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Autore: Amy W Gildeary    16/01/2019    2 recensioni
Il conte Girolamo Riario una volta disse: «Quando si deve trasmettere un messaggio, preferisco servirmi di mezzi che gli altri non userebbero».
Una donna, ad esempio.
E se papa Sisto IV non avesse avuto un figlio, ma una figlia?
E se il bellicoso Santo Padre avesse deciso di sfruttarla come arma per i suoi subdoli piani, approfittando dell'effetto sorpresa?
Cosa sarebbe successo se avesse avuto lei il compito di attaccare Firenze e di ottenere i servigi del geniale artista Leonardo da Vinci?
-
«Sapete chi sono?», domandò la giovane donna, chinando di poco la testa di lato; la voce morbida e vellutata, senza alcuna traccia di turbamento. «Sono Gemma Riario. Contessa di Imola, guida della Santa Romana Chiesa e nipote di Sua Santità, papa Sisto IV».
[...]
«Sì, lo so», commentò la contessa, con un sospiro annoiato. «Rimangono tutti sempre molto sorpresi di vedere una donna», continuò, con una naturalezza e una tranquillità a dir poco disarmanti, ben poco appropriati al contesto. «Volevano un figlio maschio. Lo avrebbero chiamato Girolamo. Ma poi sono arrivata io».
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leonardo da Vinci, Nico, Nuovo personaggio, Zoroastro
Note: What if? | Avvertimenti: Gender Bender
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Il Gioiello del Vaticano
Capitolo 10 - Il Mago 

 

 

 

Nei Tarocchi, la carta del Mago rappresenta lo spirito, il soggetto pensate che si riflette nell’Io. Indica intelligenza, azione, padronanza, libertà nei confronti del pregiudizio. E ancora, esprime abilità, diplomazia, furberia, capacità di persuasione.
Al negativo, però, significa intrigante, senza scrupoli e sfruttatore.

 

 

 

            «Bisogna dargliene atto: Riario sa esattamente come intimidire le sue prede».

 

            «Forse Dio è dalla parte della contessa in questa faccenda».

            «Non ho fede in alcun Dio che si schiera con quella… subdola manipolatrice».

 

            «Volete spuntare la vostra lama su di me, quando invece dovreste tenerla affilata per Riario?»

 

Leonardo ormai non riusciva più a sentire nemmeno i suoi pensieri, tanto la sua mente era affollata di parole dall’ultima conversazione, avuta nell’osteria. Uscì barcollando dalla porta sul retro, sperando così di allontanarsi da quelle voci, da quelle accuse, ma purtroppo non trovò alcuna pace.

Si passò le mani sugli occhi, cercando di recuperare lucidità, ma quando sollevò lo sguardo vide qualcuno attraversare il vicolo a passo svelto. Non ebbe bisogno di più di un secondo per riconoscere la persona davanti a lui: l’arma più potente del Vaticano.

Ancora incerto sulle sue stesse gambe, cercò di nascondersi velocemente dietro ad una colonna, aspettando il momento giusto per lanciarsi per le strade di Firenze, all’inseguimento del suo nemico. Non appena la vide voltarsi dall’altra parte e dargli le spalle, uscì allo scoperto.

Purtroppo, però, non riuscì a muovere più di qualche passo, e il suo sguardo fu nuovamente catturato.

Alla sua sinistra, la strada era un lago di sangue, coperta da decine e decine di cadaveri brutalmente martoriati. Iniziò a tremare violentemente, mentre si avvicinava per controllare cosa fosse accaduto.

Tra tanti cittadini a lui sconosciuti, però, vide chiaramente il volto di Nico, la pelle pallida, gli occhi sbarrati e il sangue che gli colava lungo la fronte. Accanto a lui, il corpo di Zoroastro giaceva senza vita, accasciato scompostamente su sé stesso.

Avanzò di qualche altro passo, sempre più incerto e scosso, ma presto desiderò di non averlo mai fatto.

Con la schiena poggiata ad una colonna, Andrea aveva lo sguardo perso nel vuoto e la camicia impregnata di sangue. Poco distante giaceva tutta la famiglia de’ Medici, comprese le tre piccole bambine di Clarice e Lorenzo, il candore delle loro vesti devastato dalle ferite. Giuliano aveva lo sguardo rivolto altrove, e seguendolo Leonardo riconobbe Vanessa, sdraiata su un fianco.

Sentiva che il cuore stava per uscirgli dal petto, il suo viso era imperlato di sudore e i suoi occhi si stavano bagnando di lacrime. Rialzò lo sguardo ma la situazione non fece che peggiorare: tutte le altre vie della città si stavano riempiendo di cadaveri, vittime innocenti morte per la sua incapacità di salvare la città.

L’aria stava diventato irrespirabile, improvvisamente densa di fumo, mentre nelle orecchie dell’artista risuonava il boato dei suoi cannoni. Questa volta, però, non erano rivolti verso il nemico, ma nella sua direzione.

Tentò invano di recuperare fiato, di deglutire, di muovere anche un solo muscolo del suo corpo, ma il terrore lo aveva paralizzato e nemmeno la sua mente era in grado di ragionare.

Per cui, quando sentì qualcosa di freddo e metallico premuto contro la sua gola non accennò alla benché minima reazione, né oppose resistenza sentendosi strattonato altrove. Tutte le sue energie erano concentrate sul tentare di respirare, prima che il suo corpo cedesse alla mancanza di aria.

Quando finalmente la strada fu fuori dal suo campo visivo, così come il sangue e i cadaveri, Leonardo riuscì finalmente ad inspirare, i polmoni che bruciavano per la prolungata assenza di ossigeno. Sbatté più volte le palpebre e i corpi senza vita dei suoi amici sparirono.

Sentì la schiena sbattere violentemente contro una parete, e solo allora si rese conto di essere stato trascinato via, in un piccolo angolo nascosto tra una casa e l’altra. E finalmente anche il viso della contessa Gemma Riario fu chiaro e nitido.

Ancora scosso, da Vinci rimase in silenzio per qualche istante, cercando di non cedere ai tremendi capogiri che lo stavano tormentando.

            «Siete un’allucinazione anche voi?», mormorò lui con un filo di voce, mentre ansimava alla ricerca di aria.

Per un istante, per un brevissimo istante, gli parve di scorgere una traccia di preoccupazione negli occhi della giovane contessa, ma venne ben presto spazzato via dalla sua espressione fredda e determinata.

            «Temo di no, artista», rispose Gemma, con una certa dose di confusione nel tono della voce.

Leonardo ripensò a quello che aveva visto poco prima: Gemma stava chiaramente scappando via dalla città, con la spada salda tra le mani, e poi erano apparsi tutti quei cadaveri, tutto quel sangue… Eppure in quel momento lei era lì, ad un soffio dal suo viso, con lo stiletto alla gola di lui e l’aria tutt’altro che intimidita.

Solo allora da Vinci capì che anche la sua figura in fuga per le strade di Firenze era stata frutto della sua immaginazione; ma in quel momento, al contrario, ogni cosa era reale. Tutto l’alcol in circolo gli stava giocando brutti scherzi, e un brutto presentimento gli mormorò all’orecchio che il peggio doveva ancora arrivare.

Cercò di recuperare un minimo di lucidità e il suo sguardo tornò sulla figura di fronte a lui, e soprattutto sull’arma con cui lo stava minacciando.

            «Sapete che se qualche guardia vi vedesse ora potreste dire addio alla vostra guerra, contessa?», tentò di intimidirla, mentre si sforzava di capire come uscire da quella brutta situazione.

Non si sorprese di non vederla minimamente turbata. Anzi, il suo sorrisetto malizioso divenne un piccolo ghigno di soddisfazione.

            «Credete che i manifesti fossero coriandoli?», gli chiese.

 

«Popolo di Firenze, i Medici vi condurranno alla morte».

 

            «Niente svuota le strade come il terrore», mormorò Gemma, chinando leggermente la testa di lato.

Da Vinci sollevò lo sguardo verso la città e, infatti, non scorse nemmeno l’ombra di un’altra persona fuori dalle abitazioni. A celare ulteriormente la loro singolare presenza lungo le vie di Firenze, ci pensava il piccolo angolino tra le costruzioni in cui si trovavano.

            «Mossa davvero astuta, contessa», si complimentò l’artista, riportando la sua attenzione sulla giovane donna.

Prima che lei potesse anche solo accorgersene, Leonardo aveva colpito il suo braccio, facendole perdere la presa attorno allo stiletto, e altrettanto velocemente le aveva afferrato i polsi, capovolgendo le loro posizioni e tenendole ferme le braccia lungo i fianchi.

            «Ma non potrei dire la stessa cosa di ora», aggiunse, con finto dispiacere.

L’artista vide chiaramente un briciolo di confusione nei suoi occhi, e per un attimo anche lui si sorprese di averla disarmata tanto facilmente, ma si impose di recuperare immediatamente la concentrazione, prima di perdere il suo vantaggio.

            «Accettate la sconfitta, per una volta», sussurrò Gemma, la voce libera da qualsiasi traccia di paura o turbamento. «Nemmeno voi siete in grado di sconfiggere un esercito in una notte».

Leonardo lo sapeva. Sapeva benissimo in quale tremenda situazione si era cacciato, ma darle la soddisfazione di vederlo sconfitto sarebbe stato ancora peggio.

            «Non siete nella posizione adatta per lanciare le vostre solite minacce, contessa», rispose lui, stringendo la presa attorno ai suoi polsi per sottolineare il concetto.

In quale modo Gemma riuscisse ancora a dimostrarsi calma e imperturbata, nonostante la situazione fosse totalmente a suo sfavore, per da Vinci era un mistero. Non si rese nemmeno conto che, tanto assorto nei suoi dubbi sul suo autocontrollo, si era sporto ulteriormente verso di lei, costringendola ad appiattirsi contro il muro alle sue spalle.

Il giovane fiorentino rimase ancora in silenzio, cercando di scorgere qualcosa nel viso della contessa, qualcosa di diverso dalla maschera fredda e controllata che portava sempre e comunque.

            «Dunque, artista?», lo provocò lei. «È la vostra occasione».

Chiunque, al suo posto, avrebbe mostrato un segno di cedimento, un alone di paura, eppure anche lì, bloccata e privata di ogni via di fuga, riusciva a sfidarlo con sguardo fiero e impassibile, aspettando quasi impaziente la sua prossima mossa.

Da Vinci sapeva benissimo qual era la cosa giusta da fare, quale azione avrebbe risolto ogni problema, suo e di Firenze. Eppure, anche solo pensare di portare a compimento quel piano gli serrava la gola come solo l’allucinazione di poco prima era riuscita a fare.

Rimase in silenzio, mentre il suo sguardo vagava dagli occhi della ragazza al suo viso, alle sue labbra. Era inspiegabile, eppure ogni volta che la distanza tra di loro si riduceva drasticamente, e ben oltre i limiti dell’appropriato, Leonardo non riusciva a fermare il suo desiderio di ammirarla, e il ricordo del loro primo incontro lo tormentava senza pietà.

            «Sarei molto tentato di farlo, e senz’altro questo porrebbe fine a tutti i problemi di Firenze…», mormorò, avvicinandosi ulteriormente a lei e restando in silenzio per qualche altro secondo. «…ma sarebbe davvero un peccato uccidervi, non trovate anche voi?», aggiunse, allontanandosi solamente il tanto da poter osservare i suoi occhi.

Niente. Assolutamente niente. Nessuna traccia di turbamento, di paura, di disagio. Gemma non aveva perso nemmeno un briciolo della sua calma e della sua sicurezza; al contrario sembrava sfidarlo tacitamente, servendosi di nient’altro se non il suo sguardo.

            «E che cosa vi trattiene?», mormorò lei, genuinamente curiosa.

Leonardo sentì l’alcol nel suo corpo ribollire, come se una scintilla lo avesse appena incendiato. E sapeva che, purtroppo, non avrebbe portato a nulla di buono.

Ma non arrivò a realizzare altro che la sua mente agì da sola, libera da inibizioni.

            «Il fatto che io trovi queste nostre conversazioni tremendamente stimolanti», sussurrò, tornando di nuovo ad un soffio dalle sue labbra. «Non riuscirei ad interromperle in questo modo».

Per la prima volta, la curiosità di esaminare la sua reazione non ebbe la meglio, e da Vinci rimase lì, ad indugiare con lo sguardo sulle sue labbra, ogni energia impiegata nel tentativo di non avvicinarsi ulteriormente con il resto del corpo.

            «Seguitemi a Roma, dunque», sussurrò Gemma, e la sensazione del suo respiro a una tale vicinanza costrinse Leonardo a chiudere gli occhi, mentre la sua immaginazione viaggiava senza inibizioni. «Avremmo sicuramente tutto il tempo che desiderate…», continuò lei, e la presa di lui attorno ai suoi polsi stava per cedere. «…per parlare».

La contessa lo vide chiaramente bloccarsi di colpo, per effetto delle sue ultime parole, e non riuscì a celare un sorrisetto divertito vedendolo allontanarsi di poco da lei. Sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a trattenersi dall’infierire ulteriormente: era una sfida persa in partenza.

            «Ho forse deluso le vostre aspettative, da Vinci?», domandò lei, fingendosi dispiaciuta.

Leonardo riaprì finalmente gli occhi e non riuscì a celare nessuna delle emozioni che lo stavano tormentando: confusione, brama, turbamento…

            «Ho avuto un repentino calo di desiderio non appena avete nominato Roma», mormorò lui, fingendo una smorfia di disgusto.

Gemma lo osservò per qualche secondo prima di inclinare la testa di lato, come un piccolo cucciolo dall’aria dispiaciuta.

            «Niente che possa compensarlo?», chiese, l’innocenza del suo sguardo che lentamente spariva, sostituita dalla sua inconfondibile vena di malizia.

Leonardo non poté non scuotere la testa incredulo. Ogni volta che credeva di aver scoperto tutte le sue carte, di aver sondato ogni sua reazione, di aver visto ogni sua sfaccettatura, lei riusciva comunque a sorprenderlo, a destare di nuovo il suo interesse, ad accendere per l’ennesima volta il desiderio nei suoi confronti.

Quella ragazza aveva un effetto incredibile su di lui, e l’alcol in circolo fu tutt’altro che d’aiuto. Soprattutto per la terribile curiosità di sapere se anche lui fosse in grado di provocare in lei quello stesso devastante effetto, anche solo in minima parte.

            «In effetti, qualcosa ci sarebbe», mormorò da Vinci, concedendosi qualche secondo di silenzio per studiarla, ogni volta come se fosse la prima.

Lentamente, prendendosi tutto il tempo di cui aveva voglia, strinse la presa attorno ai suoi polsi e li allontanò dal muro, per poi tenerli entrambi in una mano, in modo da avere libera l’altra. Una piccola parte di lui era sicura di aver commesso un errore e che in un secondo Gemma avrebbe sfruttato la cosa a suo favore per liberarsi; eppure niente di tutto ciò accadde, e la contessa non azzardò alcuna mossa.

Leonardo sollevò di nuovo lo sguardo sul suo viso, e probabilmente da sobrio si sarebbe fermato ben prima di quel punto, ma nessuna traccia di buon senso si era ancora risvegliata dall’intorpidimento causato dall’alcol. Sollevò la mano libera e, con il dorso dell’indice, le sfiorò la tempia, poi lo zigomo e la guancia.

Ricordò il loro primo incontro, le piccole decorazioni dorate attorno ai suoi occhi, e per un attimo, nel buio della notte, gli parve di scorgere lo stesso luccichio. Solo dopo qualche istante si rese conto che era il suo sguardo a brillare, senza alcuna magia.

            «Come ci riuscite?», mormorò l’artista, l’espressione genuinamente confusa.

A quelle parole, anche Gemma non si preoccupò di celare la sua perplessità per quella domanda così inaspettata.

            «A fare cosa?», chiese, sollevando lo sguardo.

Dopo qualche istante, l’incertezza di Leonardo sparì, spazzata via da uno sguardo ben lontano dall’essere dubbioso e cauto. La sua mano si era fermata ed indugiava sulla sua guancia, pericolosamente vicina alle sue labbra.

            «Ad essere la mia più grande minaccia e la mia più grande tentazione».

Da Vinci ne era certo: avrebbe finalmente ottenuto una reazione, qualcosa che gli confermasse che nemmeno la fredda e subdola contessa Riario era immune al turbamento. Niente di paragonabile al turbinio di emozioni che lo assalivano giorno e notte, ma si sarebbe accontentato anche della più piccola reazione.

Eppure, per l’ennesima volta, niente di tutto quello che aveva detto o fatto ebbe una risposta. Gemma era ancora lì, davanti a lui, con un tenue accenno di sorriso sulle labbra, impregnato della sua inattaccabile sicurezza.

            «Questo dovreste dirmelo voi, artista», rispose lei, con una vena di sincera curiosità.

Da Vinci scosse la testa, incapace di capire che cosa fosse in grado di penetrare la sua corazza, di destabilizzarla almeno un briciolo di quanto lei riusciva a fare con un solo sguardo. I suoi occhi iniziarono a vagare senza sosta, fino a quando non vennero catturati dalla sciarpa al collo della contessa.

Ben lontano dall’essere lucido e guidato da un minimo di buon senso, spostò la mano lungo il profilo del suo viso, fino ad entrare in contatto con il soffice lembo di seta nera, così severamente annodato attorno al suo collo. Non sollevò nemmeno lo sguardo nei suoi occhi, ma lo mantenne concentrato sul lavoro che stava compiendo, mentre con le sue abili dita da artista scioglievano il nodo.

Quasi non si sorprese di sentirla ancora tranquilla e rilassata tra le sue braccia, nessun sussulto sfuggito dalle sue labbra, nessun tentativo di protesta.

            «Non vi state opponendo», mormorò lui, il tono a metà tra la sorpresa e il compiacimento.

            «Perché dovrei, artista?», rispose Gemma, abbassando lo sguardo sul lembo di stoffa. «Questa non è altro che l’ennesima conferma del potere che ho su di voi», e come guidati da una misteriosa forza sovrannaturale, entrambi rialzarono lo sguardo l’uno negli occhi dell’altra, nello stesso momento.

La sicurezza della contessa stava iniziando ad infastidirlo, soprattutto quando sottolineava così bene quanto Leonardo fosse incapace di combattere il suo dilemma, mentre lei ne era praticamente immune e anzi, lo sfruttava a suo vantaggio.

Il nodo della sciarpa non fu più un problema e destò l’attenzione di entrambi. Gemma continuò a sostenere con fierezza lo sguardo dell’artista, mentre da Vinci abbassò il suo sul lembo di seta, che ben presto si allontanò dal collo della giovane e scivolò per terra. 

Leonardo iniziò ad avvicinarsi, l’alcol che lo stava stordendo, allontanandolo definitivamente dal limite del buon senso.

            «Sono piuttosto sicuro che non sia necessario assecondarmi», mormorò lui, prima di chinarsi sulla pelle appena lasciata scoperta e poggiare le labbra sul suo collo, appena sotto l’orecchio.

Finalmente, sentì il corpo della ragazza reagire, irrigidirsi tra le sue braccia, e le sue labbra si incurvarono in un sorriso compiaciuto. Incapace di distinguere il bene dal male, ciò che era giusto da ciò che era sbagliato, avvicinò ulteriormente il suo corpo a quello della contessa, ormai bloccata contro la parete alle sue spalle.

Nonostante tutto, nonostante le barriere di stoffa, sentì chiaramente i suoi muscoli contratti, non più così rilassati, mentre iniziava a lasciare una serie di baci sulla sua pelle, dovunque gli fosse possibile al di là del collo alto della camicia.

Gemma recuperò ben presto il controllo della situazione, ricordando anni e anni di addestramento e di insegnamenti e, nel momento in cui riuscì di nuovo a rilassare i muscoli del suo corpo, avvertì chiaramente Leonardo rallentare i movimenti, conscio di aver perso il suo piccolo vantaggio.

            «È un gioco pericoloso, artista», mormorò, sentendolo indugiare con le labbra contro la sua pelle. «Fin dove siete disposto a spingervi?»

A malincuore, da Vinci si allontanò da lei e ripristinò un minimo di distanza, nonostante il bruciante desiderio di mandare tutto al diavolo e baciarla una volta per tutte.

            «E voi, contessa?», ribatté, con lo stesso tono. «Fin dove siete disposta a spingervi per ottenere la chiave?»

Purtroppo per Leonardo, lo sguardo di Gemma non vacillò nemmeno per un attimo, e l’artista iniziò ad allentare la presa attorno ai suoi polsi.

Senza mai spezzare i loro sguardi intrecciati, la ragazza si chinò a terra, recuperando il suo stiletto e riponendolo nella cintura. Si rialzò alla sua altezza, e rimase volutamente in silenzio per qualche altro istante, il suo sguardo ad amplificare l’importanza di quella pausa, prima delle sue prossime parole.

            «Lo vedrete. E allora rimpiangerete di non aver ceduto fin da subito», e un istante dopo era già sparita per le strade di Firenze.

 

 

 

Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutt*!

Capitolo centrale della storia, uno dei primi capitoli che io abbia scritto e, assolutamente, uno dei miei capitoli preferiti in tutta la prima stagione della fanfiction. Mi è sempre piaciuta, nel quarto episodio, la scena in cui Leonardo esce barcollando dalla locanda e ha tutte quelle allucinazioni, ed è stato molto interessante inserire anche Gemma nella situazione.

E poi si sa, in vino veritas… con tutto l’alcol che si è scolato il caro artista, ne è uscito qualcosa di stuzzicante. Sicuramente le vie di Firenze deserte hanno contribuito.

Con ciò, vi saluto e si torna tra due settimane!

Un bacione

Amy W. Gildeary

   
 
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