Just
a game
«Non
è un gioco.»
Yuma sollevò gli occhi dalle carte e lo
fissò sul volto dell’amica. Gli occhi erano
rivolti all’oceano lattiginoso che
sfrecciava sotto di loro, oltre il finestrino. La luce fredda del neon
le
bagnava le guance e i capelli, facendola apparire eterea come un
fantasma.
«Non è più un gioco, dico
bene?» Si voltò
verso di lui, un’occhiata fugace.
«Non capisco di cosa parli. Cosa non è
più
un gioco?»
«Duel Monster.» Kotori si voltò di nuovo
a
guardarlo, questa volta una strana luce le animava le iridi chiare.
Sembrava
triste, o forse era solo pensierosa. «Ha smesso di essere
solo un gioco quando
hai conosciuto Astral, qualche mese fa.»
«E’ ancora solo un gioco.»
«Anche quando è in ballo la sua vita? La
nostra?»
«Kotori…»
L’amica scosse la testa e chinò il capo
sul petto. Era triste, Yuma non aveva più alcun dubbio. Non
era mai stato
capace di comprendere le emozioni altrui con una semplice occhiata, non
aveva
mai avuto quell’intuito. Quella che aveva davanti in quel
momento, però, non
era Kotori, lo capiva anche lui. Non era quella di sempre.
«Non è più un gioco»
mormorò lei.
«Ti riferisci ai bariani?»
Kotori annuì. «La situazione è
diventata
più grande di noi. Non si tratta più di vincere o
perdere uno stupido duello,
si tratta delle nostre vite. La tua, quella di Astral. La Terra. Se
perdi,
noi…»
Yuma serrò i pugni fino a sentire le
articolazioni delle nocche scrocchiare, un dolore sordo si
irradiò fino al
gomito. Capiva cosa stesse provando l’amica e non
c’era nulla che potesse fare
per farla stare meglio. Doveva rassicurarla? Dirle che sarebbe andato
tutto
bene? Sarebbe davvero servito a qualcosa? Anche lui aveva paura di
ciò che
l’aspettava, di perdere qualcosa in più di un
semplice duello. In fondo Kotori
aveva ragione, come poteva continuare a negare l’evidenza e
fingere che tutto
andasse bene? Abbozzò un timido sorriso, in un goffo
tentativo di tranquillizzarla;
non avrebbe funzionato, ma poteva provarci.
«Vado a recuperare Astral e torno. I
bariani non vinceranno, fidati di me!»
Kotori scosse la testa. «Mi fido di te, ma
ho comunque paura.»
Anche lui, ma non poteva permetterselo.
Non poteva mostrare debolezza, o cedere, o anche solo ammettere di non
avere la
minima idea di cosa l’avrebbe aspettato. Non poteva dirle che
non credeva davvero che avrebbe
potuto vincere
contro i bariani, che sarebbe stato in grado di proteggere se stesso, i
suoi
amici e la Terra. Doveva essere forte, fiducioso e ottimista. Era il
suo ruolo.
Una mera
maschera.
Kattobingu.
Solo un duello.
Vincere,
perdere.
Non è un gioco.
Una sola
possibilità.
Astral.
La Terra.
I bariani.
Se stesso.
Non è più un gioco.
«Yuma?»
Sollevò gli occhi dal pavimento dell’aereo
che li stava portando da V. Kotori lo fissava con gli occhi sgranati,
un
leggero pallore le aleggiava sul volto. Yuma serrò le
labbra, strinse i pugni. Debole,
ecco come si sentiva. E sciocco.
«Mi dispiace» mormorò, «ero un
po’
soprappensiero.»
«E’ colpa mia, non avrei dovuto dirti
quelle cose. Hai già i tuoi problemi, non dovrei farti
carico anche delle mie
preoccupazioni.» Kotori distese le labbra in un sorriso
forzato, vuoto.
Yuma scosse la testa. «Hai ragione, non è
più un gioco. Devo iniziare a rendermene conto se voglio
sopravvivere.»
«Mi prometti che farai attenzione?»
«Te lo prometto.»
Fece scivolare le dita intorno a quelle di
lei e le strinse delicatamente in un gesto che avrebbe dovuto
infonderle un
coraggio che non era sicuro di avere. Adesso lo capiva, non era un
gioco.
Non più.