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Autore: Mary P_Stark    18/01/2019    1 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pallade svolazzava allegra nel giardino, mentre Atena sorseggiava la sua spremuta di frutta sdraiata su una sedia reclinabile, godendosi il sole del meriggio.

Era un febbraio piuttosto caldo, a Monterey, California, e le brezze meridionali portavano con sé l’odore salmastro del mare e la secchezza delle terre a sud.

Forse, quel vento avrebbe anche potuto produrre uno dei catastrofici incendi che tanto stavano facendo soffrire la California in quegli anni, ma Atena non poteva saperlo.

Non era veggente, e consultare l’oracolo di suo fratello per saperlo, le sembrava una sciocchezza. La Pizia aveva altro a cui pensare.

Il suono reiterato del campanello la sorprese e, vagamente indispettita, si domandò chi potesse – di prima mattina – disturbarla a quel modo, suonando alla porta con fare così maleducato.

Balzando in piedi dalla sedia mentre Pallade si andava a posare sul ramo di un sicomoro, Atena rientrò in fretta in casa, borbottando uno scocciato “arrivo, arrivo”, ma il campanello continuò a suonare indisponente.

Irritandosi ulteriormente, Atena raggiunse finalmente la porta e, spalancandola con un diavolo per capello, fissò il nuovo venuto e sbottò dicendo: “Che diavolo hai da… suonare… tanto…”

Le parole le mancarono man mano che i suoi occhi chiari registrarono finalmente chi avesse di fronte e, sbattendo le palpebre più volte, gracchiò: “Ma che ci fai qui?!”

“Posso entrare? Mi sento un tantino idiota, qui fuori, con la mazza in bella vista” sbottò l’uomo dinanzi a lei, in totale abito adamitico e con un diavolo per capello a sua volta.

Beh, forse parlare di uomo era riduttivo visto che l’armadio tutto muscoli che Atena stava guardando con malcelata ironia, altri non era che il Sommo Ares, dio della guerra e padrone di Sparta.

Cercando di trattenersi dal ridere, ma trovando tutta quella situazione paradossale, Atena si fece da parte per lasciarlo entrare e, a mezza voce, domandò: “Scusa l’impertinenza, fratello… ma dove hai lasciato gli abiti?”

L’alto e imponente dio, dalla pelle dorata dal sole e i morbidi riccioli biondi, si avviò verso il piano bar presente nel salone e, sedutosi su un alto sgabello, poggiò il gomito sul ripiano in marmo e borbottò: “Lo sa Zeus, dove possano essere i miei abiti! Afrodite li ha nascosti, poco prima di lasciarmi a mollo nel bel mezzo dell’Oceano, e solo perché ho dimenticato che oggi è San Valentino!”

Atena sbatté le palpebre, sinceramente perplessa, prima di rammentare cosa fosse San Valentino.

“Oh…” mormorò soltanto lei, mentre Ares grugniva un insulto tra i denti.

“Già. Oh. Quella scriteriata di Afrodite l’ha presa così male che mi ha lanciato contro le peggio maledizioni e poi, non contenta, mi ha mollato lì come un imbecille e se n’è andata con il mio yacht!” sbottò il dio, afferrando una bottiglia di scotch tra la ricca collezione di liquori della sorella per scolarsene un poco.

"Ma... e non potevi semplicemente tornartene a casa?" domandò Atena a quel punto.

"Non mi andava. Ero troppo furioso per tornarmene sull'Olimpo, così sono venuto qui."

Aperta poi la bottiglia, non cercò neppure un bicchiere e iniziò a tracannare il liquido ambrato sotto lo sguardo accigliato di Atena che, poggiate le mani sui fianchi, borbottò: “Prego. Fai pure come se fossi a casa tua, Ares.”

“Non fare la bisbetica anche tu, Atty. Ne ho già avuto a sufficienza delle intemperanze di Afrodite, senza dovermi sorbire anche le tue critiche” replicò piccato Ares, sbattendo la bottiglia ormai vuota sul ripiano marmoreo.

Atena cercò di mantenere la calma – era inutile e controproducente discutere con Ares, visto che non era dotato della minima pazienza – e si limitò a dire: “Miguel non aveva la tua possanza, ma posso provare a darti un paio di pantaloncini della tuta. Sono elasticizzati, e coprirebbero almeno le parti interessanti.”

Ares ebbe un impercettibile moto di imbarazzo, a quelle parole, e borbottò: “Non passai a farti le mie condoglianze. Scusa.”

“Non passò nessuno perché io non lo dissi a nessuno, all'epoca” replicò lei, avviandosi verso la sua camera da letto.

Erano passati più di cinque anni dalla morte del marito e, anche grazie all’intervento di suo zio Poseidone, era venuta a patti con la sua dipartita. Grazie a lui, inoltre, aveva scoperto di poter vedere il suo piccolo Alekos nell’Oltretomba e, non di rado, si recava nel regno di Ade per poter giocare con lui.

Quando tornò dal fratello, gli consegnò gli abiti e aggiunse: “Non ero in buoni rapporti con i nostri parenti, all’epoca, e lo sai.”

Lui scrollò le spalle, infilando con attenzione i pantaloni – erano un po’ corti, ma tutto sommato svolgevano il loro lavoro – e, dopo aver fatto lo stesso con la maglietta, borbottò: “Perché, pensi che io sia il più coccolato della nidiata?”

Atena scoppiò a ridere, scosse il capo ed esalò: “Oh, no di certo.”

“Ecco, per l’appunto” chiosò lui, lanciando un’occhiata verso la vetrata che conduceva al giardino. In lontananza, scorse una civetta e, divertito, aggiunse: “E’ Pallade?”

“Sì. Vuoi giocare con lei? Anche se non è il tuo animale, non le stai antipatico” scrollò le spalle Atena.

“E’ una femmina. Troverà di sicuro un motivo per avercela con me” brontolò per contro Ares, pur levandosi in piedi per raggiungere il giardino.

Lasciandosi andare a un risolino, Atena replicò: “Io ti sto aiutando, e sono una femmina.”

“Sei l’eccezione che conferma la regola” sottolineò per contro lui.

Fatta scorrere la porta della vetrata, Ares si sistemò su una sedia di vimini e, sollevata una mano, disse: “Vieni, piccola. Conosciamoci.”

Pallade inclinò la testolina di lato, lanciò un’occhiata dubbiosa alla sua padrona ma, infine, si involò dallo sconosciuto per fare la sua conoscenza.

Ares, allora, le carezzò il petto con un dito prima di passare alla testolina e al becco e Atena, nel poggiarsi contro il tavolino da giardino, mormorò: “Dimenticavo che ci sai fare, con gli uccelli.”

“Gli avvoltoi sono sicuramente più nevrastenici di questa piccolina, ma ci si può anche divertire, con loro” ammise Ares, lanciando un’occhiata distratta al profilo della collina su cui sorgeva la casa della sorella.

Da quella posizione invidiabile, il colpo d’occhio era di prim’ordine.

Lungo i declivi si potevano scorgere solo poche ville e una distesa quasi infinita di vegetazione mentre, in lontananza, il blu delle acque era infinito e splendido.

“Davvero un luogo pacifico. Ma non ti annoi mai, qui?” le domandò Ares, giocherellando con la piccola Pallade.

Atena si guardò intorno, lasciò vagare lo sguardo sull’orizzonte baciato dal sole e, alla fine, ammise: “Non annoiata. Forse un po’ sola, ma Pallade mi aiuta molto. Inoltre, Ermes viene a trovarmi ogni tanto, e le mie visite ad Alekos mi servono per non sentire troppo la mancanza di ciò che ho perso.”

Annuendo, Ares asserì: “Ho visto il ragazzino. Il padre doveva avere bei lineamenti, perché non ti somiglia molto. Anche se gli occhi e la carnagione sono tuoi.”

Atena assentì con un sorriso e replicò: “Sì, Miguel era un bell’uomo, ma era soprattutto un brav’uomo.”

“Lui ti faceva dei regali, per San Valentino?”

La dea scoppiò a ridere, a quell’accenno e, annuendo, asserì: “Erano solitamente dei fiori da piantare, visto che li amo molto.”

Ares scosse il capo, borbottando: “Ad Afrodite non interesserebbero. Lei non ha il pollice verde.”

“Beh, sai, lei ha più affinità col mare, piuttosto che con la terra” sottolineò Atena.

“Quindi, avrebbe dovuto apprezzare la gita in barca! Anche se io non mi ricordavo affatto di questa festività così idiota!” sbottò subito Ares e Pallade, spaventava, volò via.

Atena scosse il capo di fronte agli improvvisi scoppi d’ira del fratello e, battendogli una mano sulla spalla, asserì: “Datti una calmata, Ares, o ti si gonfieranno le vene del collo.”

Lui se lo tastò immediatamente, irritato, e borbottò: “Mi fanno sembrare un toro, e non è una cosa che gradisco molto.”

Nonostante tutto, Atena rise e si disse che, quanto a vanità, Ares e Afrodite si erano davvero trovati. In fede sua, non avrebbe saputo dire quale dei due dèi passasse più tempo davanti allo specchio.

“Senti. Oggi avevo intenzione di andare a trovare Alekos. Visto come stanno le cose, puoi accompagnarmi, così ti calmerai un po’ e, nel frattempo, chiederemo anche a Percy dei consigli su come chetare le ire di Afrodite” gli propose a quel punto Atena, non sapendo che altro fare, col fratello.

Era difficile avere a che fare con lui, ma non se la sentiva di lasciarlo in balia del suo malumore, soprattutto visto che si trovava tra gli umani. Se si fosse lasciato prendere dall’ira, avrebbe potuto spingere intere popolazioni alla guerra, e non era esattamente una cosa positiva.

Gli umani erano molto bravi già da soli, nel complicarsi la vita, e non avevano bisogno delle imbeccate di Ares per farsi fuori a suon di bombe e fucili.

“D’accordo. Tentar non nuoce” assentì lui, levandosi in piedi. Nel farlo, però, le cuciture dei pantaloni cedettero.

Atena sospirò per diretta conseguenza, mentre Ares fissava spiacente il danno e, scuotendo la testa, borbottò: “Forse, prima, dovremo prenderti qualcosa da mettere. Non puoi andartene in giro con le chiappe al vento.”

“Non me ne importerebbe molto, ma non sarebbe carino presentarsi da tuo figlio senza nulla addosso. Qualcosina la so anch’io” chiosò Ares.

“Aspettami qui e fai pace con Pallade, mentre vado a comprarti qualcosa” gli disse a quel punto lei, dirigendosi verso l’interno della casa. “Più di ogni altra cosa, però, non agitarti. Gli umani sono fragili.”

Lui la fissò malissimo, ma replicò: “Sono già stato indottrinato da nostro padre. Mi ha fatto una testa così, e non voglio sentirmelo ripetere ancora. Starò buono. Davvero.”

Ciò detto, si fece una croce sul cuore e Atena, suo malgrado divertita, asserì: “Quel gesto lo fanno i cristiani, sai?”

“Ah… beh, vabbè, hai capito” brontolò lui, sollevando una mano per mandarla bonariamente al diavolo.

Atena lasciò perdere e, dopo essersi fermata a prendere le chiavi dell’auto, raggiunse il suo pick-up per raggiungere in fretta il centro di Monterey.

A volte, è davvero difficile avere a che fare coi parenti, brontolò tra sé, pensando a cos’avrebbe detto la commessa, quando si fosse presentata per acquistare degli abiti da uomo.

Il paese era piccolo e la gente mormorava con nulla. Avrebbero sicuramente pensato che si era trovata un uomo, dopo tanto tempo.

“Beh, che pensino ciò che vogliono” brontolò lei, accelerando.

 
***

Le infradito, forse, non erano le calzature più adatte per visitare l’Oltretomba ma, in tutta onestà, ma niente di ciò che aveva proposto ad Ares dopo avergli fatto indossare maglietta e pantaloncini, era risultato di suo gradimento.

Le ciabatte da spiaggia erano state, per l’appunto, l’ultima spiaggia su cui cadere. Erano l’unica cosa che si avvicinava ai calzari che, ahi lei, esistevano per le donne, ma non per gli uomini.

Sciabattando lungo il viale di colonne che conduceva al prato dei Campi Elisi dove si trovava di solito Alekos, Ares si volse a mezzo verso Atena e disse: “L’ultima volta che l’ho visto, gli ho portato una spada giocattolo e uno scudo.”

“Immaginavo fosti tu, l'autore del regalo. Me li mostrò subito, ma non volle mai dirmi chi glieli aveva regalati. Pensavi non avrei gradito?”

“Sai che ho la sensibilità di una roccia, Atty. Chi capisce come ragiona una donna?” chiosò lui, scrollando le spalle con impotenza.

Lei rise sommessamente, salutò con un cenno Persefone e disse: “Ne hai avuta a sufficienza per pensare di portare un regalino a mio figlio. Dopotutto, non sei messo così male, fratello.”

“Fino a lì ci arrivo anch’io. Ma non chiedermi di ricordare compleanni, onomastici o ricorrenze, perché allora il mio cervello va in tilt. Ricordo solo le date del Sei Nazioni di Rugby.”

Atena lo fissò costernata e replicò: “E perché mai, scusa?”

Ares ghignò divertito e asserì: “Scusa, ma non hai mai visto una partita di rugby?”

“Vagamente” ammise lei, prima di esalare: “Ti piace, perché sono piuttosto… fisici nel corso del match?”

Ares annuì con orgoglio, neanche lo avesse inventato lui, quello sport, e dichiarò: “Al confronto con la lotta greco-romana, che ormai è talmente edulcorata da farmi ridere, nel rugby vedo la vera furia, il vero spirito combattivo.”

“Ma è tutto controllato e regolato, se non erro. Ti sta bene lo stesso?”

“Quando il risultato è così interessante, mi sta bene anche qualche regola d’ingaggio” chiosò lui. “Ehilà, Percy. Sei sempre uno schianto.”

Persefone rise nell’abbracciare entrambi e, accompagnandoli lungo il colonnato, disse: “Le urla di Afrodite si sono sentite fino a qui, sappilo. Ma cosa le hai fatto?”

“Non ho ricordato il San Valentino” brontolò Ares.

Persefone fece tanto d’occhi e Atena rise sommessamente. La cosa era davvero ridicola, secondo quest’ultima, ma con Afrodite tutto era possibile.

A quel punto, mossa a pietà dallo sguardo ferito di Ares, Percy ascoltò le sue lagnanze una a una e, quando infine raggiunsero Alekos, la dea fu ben felice del suo soggiorno semestrale nell’Oltretomba.

Salire sull’Olimpo e ascoltare anche le lagnanze di Afrodite, sarebbe stato troppo anche per lei. Meglio rimanere lì e sopportare solo un dio ferito e irritato.

Metera, ciao! Ciao zio Ares!” esclamò Alekos, giungendo loro incontro da una collinetta vicina, le braccia ricolme di fiori e il capo cinto da una coroncina di campanule.

“Alekos, ciao!” disse la madre, abbracciandolo prima di complimentarsi con lui per l’esecuzione della coroncina.

“Oh, ma non l’ho fatta io. E’ stato zio Ade a farla” rise il bambino, indicando dietro di lui la divinità avvolta in un lungo manto nero che, quatta quatta, stava tentando di sfuggire ai loro sguardi.

Persefone scoppiò a ridere, di fronte a quel goffo tentativo del marito di non essere scoperto a esprimere carinerie al bambino e Atena, divertita a sua volta, esalò: “Zio Ade… non me lo sarei mai aspettato, da te.”

Il dio, vistosi scoperto, rizzò la schiena con regalità e fissando tutti dall’alto al basso, replicò piccato: “E’ pur sempre mio nipote… più o meno, insomma… e sta qui a casa mia, per cui…”

Ares lo bloccò, asserendo serafico: “Ti stai arrampicando sugli specchi e credimi, non funziona, con le donne. Io ci ho rimesso lo yacht e gli abiti.”

“Purtroppo per noi tutti, lo sappiamo. Afrodite ha un timbro vocale che spacca i timpani, e arriva fino a qui” si lagnò Ade, grato per quella via di fuga dall’argomento ‘coroncine di fiori’. “Mi domando come tu possa anche solo sopportarla.”

“E’ brava a…” iniziò col dire Ares prima di voltarsi verso un interessato Alekos, tappargli le orecchie e infine aggiungere: “…letto. E non solo. Sa fare certi giochetti che non starò qui a elencare, perciò il gioco vale la candela.”

Persefone e Atena lo fissarono con sufficienza e Ares, lasciando andare Alekos, borbottò: “Non fate le noiose. Sono cose che valgono, quando decidi di stare con qualcuno.”

“Quale profondità d’animo, fratello” celiò Atena, rimettendo a terra Alekos. “Andiamo a correre per i prati, tesoro. E’ meglio.”

“Cos’ha detto zio Ares, su zia Afrodite?” domandò curioso il bambino.

“Cose che, per il momento, non sei tenuto a sapere” sottolineò la madre, incenerendo con lo sguardo il fratello.

Osservando madre e figlio allontanarsi lungo la collina, Ares borbottò: “Ecco, vedi Percy? Ho ragione io. Le donne si incavolano sempre, con me.”

“Chiedersi come mai, è troppo, per quella tua zucca vuota?” ironizzò la donna, dandogli una pacca sul braccio.

“Se è vuota, come faccio a pensare?” sottolineò per contro lui, facendola scoppiare a ridere.

 
***

Zeus allungò l’ennesimo fazzoletto ad Afrodite, giunta in lacrime al suo tempio non meno di dieci ore prima e, nel sistemarsi meglio il tappo di sughero che aveva nell’orecchio, fissò dolente la moglie in cerca di aiuto.

Era suo compito offrire ospitalità agli dèi tutti, qualora ne avessero bisogno, ma le lagnanze di Afrodite lo avevano così stomacato da obbligarlo a difendere i suoi poveri timpani da quel logorante piagnisteo.

Sua moglie Era, seduta sul suo divanetto preferito, era intenta a lavorare di maglia e, non meno del marito, aveva indossato dei tappi per proteggersi dagli strepiti di Afrodite.

Fu l’arrivo a sorpresa di Artemide che risolse quello stallo senza fine.

Avanzando lungo la navata principale del tempio, gli alti calzari dorati che ticchettavano sul pavimento di marmo bianco, l’alta e forte dea della caccia raggiunse il trittico divino e, dopo essersi inchinata formalmente a Zeus, fissò arcigna Afrodite e sbottò dicendo: “Giuro che, se non ti cuci la bocca, ci penserò io. Non se ne può più dei tuoi strepiti. Hai spaventato tutti i miei animali e, quel che è peggio, le mie capre non fanno più il latte perché sono sconvolte dalle tue urla starnazzanti.”

“Io non starnazzo!” strillò Afrodite, concedendosi un altro attacco di pianto.

Artemide, allora, sbuffò sonoramente, fissò la dea con aria battagliera e, afferratala a un polso, ringhiò: “Vediamo di risolverla una volta per tutte, altrimenti qui dovremo fare tutti trasloco. Sii un po’ più donna di così e ricomponiti, per tutti noi!”

Ciò detto, la trascinò via dal divanetto su cui si era gettata in lacrime e disperata e, protestando contro i modi da cavernicola di Artemide, urlò tutto il suo dolore e la sua mancanza di partecipazione da parte dei parenti.

Solo quando le due dee furono definitivamente all’esterno del palazzo, Zeus si arrischiò a togliersi i tappi ed Era, facendo lo stesso, mormorò: “Credo che farò un regalo a tua figlia. Afrodite avrebbe finito con l’allagare il palazzo con le sue lacrime, di questo passo.”

“Non me lo dire. Ero già pronto a chiamare Poseidone per evitare che vi fossero dei maremoti” celiò Zeus, massaggiandosi i padiglioni auricolari. Tappi o non tappi, la voce squillante di Afrodite uccideva.

“Cosa pensi che farà, ora, Artemide?”

“Conoscendola, penso che le farà un corso accelerato di femminismo, o qualcosa del genere. Lei non ama essere messa in secondo piano dagli uomini, lo sai” scrollò le spalle Zeus.

Sorridendo divertita, Era chiosò: “Povero Ares. Prevedo guai.”




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N.d.A.: era da un po' che volevo riprendere l'argomento divinità, e Ares me ne ha dato l'occasione. 
Questa sarà una cartella che verrà aggiornata ogni tanto, quando dèi ed eroi decideranno che è giunto il momento, per loro, di camminare tra di noi.
Nel prossimo capitolo vedremo cosa combinerà Artemide, e se Ares e Afrodite faranno finalmente pace.

 
  
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