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Autore: Damarwen    24/01/2019    2 recensioni
“E allora abbasso la maschera sul mio volto.
Quella che ho cercato di strapparti ogni notte e alla quale adesso prego di difendermi.
La mia maschera.
Così diversa dalla tua.
Eppure così simile.
Quella che nessuno potrà scalfire.
Che nessuno potrà sciogliere.
Perché, innegabilmente, ho imparato dal migliore”
Questa è una storia che sta nel mezzo, tra “cinque giorni” e “forse un giorno ti accorgerai...”, è una storia che parla di promesse impossibili e di paure eterne, è una storia che, in modo assurdo, parla d’amore.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Un caloroso ben tornato alle mie affezionate lettrici e un benvenuto a chi ancora non mi conosce.
Come alcuni di voi sapranno, per me scrivere una storia è come lasciarsi travolgere da un temporale. Non puoi difenderti, puoi provare a ripararti ma ne sentirai sempre il rumore.
Questa storia, come d’altronde tutte le altre, è arrivata senza preavviso. Ho visto la scena e l’ho tenuta stretta nella mente finché non ho raggiunto una tastiera.
il risultato lo leggerete di seguito.
È una storia di mezzo, quella che segue la mia piccola long “cinque giorni” (che vi consiglio di leggere prima di affrontare questa) e che precede “forse un giorno ti accorgerai...”
Sperando come sempre di regalarvi emozioni, vi auguro buona lettura.


-Addio-

Mi guardi e credi che sia facile.
Lo vedo dai tuoi occhi che si sforzano di non piangere.
Credi che non mi costi più di quanto io sia pronto a sopportare.
Che non mi strappi il cuore.
Lo intuisco dalle tue dita che si contorcono.
Che si tormentano.
Forse credi anche che sia tutto inutile.
E io prego che tu possa continuare a lasciarti tramortire dalla mia finzione.
Perché se solo mi implorassi, io lo farei.
Ti chiederei di non andartene.
Di non fare un altro passo.
E di tornare qui.
Tra le mie braccia.
Dove ti stringo da mesi.
Senza concedermi il lusso di lasciarti intuire quanto, tutto questo, sia diventato necessario.
Il sole si sta spegnendo in fondo al lago.
Andando ad importunare gli occhi di qualcun altro, dall’altra parte del mondo.
E celando i miei.
Che bramano l’oscurità per potersi nascondere.
Per non lasciarti intuire quanto il mio strazio sia simile al tuo, ragazzina.
In questo momento.
Su questo prato.
È arrivato il tempo di dirci addio.
E tu lo sai.
Come lo so io.
Resto immobile ad osservarti mentre non trovi le parole per riuscire a mantenere la tua promessa.
Quella che mi hai fatto in un pomeriggio assolato.
Su un divano malconcio.
Un pomeriggio in cui due idioti incoscienti si sono lasciati travolgere da una passione scomoda.
Assurda.
Ed infinita.
Fai scivolare lo sguardo sull’erba bagnata.
Stringi i pugni.
Mentre io abbandono il mio mantello al soffio del vento.
In un diversivo che spero possa camuffare il mio dolore.
-    “Il tuo fidanzato ti sta aspettando…”
Lo sibilo nel tramonto.
Lasciandomi affogare il cuore.
L’anima.
E la vita
Non hai il coraggio di sollevare gli occhi.
Perché sai che i miei sarebbero lì ad attenderli.
I miei occhi gelati e privi di vita.
Quelli che recitano una parte ingiusta.
E massacrante.
E sai di non essere così forte.
Mentre io prego solo che tu non sappia che, così forte, non lo sono neanch’io.
Ti asciughi una lacrima frettolosamente.
Con la manica della camicia.
Ti porti i capelli dietro alle orecchie convulsamente.
Con gesti meccanici.
Che speri possano proteggerti.
E io tengo la mia maschera di ghiaccio fusa sul volto.
Conscio del fatto che se provassi a toglierla, la mia stessa pelle cadrebbe con lei.
Perché è passato troppo tempo.
E ormai sono una cosa sola.
Anche se tu non vuoi ammetterlo.
E se non vorrei doverlo ammettere nemmeno io.
Ma non sono l’uomo giusto, Hermione.
Lo hai sempre saputo.
Così come l’ho sempre saputo io.
Sollevi lo sguardo.
Ricacciando indietro le lacrime.
E la tua anima mi pugnala.
Con una violenza che non osavo temere.
E a cui non ero pronto.
-    “Se non andassi via? Cosa succederebbe?”
Lo dici con timore.
Cercando di lasciare al vento l’ingrato compito di nascondere le tue parole.
Non ci riesce.
E io le sento.
E mi prendono a pugni.
Mi martoriano l’anima.
Chiudo gli occhi.
Perché so di essere forte.
Ma non so se voglio esserne capace.
Perché fa male.
Troppo male.
Troppo più di quanto mi ero illuso di poter sopportare.
Imploro alla mia espressione infastidita di possedermi lo sguardo.
Quella che ho riservato a tutto il mondo.
Per tutta la vita.
Ma non a te.
In tutti quei pomeriggi celati agli occhi degli uomini.
In tutte quelle notti in cui l’oscurità ci è stata complice.
Sollevo le palpebre.
Sono ancora bravo in questo.
Malgrado tutto.
Molto bravo.
Il più bravo di tutti.
A schiacciare i miei sentimenti così infondo allo stomaco da non lasciarli galleggiare sul volto.
Lo vedo, tu piangi adesso.
Non te ne vergogni più.
Perché sai che non cambierò idea.
Sai che, nonostante tutto, resto il bastardo mago dall’anima asciutta.
E dalle parole amare.
-    “Gli accordi erano questi, Hermione. Lo hai sempre saputo…”
La mia voce è gelida.
I miei occhi sono gelidi.
Le mie mani sono gelide.
Mentre il mio cuore brucia di un tormento devastante, all’idea di vederti andare via.
Raddrizzi le spalle.
Incroci le braccia sul petto.
E mi sfidi.
Con quella tua aria da bambina.
Con quei tuoi occhi troppo grandi.
E con la tua vita troppo preziosa perché io possa distruggerla.
Sei orgogliosa piccola Grifondoro.
-    “Allora è così? Finisce tutto adesso, su questo prato?”
Lo chiedi con una risolutezza di plastica.
Ai miei occhi che ti rispondono con un sorriso di plastica.
Un sorriso carico del distacco a cui mi costringo.
A cui ho imparato a dare un contorno glaciale.
Mentre le budella mi si contorcono e il respiro si fa doloroso.
-    “Finisce qui…e ora vattene. Il treno sta partendo!”
Te lo sibilo in faccia.
E mi faccio schifo.
Mentre distruggo la nostra storia con una cattiveria che non merita.
La faccio a brandelli.
E la abbandono su questo prato tormentato dal vento.
Trascinando con lei il mio cuore.
Come se lo disintegrassi sotto i tacchi degli stivali.
Quel cuore che hai fatto riemergere dalle tenebre.
Quello al quale hai insegnato ad amare.
E a battere.
Ancora.
Fai per avvicinarti.
Poi ci ripensi.
E io prego che tu non lo faccia.
Che tu non riesca a trovare la forza per sfidare la mia finzione.
Perché sono allo stremo delle forze, ragazzina.
E vorrei solo stringerti tra le braccia.
E urlarti di mandare affanculo tutto.
La tua vita piena di promesse.
Il tuo fidanzato idiota.
Il tuo futuro splendido.
Per restare con me.
Mi sorridi.
Abbassi lo sguardo davanti ai miei occhi che sputano un disprezzo affinato dagli anni.
Ti torturi ancora una volta le mani.
Impedendo al tuo sguardo di abbandonarti le dita.
Ti volti.
Osservo la tua schiena. 
Cercando di costringermi immobile.
Temporeggi un istante.
Con i pugni chiusi.
E i muscoli tesi fino allo spasmo.
Vattene, Hermione.
Vattene adesso che ho ancora la forza di non strapparti i vestiti di dosso e fare l’amore con te in mezzo al tramonto, su questo maledetto prato deserto.
Sospiri.
Finalmente corri via.
E io resto qui come un cretino.
A rimirare il tuo corpo muoversi, in quel modo perfetto che mi sono ritrovato ad amare.
Rimanendo abbandonato ai miei fantasmi.
E ai ricordi felici che mi lacerano il petto più di anni di irrimediabili errori.
E di sordidi rimpianti.
Perché la felicità sa fare male, Hermione.
Troppo male.
Più di qualsiasi sbaglio.
Più di qualsiasi senso di colpa.
E noi l’abbiamo avuta.
La felicità.
Ne ho sentito il sapore sulle labbra.
Il calore sulle mani.
E il soffio nel cuore.
In questo anno che ci ha scoperto amanti improbabili.
In un sotterraneo umido.
Prima del calare della notte.
Trascinanti da una passione che non siamo riusciti a sopprimere.
La tua corsa viene inghiottita dalla nebbia della sera.
Laggiù, sul limitare del prato.
Ed è finito tutto.
Lasciando il posto solo al ricordo.
E ad uno strazio che non sapevo di poter provare.
E adesso andrai da lui.
Gli prenderai la mano.
Salirete insieme su quel treno.
E io sparirò dalla tua vita.
Perché è giusto così.
È giusto lui.
Quello sciocco ragazzino dai capelli rossi ha ancora storie felici da poterti raccontare, Hermione.
Ha una famiglia che non ti farà sentire sola.
E una vita davanti.
E io, io non ho più niente.
Non ho mai avuto niente.
Da offrirti.
O da poterti raccontare.
Se non un’anima deturpata dal male.
E un passato pieno di incubi.
E non posso lasciarti soccombere nella mia vita fatta di ombre.
Perché hai diritto di viverla.
Una vita.
Mentre io mi sento morire.
Adesso che l’unica cosa buona della mia esistenza sta sparendo oltre la foschia della sera.
E io resto immobile.
Come sempre.
Con un castello maestoso alle spalle e con il nulla davanti.
Sento una lacrima scappare dagli occhi.
E benedico la notte che mi permette di nasconderla.
Al mondo.
E a me stesso.
Il fiato si spezza.
Vorrei essere capace di piangere.
Perché non l’ho mai fatto.
Ma adesso ne varrebbe la pena.
Varrebbe la pena di graffiarmi la pelle, di urlare fino a farmi esplodere i polmoni, di strapparmi i vestiti.
E il cuore.
Perché non ha più senso niente senza di te.
Ora che la mia finzione è inutile.
Che il mio sapere è sterile.
Che la mia missione è finita.
Mi resti solo tu.
E sei più di tutto quello che avevo mai avuto.
Più di tutto quello che avrei mai osato sperare.
Avrei voluto potertelo dire, Hermione.
Almeno una volta.
Avrei voluto aprire le labbra e lasciar uscire questo amore assurdo.
Sbagliato.
Ed ingiusto.
Il mio amore per te.
Così profondo.
Limpido.
E magnifico.
Avrei voluto poter cancellare il passato.
Poter plasmare il futuro.
E poter vivere il presente.
Ma la verità è che sono solo un vecchio mago che ha visto il peggio degli uomini.
E di se stesso.
Rimanendoci intrappolato in mezzo.
La verità è che avrei voluto gridare al mondo il nostro amore.
Sbatterglielo in faccia, e ferirlo.
Con questo sentimento assurdo che ha visto la luce là dove non pensavo ci fosse altro che ombra.
E morte.
E rimpianto.
La verità è che cancellerei ogni cosa, ogni giorno della mia vita, per poter correre verso di te.
Raggiungerti.
Ed impedirti di andare via.
Tra le braccia di un altro.
La verità è che non posso farlo.
Che non devo farlo.
Perché vali molto più di me.
Vali molto più dello schifo di vita che mi trascino addosso.
La verità è che mi congratulerò ogni giorno con me stesso.
Per essere rimasto fermo.
In mezzo a questo prato immenso.
E per non averti rovinato la vita.
Scappa, Hermione.
Lontana da me.
E dalla mia esistenza arida che non ha nulla da regalarti.
Vivi amore mio.
E non guardarti indietro.
Lascia che lo faccia io.
Che non ho nient’altro da fare.
Se non ricordare gli unici giorni in cui ho vissuto.
Ho vissuto davvero.
Con te al mio fianco.
Con il tuo sorriso a rischiarare le mie notti.
Con la tua voce a riempire i miei giorni.
Con la tua presenza a saturare la mia anima.
E a farmi battere il cuore.
Sii felice Hermione.
Fallo anche per me, che passerò il resto della vita a ricordare la felicità.
A ricordare te.
La mia ragazzina.
Quella che ha sconvolto la mia esistenza, trasformandola in qualcosa che varrebbe la pena di raccontare.
Ti amo Hermione.
E lo sto facendo molto di più adesso, mentre ti sbatto in faccia tutta la cattiveria di cui sono capace, di quel pomeriggio in cui non ho saputo respingerti.
E ti ho stretta tra le mie braccia.
Forse un giorno lo capirai.
Forse un giorno mi capirai.
E smetterai di odiarmi.
Mentre io, in un castello che ha ritrovato il suo splendore, continuerò ad amarti da lontano.
Sempre.
Fiero di averti saputo rendere libera.

*** 


Sento le lacrime scivolare sulle guance.
Mentre le gambe fanno male.
Correndo su un prato che sembra non voler finire mai.
E mi rendo conto di non poter tornare indietro.
Perché tu non lo permetteresti
Non lo vorresti.
E forse fa male anche a te, Severus.
Anche se ti violenti l’anima cercando di nascondermelo.
Mi manca il respiro.
Mi fermo.
Mi volto.
E tu sei inghiottito dalla nebbia.
E dai ricordi che non mi lasciano prendere fiato.
Fa male, Severus.
Anche se te l’ho promesso.
Fa male perché ti amo.
Anche se tu non vuoi sentirlo.
Intuisco il fischio del treno in lontananza.
E mi ritrovo ad urlare.
Con tutto il fiato che ho nella gola.
Nascosta da questo suono che sa di disfatta.
E di solitudine.
Raggiungo il binario correndo.
Ron mi cerca tra la folla.
Lo vedo da lontano.
Mi trova.
Mi tende la mano.
Lo raggiungo.
La afferro.
E lui mi trascina con forza su un vagone gonfio di risate.
Di canzoni.
E di sgomento.
Il mio sgomento.
Per non essere stata così forte da prenderti a schiaffi.
E da far cadere quella tua maledetta maschera di freddezza.
Quella tua eterna voglia di salvarmi da me stessa.
E da te.
E non riesco ad odiarti Severus.
Malgrado questo dolore che mi squarcia il petto.
Che mi strazia la carne.
Non riesco a pensare.
Mi sembra di uscire dal mio corpo e di guardarlo muoversi tra la folla di questo vagone straripante di umanità.
Mi osservo dall’alto.
E non vedo niente.
Se non un fantoccio vuoto al quale è stata strappata l’unica ragione di vita.
Ron mi accompagna su un sedile dal velluto sgualcito.
Mi ci lascio cadere sopra.
Senza più un briciolo di forza.
Appoggio la fronte al finestrino.
Permettendo al il mio fiato di disegnare arabeschi sul vetro appannato.
Harry ci raggiunge.
Si siede al mio fianco.
Non parla.
Lo ringrazio silenziosamente per questo.
Per non guardarmi negli occhi.
-    “Hei Herm…non sei felice? Siamo liberi?”
La voce di Ron mi prende a calci le membra.
E io resto immobile.
Senza il coraggio di alzare la testa.
Chiudo gli occhi.
Mentre una lacrima scivola sulla mia guancia.
E un’altra la segue.
Malgrado ogni mio inutile tentativo.
Poi un’altra lacrima.
E ancora una.
-    “Amore che cos’hai? Non cambia niente! Anche se la scuola è finita noi continueremo tutto come prima…io e te…con Harry e Ginny!
Ron continua a parlarmi.
Con un’espressione fastidiosamente farcita di entusiasmo.
Continua a non lasciarmi in pace.
E io mi sento morire.
Mi fa schifo tutto.
Questo treno.
Questo stupido ragazzino che non ha capito niente.
Mi faccio schifo io.
Per non avertelo detto.
Per non avertelo urlato in faccia.
Fregandomene delle promesse.
E della ragione.
Ti amo Severus.
E tu avresti dovuto saperlo.
Perché forse avresti capito.
Che avrei preferito farmi piantare un pugnale nel cuore, piuttosto che vederti sparire nella nebbia.
Per sempre.
-    “Herm dai! Smettila di pianger…”
-    “Stai zitto Ron!”
Lo urlo.
Con una rabbia che mi fa scoppiare gli occhi.
Mi prendo il viso tra le mani.
Stringo le dita sulle tempie fino a farmi male.
E singhiozzo.
Lasciando che la disperazione si infranga sul finestrino.
Che devasti ogni cosa.
Senza lasciare superstiti.
Cerco di riprendere il controllo sul mio respiro.
Ma faccio fatica.
Troppa fatica.
-    “Solo un minuto Ronald…ti prego! Dammi solo un minuto…”
Lo imploro tra le lacrime.
E lui non capisce.
Come non ha mai capito niente.
Non ha capito che mi costringevo controvoglia al sesso, fatto senza trasporto, per coprire un segreto.
Il nostro segreto.
Non ha capito che disegnavo sul mio volto sorrisi finti, ridondanti di menzogna.
Per nascondere quello vero.
Il mio sorriso troppo luminoso.
Per gli occhi di qualcun altro.
Non ha capito che lo riempivo di bugie per scappare in un sotterraneo umido.
E correre da te.
Cosa mi resta adesso, Severus?
Tu che sai sempre tutto.
Che sembri avere sempre la risposta.
Dimmelo.
Cosa mi resta?
È questo quello che dovevo sognare?
Una vita inutile accanto ad un uomo inutile?
Un’esistenza che non mi assomiglia?
Che mi avvelena il sangue nelle vene?
E se io sognassi te?
Se continuassi, nonostante tutti i tuoi sforzi, a sognare te?
Te lo sei mai chiesto?
Passano i minuti.
Il treno comincia la sua marcia.
Mentre le prime gocce di una pioggia inaspettata increspano il finestrino.
Lascio che il tempo passi.
E tutti restano in silenzio.
Continuando a non capire niente.
Di me.
E di noi.
I minuti si trasformano in ore.
Sento le lacrime seccarsi sulle guance.
Perché la mia anima è morta.
Su quel prato.
Ai tuoi piedi.
Tra l’ondeggiare del tuo mantello nero che importunava il vento.
Mi raddrizzo sul sedile.
Tiro indietro le spalle.
Incrocio le braccia.
E alzo il sipario sulla finzione della mia vita.
Quella che hai condannato con tutto te stesso, e alla quale adesso mi costringi.
Forse è questo il prezzo da pagare per aver amato così tanto.
Perché in un’unica vita tutto questo amore non ci può stare.
È troppo.
E una persona sola non può meritarlo.
Due persone sole, non possono meritarlo.
È più di quanto sia lecito sperare.
Più di quanto sia lecito avere.
E noi lo abbiamo avuto.
Per il tempo di un battito di ciglia che non mi lascerà più respirare.
E allora abbasso la maschera sul mio volto.
Quella che ho cercato di strapparti ogni notte e alla quale adesso prego di difendermi.
La mia maschera.
Così diversa dalla tua.
Eppure così simile.
Quella che nessuno potrà scalfire.
Che nessuno potrà sciogliere.
Perché, innegabilmente, ho imparato dal migliore.
   
 
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