Il
Gioiello del Vaticano
Capitolo
10 - Il Mago
Nei Tarocchi,
la carta del Mago
rappresenta lo spirito, il soggetto pensate che si riflette nell’Io.
Indica
intelligenza, azione, padronanza, libertà nei confronti del
pregiudizio. E
ancora, esprime abilità, diplomazia, furberia, capacità di persuasione.
Al negativo, però, significa intrigante, senza scrupoli e sfruttatore.
«Bisogna
dargliene atto: Riario sa esattamente come intimidire le sue prede».
«Forse
Dio è dalla parte della contessa in questa faccenda».
«Non
ho fede in alcun Dio che si schiera con quella… subdola manipolatrice».
«Volete
spuntare la vostra lama su di me, quando invece dovreste tenerla
affilata per
Riario?»
Leonardo
ormai non riusciva più a sentire nemmeno i suoi pensieri, tanto la sua
mente
era affollata di parole dall’ultima conversazione, avuta nell’osteria.
Uscì
barcollando dalla porta sul retro, sperando così di allontanarsi da
quelle
voci, da quelle accuse, ma purtroppo non trovò alcuna pace.
Si
passò le mani sugli occhi, cercando di recuperare lucidità, ma quando
sollevò
lo sguardo vide qualcuno attraversare il vicolo a passo svelto. Non
ebbe
bisogno di più di un secondo per riconoscere la persona davanti a lui:
l’arma
più potente del Vaticano.
Ancora
incerto sulle sue stesse gambe, cercò di nascondersi velocemente dietro
ad una
colonna, aspettando il momento giusto per lanciarsi per le strade di
Firenze,
all’inseguimento del suo nemico. Non appena la vide voltarsi dall’altra
parte e
dargli le spalle, uscì allo scoperto.
Purtroppo,
però, non riuscì a muovere più di qualche passo, e il suo sguardo fu
nuovamente
catturato.
Alla
sua sinistra, la strada era un lago di sangue, coperta da decine e
decine di
cadaveri brutalmente martoriati. Iniziò a tremare violentemente, mentre
si avvicinava
per controllare cosa fosse accaduto.
Tra
tanti cittadini a lui sconosciuti, però, vide chiaramente il volto di
Nico, la
pelle pallida, gli occhi sbarrati e il sangue che gli colava lungo la
fronte.
Accanto a lui, il corpo di Zoroastro giaceva senza vita, accasciato
scompostamente su sé stesso.
Avanzò
di qualche altro passo, sempre più incerto e scosso, ma presto desiderò
di non
averlo mai fatto.
Con
la schiena poggiata ad una colonna, Andrea aveva lo sguardo perso nel
vuoto e
la camicia impregnata di sangue. Poco distante giaceva tutta la
famiglia de’
Medici, comprese le tre piccole bambine di Clarice e Lorenzo, il
candore delle
loro vesti devastato dalle ferite. Giuliano aveva lo sguardo rivolto
altrove, e
seguendolo Leonardo riconobbe Vanessa, sdraiata su un fianco.
Sentiva
che il cuore stava per uscirgli dal petto, il suo viso era imperlato di
sudore
e i suoi occhi si stavano bagnando di lacrime. Rialzò lo sguardo ma la
situazione non fece che peggiorare: tutte le altre vie della città si
stavano
riempiendo di cadaveri, vittime innocenti morte per la sua incapacità
di
salvare la città.
L’aria
stava diventato irrespirabile, improvvisamente densa di fumo, mentre
nelle
orecchie dell’artista risuonava il boato dei suoi cannoni. Questa
volta, però,
non erano rivolti verso il nemico, ma nella sua direzione.
Tentò
invano di recuperare fiato, di deglutire, di muovere anche un solo
muscolo del
suo corpo, ma il terrore lo aveva paralizzato e nemmeno la sua mente
era in
grado di ragionare.
Per
cui, quando sentì qualcosa di freddo e metallico premuto contro la sua
gola non
accennò alla benché minima reazione, né oppose resistenza sentendosi
strattonato altrove. Tutte le sue energie erano concentrate sul tentare
di
respirare, prima che il suo corpo cedesse alla mancanza di aria.
Quando
finalmente la strada fu fuori dal suo campo visivo, così come il sangue
e i
cadaveri, Leonardo riuscì finalmente ad inspirare, i polmoni che
bruciavano per
la prolungata assenza di ossigeno. Sbatté più volte le palpebre e i
corpi senza
vita dei suoi amici sparirono.
Sentì
la schiena sbattere violentemente contro una parete, e solo allora si
rese
conto di essere stato trascinato via, in un piccolo angolo nascosto tra
una
casa e l’altra. E finalmente anche il viso della contessa Gemma Riario
fu
chiaro e nitido.
Ancora
scosso, da Vinci rimase in silenzio per qualche istante, cercando di
non cedere
ai tremendi capogiri che lo stavano tormentando.
«Siete
un’allucinazione anche voi?», mormorò lui con un filo di voce, mentre
ansimava
alla ricerca di aria.
Per
un istante, per un brevissimo istante,
gli parve di scorgere una traccia di preoccupazione negli occhi della
giovane
contessa, ma venne ben presto spazzato via dalla sua espressione fredda
e
determinata.
«Temo
di no, artista», rispose Gemma, con una certa dose di confusione nel
tono della
voce.
Leonardo
ripensò a quello che aveva visto poco prima: Gemma stava chiaramente
scappando
via dalla città, con la spada salda tra le mani, e poi erano apparsi
tutti quei
cadaveri, tutto quel sangue… Eppure in quel momento lei era lì, ad un
soffio
dal suo viso, con lo stiletto alla gola di lui e l’aria tutt’altro che
intimidita.
Solo
allora da Vinci capì che anche la sua figura in fuga per le strade di
Firenze
era stata frutto della sua immaginazione; ma in quel momento, al
contrario,
ogni cosa era reale. Tutto l’alcol in circolo gli stava giocando brutti
scherzi, e un brutto presentimento gli mormorò all’orecchio che il
peggio
doveva ancora arrivare.
Cercò
di recuperare un minimo di lucidità e il suo sguardo tornò sulla figura
di
fronte a lui, e soprattutto sull’arma con cui lo stava minacciando.
«Sapete
che se qualche guardia vi vedesse ora potreste dire addio alla vostra
guerra, contessa?»,
tentò di intimidirla, mentre si sforzava di capire come uscire da
quella brutta
situazione.
Non
si sorprese di non vederla minimamente turbata. Anzi, il suo sorrisetto
malizioso divenne un piccolo ghigno di soddisfazione.
«Credete
che i manifesti fossero coriandoli?», gli chiese.
«Popolo
di Firenze, i Medici vi
condurranno alla morte».
«Niente
svuota le strade come il terrore», mormorò Gemma, chinando leggermente
la testa
di lato.
Da
Vinci sollevò lo sguardo verso la città e, infatti, non scorse nemmeno
l’ombra
di un’altra persona fuori dalle abitazioni. A celare ulteriormente la
loro singolare
presenza lungo le vie di Firenze, ci pensava il piccolo angolino tra le
costruzioni in cui si trovavano.
«Mossa
davvero astuta, contessa», si complimentò l’artista, riportando la sua
attenzione sulla giovane donna.
Prima
che lei potesse anche solo accorgersene, Leonardo aveva colpito il suo
braccio,
facendole perdere la presa attorno allo stiletto, e altrettanto
velocemente le
aveva afferrato i polsi, capovolgendo le loro posizioni e tenendole
ferme le
braccia lungo i fianchi.
«Ma
non potrei dire la stessa cosa di ora», aggiunse, con finto dispiacere.
L’artista
vide chiaramente un briciolo di confusione nei suoi occhi, e per un
attimo
anche lui si sorprese di averla disarmata tanto facilmente, ma si
impose di
recuperare immediatamente la concentrazione, prima di perdere il suo
vantaggio.
«Accettate
la sconfitta, per una volta», sussurrò Gemma, la voce libera da
qualsiasi
traccia di paura o turbamento. «Nemmeno voi siete in grado di
sconfiggere un
esercito in una notte».
Leonardo
lo sapeva. Sapeva benissimo in quale tremenda situazione si era
cacciato, ma
darle la soddisfazione di vederlo sconfitto sarebbe stato ancora
peggio.
«Non
siete nella posizione adatta per lanciare le vostre solite minacce,
contessa»,
rispose lui, stringendo la presa attorno ai suoi polsi per sottolineare
il
concetto.
In
quale modo Gemma riuscisse ancora a dimostrarsi calma e imperturbata,
nonostante la situazione fosse totalmente a suo sfavore, per da Vinci
era un
mistero. Non si rese nemmeno conto che, tanto assorto nei suoi dubbi
sul suo
autocontrollo, si era sporto ulteriormente verso di lei, costringendola
ad
appiattirsi contro il muro alle sue spalle.
Il
giovane fiorentino rimase ancora in silenzio, cercando di scorgere
qualcosa nel
viso della contessa, qualcosa di diverso dalla maschera fredda e
controllata
che portava sempre e comunque.
«Dunque,
artista?», lo provocò lei. «È la vostra occasione».
Chiunque,
al suo posto, avrebbe mostrato un segno di cedimento, un alone di
paura, eppure
anche lì, bloccata e privata di ogni via di fuga, riusciva a sfidarlo
con sguardo
fiero e impassibile, aspettando quasi impaziente la sua prossima mossa.
Da
Vinci sapeva benissimo qual era la cosa giusta da fare, quale azione
avrebbe
risolto ogni problema, suo e di Firenze. Eppure, anche solo pensare di
portare
a compimento quel piano gli serrava la gola come solo l’allucinazione
di poco
prima era riuscita a fare.
Rimase
in silenzio, mentre il suo sguardo vagava dagli occhi della ragazza al
suo
viso, alle sue labbra. Era inspiegabile, eppure ogni volta che la
distanza tra
di loro si riduceva drasticamente, e ben oltre i limiti
dell’appropriato, Leonardo
non riusciva a fermare il suo desiderio di ammirarla, e il ricordo del
loro
primo incontro lo tormentava senza pietà.
«Sarei
molto tentato di farlo, e senz’altro questo porrebbe fine a tutti i
problemi di
Firenze…», mormorò, avvicinandosi ulteriormente a lei e restando in
silenzio
per qualche altro secondo. «…ma sarebbe davvero un peccato uccidervi,
non
trovate anche voi?», aggiunse, allontanandosi solamente il tanto da
poter
osservare i suoi occhi.
Niente.
Assolutamente niente. Nessuna traccia di turbamento, di paura, di
disagio.
Gemma non aveva perso nemmeno un briciolo della sua calma e della sua
sicurezza;
al contrario sembrava sfidarlo tacitamente, servendosi di nient’altro
se non il
suo sguardo.
«E
che cosa vi trattiene?», mormorò lei, genuinamente curiosa.
Leonardo
sentì l’alcol nel suo corpo ribollire, come se una scintilla lo avesse
appena
incendiato. E sapeva che, purtroppo, non avrebbe portato a nulla di
buono.
Ma
non arrivò a realizzare altro che la sua mente agì da sola, libera da
inibizioni.
«Il
fatto che io trovi queste nostre conversazioni tremendamente
stimolanti»,
sussurrò, tornando di nuovo ad un soffio dalle sue labbra. «Non
riuscirei ad
interromperle in questo modo».
Per
la prima volta, la curiosità di esaminare la sua reazione non ebbe la
meglio, e
da Vinci rimase lì, ad indugiare con lo sguardo sulle sue labbra, ogni
energia
impiegata nel tentativo di non avvicinarsi ulteriormente con il resto
del
corpo.
«Seguitemi
a Roma, dunque», sussurrò Gemma, e la sensazione del suo respiro a una
tale
vicinanza costrinse Leonardo a chiudere gli occhi, mentre la sua
immaginazione
viaggiava senza inibizioni. «Avremmo sicuramente tutto il tempo che
desiderate…», continuò lei, e la presa di lui attorno ai suoi polsi
stava per
cedere. «…per parlare».
La
contessa lo vide chiaramente bloccarsi di colpo, per effetto delle sue
ultime
parole, e non riuscì a celare un sorrisetto divertito vedendolo
allontanarsi di
poco da lei. Sapeva anche che non sarebbe mai riuscita a trattenersi
dall’infierire
ulteriormente: era una sfida persa in partenza.
«Ho
forse deluso le vostre aspettative, da Vinci?», domandò lei, fingendosi
dispiaciuta.
Leonardo
riaprì finalmente gli occhi e non riuscì a celare nessuna delle
emozioni che lo
stavano tormentando: confusione, brama, turbamento…
«Ho
avuto un repentino calo di desiderio non appena avete nominato Roma»,
mormorò
lui, fingendo una smorfia di disgusto.
Gemma
lo osservò per qualche secondo prima di inclinare la testa di lato,
come un
piccolo cucciolo dall’aria dispiaciuta.
«Niente
che possa compensarlo?», chiese, l’innocenza del suo sguardo che
lentamente
spariva, sostituita dalla sua inconfondibile vena di malizia.
Leonardo
non poté non scuotere la testa incredulo. Ogni volta che credeva di
aver
scoperto tutte le sue carte, di aver sondato ogni sua reazione, di aver
visto
ogni sua sfaccettatura, lei riusciva comunque a sorprenderlo, a destare
di
nuovo il suo interesse, ad accendere per l’ennesima volta il desiderio
nei suoi
confronti.
Quella
ragazza aveva un effetto incredibile su di lui, e l’alcol in circolo fu
tutt’altro che d’aiuto. Soprattutto per la terribile curiosità di
sapere se
anche lui fosse in grado di provocare in lei quello stesso devastante
effetto,
anche solo in minima parte.
«In
effetti, qualcosa ci sarebbe», mormorò da Vinci, concedendosi qualche
secondo
di silenzio per studiarla, ogni volta come se fosse la prima.
Lentamente,
prendendosi tutto il tempo di cui aveva voglia, strinse la presa
attorno ai
suoi polsi e li allontanò dal muro, per poi tenerli entrambi in una
mano, in
modo da avere libera l’altra. Una piccola parte di lui era sicura di
aver
commesso un errore e che in un secondo Gemma avrebbe sfruttato la cosa
a suo
favore per liberarsi; eppure niente di tutto ciò accadde, e la contessa
non
azzardò alcuna mossa.
Leonardo
sollevò di nuovo lo sguardo sul suo viso, e probabilmente da sobrio si
sarebbe
fermato ben prima di quel punto, ma nessuna traccia di buon senso si
era ancora
risvegliata dall’intorpidimento causato dall’alcol. Sollevò la mano
libera e,
con il dorso dell’indice, le sfiorò la tempia, poi lo zigomo e la
guancia.
Ricordò
il loro primo incontro, le piccole decorazioni dorate attorno ai suoi
occhi, e
per un attimo, nel buio della notte, gli parve di scorgere lo stesso
luccichio.
Solo dopo qualche istante si rese conto che era il suo sguardo a
brillare,
senza alcuna magia.
«Come
ci riuscite?», mormorò l’artista, l’espressione genuinamente confusa.
A
quelle parole, anche Gemma non si preoccupò di celare la sua
perplessità per
quella domanda così inaspettata.
«A
fare cosa?», chiese, sollevando lo sguardo.
Dopo
qualche istante, l’incertezza di Leonardo sparì, spazzata via da uno
sguardo
ben lontano dall’essere dubbioso e cauto. La sua mano si era fermata ed
indugiava sulla sua guancia, pericolosamente vicina alle sue labbra.
«Ad
essere la mia più grande minaccia e la mia più grande tentazione».
Da
Vinci ne era certo: avrebbe finalmente ottenuto una reazione, qualcosa
che gli
confermasse che nemmeno la fredda e subdola contessa Riario era immune
al
turbamento. Niente di paragonabile al turbinio di emozioni che lo
assalivano
giorno e notte, ma si sarebbe accontentato anche della più piccola
reazione.
Eppure,
per l’ennesima volta, niente di tutto quello che aveva detto o fatto
ebbe una
risposta. Gemma era ancora lì, davanti a lui, con un tenue accenno di
sorriso
sulle labbra, impregnato della sua inattaccabile sicurezza.
«Questo
dovreste dirmelo voi, artista», rispose lei, con una vena di sincera
curiosità.
Da
Vinci scosse la testa, incapace di capire che cosa fosse in grado di
penetrare
la sua corazza, di destabilizzarla almeno un briciolo di quanto lei
riusciva a
fare con un solo sguardo. I suoi occhi iniziarono a vagare senza sosta,
fino a
quando non vennero catturati dalla sciarpa al collo della contessa.
Ben
lontano dall’essere lucido e guidato da un minimo di buon senso, spostò
la mano
lungo il profilo del suo viso, fino ad entrare in contatto con il
soffice lembo
di seta nera, così severamente annodato attorno al suo collo. Non
sollevò
nemmeno lo sguardo nei suoi occhi, ma lo mantenne concentrato sul
lavoro che
stava compiendo, mentre con le sue abili dita da artista scioglievano
il nodo.
Quasi
non si sorprese di sentirla ancora tranquilla e rilassata tra le sue
braccia,
nessun sussulto sfuggito dalle sue labbra, nessun tentativo di
protesta.
«Non
vi state opponendo», mormorò lui, il tono a metà tra la sorpresa e il
compiacimento.
«Perché
dovrei, artista?», rispose Gemma, abbassando lo sguardo sul lembo di
stoffa.
«Questa non è altro che l’ennesima conferma del potere che ho su di
voi», e
come guidati da una misteriosa forza sovrannaturale, entrambi
rialzarono lo
sguardo l’uno negli occhi dell’altra, nello stesso momento.
La
sicurezza della contessa stava iniziando ad infastidirlo, soprattutto
quando
sottolineava così bene quanto Leonardo fosse incapace di combattere il
suo
dilemma, mentre lei ne era praticamente immune e anzi, lo sfruttava a
suo
vantaggio.
Il
nodo della sciarpa non fu più un problema e destò l’attenzione di
entrambi.
Gemma continuò a sostenere con fierezza lo sguardo dell’artista, mentre
da
Vinci abbassò il suo sul lembo di seta, che ben presto si allontanò dal
collo
della giovane e scivolò per terra.
Leonardo
iniziò ad avvicinarsi, l’alcol che lo stava stordendo, allontanandolo
definitivamente dal limite del buon senso.
«Sono
piuttosto sicuro che non sia necessario assecondarmi», mormorò lui,
prima di
chinarsi sulla pelle appena lasciata scoperta e poggiare le labbra sul
suo
collo, appena sotto l’orecchio.
Finalmente,
sentì il corpo della ragazza reagire, irrigidirsi tra le sue braccia, e
le sue
labbra si incurvarono in un sorriso compiaciuto. Incapace di
distinguere il
bene dal male, ciò che era giusto da ciò che era sbagliato, avvicinò
ulteriormente il suo corpo a quello della contessa, ormai bloccata
contro la
parete alle sue spalle.
Nonostante
tutto, nonostante le barriere di stoffa, sentì chiaramente i suoi
muscoli
contratti, non più così rilassati, mentre iniziava a lasciare una serie
di baci
sulla sua pelle, dovunque gli fosse possibile al di là del collo alto
della
camicia.
Gemma
recuperò ben presto il controllo della situazione, ricordando anni e
anni di
addestramento e di insegnamenti e, nel momento in cui riuscì di nuovo a
rilassare i muscoli del suo corpo, avvertì chiaramente Leonardo
rallentare i
movimenti, conscio di aver perso il suo piccolo vantaggio.
«È
un gioco pericoloso, artista», mormorò, sentendolo indugiare con le
labbra
contro la sua pelle. «Fin dove siete disposto a spingervi?»
A
malincuore, da Vinci si allontanò da lei e ripristinò un minimo di
distanza,
nonostante il bruciante desiderio di mandare tutto al diavolo e
baciarla una
volta per tutte.
«E
voi, contessa?», ribatté, con lo stesso tono. «Fin dove siete disposta
a
spingervi per ottenere la chiave?»
Purtroppo
per Leonardo, lo sguardo di Gemma non vacillò nemmeno per un attimo, e
l’artista iniziò ad allentare la presa attorno ai suoi polsi.
Senza
mai spezzare i loro sguardi intrecciati, la ragazza si chinò a terra,
recuperando il suo stiletto e riponendolo nella cintura. Si rialzò alla
sua
altezza, e rimase volutamente in silenzio per qualche altro istante, il
suo
sguardo ad amplificare l’importanza di quella pausa, prima delle sue
prossime
parole.
«Lo
vedrete. E allora rimpiangerete di non aver ceduto fin da subito», e un
istante
dopo era già sparita per le strade di Firenze.
Angolo
dell’autrice
Buonsalve
a tutt*!
Capitolo
centrale della storia, uno dei primi capitoli che io abbia scritto e,
assolutamente, uno dei miei capitoli preferiti in tutta la prima
stagione della
fanfiction. Mi è sempre piaciuta, nel quarto episodio, la scena in cui
Leonardo
esce barcollando dalla locanda e ha tutte quelle allucinazioni, ed è
stato
molto interessante inserire anche Gemma nella situazione.
E
poi si sa, in vino veritas… con tutto
l’alcol che si è scolato il caro artista, ne è uscito qualcosa di
stuzzicante.
Sicuramente le vie di Firenze deserte hanno contribuito.
Con
ciò, vi saluto e si torna tra due settimane!
Un
bacione
Amy
W. Gildeary