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Autore: Gingerhead23    16/01/2019    0 recensioni
Charlotte Pryce non incarnava affatto lo stereotipo trito e ritrito della sportiva popolare e spigliata da commediola adolescenziale. Era, al contrario, un animo piuttosto inquieto, che mal sopportava la compagnia dei suoi coetanei, se non per alcuni fortunati eletti, e preferiva di gran lunga rifugiarsi tra le pagine di un libro o in una playlist di indipendent rock, piuttosto che spendersi in chiacchiere che reputava prive di senso o in amicizie superficiali. Il suo modo di porsi decisamente poco convenzionale aveva contribuito a crearle intorno una sorta di bolla patinata, come se fosse un animale esotico esposto all zoo : ci si limitava a guardarla da lontano, con un misto di paura e attrazione, esattamente come si farebbe davanti ad un cobra particolarmente irritabile.
Sullo sfondo di un campo di pallavolo e di un liceo di provincia, tre adolescenti affrontano l'incredibile avventura della crescita cercando di non perdere sè stesse per strada.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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Charlotte

 

Non c’era niente al mondo che potesse mettere a tacere il baccano che aveva in testa come gli allenamenti. Giocava a pallavolo dalla prima media, e da allora la palestra era diventato il suo personalissimo e irrinunciabile rifugio. Il sudore, i tonfi regolari dei palloni, lo stridio delle scarpe sul pavimento, l’inconfondibile rumore di un attacco andato a segno o di un muro vincente, erano, ormai da anni, le sole cose realmente in grado di infonderle un senso di pace. E per una mente complessa e tortuosa come quella di Charlotte, la pace era un dono preziosissimo.

Aveva appena finito la sua serie conclusiva di bagher contro il muro, con tanto asticella di legno tra le mani per migliorare il piano di rimbalzo obbligandolo ad essere il più piatto possibile. Si asciugò il sudore con un rapido gesto della mano, e si accasciò a terra per lo stretching accanto ad Emma e Joy. Anche loro avevano finito, e tutte e tre osservavano in silenzio i centrali e i palleggiatori che concludevano il giro di attacchi liberi con l’aiuto del coach, l’inossidabile Alexei Tucker, meglio noto come “il vecchio Tuck”. Le Sparrows della Blackbay High erano tra le squadre più forti della contea da anni, e il programma di volley della scuola era indubbiamente tra i più rinomati dello Stato. Il vecchio Tuck allenava la squadra femminile da circa trent’anni e da almeno venti vinceva un campionato dietro l’altro, cosa che faceva rodere di invidia l’allenatore della squadra maschile, Max O’Connell, che non portava a casa un titolo nazionale da almeno cinque stagioni. Tra la squadra femminile e quella maschile, i Clovers, vigeva una sorta di faida più o meno bonaria, che costituiva il principale elemento di folclore della Blackbay High. In realtà il resto della scuola prendeva molto più sul serio la cosa di quanto non facessero i giocatori e le giocatrici di entrambe le squadre, ma erano comunque tutti contenti di stare al gioco e alimentare una rivalità ormai più scenica che altro, un po’ come Hatfiled e McCoy. Faceva di loro dei personaggi, e nessuno, al liceo, rinuncia ad essere un personaggio tanto facilmente.

“ Lo stai rifacendo, Lottie” - Emma le diede una spallata facendola ondeggiare di lato, e Joy ridacchiò.

“ Cosa sto rifacendo?” ribatté Charlotte piccata, anche se in realtà sapeva perfettamente a cosa si riferiva sua cugina. A volte, come in quel caso, le capitava di perdersi completamente nei suoi pensieri e di rimanere anche minuti interi in silenzio tombale, totalmente estranea a quello che le succedeva intorno. La cosa non la infastidiva affatto ma, a quanto pareva, poteva indispettire gli altri.

“ Lo sai benissimo” - Emma le puntò addosso un paio di intensi occhi acquamarina, che sul viso arrossato dalla fatica erano ancor di più vividi, simili a fiammelle elettriche.

“ Sono solo stanca” sbuffò Charlotte in risposta. “E poi devo ancora finire una tesina di storia che di sicuro mi terrà sveglia fino alle due”.

Emma e Joy si scambiarono una rapida occhiata, alzando gli occhi al cielo. Charlotte apparteneva a quell’irritante categoria di studenti cui la provvidenza aveva regalato un cervello innegabilmente superiore alla media, dunque aveva bisogno di studiare due, massimo tre ore al giorno per avere una media eccellente. Non di certo di stare sveglia tutta la notte per finire una tesina che, ammesso e non concesso che fosse effettivamente da terminare, avrebbe impiegato massimo un’ora e mezza per concludere.

“ Bhe, che c’è?” fece Charlotte, notando la reazione eloquente delle due compagne di squadra. “E’ vero! Devo sul serio finire quella dannata tesina”.

Emma aprì la bocca per ribattere, ma venne interrotta da un frastuono di risate, urla sguaiate e palloni sul pavimento. In un batter d’occhio l’intera squadra di pallavolo maschile della Blackbay High fece il suo rumoroso ingresso nella palestra, suscitando la curiosità generale. Entrambe le squadre avevano infatti una palestra indipendente per allenarsi secondo i propri ritmi e orari, dunque era una discreta novità che i Clovers, con tanto di allenatore al seguito, si presentassero nella palestra delle Sparrows durante il loro orario di allenamento.

“O’Connell, si può sapere che diavolo ci fate qui?” tuonò il vecchio Tuck, facendo cenno a centrali e palleggiatori di stoppare l’esercizio. Se la rivalità tra le due squadre era solo bonaria, la stessa cosa non poteva dirsi di quella tra i due allenatori, la cui spiccata antipatia reciproca era tutt’altro che finta.

Max O’Connell, un’ometto basso, pelato e abbronzato, senza scomporsi minimamente, fece un rapido cenno alla sua squadra, che iniziò il riscaldamento correndo per tutto il perimetro della palestra. Passando accanto ad Emma e Joy, molti si voltavano a guardarle con sorrisetti idioti dipinti sul viso. Charlotte era abituata a non ricevere le plateali attenzioni che i ragazzi dedicavano alle sue amiche, e la cosa non la turbava granché. Era troppo indipendente per lasciarsi influenzare da cose del genere, e in ogni caso i rapporti con l’altro sesso non erano mai stati il suo forte. Non possedeva quell’innata capacità - che invece aveva Joy - di flirtare senza mai risultare volgare o stupida, né era bellissima e carismatica come sua cugina Emma.

“ Calmati, Tucker” disse in quel momento O’Connell, sfoderando un’espressione rilassata che, Charlotte era certa, avrebbe fatto imbestialire ancor di più il vecchio Tuck. “ La nostra palestra sarà inagibile per qualche settimana. Ci sono infiltrazioni di muffa nel soffitto, sai, non è salutare che i miei ragazzi respirino quella roba”. Tucker lo fissò più accigliato che mai, mentre le ragazze alle sue spalle si scambiavano occhiate incuriosite.

“ Credevo che la Preside McCoy ti avesse avvertito” continuò O’Connell. “Ho accettato di inserire i miei allenamenti subito dopo i tuoi, così i ragazzi avranno più tempo per studiare e non sconvolgeremo i vostri orari. Credo che possiamo sopravvivere, non trovi?” - concluse, ammiccando e mostrando una fila di denti bianchissimi. A Charlotte ricordò il testimonial imbalsamato di una pubblicità  di detersivi per pavimenti, e fece del sul meglio per trattenere una risata.

“ Ti avverto, O’Connell” ringhiò Tucker, puntandogli addosso un dito con fare minaccioso. “Io sono qui per lavorare, e soprattutto per allenare una squadra. Al primo sgarro tuo, o di questo ammasso di muscoli senza cervello che hai l’ardire di chiamare pallavolisti, giuro che ti gambizzo!”.  Le Sparrows scoppiarono in una fragorosa risata, mentre i Clovers, che si erano fermati per fare stretching e soprattutto per godersi il battibecco, si inalberarono in sonori fischi di protesta. Alcuni di loro iniziarono a intonare cori sconci e a lanciare palloni contro le ragazze, mentre Tucker e O’Connell continuavano a litigare animosamente.

“ La volete piantare?!” - Elizabeth Stark, l’algido capitano delle Sparrows, si era appena piazzata in mezzo al campo, schivando con grazia i palloni che continuavano a volare contro le ragazze.  I capelli corvini, legati in una ordinata coda di cavallo, le fluttuavano dietro la schiena mentre gesticolava furiosamente contro il capitano dei Clovers, un belloccio castano dalla mascella quadrata di nome Zac O’Neil.

“E dai, Stark, rilassati” rispose quello sfoderando un sorriso fintamente innocente. “Ci stiamo solo sfogando un po’. E poi…” - indicò con un cenno distratto i due allenatori che ancora battibeccavano. “Finchè non la smettono loro due, voi non ve ne andate e non ci alleniamo”. Ad Elizabeth non dovette piacere granché l’uscita di Zac, perché gli rispose per le rime e i due presero a punzecchiarsi proprio come Tucker e O’Connell.

“ Credo che andrò a darle manforte” fece Emma rassegnata, mentre un paio di ragazzi dei Clovers raggiungevano Zac, piazzandosi alle sue spalle ridacchiando. “Tu non vieni? So che non vedi l’ora di dire a quell’idiota di Nick Grayson che il fatto di essere alto e biondo non lo rende automaticamente un bravo attaccante”- si voltò a guardare Charlotte, facendole l’occhiolino. Quella si aprì in un sorriso sghembo.

“ A dire il vero io…”

Charlotte non fece in tempo a finire la frase, perché un pallone la colpì in pieno naso con una forza mostruosa. Un dolore sordo le esplose in testa come una bomba, mentre si portava entrambe le mani al naso e sentiva in bocca lo sgradevole sapore metallico del sangue. La vista le si annebbiò rapidamente, non sapeva se per le lacrime o perché stava per svenire, mentre intorno a lei i colori e le luci della palestra si confondevano in fretta come in una specie di vortice. Sentì le voci delle sue compagne, che le si erano probabilmente raggruppate intorno; in particolare, udì distintamente Emma urlare contro un certo Holden che era un vero coglione.

Dopo qualche minuto che le sembrò eterno, il dolore cominciò ad essere meno intenso e i contorni intorno a lei si fecero più nitidi. Ricacciò indietro le lacrime con un gesto veloce, e vide che le mani erano completamente imbrattate di sangue. Non osò immaginare in che stato fosse la sua faccia, ma al momento l’unica cosa che le interessava era assicurarsi che il naso non si fosse rotto. Lo tastò delicatamente, e sospirò di sollievo nel constatare che era ancora perfettamente intatto - forse solo un po’ ammaccato. Lentamente, molto lentamente, alzò lo sguardo e si ricompose. La testa le girava leggermente e aveva una nausea soffusa, ma la cosa non la spaventò più di tanto perché aveva perso parecchio sangue dal naso. Continuava a perderne in realtà, ma erano più che altro goccioloni radi, non il fiume in piena di qualche minuto fa. Afferrò al volo l’asciugamano che le porgeva Juliet Brown, la biondissima senior che giocava come centrale, e la usò per tamponarsi naso e viso. Scoccò un’occhiata quasi divertita allo spettacolo delle sue compagne di squadra che litigavano furiosamente con i Clovers, indicando a ripetizione lei e un ragazzo altissimo che le deva le spalle. Quest’ultimo fece spallucce mentre Emma gli sbraitava addosso con foga, e poi disse con strafottenza : “Per essere uno dei migliori liberi della contea, come si dice in giro, non ha esattamente i riflessi pronti”.

Quelle parole la colpirono con la stessa intensità del pallone che le aveva quasi fracassato il naso. Sentì l’orgoglio ribollirle nelle vene, e desiderò ardentemente guardare dritto negli occhi quello sbruffone per potergli rispondere come si deve. Fece qualche passo verso il gruppetto, fregandosene della faccia piena di sangue e del suo aspetto da film horror a basso budget.

“Carino da parte tua farmi così tanti complimenti” esclamò, sfoggiando il suo miglior tono provocatorio. “Ti vergogni a ripetermeli in faccia perché hai paura di arrossire?”.

Emma si portò una mano alla bocca per trattenere una risata, mentre inaspettatamente tutti gli altri rimasero in silenzio. Con movimenti esasperatamente lenti, quello si voltò verso di lei e Charlotte pensò in maniera piuttosto irrazionale che probabilmente indossava le lenti a contatto, perché non aveva mai visto nessuno con gli occhi color oro.

Il ragazzo che le stava davanti, e che la fissava con un irritante ghigno di superiorità, era - e Charlotte avrebbe preferito tagliarsi le vene piuttosto che ammetterlo ad alta voce - fastidiosamente bello. Non era la classica bellezza un po’ impomatata degli atleti a cui era abituata, ma più pura, viscerale, come se qualcuno lo avesse strappato dalla tela di un dipinto. L’oro degli occhi era in splendido contrasto con il nero corvino dei capelli a spazzola, i quali non coprivano neanche un millimetro del viso dai lineamenti perfettamente disegnati e leggermente lentigginoso sul naso e sugli zigomi. Non ricordava di averlo mai visto in palestra - forse era quel nuovo attaccante di cui O’Connell parlava con orgoglio da due settimane a quella parte - eppure c’era qualcosa, in lui, che le dava la sensazione di conoscerlo da sempre. Come quando incontri dal vivo i protagonisti di una qualche vecchia fotografia.

Il ragazzo continuava a  fissarla in silenzio, con quel ghigno beffardo ancora stampato in faccia, come se l’evidente irritazione di Charlotte non facesse che divertirlo terribilmente. La stava studiando, Charlotte lo poteva percepire con chiarezza, ma se da un lato la cosa la infastidiva, dall’altro le dava una certa soddisfazione, come se fosse esattamente ciò che voleva. Si sentì immediatamente molto stupida per aver pensato una cosa del genere, e si schiarì la voce per tornare alla realtà.

“ Perdonami, peldicarota” disse allora il ragazzo, aprendosi in un sorriso mozzafiato. “Non intendevo offenderti. Facevo solo una osservazione obiettiva sulla tua performance” - fece un vago cenno alla maglietta macchiata di sangue di Charlotte. Questa si sentì punta nell’orgoglio ancor di più, ma si impose di non esplodere per non dargliela vinta.

“No, hai ragione. E’ stupido da parte mia prendermela” rispose infine, gettando un’occhiata all’asciugamano che stava usando per tamponarsi il naso, e accorgendosi con disappunto che era zuppa di sangue e sudore. Alzò di nuovo gli occhi verso il ragazzo.

“D’altra parte, era l’unico modo che avevi per farmi fallire una difesa: prendermi a pallonate mentre non guardavo”.

Le sue compagne di squadra eruppero in un fragorosa risata, e il libero dei Clovers, un certo Jonathan Mayers detto Johnny-boy per evidenti motivi legati alla sua altezza, esclamò: “ Te le ha cantate, fratello!”.

Charlotte si concesse di sorridere, e, mentre il vecchio Tuck le spediva in spogliatoio a fare la doccia sbraitando come un ossesso ( le cose che stava urlando contro O’Connell per aver permesso ad uno dei ragazzi di ridurre una sua atleta ad un “ammasso sanguinolento” erano davvero irripetibili ), qualcuno alle sue spalle esclamò: “ Comunque mi chiamo Holden. Holden Cartwright”.

Charlotte riconobbe immediatamente la voce del ragazzo, e senza che lo volesse le scappò un mezzo sorriso, che tentò subito di mascherare con un colpo di tosse. Si voltò, continuando a camminare all’indietro verso gli spogliatoi, e incrociò subito lo sguardo dorato di Holden.

“Sono il miglior libero della contea, come si dice in giro. Non c’è bisogno che ti dica come mi chiamo”.

Holden sorrise ancora, passandosi una mano tra i capelli scurissimi e arruffandoseli con studiata nonchalance. Charlotte alzò gli occhi al cielo e tornò a dargli le spalle, decisa a non aggiungere altro, ma Emma, che era accanto a lei, si voltò di scatto e urlò: “Lei invece si chiama Charlotte. Charlotte Pryce!”.

Charlotte trasalì e sperò ardentemente di non essere arrossita. Afferrò Emma per un gomito e la trascinò negli spogliatoi per evitare che facesse altri danni.

“ Si può sapere perché te la prendi tanto?” la redarguì la cugina, mentre si buttavano sotto la doccia. “Era evidente che moriva dalla voglia di sapere come ti chiamavi!”.

“ No che non lo era” sbuffò Charlotte, mentre il vapore dell’acqua calda le avvolgeva. “Era solo contento di avermi quasi spaccato il naso e voleva umiliarmi ancora un po’”.

“ E invece sì!” intervenne in quel momento Joy, mentre si piazzava nella doccia accanto ad Emma. “Sei solo troppo cocciuta per ammetterlo”.

“ Temo che Joy abbia ragione, Pryce” disse Elizabeth Stark, entrando nell’abitacolo vicino a Charlotte e arricciando il naso al contatto con l’acqua bollente. Charlotte aggrottò le sopracciglia e si voltò a guardarla. “E tu che ne sai?”.

Elizabeth sospirò a fondo tra l’esasperato e il divertito, e puntò addosso a Charlotte i suoi incredibili occhi verde brillante, in splendido contrasto con la chioma corvina così simile a quella di Holden.

“ Ma non è ovvio? Non è riuscito a staccarti gli occhi di dosso nemmeno per un secondo”.

 

 

***

 

 

Ariciao! Come vi avevo anticipato, i primi capitoli verranno postati in rapida successione perché voglio cercare di darvi un quadro più o meno completo dei personaggi nel minor tempo possibile.  Qui iniziamo a vedere qualcosina in più di Charlotte ( che è la mia preferita in assoluto, sappiatelo ) : è una tipa tosta, ma ha un caratteraccio ed è moooolto orgogliosa, oltre che parecchio complicata.

Per quanto riguarda Holden, aspetterò un paio di capitoli per dire qualcosa, ma sappiate già da ora che è altamente probabile che scatenerà il vostro peggiore odio :)

Come avevo già detto in questo capitolo inizia a farsi sentire una presenza che sarà costante, ossia la pallavolo. Non credo di essere stata eccessivamente tecnica, ma se aveste dubbi/domande/ curiosità fatevi avanti senza vergogna:)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi abbia ulteriormente invogliati:) Aspetto con ansia ( se ne avete voglia ) qualche parolina di recensione, di ogni genere e sorta:) Vi voglio bene, sempre vostra,

Ginger

   
 
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