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Autore: Gingerhead23    15/01/2019    0 recensioni
Charlotte Pryce non incarnava affatto lo stereotipo trito e ritrito della sportiva popolare e spigliata da commediola adolescenziale. Era, al contrario, un animo piuttosto inquieto, che mal sopportava la compagnia dei suoi coetanei, se non per alcuni fortunati eletti, e preferiva di gran lunga rifugiarsi tra le pagine di un libro o in una playlist di indipendent rock, piuttosto che spendersi in chiacchiere che reputava prive di senso o in amicizie superficiali. Il suo modo di porsi decisamente poco convenzionale aveva contribuito a crearle intorno una sorta di bolla patinata, come se fosse un animale esotico esposto all zoo : ci si limitava a guardarla da lontano, con un misto di paura e attrazione, esattamente come si farebbe davanti ad un cobra particolarmente irritabile.
Sullo sfondo di un campo di pallavolo e di un liceo di provincia, tre adolescenti affrontano l'incredibile avventura della crescita cercando di non perdere sè stesse per strada.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
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Charlotte ed Emma

 

Quella mattina Blackbay Hills, una ridente cittadina nel Massachusetts a pochi chilometri da Boston - nonché vecchio baluardo dei nordisti durante la Guerra Civile - ,  era più grigia e opprimente del solito. Il cielo era di un bianco slavato, ed emanava una luce fastidiosa che costringeva a strizzare gli occhi di continuo. Nuvole sfilacciate si rincorrevano pigramente, simili a vecchi batuffoli di cotone, occultando la tenue luce del sole di ottobre. Charlotte Pryce si strinse nel giubbotto di pelle, rabbrividendo, e si avvolse con decisione la pesante sciarpa di lana color cammello attorno al collo. Camminava con passo svelto, lo sguardo rigorosamente incollato alle vecchie all star bianche e le mani cacciate in tasca per difenderle dal freddo - non avrebbe mai e poi mai indossato un paio di guanti, nonostante le vistose proteste di sua madre. Si concentrò sulla riproduzione casuale dell’Ipod, che in quel momento stava passando un brano dei REM che le piaceva particolarmente, e si concesse di dare un’occhiata a ciò che le stava intorno. Era sempre lo stesso, monotono spettacolo di ogni mattina : passanti che correvano verso gli autobus, sventolando a destra e a manca i loro caffè da asporto; vecchietti pacifici che fumavano la pipa e leggevano il giornale sulle panchine di Lincoln Park, godendosi la calma placida del parco alle prime ore del mattino; signore eleganti che aprivano le boutique raffinate del centro e fumavano le loro sigarette sottili, tenute in bilico tra unghie laccate di rosso e dita inanellate. Sospirò, annoiata e rassegnata. In quella grigia mattina di ottobre avrebbe dato qualsiasi cosa per essere da un’altra parte, per non dover essere costretta a passare otto ore del suo tempo davanti alle stesse facce e china sugli stessi, dannati libri, cercando di ficcarsi in testa nozioni che le parevano tutte ugualmente piatte.

Si fermò davanti ad un semaforo rosso, venendo subito accostata da una ridanciana comitiva di studenti, che riconobbe come matricole del suo liceo. Alzò gli occhi al cielo, infastidita dalla loro snervante eccitazione, e anelando più che mai la sua dose mattiniera di caffeina. Appena fu verde scattò in avanti, decisa a seminare l’allegro gruppetto e a rifugiarsi in fretta al Foxhole, il bar preferito dagli studenti della Blackbay High. Percorsi pochi passi, la famigliare insegna di finto legno del Foxhole - che voleva riprodurre, in maniera piuttosto pacchiana, quelle dei vecchi saloon - le si parò davanti. Con un mezzo sorriso diede uno strattone alla porta che si aprì cigolando, e venne subito investita da una zaffata dolciastra di paste appena sfornate e caffè. Fece un respiro a pieni polmoni, come di quelli che si fanno in  montagna per farsi penetrare nelle ossa l’aria balsamica dei boschi. Lì di balsamico c’era ben poco, ma era comunque una miscela particolare di suoni e odori senza la quale Charlotte non riusciva proprio a cominciare la giornata.

Si fece scivolare su uno degli alti sgabelli davanti al bancone, sistemando malamente ai suoi piedi la borsa di pelle stracolma di libri. La barista, una esuberante ucraina dalla chioma platinata e dal rossetto rosa barbie, le fece un distratto cenno di saluto mentre serviva altri studenti; a quell’ora, in effetti, i ragazzi della Blackbay High erano praticamente l’unica clientela del locale. Charlotte gettò una occhiata fugace intorno, sperando di non incrociare nessuno che conosceva per potersi godere in pace il suo caffè. Lo sguardo, poi, le cadde accidentalmente sul suo riflesso nella vetrina, e ciò che vide le fece storcere il naso in una espressione di velato disappunto. Era di corporatura minuta e, sebbene i jeans attillati evidenziassero gambe tornite e allenate, il resto del suo corpo aveva ben poco di femminile, considerando i fianchi appena accennati, il seno inesistente e le spalle squadrate da atleta. Nel complesso, in effetti, se non fosse stato per una spettacolare chioma rosso fuoco che le scendeva fino quasi alle anche, e per i penetranti occhi grigio ghiaccio, Charlotte sarebbe passata fantasticamente inosservata tra la massa di adolescenti che popolavano il liceo di Blackbay Hills. Certo, tutti conoscevano il libero della pluripremiata squadra di volley femminile, ma Charlotte Pryce non incarnava affatto lo stereotipo trito e ritrito della sportiva popolare e spigliata da commediola adolescenziale. Era, al contrario, un animo piuttosto inquieto, che mal sopportava la compagnia dei suoi coetanei, se non per alcuni fortunati eletti, e preferiva di gran lunga rifugiarsi tra le pagine di un libro o in una playlist di indipendent rock, piuttosto che spendersi in chiacchiere che reputava prive di senso o in amicizie superficiali. Il suo modo di porsi decisamente poco convenzionale aveva contribuito a crearle intorno una sorta di bolla patinata, come se fosse un animale esotico esposto all zoo : ci si limitava a guardarla da lontano, con un misto di paura e attrazione, esattamente come si farebbe davanti ad un cobra particolarmente irritabile.

“ Che ti passa per la testa, peldicarota?” .

La voce squillante di Svetlana, la barista, e il suo strascicato accento ucraino le fecero distogliere di botto lo sguardo dal suo riflesso. Le rivolse un mezzo sorriso e fece spallucce.

“ Niente che valga la pena di raccontare, Svet. Mi fai il solito?”. La barista mugugnò qualcosa di incomprensibile, mentre Charlotte le allungava due dollari e cinquanta per una tazza grande di caffè nero, rigorosamente bollente e senza zucchero.

“ Dovresti berne di meno, sai?” la redarguì gentilmente Svetlana, porgendole il caffè fumante. Charlotte sbuffò sonoramente, alzando gli occhi al cielo. Considerando che, se avesse potuto, si sarebbe tracannata un bicchiere di scotch con ghiaccio, un tazza grande di caffè le sembrava un compromesso più che accettabile per avere la forza di affrontare la giornata. Inforcò la borsa e scese con un saltello elegante dallo sgabello, armeggiando con la mano libera per trovare il pacchetto di sigarette sepolto dai libri.

“ Vado fuori a fumare” annunciò appena lo ebbe trovato, mentre Svetlana le descriveva nel dettaglio dove sarebbe finita la tazza se le fosse accidentalmente scivolata di mano. La ragazza sgusciò fuori dal locale sorridendo,  e prese velocemente possesso di uno degli sparuti e sgangherati tavolini di legno appena fuori dalla porta. Con quel freddo nessuno era così coraggioso da sedersi fuori a bere il caffè, ma ciò rappresentava per Charlotte solo un ulteriore incentivo a stravaccarsi su una delle sedie traballanti intorno ai tavolini, così da avere la certezza che nessuno le avrebbe rivolto la parola per almeno una ventina di minuti. Si accese una sigaretta e diede un lungo sorso al caffè bollente, che le fumava tra le mani come un vecchio camino. L’odore insieme acre e dolciastro del tabacco le travolse le narici, e lasciò che il fumo le invadesse la bocca per qualche secondo prima di sputarlo. Si era appena rimessa le cuffie dell’Ipod nelle orecchie, decisa più che mai ad alienarsi dal continuo via vai dei passanti,  quando una chioma bionda le ondeggiò davanti agli occhi, e un gracchiare di metallo sull’asfalto le confermò che, suo malgrado, qualcuno si era appena seduto proprio di fronte a lei. Alzò svogliatamente lo sguardo dalla schermata di spotify, giusto in tempo perché la sua amica Eva Martin le sbattesse in faccia il suo radioso sorriso da cheerleader dall’altro capo del tavolo.

“ Un giorno mi spiegherai come diavolo riesci a fumare a quest’ora del mattino”.

Charlotte fece roteare gli occhi alle parole dell’amica, e in tutta risposta diede un altro tiro deciso alla sigaretta. Eva sbuffò e incrociò le braccia al petto, come sempre quando percepiva nell’amica il distaccato sarcasmo che la contraddistingueva. La bionda non riusciva proprio a capire perché riservasse quel trattamento anche a lei, che la conosceva fin dalle scuole medie e che, col tempo, aveva imparato a voler bene anche agli spigoli più fastidiosi del suo carattere. Ma Charlotte era così, si disse: per quanto si provasse a limarla, veniva sempre fuori un nuovo, acuminato spuntone da levigare. Sospirò rassegnata, mentre l’amica dava l’ultimo tiro alla sigaretta morente e lo innaffiava con un generoso sorso di caffè.

“ Ho davanti otto ore di inferno, Evita” disse Charlotte, la voce resa leggermente roca dal fumo. “Sarai d’accordo con me nel constatare che caffè e sigaretta sono il minimo per darmi la forza di affrontarle”. Eva aggrottò le sopracciglia perfette, squadrandola da un paio di occhi azzurri fastidiosamente limpidi.

“ Otto ore? Ma oggi non è lunedì?”.

“ Lo è, biondina” fece Charlotte alzandosi rumorosamente e caricandosi in spalla la borsa dei libri. “ E come ogni lunedì, ho allenamento. Quindi sì, mi aspettano otto ore belle tonde”.

“ Hai ragione” ammise Eva seguendola a ruota, mentre si incamminavano entrambe verso la scuola. “Non considero mai i tuoi allenamenti!” .

Già, pensò Charlotte fra sé e sé. Non consideri mai un sacco di cose, Evita.

 

 

***

 

Emma Atwood guardava spazientita l’ora sul display del cellulare, picchettando nervosamente il tacco degli stivaletti color cammello sull’asfalto del marciapiede. Ormai avrebbe dovuto essere abituata all’indole ritardataria della sua migliore amica, ma ogni volta rimaneva perplessa di fronte alla nonchalance con cui Joy riusciva a mentire spudoratamente quando le diceva che sarebbe stata pronta in meno di cinque minuti. Quella mattina, ad esempio, i minuti di ritardo accumulati erano già diciassette, e tra meno di dieci sarebbe suonata la campanella della prima ora. Non che la cosa la preoccupasse granché, considerando che si trovavano a meno di un isolato da scuola, ma il suo lato più pignolo non poteva fare a meno di ruggire di protesta all’idea di arrivare in ritardo a lezione.

Digitò rapidamente sulla tastiera del cellulare l’ennesimo messaggio minatorio per l’amica, e lo inviò sbuffando rassegnata, certa che, purtroppo, non sarebbe servito a nulla.

Fece vagare distrattamente lo sguardo su e giù per le vie del centro, seguendo da lontano i folti gruppi di studenti che si avviavano verso la scuola. Un paio di ragazzi alti ed eccessivamente muscolosi - che a giudicare dalla stazza e dalla fierezza imbalsamata con cui si muovevano dovevano far parte della squadra di football - le passarono accanto sogghignando, rivolgendole occhiate d’ammirazione.

Emma, in effetti, possedeva quella spigliata bellezza tipica delle diciassettenni, talmente appariscente che, ad un osservatore più maturo, poteva sembrare quasi eccessiva. Le gambe tornite erano fasciate da un paio di pantaloni neri attillati, e slanciate dal tacco degli stivaletti; la vita sottile era esaltata dalla curva armoniosa dei fianchi e dalle spalle, rese toniche da anni di allenamenti. Nonostante la quasi assenza di seno il suo era un corpo estremamente seducente, quasi troppo adulto per appartenere ad una ragazzina. Emma, tuttavia, non era granché consapevole, e né era fornita di quella particolare grazia delle giovani donne consce della propria bellezza e dell’effetto che essa ha su chi la osserva.

Poco dopo che i due bellimbusti l’ebbero superata, la ragazza scorse dall’altro lato del marciapiede una inconfondibile chioma rosso fuoco, e si sbracciò per salutare sua cugina Charlotte. Quella all’inizio non se ne accorse, e solo dopo che la sua amica cheerleader - una bionda dalla bellezza patinata e dal sorriso di plastica che Emma trovava davvero difficile da sopportare - le ebbe dato di gomito per attirare la sua attenzione, la rossa alzò lo sguardo, come sempre ostinatamente incollato alle scarpe, e le rivolse un sorriso sbrigativo. Emma non poté fare a meno di notare, con una certa apprensione, che i lineamenti sottili della ragazza erano piuttosto tirati dalla stanchezza. Inoltre, esibiva un preoccupante colorito grigiastro e due profondi cerchi neri sotto gli occhi, che mettevano in risalto la marea di efelidi color caffè che le punteggiava il viso volpino .

“ Ehilà , Pryce!” la apostrofò sorridendo. “ Fatto nottata?”  aggiunse poi, mimando con un gesto fugace i cerchi delle occhiaie. La rossa rispose con un buffo cenno del capo, e si aprì in un sorriso sghembo.

“ Ci si vede agli allenamenti, Atwood!” tagliò corto Charlotte, mentre si allontanava con l’amica bionda che le le trotterellava affianco.

Emma stava ancora osservando da lontano i capelli color fuoco della cugina ondeggiarle ipnotici dietro la schiena, quando, finalmente, il famigliare cigolio di un cancello le raggiunse le orecchie. La sua amica Joy Saint-Claire, trafelata e inspiegabilmente attraente anche senza un velo di trucco, la raggiunse sorridendo e con in mano un termos colmo di caffè.

“ Cristo santo, Joy!” esclamò Emma, allargando le braccia in segno di protesta. “Ti rendi conto che ogni mattina riesci a raggiungere inesplorate frontiere del ritardo?!”.  Joy fece roteare i profondi occhi nocciola, a metà tra lo spazientito e l’annoiato.

“ Mamma mia, che rompipalle!” fece poi, mentre entrambe si avviavano a passo svelto verso la scuola.

A circa cinque minuti dall’inizio della prima ora, tuttavia, Joy si vide costretta suo malgrado a ringraziare la provvidenza per il fatto di abitare così vicino alla Blackbay High; non tanto per il ritardo a lezione in sé, ma perché, diversamente, avrebbe dovuto sopportare il broncio di Emma per tutto il giorno. Si conoscevano da più di dieci anni, e ancora non si era del tutto abituata a quanto l’amica potesse essere pignola e zelante quando si trattava di scuola e studio. Sarà l’educazione rigida da irlandese - si disse la ragazza mentre sorseggiava pensosa del caffè dal termos. Gettò un’occhiata di sottecchi all’amica che le camminava di fianco, intenta ora a rileggere degli appunti da un quaderno delle stesse dimensioni di una enciclopedia. Era incredibile come la genetica si fosse divertita con Emma: la pelle aveva un’appena accennata sfumatura ambrata - ereditata probabilmente dal ramo materno e texano della famiglia - in splendido contrasto con i capelli biondo ramati e gli occhi acquamarina - entrambi retaggio delle origini irlandesi degli Atwood.  Era talmente bella da mettere in soggezione, eppure in lei non c’era il benché minimo accenno di superbia.

“ Si può sapere che hai stamattina? Non ha spiccicato parola” - la voce di Emma, decisa e squillante come sempre, la fece ridestare di botto dai suoi pensieri. Joy fece spallucce, e si accorse con stupore che erano già davanti al portone principale della scuola, come al solito estremamente caotico e pieno di studenti. Entrambe si tuffarono intrepide in quella fiumana umana, e si diressero verso i loro armadietti. Afferrati i libri necessari per le prime due ore, si precipitarono nell’aula dell’algida professoressa Grace Simpson, la severissima quanto affascinante insegnante di letteratura americana. Non vedendola ancora in classe, entrambe tirarono un sospiro di sollievo : era infatti piuttosto insofferente nei confronti degli studenti ritardatari, anche se fra di essi c’era Emma Atwood, una delle più talentuose allieve del suo corso.

“ Hai visto? Non c’era motivo di agitarsi tanto” sussurrò tagliente Joy all’orecchio di Emma, proprio mentre la figura slanciata della professoressa entrava in aula e gli studenti si affrettavano a tirare fuori i libri. “Precisione svizzera, come al solito!”.

Emma si aprì in un sorriso sghembo stranamente simile a quello di Charlotte, senza dire niente, e Joy seppe che, anche quella volta, era stata tacitamente perdonata per il suo ritardo.

 

 

Ciao a tutti! Non ho molto da dirvi riguardo questo primissimo capitolo, ma solo che spero vi sia piaciuto e vi abbia invogliato ad andare avanti. Vi dico dunque in due parole qualcosa in più sul progetto alla base di questa storia:

  • E’ in parte autobiografica. O meglio, diciamo che prende ispirazione da vicende, storie e rapporti che ho realmente vissuto e li romanza un bel po’. I pensieri e i sentimenti che racconto attraverso i miei personaggi sono molto miei, ma spero comunque di raccontare anche un po’ di tutti voi che mi leggete, perché sono fermamente convinta che determinate emozioni e pezzi di vissuto siano comuni a tutti.
  • Ad un certo punto vorrei che diventasse interattiva. Mi spiego meglio: dopo una serie di capitoli iniziali “comuni”, se la storia ha un buon seguito e vedo che viene apprezzata, vorrei mettere voi lettori davanti ad una scelta, e vi chiederò cosa vorreste che un personaggio faceste dandovi due opzioni. Ci diamo un tot di tempo per votare e la storia proseguirà secondo l’opzione più votata ( un po’ alla Bandersnatch per chi lo ha visto e sa cosa intendo). Chiaramente non è nulla di obbligatorio, ma mi piacerebbe molto fare questo tipo di esperimento, sperando di avere un pubblico sufficiente:)
  • Blackbay Hills non esiste: è ispirata alla mia città natale, ma è tutto incredibilmente fittizio :))
  • La storia sarà piena di riferimenti alla pallavolo, spesso anche un po’ tecnici, senza però mai esagerare. Se c’è qualcosa di poco chiaro ditemelo man mano che leggete e vi spiegherò tutto quanto ( sperando di non risultare troppo noiosa).

Bhe, direi che mi sono dilungata anche fin troppo! I primi capitoli sono già pronti e ve li posterò in più o meno rapida successione, poi vediamo che piega prende! Vi voglia già tantissimo bene, sempre vostra

Ginger

   
 
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