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Autore: _Lisbeth_    17/01/2019    10 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 6 - Don't take it away from me
 
Roger scoppiò a ridere, stendendosi sul prato del giardino del suo compagno di scuola, allargando le braccia e scuotendo la testa.
Il suo nome era Robert, anche se tutti lo soprannominavano Bob. Aveva lunghi capelli scuri e disordinati, occhi color verde scuro, carnagione olivastra e un particolare neo sullo zigomo sinistro. Roger lo conosceva da tre anni, erano inseparabili dal primo giorno, da quando la professoressa di matematica aveva deciso di punirli entrambi per le battute di scherno nei suoi confronti, facendoli restare nell’aula di detenzione per ben due ore. Avevano legato così tanto che si vedevano sempre dopo la scuola, Roger aveva insegnato a Bob a suonare alcuni accordi sulla chitarra e l’amico lo invitava sempre a casa sua, che era decisamente più grande di quella del biondo. Bob aveva una situazione economica ben diversa da quella di Roger, suo padre era un importante avvocato e sua madre era un’abile sarta, e per questo l’altro ragazzo lo invidiava leggermente. Vedeva la sua grande casa, con quel giardino pieno di fiori e dall’erba fresca, i suoi abiti sempre in perfetto ordine e ogni giorno nuovi e più belli e poi guardava se stesso, che era così esile per il cibo che in casa scarseggiava, la sua piccola e stretta abitazione, i suoi vestiti sgualciti e di seconda mano. Gli sarebbe piaciuto vivere la vita di Robert, però diceva sempre a se stesso che l’invidia non portava da nessuna parte e di certo non gli avrebbe fatto avere una casa spaziosa e i vestiti firmati.
E in uno di quei giorni d’estate in cui, da tempo, avevano finito la scuola, Roger e Bob si trovavano stesi sull’erba a mangiare fragole ridendo e prendendosi in giro a vicenda.
Bob si girò da un lato, guardando Roger appoggiando il gomito a terra e la guancia sul palmo della mano. – Cosa vorresti fare, dopo la scuola?
Roger respirò profondamente, piegando la testa bionda da un lato e pensandoci per un secondo. – Be’, sicuramente non resterò qui. Voglio andare a Londra, vivere a Londra, con persone che hanno i miei stessi ideali e con cui condividere passioni. Voglio confusione e musica, luci e fuochi d’artificio. Berrò quanto cazzo mi andrà e andrò nei locali a divertirmi.
Robert aggrottò la fronte. – Come ci vai, a Londra?
- Ho sicuramente bisogno di una borsa di studio.
- Vorresti laurearti?
- Ovvio che sì. Vorrei studiare biologia, ma penso inizierò con l’odontoiatria. Voglio farmi un nome.
Bob lo guardò, sospirando. Ammirò quegli occhi azzurri così grandi in cui si poteva perdere solo osservandoli, quelle ciocche bionde che luccicavano sotto al sole estivo e quel mezzo sorriso che allargava così raramente ma che lui avrebbe voluto vedere per sempre.
Roger chiuse gli occhi, respirando l’aria fresca e pulita, un braccio era a coprire la fronte per proteggere gli occhi chiari dal sole e le labbra erano arricciate in un sorriso rilassato.
- Rog. – sentì dire dall’amico.
- Mh?
- Tu… Sei mai stato innamorato?
Roger si irrigidì per un attimo, aggrottando la fronte e guardando Bob. – Che vuoi dire?
- Be’, sì, innamorato. Ti sei mai innamorato di qualcuno?
- Nah. – scosse la testa. - Ho altri pensieri per la testa.
Bob non aveva idea di quale fosse la sessualità di Roger. Non parlava mai di ragazze, ma nemmeno di ragazzi. Forse perché, davvero, non era nei suoi desideri trovare qualcuno o innamorarsi. Però si era sempre accorto che, quando si parlava di sessualità e amore, a scuola o in giro, lui non sembrava mai essere a suo agio. Roger infatti, girava la testa, imbarazzato, non diceva nulla e stava zitto. Robert deglutì e prese coraggio, sospirando. – Rog, io devo parlarti.
- So già che ti masturbi ogni giorno nei bagni della scuola e no, non ho bisogno di sapere altri dettagli.
- Io… Non esattamente.
Il biondo si girò a guardarlo, Bob vide gli occhi blu scrutarlo con curiosità. – Allora, cos’è?
Roger spalancò gli occhi quando successe la cosa che meno si sarebbe aspettato in quel momento. Aveva visto Robert accarezzargli una guancia e avvicinarsi velocemente a lui, senza dargli il tempo di realizzare cosa stesse succedendo. Aveva cancellato la distanza tra le loro labbra e lo aveva baciato.
Roger non riusciva a muoversi. Era come pietrificato, non riusciva a capire nulla e il suo cervello stava andando completamente in tilt. Quando si rese conto di ciò che davvero stava accadendo intorno a lui, appoggiò le mani sul petto dell’amico, spingendolo via e toccandosi le labbra. Lo guardò e vide sul suo viso un’espressione ansiosa e pentita.
- Io non… - balbettò il biondo, respirando profondamente per poi alzarsi.
- Roger.
- Ho bisogno di stare da solo. Sto tornando a casa. – disse il ragazzo, prendendo il suo zaino da terra e mettendoselo in spalla, girando le spalle a Bob, mentre l’amico lo implorava di tornare indietro lui varcò la soglia della villa, con una sensazione di amarezza e confusione nella testa.
 

 
Roger si morse un labbro, ripensando al ricordo del suo primo bacio. Quando era successo, il ragazzo era già consapevole della sua omosessualità, ma non voleva averne nulla a che fare. Si era sempre detestato per quella che lui stesso riteneva un’anormalità, una stranezza, un’ambiguità. E in quel momento si odiava ancora di più per aver fatto una stronzata colossale. Aveva baciato, baciato il suo migliore amico, per giunta etero. Non ricordava nemmeno il numero di volte in cui si era dato dello stupido nell’arco di tre ore.
E quando vide il ragazzo in questione arrivare in cucina, in pigiama, coi capelli spettinati e gli occhi ancora socchiusi per il sonno, si sentì ancora peggio. Il povero Brian May era completamente ignaro della stronzata che aveva fatto, e chissà che cazzo avrebbe fatto se lo avesse saputo. Probabilmente lo avrebbe cacciato di casa o gli avrebbe detto che si era fumato troppo tabacco e si era rincoglionito. E invece no, il chitarrista si avviò verso il frigorifero in modo tranquillo e assonnato, prendendo il latte dallo sportello e sussurrando un lieve, sbiascicato - ’ngiorno, ‘og.”
Roger deglutì, facendo finta di non essere fottutamente rincoglionito davanti alla vista di Brian May appena sveglio in pigiama.
“Ma che cazzo sei, pervertito? Un’adolescente arrapata?”
- Buongiorno, Brian. – disse, impegnandosi meglio che poteva per non sembrare un idiota. Vide il ragazzo più alto scaldarsi il latte in un pentolino, stiracchiando le braccia e sbattendo una mano sulla mensola che si trovava proprio sopra ai fornelli. Brian fece una smorfia di dolore e Roger si mise a ridere. – Coglione.
- Oddio, sapevo che questo silenzio non sarebbe durato. – mormorò Brian, sbadigliando e stropicciandosi un occhio. Roger abbozzò un sorriso, per poi vedere il riccio sedersi accanto a lui. Il più grande girò il cucchiaino nella tazza.
- Perché mescoli il latte? – fece Roger.
- Ma ti fai gli affari tuoi?
- E’ acido, quel latte?
Brian alzò gli occhi al cielo, sbuffò e si portò la tazza alle labbra, bevendo lentamente, mentre Roger mangiava il suo toast al formaggio masticando rumorosamente. Il riccio lo fulminò con lo sguardo.
- Oh, ma che vuoi? Ti ho ucciso il gatto, per caso? – sbottò il biondo.
- Non ho gatti.
- Quello che è. Ma perché ti incazzi?
- Mangi come un troglodita!
- Scusi, dolce damigella inacidita, non la disturberò più!
- Ti detesto.
- Io ti odio.
- E’ la stessa cosa.
- E’ la stessa cosa! – lo imitò Roger, rendendo la voce più profonda.
- Io non ho questa voce di merda.
- Io non ho questa voce di merda!
- Cristo, ma quanti anni hai? Quattro? – sbottò Brian, mettendosi le mani tra i ricci.
Roger sorrise, soddisfatto, continuando a mangiare il suo toast mentre il maggiore si passava una mano sul viso stanco. Le palpebre gli cadevano leggermente sugli occhi scuri e i capelli se ne andavano in direzioni tutte diverse e sembrava avessero vita propria e si ribellassero al povero chitarrista che cercava di tenerli in ordine. Il biondo respirò profondamente, mentre l’unico pensiero nella sua testa era uno e uno soltanto e lui stava cercando in tutti i modi di non farlo assolutamente notare a Brian.
- Dobbiamo chiamare Freddie. – balbettò, cercando di pensare ad altro. Il riccio annuì, finendo il suo latte e mettendo la tazza nel lavandino. – Lo chiami tu?
- Aspe’. Io non so nemmeno cos’abbiamo deciso.
- Ma se ne abbiamo parlato ieri. Io e te. A cena.
- Ma non abbiamo…
- Ascolta, Roger. – sospirò Brian, spazientito. – O hai fatto finta di non sentire, perché evidentemente non riesci ad accettare il pensiero degli Smile senza Tim Staffel, o sei un idiota. Le ipotesi sono queste.
Roger strinse forte i pugni. Odiava quando Brian faceva così. Quando se la prendeva con lui senza motivo, trattandolo come se fosse un bambino con la testa tra le nuvole, immersa in pensieri a cui lui, in quel momento, nemmeno stava rivolgendo la minima attenzione. – Non me ne frega un cazzo di Staffel, Brian. Basta. Dici che vuoi aiutarmi, che vorresti farmelo dimenticare ma a conti fatti giri solo il coltello nella piaga. Adoro Freddie, adoro la sua voce e il suo stile, e sai una cosa? Non me ne frega un cazzo di chi vorrei che me lo mettesse in culo, Brian. Voglio solo guadagnare dei cazzo di soldi e suonare. Questo voglio. E non sei l’unico intelligente, qui. Perciò non hai il diritto di crederti tale.
Brian si fece sfuggire un sospiro esasperato, guardando Roger. – Perfetto. Allora, per l’ennesima volta, Freddie è dentro. Decidiamoci a chiamarlo.
 

 
Roger non era il tipo di ragazzo che si poteva definire il “primo della classe”. Non era dotato di una spiccata intelligenza e anzi, tante volte faceva anche fatica ad arrivare a capire cose semplici al volo. Non era nemmeno stupido, però, e non si era mai fatto grossi problemi in merito.
Studiava, si impegnava abbastanza a scuola, ma di certo non era la sua attività preferita. Lui voleva suonare, far tremare i palchi e i locali con la sua batteria, riuscire a emozionare le persone e a far cantare loro la sua musica.
Però, voleva che sua madre fosse fiera di lui. Voleva laurearsi e diventare un medico, perciò, quando doveva impegnarsi a studiare, ce la metteva tutta. Restava su un argomento per ore e ore, giornate intere, ripeteva ad alta voce nella sua camera anche con l’aiuto di Clare finché non imparava alla perfezione le pagine che aveva letto più volte.
- No, Roger. Non ci sei ancora. Possibile che ti venga così difficile fissarti in testa questo paragrafo?
- Clare, stai zitta. Mi metti ansia e pressione e rischio di svenire sul pavimento.
La sorellina sbuffò, alzando gli occhi al cielo e appoggiando il mento sulla mano, il gomito era posato sulla gamba accavallata e la schiena era curva. Erano lì da più di tre ore, Roger aveva già studiato due capitoli, ma gliene mancavano altri tre. Clare era esasperata: odiava quando il fratello si riduceva all’ultimo momento, soprattutto quando avrebbe dovuto affrontare un esame il giorno dopo, con in palio una borsa di studio, per altro.
- Rog, non essere fastidioso e ripeti finché non impari.
- Se dovessi fare il medico, ti prego, non permettermi mai di farmi avere a che fare con cuori umani e cose che ne riguardano.
- Roger, si tratta solo di imparare il funzionamento dell’aorta. L’ho studiata anch’io.
- Sì, ma tu frequenti le medie. La differenza è sostanziale.
- Ripeti. Tutto da capo. Non farmi sentire ragioni.
 
- Signor Roger M. Taylor! – esclamò Clare, correndo per le scale con una busta proveniente dalla cassetta della posta destinata al fratello.
Roger se la vide arrivare in camera come una gazzella impazzita, mentre saltellava sul suo letto tenendo la lettera in mano. Il biondo spalancò gli occhi. – Ma sei scema? Scendi o farai un casino sul mio letto.
La ragazzina si fermò, porgendogli la lettera. Sulla busta c’era scritto “University of East London”, con il suo indirizzo e il suo nome scritti a penna sulla parte opposta. Il cuore di Roger iniziò a battere forte. Con le mani tremanti aprì la carta, trovando un foglio bianco dentro ad essa.
Respirò profondamente, fremendo e cercando di stare calmo. Iniziò a leggere velocemente, gli occhi che correvano repentini sull’inchiostro nero, ansiosi e tremanti.
Il cuore gli si fermò per un secondo. Sollevò lo sguardo, con il pensiero delle strade illuminate e rumorose di Londra nella testa, con il pensiero ai grandi parchi, alle cabine telefoniche, ai pub. Sorrise, guardando Clare.
- Ce l’ho fatta, Clarie.
 

 
Le feste a cui andava Freddie Bulsara erano alcune delle cose con il tasso alcolico più alto che potessero esistere. Il ragazzo li aveva invitati per festeggiare il suo ingresso nella band, ma oltre a loro c’erano almeno altre cento persone. Si era organizzato in una discoteca piccola come un buco su una strada poco lontana da casa di Brian, e sia quest’ultimo che Roger non sapevano nemmeno chi fosse soltanto una di quelle persone. Poco importava. Si stavano divertendo da matti.
Era forse un miracolo che Roger fosse ancora abbastanza lucido da riuscire a riconoscere il luogo in cui si trovava e, con tutto quell’alcool, avesse bevuto soltanto due cocktail.
Ed era ancor più strano il fatto che Brian fosse pregno d’alcool come una spugna. Di solito era lui a fermare i giochi quando vedeva che le cose andavano troppo oltre, ma quella sera era davvero fradicio. E questo a Roger non dispiaceva per niente. Si stava facendo le risate migliori della sua vita e Brian, da ubriaco, era dieci volte più divertente dal solito.
Correva da una parte all’altra, ridendo e cantando le sue canzoni preferite a squarciagola, cosa che non avrebbe fatto mai e poi mai da sobrio.
Roger scoppiò a ridere quando il ragazzo scivolò su un pezzo di carta bagnaticcio che era per terra, cadendo di sedere sul pavimento. Lo prese per un braccio, decidendo di farlo sedere su un divanetto appoggiato alla parete sinistra del locale. Sorrise, sedendosi affianco a lui e osservandolo. Le luci viola gli illuminavano metà del viso, facendo sembrare l’occhio sinistro più chiaro del vicino, che nel buio sembrava quasi nero. I ricci erano umidi e sudati, crespi e disordinati, ma erano forse ancora più belli del solito.
Brian aveva un sorriso stampato sul volto e le guance arrossate, l’odore di alcool che proveniva alle sue labbra entrò nelle narici di Roger.
- Mi sento bene, Rog! – esclamò il ragazzo, abbracciando il biondo talmente forte da farlo tossire lievemente. Roger si staccò, ridendo in modo leggero e tirando un piccolo pugno sulla spalla di Brian. – Lo so, probabilmente riesco anche a intravedere i tuoi neuroni che fanno su e giù nella tua testa.
Il riccio arricciò il naso. – I neuroni non fanno su e giù! Li hai presi per una giostra?
Roger fu stupito dalla capacità di Brian nel contraddire chiunque anche da ubriaco.
- Sono belle, le giostre. Ci andavo sempre con mia madre quando ero piccolo. Giri, giri e giri, non ti fermi finché non lo decide qualcuno. – disse Brian, buttando la testa all’indietro. Roger gliela tirò su, ridendo e scuotendo la testa. – Diventerai una giostra anche tu se non la smetti di bere.
- Te lo immagini, Rog? Brian Harold May: l’uomo che si reincarnò in una giostra per troppo alcool.
- Riesco a vederlo vivido nella mia testa.
Il più grande vide una ragazza passare con dei bicchierini su un vassoio e si alzò per prenderne uno, ma Roger lo trattenne, facendolo sedere nuovamente. – Basta, Bri. Non esagerare.
Il riccio lo osservò bene. Anche Roger era illuminato dalle luci viola, che Brian vedeva leggermente sfocate e confuse. Il più grande sentì una sensazione strana allo stomaco mentre guardava quegli occhi blu. Ora che li guardava bene, gli sembravano quasi delle gemme. Preziosi, chiari e luccicanti. Sorrise.
- Sei bello, Rog.
Roger trattenne il fiato. Deglutì, aprendo leggermente la bocca. Sapeva che Brian fosse ubriaco. Non era lucido, ma il suo cuore stava battendo come un tamburo comunque. Gli venne in mente il bacio della sera prima, quello che gli aveva dato mentre Brian dormiva.
E quasi non ci credette quando il più grande si avvicinò, appoggiandogli una mano sulla guancia attirandolo a sé, sulle sue labbra. Roger spalancò gli occhi. Il cuore ormai sembrava voler prendere il volo e perforare la sua gabbia toracica.
Ma non gli importò più niente. Chiuse gli occhi, appoggiando le mani ai lati del collo di Brian, che lo avvicinò a sé circondandogli la schiena.
Roger sentiva le mani del chitarrista stringerlo, avvertendo allo stesso tempo un brivido che gli corse per la spina dorsale come una saetta, percependo la lingua del riccio farsi spazio tra i suoi denti e iniziare ad esplorarlo come se fosse un tesoro, leggerlo come se fosse un libro aperto e stuzzicando il suo palato e i suoi denti.
Si staccarono per un attimo, per prendere aria. Roger vide gli occhi di Brian osservare le sue labbra, per poi baciarle ancora. Sentì le sue dita affusolate insinuarsi tra i suoi ciuffi biondi e sentì che se non fosse stato seduto sarebbe crollato per terra per come le gambe stavano tremando.
Brian accarezzò la schiena del ragazzo, sfiorandola con le nocche dall’inizio alla fine. Passò le dita in mezzo alle scapole, le fece scorrere giù per la colonna vertebrale e arrivò fin giù, stringendo leggermente le natiche del biondo. Lo guardò, e la vista di quegli occhi così grandi e umidi d’eccitazione gli fece girare la testa. Lo baciò ancora, come se avesse bisogno solo delle sue labbra, solo della sua lingua.
Il più piccolo si alzò, sistemandosi sulle sue ginocchia e avvolgendo le braccia intorno al suo collo, mentre lui saliva e scendeva per la sua schiena provocandogli feroci brividi. Brian lo sfiorava come se lui fosse la sua chitarra, lo accarezzava come faceva con le sue corde quando suonava.
Il moro interruppe il contatto tra le loro labbra, scendendo sulla mandibola e baciando la belle chiara e umida, per poi andare ancora più giù, mordicchiando il collo niveo e sentendo il respiro di Roger accelerare nel suo orecchio.
- Brian… - lo sentì sussurrare. I sensi erano rallentati dall’alcool, ma quel mormorio lo sentì chiaro e forte. Aumentò l’intensità di baci e morsi, succhiando un lembo di pelle appena sopra alla clavicola del ragazzo.
Roger sentì il cuore aumentare sempre di più i battiti, correva nel suo petto come un matto. Chiuse gli occhi, con le labbra semiaperte e sentendo le mani fredde del ragazzo che lo stava baciando infilarsi sotto alla sua maglietta facendolo rabbrividire. Brian lasciò piccoli morsi sulle clavicole di Roger, sul suo collo, sulle sue spalle, come a voler visitare meglio un territorio inesplorato e bellissimo.
Il biondo strinse forte gli occhi quando Brian baciò la ferita che aveva sulla spalla, ma non disse nulla. Deglutì, accarezzando i ricci del ragazzo, a corto di fiato. Sapeva che Brian non fosse lucido, sapeva che il giorno dopo avrebbe, probabilmente, dimenticato ogni cosa. Era come vivere un sogno e lui avrebbe voluto continuare a dormire. Avrebbe voluto poter sentire per giorni il sapore di Brian, avrebbe voluto essere più del suo semplice migliore amico e avrebbe voluto essere suo, avrebbe voluto restare su quelle gambe magre mentre lo baciava, avrebbe voluto che quei baci durassero per sempre.
Il riccio lo guardò. La bocca era semiaperta, gli occhi socchiusi, le guance rosse. Roger riusciva a sentire il battito del suo cuore. Il più grande lo baciò, afferrandogli la schiena quasi con violenza e facendolo stendere sul divanetto. Il biondo volle morire quando fu costretto a obiettare. – Brian, ci sono altre persone.
- Io non vedo nessun’altro oltre te.
 

 
Brian guardò la sua ragazza mentre lo baciava, senza chiudere gli occhi come lei faceva. Sentiva, quel giorno, che c’era qualcosa che non andava. Amava Elena, era consapevole di essere innamorato di lei per davvero, ma qualcosa non gli tornava. La baciò comunque, accarezzandole i capelli corti e scuri, sentendo quelle labbra ormai così familiari appoggiarsi dolcemente sulle sue.
Elena era delicata. Ed era dolce, fine, elegante. In tutto. Cantava, suonava il pianoforte e il basso. Si erano conosciuti in un pub, in cui lei stava suonando. Brian era stato colpito da lei, davvero tanto. L’aveva guardata, gli era piaciuta la sua timidezza e il modo in cui arrossiva prima di iniziare a suonare. E poi l’aveva sentita cantare ed era stato come ipnotizzato da quella voce così dolce e particolare. Era così bella. Gli occhi grandi e scuri, i capelli legati e la frangetta castana che le copriva le sopracciglia, il naso dritto e il corpo armonioso ed elegante. Roger si era accorto subito di come la guardava. – Ehi, Brian May è innamorato! – aveva detto a Tim il biondo, masticando a bocca aperta.
Eppure, sebbene Elena fosse ancora così com’era, lui non riusciva a sentire nulla. Non una scossa, un brivido, un’emozione più forte di un’altra. Ed Elena pareva essersene accorta. Oltre a essere bella e particolare, era anche incredibilmente sveglia e intelligente. Come Brian, dopotutto.
Continuò a baciarlo, e quando fu sul punto di togliergli la maglietta, Brian iniziò a balbettare. – No, ferma, ferma.
Elena sospirò. – Che hai, Bri?
- El, io… Io non sto bene.
- Brian, non è vero. C’è qualcosa che devi dirmi, giusto? – gli disse la ragazza, sedendosi e incrociando le braccia, guardandolo come solo lei sapeva fare. Stavano insieme da un anno e ormai lei lo conosceva fin troppo bene. Elena sapeva scrutargli dentro come se fosse un libro aperto. Brian a volte detestava questa sua empatia, perché riusciva sempre a capire tutto di lui e dei suoi sentimenti. Il riccio abbassò gli occhi e la ragazza gli accarezzò i capelli. – Puoi parlare con me, Bri. Lo sai.
Il ragazzo sospirò, attirandola a sé e stringendola forte. Elena chiuse gli occhi. – Brian.
- El, io… Io non… - balbettò il riccio, accarezzandole i capelli castani. – Io non riesco a capire niente.
Elena si staccò dall’abbraccio, guardando il suo ragazzo e prendendogli la mano. – Ti amo, Brian. Ti amo tanto. E proprio per questo so che le cose sono diverse da prima. Io per te non sono più ciò che sei tu per me, giusto?
Brian spalancò gli occhi, stringendo la mano della ragazza delicatamente, come se fosse qualcosa di troppo prezioso che lui non voleva perdere. – No, El, no! Certo che lo sei. Tu… Tu sei la cosa più importante della mia vita. Ho solo… - abbassò la testa. – Ho solo bisogno di chiarirmi le idee.
- Bri, ho notato tutto. Me ne sono accorta. Non vedo più amore nei tuoi occhi. Certo, vedo affetto, vedo gratitudine e rispetto, ma… Non vedo ciò che vedi tu nei miei. – disse Elena, accarezzandogli una guancia con la mano libera.
Brian sentì il cuore tremare e gli occhi diventare lucidi. – El, io…
- Ti amo, Brian. Più di tutto quanto. Ma non posso, io non posso continuare a tenere imprigionata una persona che non prova lo stesso.
 

 
Roger si svegliò di scatto, guardandosi intorno. Era di nuovo nel letto di Brian, non tornava a casa da tre giorni. Sospirò, passandosi una mano sul viso.  Era successo davvero?
Brian lo aveva seriamente baciato, o era solo una fantasia della sua stupida mente da puttana di seconda categoria? Corse in bagno, davanti allo specchio. E, no, non era una fantasia. Segni rossi e lividi erano stampati sulle sue clavicole e sul suo collo. Enormi. Scuri.
- Cazzo, cazzo, cazzo. – sussurrò, nel panico. Brian non doveva scoprirlo. Non doveva ricordarlo. Era ubriaco fradicio la sera prima e probabilmente aveva già dimenticato ogni cosa. O almeno, così Roger sperava. Ma il problema erano quei succhiotti. – Cazzo! – esclamò, cercando qualsiasi cosa per coprirli. E poi corse nella camera di Brian, illuminato. Prese da uno dei suoi cassetti una delle maglie del riccio, una di quelle con il collo a lupetto. Tolse il pigiama che gli aveva prestato Brian, infilandola.
Sembrava un coglione, con le maniche della maglia che gli scendevano giù per i polsi. Sbuffò. Almeno i succhiotti non si vedevano.
Quando andò in cucina, si sforzò di sembrare più naturale. – Buongiorno! – esclamò.
Brian era seduto davanti al tavolo con le mani sulle tempie e una smorfia di dolore in viso. – Ma che cazzo urli alle nove del mattino?
- Oh, Brian May attraversa i postumi della sbornia!
Il moro alzò la testa per fulminarlo con lo sguardo, e ciò che vide gli fece emettere un sospiro esasperato. – Roger togliti la mia maglia.
- Non ne ho altre. Non mi va di restare con la stessa che ho usato per tre giorni, sai com’è.
Brian sospirò, continuando a battere con il piede sul pavimento. – Soffrire d’insonnia fa schifo. Avrei voluto dormire di più almeno per smaltire un po’ la mia…
- La sbornia.
Il ragazzo sospirò. – Sì, la mia sbornia, okay?
Roger rise. Perfetto. Non ricordava nulla.
- Rog, ti prego, ho bisogno di una tisana.
Il biondo sospirò. – Eccolo, è tornato il dottor Palloso May. Sono felice come una Pasqua.
- Ieri sera ho fatto qualcosa di imbarazzante?
“Oh, no. Hai fatto altro. Ben altro.”
- Nah, giusto un po’ di parolacce contro il governo. – inventò Roger, quando avrebbe voluto dire tutt’altro che quello.
- Parolacce… Contro il governo?
- Eh.
- Cristo, ti prego non mettermi mai più in mano nemmeno un bicchiere di birra.
Il biondo scoppiò a ridere. – Sì, credici. Mi sono divertito troppo ieri.
- Puttana.
- Oh, ma che è?
- Troia di merda.
- Ho bisogno di parlare con tua madre.
- Vaffanculo. – sbuffò Brian, incrociando le braccia. Roger sorrise. Gli dispiaceva, un po’, che Brian non ricordasse. Certo, si stava evitando problemi su problemi, ma avrebbe voluto parlargliele. O, ancora meglio, avrebbe voluto tornare indietro. Avrebbe voluto baciarlo ancora e ancora. Ma non avrebbe mai potuto. Si avviò ai fornelli, iniziando a preparare la tisana al ragazzo. Il ricco aggrottò la fronte. – Da quando sei così gentile?
- Da quando mi hai, tipo, salvato la vita?
Brian annuì. – Penso sia giusto.
E fu mentre Roger preparava la tisana calda, che il moro disse una cosa che gli fece venire voglia di chiudersi in una bara e non uscirne più. Il ragazzo si strofinò la fronte con le dita, girandosi verso il biondo. – Taylor.
- Mh? – disse Roger distrattamente.
- Non so quanto io potrò sembrare rincoglionito quando ti chiederò ciò che sto per dire, perciò sei autorizzato a tirarmi una sberla nel caso in cui io dica una cazzata, ma devi essere più onesto possibile.
“Cazzo.”
- Ma io e te, per caso, ieri sera ci siamo baciati?
   
 
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