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Autore: Frytty    21/01/2019    0 recensioni
Pezzi di vita di Jake e Cora, della loro storia d'amore, delle loro giornate no, del loro vivere insieme, della loro famiglia, da ricomporre e scomporre per dar vita al loro essere unici ed insieme.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All Too Well'
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Buon lunedì a tutti!

Oggi è il cosìdetto Blue Monday e secondo voi perché sono qui proprio oggi a postare un nuovo capitolo dopo ere? Ma certo! Per allietare la vostra giornata (spero)!

La cosa strana è che avevo il capitolo pronto da mesi, eppure non mi sono mai decisa a pubblicarlo. Vi succede mai? Avete qualcosa di pronto che volete condividere con gli altri, ma non lo fate? Fatemi sentire meno sola e (meno) psicopatica (LOL).

Comunque, cosa dire di più? Scrivere questo capitolo mi è piaciuto molto e credo che fino ad ora sia il mio preferito in assoluto (ma, ehi, io non sono obiettiva per nulla), quindi perché non mi dite cosa ne pensate invece VOI? Sono curiosa.

Vi auguro una buona continuazione di giornata e, come al solito, una buona lettura! <3

 

 

 

 

9. Never Again

 

A Cora piaceva definirsi una ragazza determinata. Cercava sempre di portare a termine quello che si prefiggeva e faceva del suo meglio per realizzare i suoi sogni. Certo, non era sempre facile; c’erano giorni in cui voleva mollare, lasciar perdere tutto e prendere il primo volo per un’isola deserta, però nonostante tutto non demordeva, si rialzava e tornava a combattere.

Era grazie a quel lato di sé che si era trasferita a New York da sola, con una valigia piena di speranze e qualche vestito ed era sempre grazie alla sua determinazione che aveva ottenuto quel posto di lavoro, il suo primo contratto a tempo indeterminato dopo una serie di part-time deludenti.

Eppure, c’erano situazioni in cui essere determinati non valeva poi così tanto; c’erano situazioni in cui la determinazione si trasformava in ostinazione e poi in rassegnazione.

Era quello che era successo con Jake.

Entrambi avevano lavorato instancabilmente affinché la loro relazione funzionasse, avevano cercato di essere accomodanti l’uno con i difetti dell’altro, avevano stabilito i loro spazi e cercato di non invaderli, avevano investito tutto di loro stessi.

Non aveva funzionato o meglio, aveva funzionato per un po’, poi il castello aveva cominciato a crollare, mattone dopo mattone.

Non era facile pensarci e non era facile accettare quella realtà.

Cora ci stava pensando in quell’istante, appena sveglia, ancora sotto le coperte. 

Jake non era accanto a lei e non ci sarebbe stato più.

Forse, nel profondo del suo cuore l’aveva sempre saputo che erano incompatibili, che non avrebbero fatto poi tanta strada insieme e che, prima o poi, qualcosa li avrebbe fatti crollare.

Aveva cercato di essere comprensiva, aveva cercato di capire la sua vita frenetica e il suo mestiere di attore che lo portava via interi mesi, ma la verità era che non solo era più difficile di quello che pensasse, era stato anche incredibilmente frustrante: non vederlo per mesi, accontentarsi soltanto delle telefonate e degli SMS e dei pochi giorni di pausa in cui riusciva a ritornare a New York, concedergli i suoi spazi e non sembrare assillante…

Non era sempre così, certo; c’erano periodi in cui i loro impegni si incastravano alla perfezione, riuscivano a trascorrere settimane insieme come una vera coppia, non erano costretti a sentirsi solo per telefono e riuscivano persino ad andare a cena fuori, al cinema, al luna-park ed era in quei momenti che Cora si ritrovava a pensare che sarebbe stato bellissimo se fosse stato sempre così, non solo due-tre volte all’anno, ma sempre, anche solo poche ore al giorno.

Non poteva fingere che andasse tutto bene, perché sapeva quello a cui andava incontro quando aveva deciso di frequentare Jake, sapeva che la loro relazione non sarebbe stata tutta rosa e fiori, non sempre almeno, ma non aveva preventivato il bisogno che avvertiva di sentirlo sempre al suo fianco, di poter contare su di lui. Con Jake questo non succedeva e non perché lui non volesse essere presente per lei, ma semplicemente perché non poteva e a Cora le telefonate non bastavano, non se non poteva vederlo per mesi.

Aveva deciso di comunicargli quella decisione qualche settimana prima e avevano finito per litigare, alzando la voce, sebbene non fosse da lei.

Jake aveva cercato di convincerla a restare, promettendole che avrebbe ridotto gli impegni, che quando avesse voluto avrebbe potuto accompagnarlo, ma Cora sapeva di non potergli chiedere una cosa del genere, era il suo lavoro e lei non voleva mettersi in mezzo, perché se i ruoli si fossero ribaltati lei non l’avrebbe sopportato e non voleva costringerlo a scegliere.

Le era sfuggita qualche lacrima mentre recuperava il cappotto per tornare a casa, ma aveva cercato di trattenersi. Era una delle decisioni più difficili che avesse mai preso, perché lo amava e per quanto melenso o da film d’amore da quattro soldi potesse sembrare, sapeva anche che non sarebbe stata più in grado di provare delle sensazioni così forti per qualcuno che non fosse Jake, ma in qualche modo sarebbe riuscita ad andare avanti, forse persino a dimenticarlo, un giorno.

Ricordava l’abbraccio in cui l’aveva avvolta prima che potesse aprire la porta e andare via, così come ricordava il suo profumo e il rumore del suo respiro nell’orecchio.

Jake da parte sua aveva provato a telefonarla, ad aspettarla a lavoro, era rimasto davanti alla porta di casa sua diverse ore in attesa di vederla rientrare, prima di scoprire dopo una telefonata a Sarah che era partita per Dublino per un corso offerto dall’azienda e che non sarebbe ritornata prima di un mese. Per allora lui sarebbe stato impegnato in un nuovo progetto a Vancouver ed era sicuro che non sarebbe riuscito a parlarle. Nonostante questo, provò comunque a chiamarla, lasciandole diversi messaggi in segreteria, ma Cora restò ferma nella sua decisione: non tirare troppo la corda; se avesse fatto anche solo un passo indietro, ci sarebbe ricascata e lei odiava i tira e molla, non sarebbe stato giusto nei confronti di Jake, ma soprattutto non sarebbe stato giusto nei suoi.

Maggie aveva intavolato più volte la discussione durante le cene a cui prendeva parte a casa sua quando Jake non era a New York, perché lei e Maggie erano rimaste amiche e Cora si sentiva sempre la benvenuta in quella casa, complici anche Gloria e Ramona che se la contendevano per giocare, neanche fosse un pezzo di torta; Cora le aveva spiegato quello che l’aveva portata a quella scelta e se in un primo momento Maggie aveva cercato di farle cambiare idea, non tanto perché anche Jake stava soffrendo, quanto per il fatto che li aveva visti entrambi coinvolti in un modo che si sentiva già pronta per essere invitata al loro matrimonio, ma poi aveva osservato Cora scuotere la testa, sorridere appena e dirle che non voleva mandare avanti una storia per inerzia, non se dovevano entrambi trascinarsi tra una litigata e l’altra, arrivando al punto di non riuscire neanche più a sopportarsi e allora Maggie aveva alzato le mani e non aveva più nominato il fratello.

 

Cora si sollevò a sedere sul letto al secondo suono della sveglia, stiracchiandosi. Controllò il cellulare per assicurarsi che il suo appuntamento con Holly non fosse stato cancellato e poi si diresse in bagno. Le sue amiche erano convinte che per distrarla sarebbe bastato un po’ di sport e ora facevano a turno per accompagnarla a correre a Central Park, neanche avesse bisogno della balia. Aveva provato a farglielo capire, ma testarde com’erano c’era stato poco da fare: da sola non sarebbe mai uscita a correre prima dell’ufficio, con loro invece avrebbe avuto una motivazione in più. Le aveva assecondate perché non aveva voglia di discutere e perché correre la distraeva davvero, quasi come se con il sudore scivolassero via anche i pensieri.

Il tempo di indossare la tuta e le scarpette da ginnastica e di legare i capelli, che Holly era già arrivata.

«Buongiorno! Come stai oggi?» Le domandò non appena fu fuori dal portone.

«Al solito.» Rispose, ringraziandola per il cappuccino caldo che si era ricordata di comprarle.

«Passerà.» Le rispose Holly, sorridendole appena. Non faceva altro che ripeterlo, tutti intorno a lei non facevano altro che ricordarglielo, come se la sua vita fosse tutta lì, Jake-centrica. C’erano legami che si spezzavano ogni giorno, ogni ora forse e sì, ci stava male, ma non da farne un dramma. Era già trascorso più di un mese dall’ultima volta che si erano visti e Cora non si meravigliava neanche del fatto che non avesse avuto modo di incrociarlo in giro per la città: New York era grande e lei non usciva spesso dopo l’ufficio e di certo non frequentavano gli stessi posti, perciò andava bene così.

Raggiunsero Central Park in una decina di minuti e si unirono ai numerosi joggers che già affollavano i sentieri, nonostante la fredda mattinata di dicembre.

«Tua madre mi ha richiamata.» La informò Holly, sorridendo nel vederla sollevare gli occhi al cielo.

«Non capisco perché non parla con me, invece di annoiare voi.» Ecco un altro dei problemi di quando tornavi single: tua madre cominciava a preoccuparsi e invece di chiedere direttamente a te come stavi, pensava bene di infastidire tutto il giro di tue conoscenze strette.

Holly rise.

«É solo preoccupata per te, lo sai. Secondo me Jake un po’ le piaceva, anche se non lo ammetterebbe mai.»

«Non credo, fosse per lei gli uomini dovrebbero sparire dall’intero pianeta.» Rise di rimando, cercando di sdrammatizzare sul fatto che sua madre fosse ormai un caso perso. Non voleva che soffrisse e poteva capirla, perché avrebbe voluto sempre e solo proteggerla, ma non poteva essere sempre tutto bianco o nero, anche le sfumature erano importanti.

«Oh e prima che mi dimentichi, Sarah mi ha chiesto di dirti che secondo lei il regalo dovresti darglielo lo stesso.» Cora sospirò e si bloccò nel bel mezzo del sentiero, Holly che proseguì per un po’ prima di rendersi conto che l’amica non era accanto a lei. Tornò indietro accigliata.

«Qualcosa non va?» Le chiese.

«Sapete come la penso, non voglio rivederlo e il regalo posso sempre riciclarlo.» Com’era possibile che dopo un mese le sue amiche non avessero ancora esaurito l’argomento?

«Beh, ma è il suo compleanno e quel regalo l’hai acquistato con mesi di anticipo e devo ricordarti che ci hai fatto uscire matte? Dovresti farlo per la nostra sanità mentale, in effetti.» Holly la osservò, le mani ai fianchi come per rimproverarla.

Cora scosse la testa.

«Dovreste rispettare le mie decisioni; siete mie amiche, no? Non fate altro che cercare di “farmi ragionare”, per usare le parole di Bonnie, quando dovreste rispettarmi e smetterla di parlare di lui. Ho preso la mia decisione, fatevene una ragione.» Sbottò, riprendendo a correre senza aspettare l’amica che comunque la raggiunse in pochi istanti.

«Cora, dai, non te la prendere, lo so che pensi che siamo delle impiccione e che questi sono affari tuoi e che dovremmo essere dalla tua parte, ma noi siamo dalla tua parte ed è per questo che cerchiamo di farti capire che con lui eri diversa e non perché tu improvvisamente ti sia trasformata in un’altra, ma perché l’avrebbe capito chiunque che ti sentivi appagata e completa.» Stare al passo di Cora e cercare di spiegare le proprie ragioni non era il massimo, considerato l’affanno e la fitta di protesta dei polmoni.

«Sono ancora completa e appagata, il mio cuore non è diviso a metà come nei cartoni animati, sai?» Cos’è che aveva detto? La corsa riusciva a farle dimenticare i pensieri? Doveva aver parlato troppo presto.

«Andiamo! Sai cosa voglio dire.» Protestò Holly.

«In verità no, non ne ho idea.» Finalmente Cora si fermò, voltandosi verso l’amica pochi passi dietro di lei.

«Eri più felice, Cora! Eri piena di entusiasmo, ti brillavano gli occhi e sì, sarà anche una cosa da cartone animato come dici tu, ma è la verità. Non ti avevo mai vista sorridere così, nessuna di noi, nemmeno Sarah che ti conosce dai tempi dell’università. É così difficile ammetterlo?» Holly quasi urlò, contenta del fatto che i pochi che procedevano in direzione contraria indossassero le cuffie e non potessero sentirla.

Cora si morse un labbro, cercando di non scoppiare in lacrime.

Era per questo che sua madre era così preoccupata? Perché non era più felice come prima? Perché le pesava fare tutto, anche mangiare? Si era sempre detta che la solitudine non la spaventava: aveva un lavoro, dei colleghi, degli amici, sua madre; non era davvero da sola e se quando tornava a casa e si trovava a guardare un film solo in compagnia del gatto, beh, non era una tragedia; avrebbe potuto essere disoccupata e sola, quello sì che sarebbe stato triste. Aveva quasi faticato ad accettare Jake nella sua vita, perché tutte le sue storie erano state un fallimento e la loro sarebbe anche potuta non essere una cosa seria e lei avrebbe dovuto imparare a convivere con una popolarità che non le interessava, avrebbe dovuto rispondere a domande imbarazzanti, presenziare a qualche evento, se il loro rapporto fosse mai diventato ufficiale e non era affatto sicura di riuscire a reggere un impegno del genere. Doveva ammettere che era stato più semplice del previsto, che era stato come imparare ad andare in bicicletta, che aveva investito in quella relazione così tanto di sé da non rendersene quasi conto e che sì, Holly aveva ragione, era stata felice, entusiasta e forse le erano brillati anche gli occhi, come nei cartoni animati, ma era difficile rendersene conto quando avevi deciso che non riuscivi più a sopportare le sue continue assenze e i pochi giorni da trascorrere insieme non ti bastavano più, perché non era così che voleva costruire qualcosa insieme a lui.

«Mi dispiace, non voglio farti piangere.» Holly le si era avvicinata e l’aveva abbracciata, mentre Cora tirava su col naso.

«No, va bene, ne avevo bisogno.» Si asciugò le guance con le maniche della felpa.

«Promettimi che ci penserai per la storia del regalo, d’accordo?»

Cora annuì.

Quel piccolo contrattempo aveva prolungato la corsa di oltre dieci minuti, perciò quando Holly e Cora si separarono sotto casa di quest’ultima, erano già le sette e mezzo passate, il che voleva dire che Cora aveva solo venti minuti per prepararsi, mangiare qualcosa, uscire di casa e cercare un taxi, se voleva arrivare in ufficio in orario.

Dopo una doccia veloce si vestì e cercò contemporaneamente di asciugarsi i capelli e di mangiare la sua solita brioche alla marmellata; si truccò quel tanto che bastava a rendersi presentabile e corse a infilarsi le scarpe. Aveva appena chiuso la porta e infilato le chiavi in borsa, quando il cellulare le segnalò l’arrivo di un messaggio, seguito da altri due a breve distanza. Lo afferrò dal taschino e alzò gli occhi al cielo quando lesse il mittente: Mamma.

Da quando le aveva raccontato di come aveva deciso di lasciare Jake, oltre all’abitudine di chiedere come stava a chiunque altro meno che a lei, aveva cominciato a tempestarla di messaggi in cui le inoltrava tutti gli articoli che leggeva, sul web o sulla carta, in cui campeggiavano il suo nome e quello di Jake. Spesso si trattava di articoli tratti da siti di gossip o da riviste da quattro soldi, perciò Cora non perdeva neanche tempo a leggerli; archiviava i messaggi, sperando che sua madre, prima o poi, si stufasse di quell’inutile passatempo. Cosa sperava di ottenere inoltrandole quegli articoli? Voleva convincerla che aveva fatto la cosa giusta, che era meglio così, che prima o poi sarebbe finita comunque? Beh, più che essere d’accordo con lei sul fatto che aveva sempre avuto ragione, fin dall’inizio, Cora non sapeva cosa fare. Gliela dava vinta solo perché non la tormentasse e non perché fosse pentita della sua decisione.

Uscì dal portone, gettando un’occhiata alla strada nel tentativo di individuare un taxi libero. Aveva già la mano alzata pronta a richiamare l’attenzione della prima vettura gialla di una lunga fila, che il cellulare vibrò di nuovo, più a lungo questa volta: una chiamata.

Distratta dal taxi che stava affannosamente cercando di fermare, dal fatto che la borsa piena di documenti le impacciava i movimenti, dal rumore assordante del traffico e dal cellulare che continuava a vibrare nella sua mano, rispose senza neanche leggere il mittente, solo per far smettere quel suono.

«Sì?» Chiese, rendendosi conto di aver attirato l’attenzione di un taxi dall’altra parte della strada.

Non riuscì neanche a capire la risposta dall’altro lato della cornetta per colpa di due auto della polizia che le sfrecciarono a sirene spiegate davanti, proprio mentre si accingeva ad attraversare la strada per raggiungere il taxi. Si tappò perfino l’orecchio libero, nel tentativo di contrastare il frastuono.

E poi si ritrovò a terra, senza sapere neanche come, a osservare il cielo grigio, che minacciava pioggia.

Voleva alzarsi, ma non ci riusciva, era come bloccata.

«Cristo Santo! Non le hanno insegnato ad attraversare la strada?» Cercò di voltarsi verso la fonte della voce, ma non ci riuscì, spostò appena lo sguardo, intravedendo un’ombra, tante ombre. Le girava la testa, anche se era distesa; aveva bisogno di chiudere gli occhi perché la luce le dava fastidio e tutto ciò che vide fu il buio.

 

Quando si risvegliò la prima cosa che vide fu un mazzo di fiori, sfuocato e indistinto e la prima cosa che sentì fu un bip insistente che proveniva dal lato destro. Sbatté le palpebre in successione, sperando di schiarire la vista e fu allora che capì di essere in ospedale. Cercò di schiarirsi la voce e di muoversi, ma un dolore lancinante all’altezza delle costole le fece capire che non era il caso.

«Ferma, ferma, è tutto ok. Come ti senti?» Spostò lo sguardo sulla figura accanto a sé: Jake.

«Cosa ci fai qui?» Riuscì a chiedergli, mettendo a fuoco il suo viso.

«L’autista dell’auto che ti ha investita ha chiamato il primo numero tra le chiamate ricevute e mi ha detto che eri qui.» Rispose, sorridendo appena.

Probabilmente arrossì, sebbene non ne fosse certa; per quello che ne sapeva, potevano anche essere gli anti-dolorifici o forse aveva la febbre.

«Devo chiamare mia madre.» L’autista era stato gentile ad avvisare qualcuno, ma lei non lo voleva lì.

«L’ho già avvertita io, sta arrivando.» Le rispose, allungando una mano per spostarle una ciocca di capelli dalla fronte.

Cora notò la maglietta rossa che indossava, una delle sue preferite.

«Mi sono rotta un braccio?» Osservò, notando il gesso.

«Un braccio e tre costole.» Precisò.

«Com’è che quando si tratta di cadute ci sei sempre tu in mezzo?» Sbottò, più per stemperare la tensione che per ferirlo. Alludeva a quando si erano incontrati per la prima volta e lei, non sapeva ancora come, era caduta nel tentativo di raggiungere la sua macchina.

Jake rise e come accadeva sempre, di riflesso sorrise anche lei.

«Sono il massimo esperto.» Si giustificò, facendole un occhiolino e incrociando le mani dietro la testa, come se stesse per stiracchiarsi.

La stanza era vuota, ad eccezione di loro due; gli altri letti non erano occupati.

«Dovresti andare, non sei obbligato a restare e mia madre sarà qui a momenti.» Abbassò lo sguardo in imbarazzo. Non aveva scelto lei di vederlo e se fosse rimasta cosciente non avrebbe mai indicato lui come primo contatto; non stavano più insieme e lui poteva non essere in città, perché disturbarlo?

«Non sono obbligato a rimanere qui o sei tu che vuoi che me ne vada?» Le chiese.

Cora non ebbe modo di rispondere, l’infermiera entrò insieme al medico per valutare le sue condizioni e per informarla delle costole e del braccio rotti.

Sentiva dolore, ma non aveva bisogno di altro anti-dolorifico.

«Hai fame? Sete?» Le chiese Jake una volta che il medico e l’infermiere furono usciti dalla stanza.

Cora scosse la testa, rifiutandosi di guardarlo, giocherellando con il lenzuolo quel tanto che il braccio sano le permetteva.

«D’accordo, allora se vuoi che me ne vada…» Si alzò, recuperando la giacca che aveva abbandonato sullo schienale della sedia.

Cora non disse niente, neanche lo guardò. Doveva ammettere a se stessa che era combattuta: la sua presenza la rincuorava e anche se non poteva mettere da parte i propri sentimenti come se non esistessero, non voleva tornare a soffrire.

Chiuse gli occhi quando lo sentì avvicinarsi al letto, la sua ombra oscurarla il tempo necessario per lasciarle un bacio sulla fronte.

«Cerca di riposare, d’accordo?» Le sorrise, facendola arrossire di nuovo. «Passo a trovarti più tardi.» Continuò, ormai alla porta.

Cora riuscì soltanto a guardarlo andare via.

Perché era così difficile? Era questo che aveva cercato di far capire a Holly, a Sarah e anche a Maggie; rivederlo l’avrebbe mandata in confusione e lei odiava essere così, odiava dover tenere a bada i battiti impazziti del suo cuore, quella sensazione di formicolio che avvertiva quando lui la guardava e le mani che tremavano.

Quando la porta si richiuse sospirò, borbottando dal dolore l’istante successivo. Non seppe neanche come, ma riuscì a trovare una posizione comoda e quando arrivò sua madre dormiva già.

 

Per tutto il resto della giornata Cora non fece altro che tentare di dissuadere sua madre dal trattarla come una bambina e ricevere visite: prima Maggie e le bambine che le avevano portato dei bellissimi palloncini di pronta guarigione e una scatola enorme di cioccolatini, poi qualche collega dell’ufficio durante la pausa pranzo, l’autista che l’aveva investita che le aveva regalato un enorme mazzo di fiori e infine Sarah, Bonnie e Holly che avevano ricevuto istruzioni di riempirle una borsa con qualche cambio di vestiti e il necessario per qualche notte in ospedale, computer e qualche libro compresi.

«Ragazze, vado a prendervi qualcosa da bere?» Si offrì sua madre, recuperando la borsa e uscendo dalla stanza.

«Assaggiate i cioccolatini, sono buonissimi.» Le invitò invece lei, porgendo loro la scatola. Doveva averne fatti fuori già una decina da quando aveva deciso che meritava una ricompensa dopo quella giornataccia.

«Come hai fatto a farti investire? Voglio dire, tua madre ci ha raccontato l’accaduto per sommi capi, però…» Cominciò Sarah e Cora sapeva dove voleva andare a parare. Se sua madre aveva raccontato loro i fatti, non aveva certamente omesso che era al telefono con Jake, perciò Cora non le diede neanche il tempo di terminare la frase.

«Ero al telefono con Jake.» Sbuffò, prima di ricordarsi di avere due costole rotte.

«E pur di scamparla hai pensato di buttarti sotto un auto?» Rise Holly, coinvolgendo tutte.

«Avrei preferito un autobus, ma sai com’è, non sempre ottieni quello che desideri.» Rispose con sarcasmo, facendole ridere ancora di più.

Neanche a farlo apposta, il soggetto della chiacchierata pensò bene di manifestarsi alla porta proprio in quell’istante.

«Ops, non pensavo avessi compagnia, magari ripasso più tardi.» Stava già per allontanarsi, quando Holly, gettando un’occhiata a Cora, lo anticipò.

«No, entra pure, noi stavamo per andare via.» Diede una gomitata a Sarah, ancora indecisa su quale cioccolatino lanciarsi e si alzò, recuperando borsa e cappotto di tutte.

Salutarono Cora e abbandonarono la stanza in tutta fretta, richiudendosi la porta alle spalle.

«Come stai?» Fu la prima cosa che le chiese, accomodandosi sulla sedia lasciata libera da Holly. Reggeva un sacchetto, ma Cora non riusciva a capire di cosa si trattasse.

«Tralasciando il fatto che non posso muovermi e che non riesco a trovare una posizione decente senza che urli dal dolore, direi abbastanza bene.» Rispose, incrociando il suo sguardo per un solo istante.

«So che mia sorella e le bambine ti hanno già viziata con i cioccolatini, perciò mi sono permesso di portarti questa.» Jake sollevò dal sacchetto una splendida pianta di orchidea, i fiori preferiti di Cora, sistemandogliela poi sul comodino.

«Grazie, non dovevi.» Osservò i fiori rosa tutti sbocciati, sorridendo inconsapevolmente. Sistemò meglio la testa sul cuscino. Era un po’ stanca; anche se aveva dormito per circa un’ora, era spossata dal dolore e dalla presenza di sua madre che non faceva altro che agitarsi perché tutto fosse in ordine, quando a Cora che ci fosse tutto quello di cui aveva bisogno sul comodino, non poteva importare un accidenti, tanto avrebbe dovuto comunque chiamare qualcuno per farsi aiutare, visto che non poteva allungarsi verso il comodino, posizionato dal lato del braccio ingessato. Apprezzava i tentativi di sua madre di voler farla sentire meglio, peccato che non riuscisse a rendersi conto che così facendo la esasperava soltanto e lei non aveva l’energia per discutere.

Rimasero in silenzio per un po’, senza sapere bene cosa dire.

«Ho… ho provato a chiamarti un sacco di volte e ho lasciato decine di messaggi in segreteria… non hai mai risposto.» Iniziò lui incerto. Forse non era il momento migliore per discutere della loro storia, ma non voleva sprecare l’occasione di averla lì, davanti a sé in carne e ossa. Era stufo di parlare alla segreteria telefonica.

«Non posso, Jake, lo sai.» Cora andò dritta al punto.

«Non vuoi.» La corresse.

«Ci abbiamo provato, è andata così, sapevamo che sarebbe potuto succedere.» Nemmeno lei, in fondo, per quanto innamorata potesse essere, pensava di aver trovato l’uomo della sua vita o, almeno, si era convinta a non pensarci, ecco.

«Io non ho provato, Cora e neanche tu. Non si prova a stare insieme, non come abbiamo fatto noi.» Com’era possibile che all’improvviso si trovasse davanti una Cora completamente diversa da quella che aveva conosciuto?

«Abbiamo due stili di vita completamente diversi, Jake! Non riesco a fare finta che vada tutto bene quando non ci sei, non posso contare su di te se non sei qui.» Si irrigidì in una smorfia di dolore, rendendosi conto di aver tentato di sollevare il busto.

«Ma io sono qui!» Sbottò, frustrato.

«Adesso, ma tra una settimana? Tra un mese? Non posso chiederti di smettere di fare l’attore o di accettare solo progetti a New York; non sarebbe giusto e non oserei farlo: è il tuo lavoro e se c’è una cosa che ammiro di te è la tua dedizione, perciò non ti chiederei mai di scegliere.» Era quello che si ripeteva in testa da almeno un mese e quello che gli altri sembravano non voler capire.

«Io ho già scelto, Cora. La sera che ti ho incontrata, quando ho cercato di invitarti a cena, quando ti ho invitata sul set o a Parigi, quando ti ho chiesto di accompagnarmi a qualche evento, io avevo già scelto.» Le rispose, allungando una mano a stringere la sua.

Cora ricambiò la stretta e lo osservò con gli occhi lucidi, cercando di trattenere le lacrime.

«Lo sai che ti amo.» Continuò.

Cora annuì. Probabilmente non l’avrebbe mai ammesso a se stessa, ma sapeva che era così e Jake, al contrario di lei, non l’aveva mai nascosto.

«E tu dovresti smetterla di credere di non essere abbastanza.» Le sorrise, scompigliandole la frangia.

«La mia autostima vorrebbe ringraziarti, ma è troppo impegnata a sbattere la testa contro il muro per farlo.» Rispose, facendolo ridere e scuotere la testa.

Sua madre rientrò in quell’istante, quattro bicchieri di caffè in mano.

«Dove sono finite Holly e le altre?» Chiese, guardandosi intorno.

«Sono dovute andar via, avevano una cena di lavoro, ma ti salutano.» Rispose Cora, rendendosi conto che Jake aveva rafforzato la presa sulla sua mano.

«Beh, Jake se vuoi un caffè serviti pure.» Jill posò i bicchieri sul comodino affollato.

Cora guardò sua madre stranita.

«Che c’è?» Sbottò infatti, sentendosi osservata.

«Non ho detto niente.» Finse indifferenza.

«Se vuoi sapere come la penso, era ora che chiariste. Ne eri cosciente anche tu di aver fatto una stupidaggine. E visto che sei in buona compagnia, io tolgo il disturbo.» Sorrise, infilandosi il cappotto.

Cora non riuscì a rispondere, mentre Jake tentava di soffocare una risata dietro il bicchiere che reggeva in mano.

Jill salutò Cora con un bacio sulla fronte, promettendole che sarebbe tornata l’indomani, raccomandando Jake di badare a sua figlia.

«Tua madre è più sveglia di te.» La prese in giro.

Cora gli rispose con una linguaccia.

«É ancora single, se proprio ci tieni a saperlo.» Continuò.

«Non è il mio tipo.» Fece spallucce.

«Oh, già, tu preferisci le bionde.» Finse di pensarci su.

«Che non si facciano investire da un auto mentre parlano al telefono e che non si facciano seghe mentali inutili sugli stili di vita diversi.» Rincarò la dose, anticipandola.

«Allora dovresti riprovarci con Taylor, credo siate fatti l’uno per l’altra.» Lo provocò, ben sapendo quanto fosse tabù l’argomento ex per lui e non solo con i giornalisti.

«Non posso discutere con te in questo stato, non riesco a essere obiettivo.» Sciolse la presa sulla mano di Cora, portando le dita a sistemarle una ciocca di capelli ribelle.

«Credi di riuscire a stenderti con me?» Non seppe neanche dove trovò il coraggio di chiederglielo, sapeva solo che voleva sentirlo più vicino.

Jake non se lo fece ripetere due volte: mentre Cora cercava di fargli spazio senza rompersi le costole rimanenti, lui si tolse le scarpe, si sedette sul bordo del letto e cercò di non farle male mentre si stendeva accanto a lei. Si voltò verso di lei e Cora cercò di fare lo stesso, anche se non poteva fare peso sul fianco per via delle costole, accontentandosi di voltare solo la testa.

Osservò i suoi occhi blu come se fosse la prima volta, come se non li avesse mai visti prima, sorridendo appena l’istante successivo.

«Mi sei mancata.» Le mormorò, cercando la sua mano.

«Anche tu mi sei mancato.» Rispose, intrecciando le dita con le sue.

 

La dimisero il giorno dopo e Jake non dovette neanche insistere per accompagnarla a casa: con un braccio ingessato e le costole che le facevano male a ogni passo e a ogni respiro, Cora non aveva né la possibilità né le forze per ribellarsi. 

Avrebbe dovuto tenere il gesso per almeno un mese e le costole fasciate per almeno altre due settimane, il che implicava il riposo a letto, una tortura per Cora, abituata com’era a non stare mai ferma.

Il caso volle che anche senza gesso e fasce non avrebbe potuto fare granché, visto che neanche il giorno successivo al suo rientro a casa si era scatenata su New York una bufera di neve che i meteorologi prevedevano avrebbe interessato l’area per almeno una settimana. Con Jake che pareva essersi stabilito in pianta stabile a casa sua, almeno per quel periodo, trascorrevano la maggior parte del tempo a letto a guardare film, oppure Jake si offriva di leggerle un libro, insistendo per cambiare la voce a ogni personaggio, attività piuttosto impegnativa per Cora, considerato che non poteva ridere, ma che finiva per farlo lo stesso, a volte trascinando anche lui.

Quando le costole furono guarite e il gesso venne sostituito da un semplice tutore che stava già cominciando a non indossare quasi più, dopo diverse sedute di fisioterapia, Cora riuscì anche a partecipare alla festa di compleanno di Jake senza sentirsi una mummia e senza entrare in paranoia sul vestito da indossare.

Senza preavviso, Jake aveva deciso di invitare anche Sarah, Bonnie e Holly. C’erano un sacco di altri suoi amici, molti dei quali Cora non conosceva. Dall’inizio della serata era sicura di essere arrossita almeno un centinaio di volte, specie quando Jake gliene presentava qualcuno e lei, impacciata, si trovava a stringergli la mano.

«Cosa ne pensi della festa?» Le domandò, approfittando del fatto che fosse in piedi, appena tornata dal bagno, per afferrarle un braccio e trascinarla sulle sue gambe, cogliendola di sorpresa.

«Mi sembra stia andando tutto bene. Si stanno divertendo tutti.» Rispose Cora, guardandosi intorno.

«E tu? Ti stai divertendo?» Le chiese di nuovo.

«Sì, certo che sì! Anzi, a proposito…» Si alzò dalle sue gambe, allontanandosi per raggiungere la sedia di fronte a lui, rovistando nella borsa per estrarne un pacchetto con tanto di fiocco.

Ritornò da lui sorridendo e riaccomodandosi sulle sue gambe.

«Questo è per te.» Gli disse.

Jake osservò il pacchetto stranito, quasi non si aspettasse di ricevere un regalo.

«Avanti, aprilo!» Lo sollecitò lei.

Lui stracciò la carta, rivelando una primissima edizione de Il buio oltre la siepe di Harper Lee, il suo libro preferito in assoluto.

«Ero stato chiaro: niente regali.» La osservò fintamente indispettito.

Cora sollevò le spalle.

«Non potevo presentarmi a una festa di compleanno senza regalo.» Si giustificò.

«Ti sarà costata una fortuna e sai che non ce n’è…» Cora lo interruppe.

«Non ce n’è bisogno, sì, lo so.» Alzò gli occhi al cielo. «Non potresti solo ringraziare e basta come le persone normali?» Continuò.

«Grazie.» Sospirò lui alla fine, abbracciandola.

«Buon compleanno.» Mormorò lei, lasciandogli un bacio sulla guancia.

«Perché non resti con me stanotte?» Le domandò, intrecciando una mano con la sua.

Cora ci pensò su.

«Devo prima valutare le tue intenzioni.» La sua espressione era seria, ma Jake sapeva che lo stava prendendo in giro.

«Le mie intenzioni?» Sorrise furbo, avvicinandosi al suo viso, facendole credere che volesse baciarla, per poi deviare verso il suo orecchio.

«Voglio toglierti questo vestito e scoparti.» Le sussurrò, provocandole un brivido che anche lui avvertì distintamente. Solitamente era meno esplicito con lei, ma era quello a cui stava pensando da tutta la sera, da quando l’aveva vista arrivare con quel vestito.

Cora si schiarì la gola, arrossendo.

Fortunatamente ci pensò Holly a salvarla, reclamando la sua presenza e sottraendola a Jake.

«Cosa stavate confabulando?» In quel momento Cora rivalutò il fatto che l’amica l’avesse salvata. Era come cadere dalla padella alla brace.

Arrossì di nuovo.

«Niente di importante…» Mentì, ben sapendo che Holly non se la sarebbe bevuta.

«Cora, lo sai che le bugie hanno il naso lungo?» La prese in giro.

Cora sbuffò, ancora rossa come un pomodoro.

«Stavamo parlando del suo regalo di compleanno.» Borbottò per farla contenta, anche se si trattava soltanto di una mezza verità.

«Che presumo non essere soltanto il libro.» Ammiccò.

«Holly, la smetti? Stai diventando volgare.» La rimproverò.

«Io?!? Siete voi che parlate di cose sconce davanti a un mucchio di persone.» Si difese, ridendo.

Cora le colpì un braccio, anche se stava ridendo anche lei.

Holly le mise un braccio intorno alle spalle nella pseudo imitazione di un abbraccio.

«L’esercizio fa bene.» Le fece l’occhiolino.

Cora se la scrollò di dosso.

«Hai il divieto di rivolgermi ancora la parola.» Si allontanò, raggiungendo Bonnie e Sarah, facendola ridere ancora di più.

 

Quando anche gli ultimi invitati ebbero abbandonato il locale, Cora salutò le amiche, lanciando un’ultima occhiata di rimprovero ad Holly che fece spallucce e sorrise, abbracciandola e una volta congedatesi anche con Jake, le osservò salire in macchina e chiudere le portiere.

Jake la raggiunse sul marciapiede con la sciarpa che aveva dimenticato nel locale e Cora si rese conto che erano rimasti da soli e che stava ricominciando a nevicare. Lo osservò mentre le sistemava la sciarpa intorno al collo e gliela annodava, ripensando alle settimane precedenti.

Dal giorno dell’incidente avevano praticamente quasi vissuto in simbiosi. L’aveva aiutata a vestirsi, a pettinarsi, avevano guardato un mucchio di film, così tanti che Cora aveva cominciato a mischiarne le trame, l’aveva osservato leggere per lei e fare un sacco di voci buffe e aveva ricominciato a svegliarsi con lui accanto ogni mattina.

Non l’aveva lasciata un attimo da sola e Cora gliene era grata, perché aveva reso quelle settimane di immobilità più sopportabili e meno solitarie.

Eppure, nonostante tutto ciò, nonostante la conversazione in ospedale, Jake non le si era mai avvicinato, neanche per un semplice bacio, se non si contavano quelli sulla guancia.

Neanche Cora aveva cercato un contatto più intimo, da un lato perché fisicamente impossibilitata anche solo a spostarsi nel letto per trovare una posizione sufficientemente confortevole per addormentarsi a causa delle costole incrinate, dall’altro, una volta guarite le ferite fisiche, perché non voleva illudersi che le cose sarebbero potute tornare quelle di qualche mese prima. Non che l’avesse tenuto a distanza, ma aveva come eretto una sorta di recinto che le impediva di andare più in là, di spingersi oltre, quindi sì, effettivamente, ragionandoci, (e le costava ammetterlo) l’aveva tenuto a distanza.

Lasciava che la prendesse per mano, che giocherellasse con i suoi capelli come aveva sempre fatto e a lui sembrava bastare, perché non aveva accennato alla cosa e non aveva tirato più fuori la conversazione avuta in ospedale, almeno fino a quella sera, quando le aveva sussurrato che voleva spogliarla e scoparla, lo stesso verbo che aveva utilizzato durante il loro primo incontro, mentre lei scappava come una codarda.

Non le dava fastidio quel linguaggio, anzi per certi versi la eccitava; non era un’adolescente e la fase della differenza “romantica” tra fare l’amore e scopare l’aveva superata da un pezzo.

Cos’era che la bloccava? Il fatto di non sapere quali fossero le intenzioni, quelle relazionali e non quelle fisiche, di Jake? Il fatto che ancora non conoscesse le sue, di intenzioni?

Quelle settimane erano state un idillio, ma poi? Quando Jake sarebbe tornato alla sua routine, cosa sarebbe successo? Avrebbero ricominciato a litigare?

«Terra chiama Coraline tss, ripeto: Terra chiama Coraline, rispondete tss.» Si ridestò dai suoi pensieri alla perfetta imitazione di Jake di una ricetrasmittente.

«Cosa?» Chiese, fingendo nonchalance.

«Finalmente sono riuscito a ottenere la tua attenzione!» La prese in giro.

Cora gli fece una linguaccia e lo colpì a un braccio, venendo contagiata l’istante dopo dal suo sorriso.

Jake le afferrò una mano e Cora notò che non aveva indossato i guanti e il suo tocco la fece rabbrividire appena.

Si diressero verso la macchina in silenzio, la neve che continuava a cadere silenziosa.

Durante il tragitto, seppur breve, Cora si addormentò, coccolata dal riscaldamento e dalla voce di un imprecisato speaker radiofonico.

 

Quando si svegliò si rese conto di essere in un letto, spogliata del cappotto, della sciarpa e delle scarpe, ma non del vestito. Jake non era accanto a lei, perciò si alzò e si diresse in cucina.

«Cosa ci fai ancora in piedi?» Gli chiese sbadigliando quando lo vide seduto su uno sgabello, il portatile di fronte a lui e un bicchiere di latte accanto.

«Non riuscivo a dormire.» Sorrise appena.

Cora gli si portò alle spalle, abbracciandolo.

«Scusa se mi sono addormentata.» Gli disse, sistemandosi i capelli dietro le orecchie, l’acconciatura ormai disfatta.

«Ti perdono.» Sorrise lui, facendola accomodare sulle sue gambe.

«Cosa stavi facendo?» Sbirciò lo schermo del portatile.

«Guardavo video porno» Rispose divertito.

«Ah-ah. Divertente.» Gli fece il verso lei, muovendo il mouse per far illuminare lo schermo.

«Tu dormivi e fare sesso con chi non è cosciente non mi eccita.» Si giustificò, slegandole i capelli e liberandola dalle forcine.

«Non sto ridendo.» Borbottò.

«Ok, d’accordo, stavo scrivendo una sceneggiatura.» Posò il mento sulla sua spalla.

«E di cosa parla?» Era curiosa, avrebbe dovuto saperlo.

«Di una ragazza troppo curiosa a cui fanno girare un video porno per farla stare zitta.» Rise.

«Ma vuoi smetterla?» Tentò di dargli una gomitata, ma Jake fu più veloce e la scansò, facendola alzare.

Per tutta risposta, Cora gli mollò un pugno sul braccio, senza riuscire a fargli davvero male.

«Torno a dormire se non la smetti.» Lo minacciò, al che Jake alzò le mani in segno di resa. 

Tornò ad abbracciarlo, osservandolo.

«A cosa stai pensando?» Gli domandò alla fine, vedendolo assorto.

«Pensavo al fatto che tra di noi non è più come prima.» Rispose, spostando nuovamente lo sguardo su di lei.

A Cora quasi venne un colpo: il fatto che l’avesse pensato anche lei solo poche ore prima era irrilevante; sentirlo dire da Jake era come tornare con i piedi per terra.

Non disse niente, aspettando che fosse lui a continuare.

«Queste settimane sono state davvero fantastiche, ma mi rendo conto che è impossibile continuare a vivere in un limbo.» Bevve un sorso di latte dal bicchiere pieno a metà.

La stava lasciando, anche se tecnicamente non stavano neanche insieme? O sì?

«Voglio sapere cos’è che vuoi, voglio sapere se vuoi che io faccia parte della tua vita, oppure no, voglio sapere se mi ami ancora.» Le disse tutto d’un fiato, tirando un sospiro di sollievo.

I suoi sentimenti per lei non erano cambiati e quello che le aveva detto in ospedale il giorno dell’incidente era la verità: da parte sua, aveva già scelto, la sua vita non era completa senza di lei e capiva che a volte sostenere i suoi ritmi era difficile, non averlo accanto era demoralizzante, ma anche lui si sentiva così quando non poteva vederla o quando gli impegni lo assorbivano, non erano emozioni a senso unico ed era convinto che insieme avrebbero potuto stabilire un compromesso, che sarebbero riusciti a trovare una soluzione.

Quelle settimane erano state bellissime: erano stati insieme, lui era riuscito finalmente a riassaporare la quotidianità con lei, ma c’era una nota stonata ed era la reticenza di Cora, la sua arrendevolezza distaccata, il suo lasciarsi andare ma non troppo, il suo essere accondiscendente, ma non al punto da vivere appieno quella vicinanza. Aveva aspettato, aveva rispettato i suoi spazi e non l’aveva forzata in niente, eppure la situazione non si era sbloccata e quando, solo poche ore prima, le aveva detto che voleva spogliarla e scoparla, aveva ottenuto la stessa reazione di tutte le altre volte in cui aveva cercato di vincere le sue reticenze. Eppure sapeva che lei desiderava la stessa cosa, nei suoi occhi aveva letto lo stesso desiderio di quando si erano incontrati la prima volta.

Cora sospirò.

Jake meritava una risposta, lo sapeva; così come sapeva che se si era riavvicinato a lei non era certo perché voleva continuare a esserle soltanto un amico. Era chiaro a tutti quanto lui l’amasse, anche se lei aveva sempre minimizzato, anche se aveva preferito non pensarci, evitando di illudersi che davvero avrebbero potuto avere un futuro insieme.

E per lei, d’altronde, da quando si erano incontrati non era cambiato niente, o meglio, era cambiato tutto. Sentiva le farfalle nello stomaco ogni volta che sentiva la sua voce, aveva un tuffo al cuore solo leggendo il suo nome sullo schermo del cellulare quando le telefonava, arrossiva come un’adolescente quando incrociava il suo sguardo limpido e il modo in cui reagiva alle sue carezze e il desiderio che aveva letto tante volte nel suo sguardo e nei suoi gesti le rendevano semplice pensare che fossero fatti davvero l’uno per l’altra.

«Mi dispiace non essere riuscita ad affrontare prima questa cosa e non voglio tergiversare oltre. Mi hai chiesto cosa voglio, beh, tecnicamente non lo so neanche io, ma so che non voglio avere paura della lontananza e non voglio rinunciare a quello che abbiamo iniziato a costruire, il che implica che sì, certo che voglio che tu faccia parte della mia vita ed è da pazzi pensare che possa smettere di amarti.» Nonostante il battito impazzito del cuore era riuscita a guardarlo negli occhi e a osservare il suo viso distendersi al suono della sua risposta.

Le sorrise, tendendole una mano che Cora afferrò, allungandosi e alzandosi dallo sgabello per posizionarsi davanti a lui che le fece spazio tra le sue gambe per averla più vicina.

«Avresti potuto evitarmi un esaurimento nervoso, se solo ti fossi esposta prima, sai?  Ero irrequieto da giorni al pensiero di questa conversazione.» Le accarezzò i polsi, solleticandola.

«Perché non me l’hai chiesto prima?» Si sottrasse alle sue attenzioni, portando le mani ad accarezzargli i capelli.

«Perché avevo paura che ricominciassi con la storia di non essere alla mia altezza e bla bla bla.» Le fece il verso, facendola ridere.

«Ma io continuo a non ritenermi affatto alla tua altezza.» Si accomodò sulle sue gambe, circondandogli il collo con le braccia e poggiando la testa sulla sua spalla.

«Questo perché sei una testona.» Sbottò, stringendola.

«Senti chi parla, Mr. Ragionevolezza in persona.» Sbuffò.

«Io sono ragionevole!» Si difese lui.

Cora annuì in maniera troppo entusiasta per risultare sincera. 

«Dovresti dormire un po’, non hai un appuntamento domani?» Gli ricordò.

«Hai ragione e dovresti dormire anche tu.» La fece alzare in piedi, seguendola poi nel corridoio che portava alla camera da letto, tenendola per mano.

«Vuoi una mano con il vestito?» Le chiese.

Cora annuì, dandogli le spalle e spostando i capelli da un lato per permettergli di abbassare la zip. Le sue dita la solleticarono appena, facendole venire la pelle d’oca e quando il vestito scivolò ai suoi piedi, avvertì le labbra di Jake baciarle la pelle esposta del collo e poi il profilo della spalla.

Si morse un labbro per non gemere, ma non riuscì a non reclinare la testa indietro contro di lui, lasciandogli più spazio di manovra.

Jake la fece voltare, sistemandole i capelli e finalmente baciandola, lasciando che gli cingesse il collo con le braccia, che gli si stringesse addosso. La condusse verso il letto, permettendole di sdraiarsi mentre lui si svestiva della camicia e dei jeans. L’istante successivo la sovrastò, notando i suoi occhi brillanti e il suo sorriso appena accennato. Si lasciò accarezzare i capelli, le spalle, le braccia, prima di baciarla ancora.

«Avevo quasi dimenticato quanto baciassi bene.» Cora lo disse sottovoce, sorridendo.

«E io avevo quasi dimenticato quanto ti piacesse rompere l’atmosfera.» La rimproverò, ricambiando il sorriso.

Cora alzò gli occhi al cielo.

«Mi sento in imbarazzo e stra-parlo.» Confessò a mezza voce, arrossendo.

«In imbarazzo?!? Cosa c’è di imbarazzante?» Le chiese, sollevandosi sui gomiti.

«Niente! É solo che è passato un sacco di tempo… tutto qui.» Rispose, evitando i suoi occhi.

Jake sospirò e poi sorrise, baciandole una clavicola.

«Se non vuoi, basta dirlo.» Le spostò una ciocca di capelli.

«Sai che non è così.» Rispose.

«E allora com’è?» Le chiese in un mormorio appena percettibile, sfiorandole le labbra.

Cora aveva così tanta voglia di lui, che faceva fatica a rimanere ferma, anche se il peso di Jake le lasciava poco campo libero.

Ansimò, sollevando il bacino verso il suo, quasi a implorarlo. Le sue labbra percorsero ogni centimetro del suo corpo, facendola gemere in maniera sempre più incontrollata.

«Shh! Vuoi svegliare tutto il palazzo?» La prese in giro, baciandola e facendole assaggiare il suo stesso sapore.

«É colpa tua.» Mugugnò, cercando di riprendere fiato.

«Mia? Non credo.» Rispose, indicandosi, l’espressione furba e compiaciuta.

Non le diede neanche il tempo di controbattere; si spinse in lei, facendole inarcare la schiena e gemere ancora più forte.

«Non voglio più stare così a lungo senza di te.» Le mormorò in un orecchio, rallentando i movimenti, afferrandola per i polsi e trascinandola a sedere su di sé, i corpi ancora uniti.

Le sistemò i capelli dietro le orecchie, mentre lei gli abbracciava il collo, poggiando la fronte contro la sua spalla, respirando l’unico profumo che avrebbe riconosciuto tra mille.

«Neanch’io.» Rispose alla fine.


   
 
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