolo a raggiungerli appena gli fosse possibile.
Non che avessero dovuto aspettare molto. Alec sarebbe partito dopo due giorni, il tempo di radunare le sue cose e scrivere anche alla sorella Isabelle per avvertirla del cambiamento, nel caso lei fosse tornata in visita.
Nel mentre, quel pomeriggio, anche Magnus si era ritrovato per le mani delle lettere, per lo più di condoglianze e appoggio per la morte di sua madre, a cui dover rispondere.
In particolare, gli apparvero particolarmente sentite le parole di Camille, la quale si era dimostrata più che gentile nell’offrirgli conforto e ricordando quale amabile persona fosse stata la contessa Bane.
Volse lo sguardo in direzione dell’armadio, al cui interno stava nascosta la tracolla in pelle contenente la lista. Aveva rimandato quel pensiero, viste le molte cose che erano successe.
Si alzò dalla scrivania con la lettera di Camille in mano e raggiunse la finestra, decidendo se e quando raggiungerla per una visita.
Nel volgere lo sguardo verso i giardini vide la figura di Alec raggiungere Simon e insieme avviarsi verso il cortile.
Strinse le labbra, infastidito.
A quanto pare, Alexander sorrideva volentieri con gli altri.
Richiuse la lettera e la lasciò sullo scrittoio, prese la giacca e uscì.
Avrebbe raggiunto Ragnor e magari, insieme, sarebbero andati in qualche locanda a bere.
 
 
 
 
Alla locanda.
 
 
« Non capisco » pronunciò infine Alec, guardando l’espressione imbarazzata e dispiaciuta di Maia, sul retro della locanda dove la ragazza lo aveva portando avvertendolo di dovergli parlare con urgenza. Alec aveva avuto un terribile sospetto nel vedere il padrone della locanda, il signor Roberts, lanciargli da dietro il bancone un sorriso rammaricato.
Maia si morse il labbro inferiore, portandosi una ciocca sfuggente dai capelli bruni e raccolti dietro l’orecchio.
« Mio padre è davvero spiacente, Alec » ripeté nuovamente la ragazza. « Ed io ancora di più, devi credermi. Ma lui non se la sente di mancare di rispetto al conte Bane »
Il conte Bane.
« Il fatto è che la sua richiesta è una sorta di divieto. E dal momento che la nostra locanda risiede in uno dei suoi possedimenti… »
Gli ha proibito di assumermi.
Alec era rimasto immobile, non sapendo come rispondere. Maia alzava lo sguardo ogni tanto, cercando di carpire una qualche reazione. Poi le sue sopracciglia si inarcavano di nuovo, dispiaciute.
« Davvero, mi dispiace Alec. Se fosse dipeso da noi- »
« Non preoccuparti » la rassicurò con un sorriso, alla fine. « Lo so, non è colpa vostra »
« Alec, io- »
« Tranquilla, Maia. So che voi non centrate nulla » le sfiorò un braccio, tendando di confortare con quel gesto anche un po’ se stesso.
Sorrideva per nascondere un’implacabile collera.
Che intenzioni aveva quel-
« Il conte deve stimarti molto » Cosa? « Forse ci tiene che continui a lavorare a Villa Bane. E lo capisco, perché so che tu sei un ottimo lavoratore. Chiunque sarebbe fortunato ad averti a servizio »
No, Maia. Ti sbagli.
Ancora una volta Alec forzò un sorriso, prima di ringraziarla e salutarla dicendole di avere ancora molte faccende da sbrigare prima di tornare alla tenuta.
Maia aveva ricambiato il saluto, abbracciandolo. Poi si era lisciata il grembiule ed era rientrata.
Alec si sistemò la bisaccia sulla spalla, voltando le spalle alla locanda e all’occasione perduta.
Assurdo. Questo è davvero assurdo.
Ma non lo avrebbe lasciato vincere in questo modo, no. Il conte pensava di costringerlo a rimanere al suo servizio, dopo tutto quello che aveva fatto e detto? Si sbagliava.
A questo punto, non gli rimaneva che una cosa da fare.
 
 
 
 
Villa Bane.
 
 
Alec rientrò tardi in groppa a Lux, quando il sole era già calato.
E come se il cielo ce l’avesse con lui, trovò all’ingresso della villa proprio il conte Bane e il conte Fell, anche loro probabilmente di ritorno da una passeggiata.
« Oh, ma guarda! Non è il tuo stalliere, Magnus? » ridacchio Ragnor, serrando la presa sulle briglie del suo cavallo.
« Alexander! Come mai questo ritardo? » Il conte lo fiancheggiò, spronando Presidente ad accostarsi a Lux lungo il viale alberato.
« Lasci molta libertà ai tuoi servi, amico mio! » Ragnor lo aggirò, chiudendolo sull’altro fianco. Ora proseguivano in tre, con Alec in mezzo a loro.
« Mi conosci, sono molto generoso »
« Davvero! »
Devono essere ubriachi. Ma sì, continuate a parlare fingendo che io non ci sia.
Non avrebbero ottenuto alcuna reazione da lui. Non avrebbe ceduto ad alcuna provocazione stavolta.
« Sono curioso, Alexander » Il tono del conte si era fatto più basso. « Cosa ti ha tenuto in giro fino a quest’ora? E non dirmi qualche faccenda domestica, perché so che sei puntuale come un orologio! »
« Ahahah! » Alec non poté fare a meno di notare quanto sembrasse gretto e sgraziato il conte Fell, nel ridere come un qualunque malvivente d’osteria.
Un’altra prova che la nobiltà non è dettata dal sangue.
« Allora? » chiede si nuovo il conte, guardandolo. Alec teneva lo sguardo fisso dinanzi a sé, ignorandolo. « Deve aver perso la lingua! » si rivolse all’amico, suscitando in lui altre risate.
« La gallinella torna al pollaio! » esclamò Ragnor, con un sorrisetto sardonico.
« Come è andata alla locanda? » Stavolta gli occhi di Alexander incrociarono quelli verdi del conte. « Mi aspettavo che ci lasciassi per intraprendere la tua nuova vita da sguattero delle cucine » Altre risa da Ragnor, che rischiò di sbilanciarsi sul cavallo. « Già di ritorno? Cos’è, hai cambiato idea? » Magnus non si lasciò impressionare dal gelo in quelle iridi blu e continuò a provocarlo.
« O forse sentivi la nostra mancanza? » All’ennesima mancata risposta, il conte si rivolse nuovamente all’amico. « Sembra che non sia di molte parole! »
Alec bloccò il cavallo, scendendovi. Era giunti al cortile.
Passò le briglie intorno al collo di Lux, avviandosi per condurlo nelle scuderie. Anche Magnus era sceso di fretta e lo aveva raggiunto, mentre Ragnor - probabilmente troppo confuso dall’ebbrezza – era ancora intento a scendere dal suo destriero.
« Altro che parole vi meritereste » borbottò il ragazzo. Immediatamente il conte lo fronteggiò, ponendoglisi davanti.
« E che cosa vorresti fare? »
Alec lo scansò senza sfiorarlo e si affrettò a raggiungere la sua stanza, lasciandosi dietro le parole sprezzanti del conte. Non diede alcun peso ai suoi incitamenti ad andarsene, agli insulti e quant’altro.
Incrociò lungo la strada qualche cameriera attirata dal trambusto, ma non si fermò per nessuna spiegazione.
Una volta in camera, aprì l’armadio ed estrasse la sua borsa da viaggio. Vi ripose solo gli abiti che utilizzava per lavorare e andare a cavallo, lasciando le giacche eleganti che la defunta contessa gli aveva regalato. Guardò l’arco e la faretra, appoggiati allo scrittoio.
Prese il necessario per scrivere, gli stivali e qualche oggetto personale.
Un leggero bussare attirò la sua attenzione. Preoccupato che quello sconsiderato del conte lo avesse seguito, rimase immobile e in silenzio.
« Alec? » La voce di sua madre. Sospirò di sollievo ed aprì la porta, facendola entrare. Sua madre doveva essersi alzata di fretta, avendo addosso la vestaglia e la cuffia da notte sulla treccia in un leggero disordine che non le si addiceva.
« Che sta succedendo, abbiamo sentito- »
« Max sta dormendo? » chiese frettolosamente, tornando a sistemare la borsa. Quel gesto attirò l’attenzione della donna, che aggrottò le sopracciglia.
« Sì, non si è svegliato » gli si avvicinò, reggendosi la vestaglia con entrambe le mani. « Cosa stai facendo? Pensavo partissi per la locanda tra un paio di giorni » Il figlio non rispose. « Dove sei stato fino a quest’ora? Ti aspettavo per cena » Al che, Alec si fermò e guardò in volto sua madre con un’espressione greve.
« Il lavoro alla locanda non è più disponibile » Maryse assunse un’aria confusa.
« Come? Ma non ti era stato assicurato- »
« Sì, ma hanno cambiato idea »
La madre scosse la testa, le labbra tese in una linea dura.
« Hanno già preso qualcun altro? Riguarda forse qualche tua manca- »
« Il signor Roberts non ha così bisogno di aiuto come pensava. Si vede che possono mandare avanti la locanda anche senza un terzo aiuto »
Maryse era poco convinta.
« Ma che senso ha avuto, allora, proporti? Ti sei organizzato per nulla, potevano avvisarti »
« Non lo so, madre » E nemmeno tu vuoi saperlo. « Comunque, non lavorerò da loro »
Maryse emise un verso seccato.
« Allora perché stai preparando la borsa da viaggio? »
Non sapeva come l’avrebbe presa sua madre, non avevano mai parlato di questa possibilità ma Alec sapeva che quello rappresentava l’unico modo di andarsene senza ritrovarsi a vagabondare senza un lavoro.
« Perché parto domattina, madre » Alec le rivolse uno sguardo fiero e determinato. Era la cosa migliore.
« Parti? Per andare dove? »
« Questo pomeriggio mi sono recato presso la caserma di Newark » la sua voce era ferma e decisa. « Mi sono arruolato »
Probabilmente questa era la prima volta che Alec vedeva la bocca di sua madre spalancarsi per lo stupore.
« Cosa- »
« Per l’arruolamento volontario la paga è buona. Avrò la possibilità di mandare del denaro a te e a Max, e anche ad Isabelle » spiegò. « L’addestramento si terrà nei pressi di Woodbridge e avrà durata di quattro o cinque mesi, poi verremo mandati al fronte. Non so se avrò occasione di venirvi a trovare, ma sicuramente vi scriverò »
« Alec… Questa è una decisione importante- »
« E’ la cosa migliore, madre. So che la pensate come me »
Anche se con difficoltà, vide la madre annuire.
Se era meglio il fronte, così sia.
« Madre, devo chiedervi un favore » disse, prendendole le mani tra le sue. « Prendetevi cura di Max e rassicuratelo »
« Certo, figlio mio » E lo abbracciò. Erano così rari gli abbracci di sua madre che quasi gli parve strano sfiorarla. Le chiede inoltre di spiegare a Max le ragioni della sua partenza, evitando in ogni modo di farlo preoccupare. Poco dopo Maryse era fuori dalla sua stanza, diretta alla propria.
Meglio così.
L’indomani sarebbe partito.
E tutto questo avrà fine.
L’indomani tutta la servitù si era riunita in cortile per veder partire Alec e mentre questi sellava Lux, c’era chi gli augurava buona fortuna, chi faceva pessime battute da caserma, chi si portava un fazzoletto agli occhi nascondendo le lacrime. E poi c’era il piccolo Max che, pur essendo triste, era orgoglioso del suo fratellone coraggioso e lo pregava di tornare al più presto e portargli una spada per giocare. Alec sorrise e ringraziò tutti, assicurando che si sarebbe preso cura di sé stesso e ribadendo a ciascuno di non trascurare nessun compito. Simon gli regalò il suo equipaggiamento portatile da strigliatura, affinché anche Lux non avesse mancanza di casa.
Lo abbracciò per ringraziarlo e molti si unirono con pacche sulla spalla e strette di mano.
Nel bene o nel male, gli avevano voluto tutti molto bene e vederlo andare via era difficile più o meno per tutti. Anche per chi tante gliene aveva dette dietro.
Mentre sua madre e qualche cameriera gli riempivano le bisacce ai fianchi di Lux con cibarie e bevande da viaggio, Alec volse lo sguardo verso la finestra del conte ancora avvolta dalle tende da notte.
Poi montò in groppa al cavallo, chiedendo a Simon di porgere i suoi saluti al conte e alla contessa Bane. Infine, diede un leggero colpetto alle briglie di Lux e partì.
 
 
 
 
Alla locanda.
 
 
« Diamine! » proruppe Ragnor Fell, nel pescare un Fante di Picche nel mazzo di uno dei suoi due avversari. Stavano giocando a Polignac, ai tavoli esterni della locanda e Ragnor aveva appena perso quindici monete d’argento in poco più di venti minuti di gioco.
« Sono spiacente, conte » disse l’uomo di fronte a sé, dall’alto del suo cipiglio di superiorità, ben visibile dietro gli occhialetti sul grosso naso adunco. L’uomo afferrò il boccale di birra e si batté la mano sul grosso fianco, come a complimentarsi da solo per la sua fortuna. Come se non bastassero gli incitamenti dei curiosi interessanti al gioco, intorno a loro. Ragnor lo vide arraffare le monete sparse sul tavolo e gli sorrise, alzando le mani ammettendo la sua sconfitta.
« Lo ammetto, siete un abile giocatore »
Al complimento l’altro ridacchiò, vantandosi nuovamente di non aver mai perso una partita.
« Posso concedervi una terza rivincita, se lo desiderate »
« Oh, no! Sareste in grado di portarmi via anche il cavallo, temo » Sorridente, Ragnor si alzò a fatica dal tavolo, avvertendo ancora la birra di media qualità riscaldargli lo stomaco.
« Non siate così pessimista, conte. Stavolta potreste avere fortuna » lo incitò l’altro, tra le risa generali.
« No no, vi ringrazio! Tenetevi le monete, ve le siete meritate » aggiunse, allontanandosi con un cenno di saluto.
« Arrivederci, conte! Quando vorrete riprovare sapete dove trovarmi » sghignazzò l’uomo, tra le acclamazioni del suo piccolo pubblico.
« Sì, sì… » borbottò Ragnor, raggiungendo il suo cavallo. « Oggi non è giornata, amico mio » disse, carezzando il cavallo. « Il tuo padrone ha perso fin troppi soldi, è ora di tornarcene a casa » E detto questo, vi salì in groppa.
Lungo le stradine di Newark alcuni lo riconobbero chinando il capo in segno di saluto. Si soffermò a guardare un venditore di carni, mentre urlava e strepitava di avere i tagli più pregiati di Long Hill.
Forse avrebbe potuto organizzare una battuta di caccia.
Di certo avrebbe distratto il suo amico Magnus. Arricciò le labbra al pensiero.
L’amico aveva bisogno di svagarsi, magari con qualche bel fucile in mano.
Si ritrovò a ridere tra sé e sé.
Povero Magnus!
Da giorni lo tormentava con quel ragazzino, lo stalliere. Non faceva che parlarne. Una noia mortale.
Sembrava una donnetta sospirante d’amore.
E se…
Che l’amico di vecchia data si fosse intestardito per quel servitore?
Era possibile. D’altronde non gli erano mai stati estranei gli interessi ambigui dell’amico. Poteva capirlo, ovvio. Dopotutto aveva notato anche lui, che preferiva le fanciulle promiscue da taverna, una certa prestanza fisica nel giovane. Aveva anche degli occhi molto belli e non era rozzo e sgraziato come molti altri stallieri.
Che ci fosse stato già qualcosa tra loro?
No, Ragnor lo escludeva. Ma forse questo spiegava la tenacia che aveva spinto il giorno prima Magnus ad insistere, con così tanta solerzia, affinché il locandiere non gli concedesse il lavoro. All’inizio, Ragnor aveva pensato a una semplice ripicca nei confronti di un servo impudente.
Ma che fosse perché Magnus non voleva lasciarlo andare?
Fino a questo punto si spinge il tuo interesse, amico mio?
Comunque, oramai era acqua passata. Il ragazzo era rimasto alla tenuta, a quanto aveva potuto capire. Che si sollazzasse pure con gli stallieri, l’importante era che il suo amico di bevute fosse di nuovo con lui.
Avvolto da questi pensieri, Ragnor quasi non si accorse di un volto conosciuto tra la folla che si portava dietro un destriero già visto prima. Volse, quindi, il capo in quella direzione ed eccolo.
Lo stalliere oggetto dell’interesse di Magnus.
Che fosse in giro per qualche lavoretto affidatogli dall’amico? Probabile.
E Ragnor avrebbe proseguito per la sua strada, se non avesse notato le bisacce stracolme ai fianchi del cavallo, la tenuta e il copricapo da viaggio del ragazzo.
Che abbia rubato qualcosa e se la stia battendo?
Incuriosito – e non avendo poi molto altro da fare – Ragnor lo seguì tra la folla di gente da mercato, schivando qualche bambino pestifero e gli sguardi di qualche bella donna. Non doveva distrarsi.
Alla fine lo vide raggiungere la caserma della città e aspettare all’ingresso l’arrivo di un sottotenente, il quale gli consegnò una pergamena arrotolata col sigillo militare.
Si è arruolato?
Vide il ragazzo salutare l’uomo sull’attenti, poi girare i tacchi nella direzione opposta. Ragnor scese da cavallo e diede le spalle, fingendosi occupato a legare il cavallo a un palo lì vicino. Il ragazzo non si accorse di lui.
E se Magnus non sapesse niente?
Ma non aveva tempo di avvertirlo e certamente se l’altro avesse saputo che l’aveva visto andar via senza fare nulla, lo avrebbe come minimo esasperato fino alla follia.
Cosa avrebbe potuto fare?
All’improvviso, un ragazzino lo urtò. Subito il moccioso, nell’accorgersi di essere davanti a un nobile cominciò ad arrancare scuse. Colpito da un lampo di genio, Ragnor afferrò il ragazzino piagnucolante e dai vestiti rattoppati in più punti per un braccio, zittendolo con l’altra amano.
« Ehi, ragazzino » disse, con un sorriso sinistro. « Vuoi guadagnare una bella moneta d’argento? »
 
 
Era un piano semplice. I ragazzini di strada sono lesti e silenziosi come topi, quindi lo stalliere non si sarebbe accorto di nulla.
« Devo solo infilare questo anello nella tasca di quel signore? » chiese nuovamente il ragazzino, Ragnor sbuffò, infastidito.
« Esatto » Osservò Alec fermarsi nei pressi di un banco di frutta. « Vai, gli metti il mio anello in tasca e torni subito qui » Tirò fuori una moneta d’argento e gliela mostrò. « E ti prometto che questa sarà tua » Il bambino sorrise, furbo e determinato.
« Sarà fatto, mio signore! »
« Bene » Lo afferrò per il colletto, tirandoselo vicino e guardandolo con occhi minacciosi. « Prova a scappare via con il mio anello e ti faccio tagliare tutte le dita, sono stato chiaro? » Il ragazzino annuì vigorosamente, con gli occhi spalancati dalla paura.
Ragnor sorrise. « Ora vai »
E il ragazzino si avvicinò silenziosamente al ragazzo. Alec, rivolto al negoziante per acquistare del mangime da viaggio per Lux e qualche carota, non poté minimamente accorgersi di quelle piccole dita leste che infilarono nella tasca della sua giacca l’anello d’oro di famiglia del conte Fell. Sentì Lux nitrire dietro di sé, ma non ci fece caso.
Dopo aver pagato il commerciante, si voltò vedendo un ragazzino correre. Scrollò le spalle e raggiunse Lux.
« Sì, sì. Ecco la tua carota » lo tranquillizzò, porgendogli il suo cibo preferito.
Intanto il bambino, tornato in fretta e furia dal conte, si fece dare la sua moneta e corse via.
Ragnor sorrise, uscendo da suo nascondiglio e dirigendosi verso il ragazzo.
Si va in scena.
Avvenne tutto in pochi attimi. Prese una rincorsa e si buttò addosso ad Alec, lanciando un finto urla di dolore. Nel breve e fulmineo scontro, il cavallo dello stalliere nitrì alzandosi su due zampe per lo spavento, mentre il ragazzo lasciando le briglie finì addosso al conte, sovrastandolo. Il rumore attirò in massa molti curiosi, che attorniarono i due.
« Che è successo? »
« Quello è un nobile! »
« Hanno assalito un nobile »
« Chiamate qualcuno! »
« Correte! Hanno colpito un nobile! »
In pochi attimi, due guardie in divisa furono sul posto. Alec non sapeva dove guardare e nella confusione generale, si sentì sollevare e bloccare da un paio di braccia.
« Fermo dove sei! » gli urlò il soldato, mentre l’altro aiutava l’altro ad alzarsi.
Conte Fell?
Cosa ci faceva lì?
« Ma che succede? »
« Quel ragazzo ha assalito un nobile! »
No. Non è vero.
Tentò di divincolarsi, ma venne prontamente bloccato dalla guardia.
« Non ti muovere! »
Ragnor si alzò nascondendo un sorriso compiaciuto. Finse una rabbia che non gli apparteneva e con un gesto di profonda teatralità, puntò un dito contro lo stalliere.
« Quest’uomo mi ha derubato! » Esclamazione di orrore e di sorpresa si levarono dalla folla, mentre altre guardi sopraggiungevano in aiuto. « Ha rubato il mio prezioso anello di famiglia »
Cosa?
« Un ladro! » esclamò una donna.
« Cosa- » fece fatica a dire Alec, cercando Lux con lo guardo. « Io non ho rubato niente » Ma non riuscì a sovrastare le urla concitate.
« Oltre ad essere un ladro » Il conte Fell gli si avvicinò lentamente, un sorriso minaccioso sulle labbra. « Sei anche un bugiardo! Controllategli le tasche! »
Avvertì le mani della guardia che lo bloccava setacciargli le tasche, fino ad estrarre un anello d’oro con una pietra verde e uno stemma. Alec la riconobbe come la casata dei Fell.
Ma come ci era arrivato quell’anello nella sua tasca?
« Ragazzo » Una guardia dai grandi baffi gli si parò davanti. « Ti dichiaro in arresto »
No. No no no.
Venne trascinato via, sotto le imprecazioni e gli insulti della gente, con una sola immagine negli occhi: il conte Fell che sorrideva soddisfatto.
 
 
 
 
Villa Bane.
 

 
Magnus entrò nella stanza di Alexander e si guardò intorno. Allora era vero, se n’era andato.
Durante la colazione, quella mattina, aveva sentito due cameriere discutere della partenza di qualcuno. Quel terribile sospetto si era insinuato in lui, senza lasciarlo rispondere alle domande di Catarina su dove stesse andando senza nemmeno aver finito la colazione.
E ora era nella sua stanza. Vuota.
Dalla sera precedente, non era più riuscito a pensare con lucidità ed era crollato sul suo letto con tutti i vestiti. E ora si chiedeva se le sue azioni erano state dettate dagli obblighi che gli imponeva il suo titolo oppure da quella passione irresistibile che l’aveva travolto.
La stanza era luminosa, come sempre. Non sembrava esserci nulla che ne dimostrasse il cambiamento. Come se Alexander potesse tornare da un momento all’altro, e sedersi al suo scrittoio.
Poi li vide. L’arco e la faretra che erano stati di suo padre e che Alexander aveva lasciato lì.
Il silenzio che vi regnava suonò come un’accusa implacabile alle orecchie di Magnus.
A un tratto, il chiacchiericcio lontano delle cameriere venne sovrastato dalla voce trafelata di Simon.
Magnus uscì dalla stanza e raggiunse l’ingresso.
« Ne sei sicuro, Simon? »
« Ma è terribile! »
All’arrivo del conte, tutti smisero di parlare.
« Cosa è successo? » chiese, a quel punto.
« Signor conte » Simon, ritto in piedi e non sapendo come cominciare, raccontò di quanto era accaduto in città. « Ero andato a far cambiare le montature da briglia, signor conte, quando sono stato attirato da una confusione terribile. Un nobile, signore, è stato colpito. E pare che Alec fosse sul luogo dello scontro »
« C’è stato uno scontro? »
« Sì! O meglio, no. Non esattamente- »
« Parla chiaramente, Simon » sbottò il conte, infastidito.
« Pare c-che Alec abbia derubato un nobile, signor conte. Lo hanno arrestato »
Arrestato?
« Impossibile! Alec non deruberebbe mai nessuno, signor conte! » esclamò una cameriera.
« E’ vero! Dev’esserci un errore! » si aggiunse un’altra. Magnus sollevò una mano, imponendo il silenzio.
Alexander non è un ladro.
Magnus si avvicinò a Simon, afferrandolo per la giacca.
« Chi era il nobile? »
 
 
 
 
In prigione.

 
 
Alec procedette lungo i corridoi in pietra, sospinto dalla guardia che lo aveva trascinato per tutto il tragitto. A nulla erano valsi i suoi tentativi di spiegare, di giustificarsi o addirittura di parlare con il conte Fell e fargli capire che c’era stato un errore. Camminava nel corridoio stretto, con le mani legate dietro la schiena. Si fermarono davanti a un’ampia cella, al cui interno stavano seduti diversi prigionieri. Nella semioscurità, tra le pareti scrostate dove si agitavano le ombre proiettate da una fiaccola attaccata al muro, gli occhi di tutti i prigionieri lo seguivano come cani da caccia.
Una volta che la guardia richiuse la cella, dopo averlo spinto dentro, gli uomini eruppero in ghigni sarcastici e battutine sul suo aspetto da damerino.
Alec raggiunse un angolo libero della cella e vi si sedette.
Poco distante stava un uomo grosso e sudato, dalla camicia sudicia e gli occhi piccoli. Lo guardava con un interesse sinistro, che Alec non apprezzava. Cercò di concentrarsi sulle fredde e disordinate piastrelle di pietra del pavimento.
Un movimento attirò la sua attenzione, quando un altro uomo gli si sedette al fianco, ponendosi tra lui e l’uomo nerboruto.
All’occhiata del nuovo arrivato, l’omaccione distolse lo sguardo e si mise a parlare con un compagno accanto.
L’uomo si voltò verso Alec e questi si accorse che probabilmente avevano la stessa età. Era un bel ragazzo, dai capelli scuri tenuti lunghi dietro le orecchie, la carnagione olivastra, gli occhi scuri e un leggero velo di barba e baffi.
Indossava una camicia bianca, seppur sporca e spiegazzata. Alec notò numerosi anelli alle sue mani e una catenina appena visibile oltre il colletto.
« Come ti chiami? »
« Alec »
L’altro sorrise.
« Io sono Meliorn » si presentò l’altro, poggiando un braccio sul ginocchio e voltandosi ad osservarlo con più attenzione. « E cos’è che ti porta qui, Alec? »
« Uno stupido malinteso » ribatté, infastidito. « Sono stato accusato di aver derubato un nobile »
« Ahi » fece l’altro. « Rischi parecchio »
« A quanto pare » Alec si lasciò andare con la schiena appoggiata alla parete, sentendosi sconfitto.
Lo sguardo di Meliorn scese curioso su una pergamena che spuntava da una delle tasche del ragazzo, con il sigillo dell’esercito.
« Sei un soldato »
« Mi sono arruolato oggi » spiegò. « Ero in partenza per l’addestramento »
Meliorn emise un verso divertito.
« Ottimo tempismo per un furto » Gli occhi blu dell’altro lampeggiarono sui suoi.
« Io non ho rubato niente! »
« E io ti credo » gli sorrise in risposta. « Non hai la faccia da ladro »
 
 
 
 
Villa Fell.

 
 
Il conte Bane procedeva a passo svelto lungo i corridoi, diretto alle stanze di Ragnor. Entrò sbattendo le ante delle porte senza alcun riguardo.
« Ma che- Magnus! » Ragnor si voltò di scatto verso l’intruso e riconoscendo l’amico sorrise, pregustandosi la splendida notizia che gli avrebbe presto consegnato. Sfortunatamente le mani di Magnus si serrarono sul suo colletto e Ragnor indietreggiò fino a sbattere il fianco contro un tavolino. Il vaso che vi era sopra cadde a terra, frantumandosi in mille pezzi.
« Cosa hai fatto? » La voce dell’amico era bassa, implacabile come una lama alla gola.
« Magnus, amico, che stai- »
« Ragnor, te lo chiedo di nuovo » sibilò. « Cosa hai fatto? »
Dopo un primo momento di interdizione, alla fine Ragnor sorrise di compassione.
« Amico mio » disse, posando una mano sulla presa ferrea dell’altro. « Sei davvero perso per quello stalliere »
« Sta zitto » Ragnor finse esasperazione.
« Mi hai appena chiesto di darti spiegazioni » Riuscì a liberarsi dalla presa e mise una mano davanti a sé, bloccandolo dall’avvicinarsi ancora. « E sto per farlo, quindi ascoltami prima di sbranarmi vivo »
Ragnor gli raccontò quanto era accaduto, senza tralasciare alcun dettaglio, impreziosendosi agli occhi dell’amico per la sua scaltrezza e premura nei suoi confronti.
« Non devi ringraziarmi, è stato un piacere » concluse, le labbra piegate in un sorriso benevolente.
« Fammi capire » cominciò Magnus, le mani che gli prudevano. « Tu ti aspetti davvero che io ti ringrazi per questo? »
L’espressione dell’altro si fece nuovamente esasperata.
« Nono sono forse settimane che non fai che parlare di lui e che mi logori di elogi e critiche nei suoi confronti? Quello se ne stava andando via, fra l’altro senza avvisarti, e io da tuo buon amico ho cercato di fermarlo »
« Accusandolo ingiustamente di furto? »
« Ma cosa volevi che facessi? Non avevo il tempo di correre ad avvertirti. Come se ce ne fosse bisogno, fra l’altro, di preoccuparsi così per un semplice stalliere » argomentò Ragnor. « Io non ti capisco, Magnus. Comprendo, forse, il tuo interesse nei suoi confronti » Un lampo furioso saettò dagli occhi di Magnus ai suoi. « Ma voglio dire, ci sono tanti altri stallieri in questa squallida cittadella- »
« Ragnor » lo avvertì l’altro, in una minaccia senza voce e palpabile sulla pelle.
« D’accordo, ti sei intestardito per lui e sei talmente accecato da non vedere le mie buone azioni. Benissimo, affari tuoi » si arrese l’amico. « Avrei dovuto lasciarlo partire per il fronte »
Come?
Magnus lo afferrò per il braccio.
« Mi fai male! »
« Cosa hai detto? » Ragnor si divincolò dalla presa, massaggiandosi la zona lesa.
« Ma che modi! Neanche fossi un garzone da bottega »
« Ragnor! Cosa centra il fronte? »
L’amico aggrottò dapprima le sopracciglia, riflettendo sulla domanda. Poi sospirò.
« L’ho visto parlare alla caserma con un sottotenente » raccontò, osservando gli occhi di Magnus farsi vacui. « Gli ha consegnato una pergamena. Aveva il sigillo militare »
No.
Era disposto ad arrivare a tanto, dunque, pur di non lavorare più alle sue dipendenze? Era talmente grave il torto subito, da volersene andare definitivamente?
Alexander al fronte. In battaglia.
No. Lui era un ragazzo di campagna, anche con tutto l’addestramento non sarebbe stato in grado di reggere uno scontro armato. Era forte, sveglio e determinato. Ma non era un guerriero.
I tuoi occhi non si sporcheranno del sangue che macchierà le tue mani.
« Ragnor » riprese, con urgenza. « Devi ritirare la denuncia »
Vide l’amico farsi di nuovo, per l’ennesima volta, confuso.
« Ma sei impazzito? »
« Affatto »
« E vuoi lasciarlo partire? » Magnus negò. « E allora che diamine- »
« Non voglio che parta, ma nemmeno che resti in prigione per un crimine che non ha commesso »
Magnus prese nuovamente per il colletto della giacca il suo amico, dandogli un ultimo avvertimento prima di andarsene.
« Ritira quella denuncia, Ragnor »
Ti libererò, Alexander. Te lo prometto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
Benritrovati e buon anno a tutti!
Vorrei scusarmi sinceramente per avervi fatto attendere così tanto (tantissimo, un’infinità), ma sono stata travolta da una catena di cambiamenti che mi hanno costretto a posticipare la scrittura e la pubblicazione: primo fra tutti, la mia laurea! (yeeee! *coriandoli coriandolosi*). Non vi annoierò con i particolari restanti perché penso, essendo io la prima a farlo, che il motivo per cui siate qui sia proseguire il racconto e vedere come andrà a finire (perché sì, questa odissea avrà fine, lo prometto!), essendo già tutto programmato.
Ho inserito il completamento della pubblicazione tra i miei obiettivi per quest’anno, quindi abbiate fede!
Mi auguro che vi piaccia il capitolo (sono già al lavoro sul quinto) e che non vi siano troppi errori, ma capitemi: ritrovata l’ispirazione, sto pubblicando di sera – unico mio momento libero – e capitemi, non vedo l’ora di portare il tutto a termine!
Come sempre critiche e suggerimenti sono ben accetti. Un bacio a tutti quanti e a presto!
 
P.s. Potete trovare la storia anche sul mio account di Wattpad.
 
 
Saluti,
 
Wallis Dennie
   
 
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