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Autore: Elena 1990    18/01/2019    1 recensioni
La storia mai narrata del terribile imperatore dello spazio.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Freezer
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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Udii delle voci appena ripresi conoscenza. Sentivo le coperte sopra di me, il materasso sotto, il cuscino morbido contro la nuca.
Rimasi con gli occhi chiusi
-- Come sta, dottore?--
Ginew. Lo riconoscerei fra mille.
-- Lord Freezer è forte, ma soffre di una grave carenza alimentare. Mangia regolarmente?
-- Sono settimane che non tocca cibo.-- Zarbon. Sì era lui. -- I servi sono insistenti ma il sire non vuole sentir ragioni. Dice che non ha appetito. Soffre spesso di insonnia ed incubi. Di notte a palazzo lo sentiamo urlare tutti. Ogni notte che passa i servi chiacchierano. É così da quando-- si interruppe.
-- La regina.
-- Esatto.
-- Si sta lasciando andare.
-- In che senso?
-- Lo sapete.-- replicò il medico. -- Io posso alleviare i sintomi ma se il sire non si lascia questo dolore alla spalle io potrò fare ben poco di concreto.
La porta cigolò.
-- È sveglio papà?-- chiese una vocina che riconobbi subito. Era Kuriza. Il mio Kuriza. La perdita della madre doveva essere stato un duro colpo per lui, eppure nel mio dolore lo avevo quasi dimenticato.
-- No principino Kuriza. Non ancora.-- replicò Zarbon.
-- Oh. Posso restare lo stesso?
-- Non è una buona idea. Vostro padre non--
-- Fatelo rimanere-- s' intromise il dottore. -- In fondo tentar non nuoce.-- si rivolse al piccolo. -- Resta vicino a tuo padre piccolo, noi andiamo fuori a discutere.
Li sentii uscire. Sentii Kuriza che saltava sul letto e si avvicinava camminando carponi sulle lenzuola.
-- Papà? Sei sveglio? Svegliati papà!
Aprii gli occhi. -- Sì. Sono sveglio.
-- Perché non mangi? Il dottore dice che stai male perché non mangi.
-- Non mi va di mangiare.
-- Oh, anche a me non andava. Poi però mi brontolava la pancia e ho preso un assaggino. Alla fine mi son mangiato tutto. Magari se provi ti viene fame.
Girai la testa. -- Non voglio. Voglio la mia sposa. Voglio andare da lei.
Sentii la vocina rattristarsi. -- Anche a me manca la mamma.-- replicò sedendosi e avvolgendosi le gambe con la codina bianca.
Aveva raggiunto la quarta forma molto prima di me, ai miei tempi. Ero orgoglioso di lui. -- E se tu te ne vai io cosa faccio?-- chiese.
Spalancai gli occhi, come in una specie di illuminazione. Fermo nel mio dolore, non avevo pensato a Kuriza. Lo avevo lasciato solo dal giorno in cui aveva perso la madre. Era nel giardino con lei, l'aveva vista morire con i suoi occhi. Aveva visto quei saiyan colpire sua madre, aveva visto tutto. E ora era sul punto di perdere anche il padre. Pensai a lui, così piccolo e unico erede legittimo. Si sarebbe trovato aspiranti reggenti da ogni lato, pronti ad assoggettarlo e a manipolarlo come un branco di squali.
Come avevo potuto essere così cieco? Il dolore fa questo. Rende ciechi. Rende egoisti. Kuriza aveva bisogno di me. E l'impero del suo imperatore. Cooler ci avrebbe messo le mani distruggendo tutto ciò che avevo costruito, per riportare le cose al loro vecchio fasto.
Non potevo permetterlo.
-- Kuri.
-- Sì?
-- Chiama i servi. Dì loro che voglio mangiare qualcosa. Qualsiasi cosa andrà bene.
Lo vidi sorridere in un modo che mi scaldò il cuore.
Quando sorrideva così, sembrava tutto sua madre. -- Vado subito!-- disse, ma prima, mi abbracciò forte e mi disse che mi voleva bene e che comunque, la mamma ci guardava da lassù.
Ricambiai l'abbraccio, cercando di trattenere le lacrime. Alla fine fu mio figlio a salvarmi. A darmi una ragione per non cedere. Aveva bisogno che suo padre lo consolasse eppure era lui a consolarmi, a spronarmi, non per l'impero, non per affari.
Solo perché ero suo padre, e lui mi voleva bene.

Cominciando a mangiare ripresi lentamente le forze, ma il mio fisico debilitato e la stagione fredda alle porte non mi risparmiarono un malanno. Non di quelli gravi, ma uno di quelli brutti, fastidiosi. Il genere di febbri che ti costringe a letto, annebbia la mente e indebolisce il fisico.
Ma come avrete capito, l'impero non si ferma se il suo imperatore si ammala. Come una sanguisuga resta attaccato alla sua fonte di nutrimento senza badare alle circostanze.
Il periodo non era dei migliori. Il mio discorso rimbalzava da un pianeta all'altro attraverso la rete, suscitando sia l'approvazione che lo sdegno di molti. Un filmato dal titolo “ Il diVino imperatore” aveva raggiunto milioni di visualizzazioni in poche ore. I reggenti mormoravano. Gli alleati mormoravano. Non era davvero il momento per ammalarsi.
Il regalo di mio fratello mi fu molto utile. Me lo inviò sapendo della mia situazione, come se volesse essermi vicino per via della mia perdita.
Era una poltrona fluttuante. Il biglietto sul sedile mi fece sorridere mio malgrado. Diceva: “ Al mio debole fratellino.”
Gliene feci recapitare una uguale e sul biglietto feci scrivere: “ Al mio pigro fratellone.”
Sistemato Cooler, utilizzai la poltrona per spostarmi, dato che non mi reggevo in piedi. Stavo seduto nella sala del trono a ricevere chi chiedeva udienza, a firmare carte, amministrare risorse, risolvere problemi. Ordinaria amministrazione di un impero, con la differenza che, per motivi ignoti praticamente a tutti, qualche volta posavo la penna e gridavo a tutti di lasciare la sala. A quel punto tutti scappavano.
L'ultimo che si era trattenuto aveva ricevuto un buco nel cranio.
Uscivano tutti, perfino Zarbon e Dodoria. Tutti al di fuori della figura che mi seguiva praticamente ovunque.
In tanti fantasticavano su chi fosse: la mia personale guardia del corpo, un consigliere, una spia che mi riferiva ogni cosa, un assaggiatore di vini, alcuni sospettavano fosse addirittura il mio amante e questi in particolare, li avrei fatti decapitare tutti, se solo avessi avuto i nomi.
In realtà, era semplicemente il mio medico personale.
Quando ero esausto, e in quel periodo accadeva spesso, facevo uscire tutti in modo che solo lui fosse testimone della mia debolezza e vi ponesse rimedio.
I medici sono come le mura dei palazzi: se potessero parlare, chissà le cose che racconterebbero.
Quando, una volta solo con lui, mi accasciavo sullo schienale della poltrona ansimante e sudato, mi ripeteva ogni volta la stessa cosa.
--Sire, accade sempre più spesso. Di questo passo peggiorerete.
--Non dirmi cose che so già.-- risposi tenendo gli occhi chiusi, cercando di riprendere fiato. Era cominciato con una volta al giorno, poi erano diventate due, poi tre.
Quella era la quarta. E non ero neanche a metà giornata.
-- La faccenda è seria questa volta, Lord Freezer. Non si può rimandare ancora, sperando che passi.-- disse mentre mi tastava il polso. Cercavo di mantenere un certo contegno e di mostrarmi più o meno in forze anche con lui, ma sì sa che la stirpe dei medici è quasi impossibile da ingannare, con quell'occhio clinico che si ritrovano.
Sapevo che aveva ragione. Ma la cura per la mia malattia consisteva nel somministrarmi un farmaco potente. Una volta cominciata mi avrebbe costretto a letto per una settimana almeno, ed era un lusso che non potevo permettermi.
Perché ero un imperatore.
Sempre la solita storia. E poi esiste davvero gente che ucciderebbe per diventarlo. Poveri illusi, non sanno cosa li aspetta.
-- Passerà, datemi ancora un paio di giorni.-- dissi, come se fosse una delle mie tante scartoffie da archiviare.
-- Sire, posso essere schietto?
Odiavo quella frase.
Preannunciava una batosta.
Sospirai.
-- Avanti.
-- Tutto questo lavorare vi sfinisce e non fa che peggiorare la vostra condizione. Se andate avanti così la vostra debolezza risulterà comunque evidente. Sua altezza Re Cold sarà ben lieto di reggervi il trono per tutta la durata del trattamento. O fate questo umiliante passo verso di lui oppure riceverete umiliazione più grande svenendo ad uno dei ricevimenti, in mezzo a tutti gli invitati. La scelta è vostra.
Rimasi in silenzio per un po', con gli occhi chiusi e muovendo lentamente la coda.
-- Sai perché ti permetto di essere schietto con me, senza ucciderti per oltraggio nei miei confronti?
-- No, Lord Freezer.
--Perché alla fine hai sempre ragione.
-- Ne sono onorato, sire.
  
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