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Autore: Florence    25/01/2019    2 recensioni
Scoprirsi, perdersi e ritrovarsi oltre il tempo, oltre il dolore, oltre una lontananza che strappa l'anima.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 34 - Panta rei

 -Sveglia, pelandrone-, sussurrò Marinette all’orecchio di Adrien, intrufolandosi con il naso tra i suoi capelli scarmigliati; lui si mosse appena e piegò la testa dalla sua parte. Era così caldo e placido che la giovane pensò quasi di desistere dal suo intento e lasciarlo dormire. Non aveva idea di che ore fossero, probabilmente non era più possibile uscire per cena fuori. Lo abbracciò cingendolo con il braccio libero e si accucciò con la testa nell’incavo della sua spalla; rimase ferma ad ascoltare il battito calmo del suo cuore, mentre con la mente volava alta su un futuro indistinto, ma senza dubbio assolutamente felice. Era quello che voleva, quello che aveva sempre sognato. Si soffermò a pensare a quanto avesse sofferto e si fosse sentita sola e abbandonata da tutti in quegli anni passati: certo, i suoi genitori e gli amici più stretti le erano sempre rimasti vicini, si erano sempre premurati di sapere come stesse e avevano fatto i salti mortali per rallegrarla ogni volta che fosse stato possibile, ma lei era e si sentiva irrimediabilmente sola e derelitta. E si sentiva a quel modo anche la settimana prima, perfino mentre a casa sua gli amici e i vecchi compagni di scuola ballavano e ridevano tra loro ricordando aneddoti divertenti del tempo della scuola o sostenendo nuove conversazioni: li aveva guardati in silenzio divertirsi e socializzare, aveva ascoltato le loro storie di vita senza avere nulla da raccontare su di lei. Era stata presente, sorridente, socievole, ma la sua mente non era lì. Era ancora accartocciata in un angolo assieme alla ragazzina spaurita ritrovata quella maledetta notte di maggio in un vicolo sporco e bagnato di Parigi. Lei stava in piedi tra loro, ma la sua anima era in ginocchio da allora.

Eppure era bastato un abbraccio di Adrien per fare evaporare come rugiada scaldata dal sole quella sensazione; era stato sufficiente un suo bacio per riprendere a respirare esattamente da dove si era messa in pausa, tanti anni prima. Mosse appena la mano sul petto del giovane, la aprì per assaporare con il tatto la sua vicinanza e ripensò a quello che era successo tra loro. Aveva giurato a se stessa che non avrebbe concesso più a nessuno che non avesse amato davvero di toccarla, spogliarla, prendersela come aveva lasciato fare a Nathaniel, buttando via, in una disperata ricerca di qualcosa di effimero che la stordisse come assenzio in una notte senza luna, i suoi ricordi più preziosi.

Ma in quel momento sentiva che era tutto cambiato, che poteva davvero dire di aver voltato pagina e di averlo fatto grazie e con l’uomo che aveva sempre aspettato e a cui si sentiva legata da qualcosa di più profondo della contingenza che avevano vissuto. Lei e Adrien erano stati creati per stare accanto, per condividere sguardi, risate, pensieri, per sanare l’un con l’altra le rispettive ferite e per durare per sempre.

Le aveva detto ancora di essere innamorato di lei e Marinette ci aveva creduto: nonostante fosse consapevole che attorno al suo cuore Adrien avesse eretto una muraglia fatta di dolore e rassegnazione, proprio come aveva fatto lei stessa, aveva capito che infine si era lasciato andare e aveva accettato di poter essere finalmente felice. Accanto a lei.

-Ehi-, il cuscino di Marinette si mosse e una mano grande e calda si posò sulla sua spalla nuda.

-Buongiorno!-, gli disse allegra e incredibilmente arzilla, -Anzi, buonanotte, credo…-, lasciò che fosse il suo cuore a guidare i gesti e si sollevò fino all’altezza del viso del giovane, per posare un bacio morbido sulle sue labbra assonnate.

-Che ore sono?-, le domandò Adrien, ricambiando il bacio con dolcezza. La abbracciò e la fece stendere sopra di lui: era pesante, ma era un peso gentile e che avrebbe voluto avere su di sé per molto, molto tempo.

-Non lo so, ma il mio stomaco dice che ha fame-, con i seni che sfioravano il suo petto nudo, Marinette gli sorrise e fu mattina in quella stanza buia.

-Coccinella affamata…-, un altro bacio, un altro abbraccio fin quasi a soffocarla.

-Non volevo svegliarti… cioè, ci ho provato, ma dormivi così beatamente che non ho insistito…-, Marinette sentiva ogni parte del corpo nudo sotto a lei, ogni parte. Forse Adrien l’aveva fraintesa, anche se l’idea di ricominciare da capo non la disdegnava affatto: ma avevano tempo, tutta la vita, rifletté, se non avessero fatto di nuovo sciocchezze.

-Mangiamo qualcosa?-, gli domandò con vocina da bambina e alzò di su lui gli occhi azzurri da cucciolo.

Il giovane la fece scivolare da sopra di sé, sostenendola con gentilezza perché non apparisse che voleva allontanarla, la baciò ancora e si sollevò a sedere sul letto. Si rese conto solo allora che erano entrambi sotto al piumino che l’aveva riscaldato e cullato in un sogno bellissimo.

Non aveva la minima voglia di uscire da quel caldo nido, ma se Marinette aveva fame, l’avrebbe accontentata a costo di portarla sulle spalle a cena al Jules Verne.

-Aspetta-, la ragazza si mise in ginocchio dietro a lui e lo abbracciò ancora, tornando a infilarsi rapida sotto alle coperte, quando lui si voltò per guardarla.

-Ti vergogni?-, ammiccò colpendola gentilmente sul naso con la punta di un dito e la vide stringere le labbra e alzare gli occhi verso l’alto. Era irresistibile e si chinò per baciarla ancora e ancora.

-Ti ho detto che ho fame…-, ridacchiò sulle sue labbra lei, braccata e immobilizzata come un capretto davanti a un lupo.

-Ho capito che hai fame… anche io ne ho…-, Adrien fece scivolare la mano sul suo fianco e non si fermò nel risalire verso la sua carne morbida, che lo chiamava come il canto di una sirena.

-Ma non quella fame!-, puntualizzò Marinette, lasciandolo fare. Ok, anche lei aveva fame, sia di un bel quintale di gelato, che di lui. Le mani di Adrien varcarono il confine tra le coccole e qualcosa di più bollente, la toccarono, lasciarono il posto alla sua bocca che baciò la pelle di Marinette e la succhiò, infuocandola come una lanterna accesa per l’ultimo dell’anno. Poi si staccò da lei.

-Andiamo: che si mangia?-, il giovane si godette l’espressione estasiata della sua ragazza mutare in sana irritazione giocosa, lei si alzò di scatto, per assalirlo e lui la afferrò, stringendola nel più dolce e appassionato degli abbracci del buon risveglio.

La guardò e per la prima volta Marinette scorse la felicità negli occhi del giovane: non lo aveva mai visto con quell’espressione, nemmeno quando si erano appena dichiarati più di sei anni prima, nemmeno quando si erano rivisti. Era contagioso.

-Sei bellissima, non sono sicuro di avertelo detto ieri sera, cioè... prima-, parlò sorridendo tenendola stretta a sé, come se fosse pronto a spiccare un salto e volare con lei tra le braccia tra i tetti di Parigi.

-Grazie-, la sua risposta stupì per prima Marinette: non era abituata ad accettare i complimenti, si meravigliò di non aver risposto qualcosa tipo “non sono affatto bella, rispetto alle modelle che sei abituato a frequentare”, oppure “Tu sei più bello, in fondo sei pagato per essere bello!”.

-Prego, è la verità: sei una donna bellissima-, ribadì lui, -Dai, che si mangia?-, mosse la testa velocemente indicando la porta e la fece scendere dalle sue gambe. Non gli sfuggì l’imbarazzo di trovarsi nuda davanti a lui, afferrò un lembo della coperta per coprirsi e lui lo tirò nella direzione opposta, ridacchiando. Quindi Adrien si mise a pancia in giù sul letto, mostrandole senza problemi il suo didietro e si spenzolò a ricercare, da qualche parte per terra dall’altro lato del letto, la sua biancheria intima, -Ecco-, gliela passò, rigirandosi supino e la guardò coprirsi gli occhi con una mano. Era adorabilmente buffissima.

-Ti ci dovrai abituare-, le disse, -perché intendo farlo ancora e ancora e ancora e an…-

-Ok! Ho capito!-, trillò Marinette, infilandosi rapidamente slip e reggiseno; con le mani dietro alla sua schiena, cercando di agganciare i due gancetti ribelli, sfilò a grandi passi davanti a lui e si chinò per ricambiare il favore e cercare tra le coperte appallottolate e per terra i vestiti di Adrien. Aveva un corpo sinuoso e sensuale, fatto che non era sfuggito a Chat Noir quando, nel mezzo della battaglia contro il vile cinese, si era prodigato per aiutare la sua Lady. Doveva informarsi su quale fosse l’opinione dei parigini sull’essere protetti da una supereoina così sexy… E poi doveva parlare con Tikki, forse… O forse no, perché alla fine, quella meraviglia era ancora e sempre e di nuovo e per sempre sua.

-Hai proprio un bel sederino…-, due mani la agguantarono propriò lì, Marinette squittì come una topolina in gabbia, un’ondata di nuova voglia la prese come se tutto il suo corpo fosse stato fatto di metallo liquido e Adrien fosse la sua calamita.

-Gelato!-, esclamò lui, deglutendo poiché colto dallo stesso ardore; si affrettò a infilare i boxer che, accidentaccio, erano attillati, e a seguire i jeans, -Hai del gelato?-, chiese più pacatamente, una volta che aveva controllato i suoi spiriti e, seduto sul bordo del letto, stava infilandosi le scarpe.

Marinette si chinò verso di lui, lasciando che il suo push up traboccasse un po’ nella sua direzione. Portò i capelli tutti su una spalla, con un gesto rapido, e avvicinò pericolosamente il viso al suo: -Mmm… chissà…-, gli disse. Poi si tirò su, si voltò e gli sfilò davanti, con tutto quello che il perizoma lasciava scoperto e che lui aveva appena saggiato.

-E adesso raffreddati-, lo gelò a parole ed estrasse dall’armadio una enorme tuta di pile multicolore con un cappuccio da unicorno, vi si infilò dentro e chiuse fino in cima la zip, si diresse verso la cucina e… -Ma ha anche la coda!?-, rise lui. Povera Marinette, non sapeva che, con quell’indumento, che lei riteneva sciatto, era più sexy che mai… Aveva anche delle pantofole abbinate, vistose e ridicolmente sexy!

La raggiunse che razzolava dentro il congelatore, piegata sui talloni.

-Nocciola… Panna…-, gli passò senza voltarsi due barattoli non sigillati di gelato, -Ce ne dovrebbe essere un altro…-, aprì il cassetto inferiore e tirò fuori della verdura surgelata, due pizze e: -Eccolo: tiramisù-. Rimise dentro quello che aveva messo all’aria e si alzò con il bottino tra le mani.

-E sono le dieci e venti-, informò Adrien. Non era tardi, in fondo avrebbero anche potuto uscire per quella cena che le aveva promesso…

-Avrei un’idea, se ti va…-, Marinette si avvicinò con movenze suadenti a lui e si allungò fino a parlare piano piano al suo orecchio: -Pizza, gelato e Netflix?-, gli domandò solleticandolo con i leggeri soffi che emise. Adrien si accigliò, incrociò le braccia al petto e assunse l’aria più solenne che gli riuscì: -Signorina Dupain Cheng, la sua proposta è quanto di più vicino al paradiso possa esserci, approvo ogni singola parola!-

Marinette lo imitò e, senza voltarsi, allungò una mano verso il forno e ruotò la manopola per accenderlo, lo chiamò verso di lei muovendo l’indice della mano alzata e lo abbracciò cingendolo al collo: -E dopo la pizza, il gelato e Netflix… direi che possiamo ricominciare da capo…-, gli morse il lobo di un orecchio e sentì di essere davvero, finalmente, mostruosamente felice.

***

-Sono sei notti che non torni a dormire a casa, Adrien-, Gabriel lo guardò lievemente accigliato, Sun stava mangiando o meglio litigando con Nathalie che non riusciva a farlo stare fermo al suo posto a mangiare quello che aveva nel piatto. Adrien giocherellò con la forchetta, facendo rotolare nel suo piatto una polpetta.

-E lei invece?-, indicò con il mento Nathalie: in effetti si era perso il trasferimento ufficiale della donna a casa loro e, nonostante suo padre glielo avesse chiesto abbondantemente per telefono, via messaggi e di persona, non c’era stato un vero e proprio chiarimento tra i due, quantomeno sulla situazione che si era ormai definita.

-Io ci torno a dormire a casa, Adrien, anzi, ci resto…-, rispose lei senza neanche voltarsi a guardarlo: Nathalie era come la dea Kalì, era ovunque, sentiva ogni cosa, sistemava ogni cosa.

-E fai bene: così almeno questo povero vecchio non si sente troppo solo-, Adrien bevve un sorso di vino, alzando il bicchiere per brindare verso l’alto.

-Non sono vecchio-

-Sei vecchio-

-Non è vecchio-

-Va beh, vecchio o no voi due ormai fate coppia fissa, avete un bel bambino, quindi direi che il fatto che io torni o no qua a dormire... che vi importa!?-, il ragionamento non faceva una grinza.

Gabriel abbassò lo sguardo come per incassare il punto preso, ma non era una questione di vincere o perdere: in definitiva avevano vinto tutti in quel lunghissimo ed estenuante gioco. -Vorrei sapere se le cose ti vanno bene, va meglio se te lo chiedo direttamente?-, provò, mangiando una forchettata di verdura.

-Alla grande!-, esclamò Adrien, con la bocca piena. Si pulì le labbra e bevve dell’acqua: -Alla grande papà! Anzi volevo chiederti cosa ne pensassi se non tornassi proprio più a casa e…-

-Vuoi andare a vivere da Marinette?-, gli domandò il genitore a bruciapelo.

Adrien tossì: non era esattamente quello che aveva in mente, pensava più a farsi una casa sua, ma in definitiva il risultato sarebbe stato lo stesso, forse.

-Più o meno…-, bevve di nuovo, -E poi pensavo anche di riprendere gli studi. Il diploma che ho preso vale a tutti gli effetti anche qua in Francia, giusto?-, voleva accertarsene prima di fare passi falsi.

-Lo sai che è valido…-

-Ecco allora potrei iscrivermi a qualche facoltà oppure…-

Gabriel osservò Nathalie, che si era rimessa al suo posto e, lasciato Sun a giocare con le patatine nel suo piatto, in qualche modo si sentiva chiamata in causa nell’argomento. -Cosa vorresti studiare?-, gli domandò l’uomo, seriamente dubbioso sul futuro disciplinare del figlio.

Adrien alzò lo sguardo, in effetti non era chiaro neanche a lui dove volesse parare. Forse aveva avanzato quell’idea solo perché si sentiva in qualche modo un nullafacente, mentre Marinette ogni mattina, seppur con fatica, si preparava e correva a seguire le lezioni all’università pubblica.

Guardò il padre: -Onestamente non lo so, ma vorrei poter dimostrare di essere buono in qualcosa-, ammise.

-Se ti va, potrei insegnarti qualche cosa del mio lavoro e magari potrebbe venirti la voglia di metterti a seguire la parte burocratica di quella che è la gestione di una casa di moda-, gli propose Nathalie. Prendere lezioni da lei avrebbe significato farlo in maniera “segreta” agli occhi del pubblico e poter passare di nuovo del tempo con quella donna che era importante anche per lui. Gli aveva fatto da madre, in fondo, prima di esserlo per Sunan e si era sempre mostrata aperta nei suoi confronti.

-È complicato?-, le domandò dandosi dello sciocco mentre pronunciava quelle parole.

Nathalie piegò la bocca in un ghigno: -Dipende dal tuo stilista: se è in buona, è tutto liscio come l’olio, ma se si comporta come tuo padre, che a volte è incontentabile circa materiali, tempistiche, realizzazioni dei prototipi, tempi di produzione, diffusione del materiale pubblicitario, scelta delle modelle e dei modelli eccetera eccetera, può diventare un compito alle volte noioso…-, lanciò un’occhiata eloquente verso il suo nuovo compagno e poi gli sorrise: -Ma sono sicura che di vecchi antipatici come lui non ce ne siano molti in giro a Parigi…-, aggiunse, aggiudicandosi pure lei un punto.

-Quando avrete finito di parlare male di me, vorrei sapere a chi vorresti, un domani, affiancarti, se sceglierai questa strada-, la domanda era lecita, la risposta scontata.

-A Marinette Dupain-Cheng: secondo me lei ha moltissima stoffa, è brava, crea modelli con la testa nel futuro e i piedi nella tradizione e sa osare quanto basta per entrare in punta di piedi nel jet-set della moda e scalzarti il titolo di miglior stilista di Parigi-, affermò entusiasta il ragazzo.

-Datti alla pubblicità-

-Scegli la facoltà di pubblicità-, commentarono all’unisono Gabriel e Nathalie, scoppiando a ridere e, meraviglia!, prendendosi la mano davanti a lui.

Pubblicità… in fondo lui viveva già di pubblicità e poteva essere un’idea azzeccata.

-Ma… esiste?-, domandò perplesso.

Nathalie aggrottò le sopracciglia, pensierosa, Gabriel si voltò verso di lei: -Alla ESCP potresti seguire i corsi di Marketing e Management, come ho fatto io, e poi fare un master in pubblicità-, si pronunciò la donna, -Ma sarebbe un percorso lungo: sei sicuro di sentirtela?-, domandò al giovane.

Adrien ci pensò un po’ su: se voleva avere qualcosa tra le mani e poter aiutare la sua Marinette avrebbe accettato anche anni e anni di studi.

-Mi potrebbe interessare…-, rispose. Sun attirò l’attenzione dei tre rovesciando il bicchiere pieno di acqua sulla tovaglia e il discorso fu presto accantonato, ma rimase a ronzare nella testa del biondo per molto tempo a venire.

Una volta messo ordine sulla tavola, concluso il pranzo e giocato un po’ con il bambino, padre e figlio si concessero un altro round di chiacchierate a quattr’occhi, mentre Nathalie si offrì di tentare di mettere un po’ a nanna il piccolo. Quel pomeriggio lo avrebbero portato a visitare la scuola dell’infanzia dove avevano pensato di iscriverlo ad anno nuovo e volevano che il bambino fosse il più riposato -e tranquillo- possibile, prima di uscire. Adrien si era offerto di accompagnarli, perché quello era un grande passo per il suo piccolo gnomo festoso e non voleva perderselo.

-Vuoi bere qualcosa?-, chiese Gabriel al figlio, prima di affondare nel divano. Da quando erano tornati a casa, Gabriel aveva ridotto il personale presente in casa e aveva iniziato ad apprezzare quelle piccole gioie della vita domestica che erano cucinare, apparecchiare, sparecchiare e tenere in ordine i giocattoli di Sun. Non avrebbe rinunciato per nulla al mondo alla sua lavanderia privata, perché, nonostante fosse evidente che quella che inizialmente era stata curiosità, poi attrazione, e infine stava diventando un tenero amore verso la sua Nathalie aveva in gran parte influenzato la sua scelta di privacy, non avrebbe però giustificato una fiducia cieca nel lasciarle lavare e stirare i suoi capi, ciascuno così importante, così costoso, così assolutamente sacro… Gli abiti eleganti erano e sarebbero rimasti il suo primordiale amore, sebbene avesse iniziato ad ammorbidirsi anche nel suo look e, di tanto in tanto, scegliesse semplici pullover al posto dei completi preziosi o, in casi rarissimi, banali e orrende tute da casa.

Adrien rifiutò la proposta e l’uomo andò a occupare la sua poltrona, sfilandosi le pantofole di camoscio e incrociando i piedi sul pouf, davanti a sé.

-Credo di non averti mai visto così rilassato, papà-, ammise Adrien: era più elegante lui con i suoi jeans firmati e la camicia di flanella di Abercrombie & Fitch, di suo padre, stravaccato in poltrona con indosso una tuta di felpa grigia, sebbene ovviamente firmata.

-Si cambia, Adrien, si cambia-, rispose laconico Gabriel, ripensando alle decadi passate nella seta e nei completi tagliati su di lui, con il collo strizzato da cravatte italiane e le giornate bigie e solitarie nella sua tetra magione. Si voltò verso il ragazzo: -Mi dispiace-, disse semplicemente.

-E di che!?-, domandò Adrien, che era così felice negli ultimi tempi che non si sarebbe fatto scalfire da nulla.

-Perché so già che sarò un padre migliore per Sun di quanto non lo sia mai stato per te-, ammise l’uomo, abbassando lo sguardo.

Adrien inspirò: la sua infanzia era stata un’altalena di grandi episodi annacquati da una bigia attesa che la mamma tornasse da loro; dell’adolescenza, quell’adolescenza che aveva avuto il suo culmine negli anni della Du Pont, in effetti Adrien ricordava solo la condizione di costrizione in cui era stato costretto dallo stesso uomo che in quel momento gli stava chiedendo perdono, con il cuore in mano.

-Sei stato il padre che mi ha permesso di essere felice adesso. E “adesso” è il momento migliore per essere felice. Sei stato quello che si è inventato di diventare Papillon e grazie al quale io ho potuto avere il mio Miraculous e, in fin dei conti, conoscere e innamorarmi di Marinette-, gli rispose. -Sii un grande padre anche per Sun. Per me lo sei già-, allungò una mano verso quella dell’uomo e la strinse. Era così: aveva provato odio e rancore verso di lui, frustrazione e dolore in tenera età, ma finalmente era fiero dell’uomo che Gabriel Agreste aveva scelto di diventare, una volta esorcizzati gli spiriti che lo tenevano legato a un’esistenza incerta e maligna.

-Tu hai vinto i tuoi demoni e io i miei. Pensiamo solo al futuro-, concluse Adrien, quindi si guardò intorno, focalizzandosi sul mobile bar. -Cosa volevi offrirmi da bere?-, domandò al padre: forse era il caso di santificare quel momento e berci su.

Si versarono due dita di cognac e ripresero a parlare; Adrien non lesinò battute qua e là sui cambiamenti fatti dall’uomo in quell’arco brevissimo di tempo e Gabriel volle sapere come stavano procedendo le cose tra suo figlio e Marinette.

-Papà… E dai!-, fu la risposta di Adrien alla domanda più intima che l’uomo gli pose, se avesse o meno “fatto cose” con la sua ragazza.

-Chiedevo…!-, si difese il genitore, buttando giù l’ultimo sorso di liquore.

-Comunque sì, e ho intenzione di continuare per molto tempo, d’accordo?-, Adrien rise e imitò il padre; -Per questo vorrei poter avere una casa tutta mia in cui anche Marinette possa andare e venire come io faccio a casa sua. Abbiamo fatto la spesa insieme e quando siamo rientrati a casa sua...-

-Me ne sono accorto… e anche mezza Parigi, grazie ai paparazzi-, lo interruppe Gabriel, facendogli cenno che proseguisse.

-Insomma, non è che stia facendo il parassita con lei, ma forse vorrei degli spazi miei, che possa definire “casa mia” e in cui, se vengo beccato dai fotografi, almeno non debba sentirmi un ospite perpetuo a casa della mia ragazza-, concluse Adrien.

Gabriel rifletté: anche lui, ai tempi in cui aveva avuto le sue prime fiamme, aveva pensato la stessa cosa, in fondo era una richiesta legittima; -Non vuoi goderti ancora un po’ questa situazione da figlio di papà?-, domandò schiettamente al giovane. -Pensaci: se prendi una decisione adesso, in qualche modo lei si sentirà vincolata alle tue scelte. Se ti prendi una casa, quella potrebbe diventare un domani anche la sua casa e non avrebbe modo di metterci la sua parola. Con tua madre accadde così: questa villa era della mia famiglia da generazioni e fu scontato venire a vivere qua, ma Emilie non l’ha mai sentita sua, si è sempre solo sentita asfissiata dalla notorietà che si sobbarcava solo uscendo ed entrando qua dentro… Se lasci un altro po’ le cose così, invece, forse il peso della tua personalità pubblica graverà meno sulla privacy e la libertà di Marinette e un domani potrete scegliere insieme la vostra abitazione, se vorrete.-

Era un discorso sensato.

-E cosa dovrei fare allora?-, domandò cercando realmente un aiuto e un consiglio in un uomo che sicuramente aveva molta più esperienza di lui.

-Potresti proporle di andare insieme in una nuova casa in affitto, o dividere le spese di quella dove vive lei, per un po’, mentre nel frattempo vi prendete il vostro tempo per cercare un’altra sistemazione migliore e-

-Ma la casa di Marinette è già perfetta: ha anche preparato una stanza per Sun! Ieri ce l’ho portato e vedessi com’era felice!-, nella stanza inutilizzata a casa sua, Marinette aveva recuperato il suo letto da ragazza e un comodino e poi aveva fatto la sorpresa al bambino facendogli trovare una tenda di Ikea, di quelle con il tubo per giocare, un tappeto morbido e una piccola postazione con un tavolino e due seggioline azzurre: una per lui e una per Mr Pandy.

-Sunan mi ha raccontato tutto, quando lo hai riportato qua… tanto che Nathalie è venuta stizzita da me quando ha scoperto che Ikea ha battuto la Stokke… letteralmente a tavolino!-, risero entrambi alla battuta, erano momenti preziosi che Adrien, ma anche Gabriel, avrebbero conservato per sempre nella loro memoria.

-E con lei come va?-, domandò Adrien, anche se conosceva già la risposta.

-Nathalie è un portento: ho scoperto molte più cose di lei negli ultimi mesi, azzarderei nelle ultime settimane, che in anni e anni di collaborazione insieme. Pensa che si è cancellata da sola lo stipendio perché ha stabilito che vivere qua era già di per sé un lauto stipendio. Ovviamente ho usato argomentazioni convincenti per farla desistere da questa idea, ma mi ha stupito come abbia preso le redini di questa casa in un così breve tempo. E intanto continua imperterrita con il suo lavoro.-

Adrien alzò le spalle: -Non ho difficoltà a crederlo, ma forse ti sfugge che Nathalie ha sempre avuto le redini di questa casa e, prima di Sun, ha fatto da madre a me…-, lo disse con il tono più pacato e dolce possibile, per non ferire i sentimenti del padre.

Il sorriso svanì dal volto di Gabriel, guardò in basso, verso le mani che teneva vicine in grembo: -Lo so. Nathalie c’è sempre stata per te e io ho fatto molto male anche a lei, l’ho usata, l’ho maltrattata in passato e sono sicuro di averla ferita tantissimo imbarcandomi e facendola imbarcare nella nostra ricerca. Io lo sapevo che Nathalie provava qualcosa per me, ma pensavo fosse solo ammirazione, una sorta di sindrome del maestro, ma mi sbagliavo…-, rialzò gli occhi, dritti verso un punto non ben definito davanti a sé: -E sono stato cieco a non comprendere che anche io provavo molto di più che ammirazione nei suoi confronti. Pensavo fosse soddisfazione per il suo comportamento ligio e ineccepibile sul lavoro, o gratitudine per quello che faceva per te-, si voltò verso Adrien e increspò le labbra: -Invece ne ero innamorato, ma non lo avevo capito. Ho inseguito il fantasma di tua madre, che ci ha abbandonati per qualcosa di più grande di lei, l’ho venerata fino a che non ho saputo che non c’era più. E quando ho saputo che non c’era più, ho provato quasi un senso di liberazione, perché mi sono voltato e ho visto Nathalie sotto una luce completamente diversa, come se il riflettore puntato su Emilie di colpo si fosse spento e finalmente fossi riuscito a vedere che ce n’era un altro acceso su di lei.- Fece una pausa, -Perdonami, se puoi.-

Adrien alzò le sopracciglia: -Io!? Di cosa dovrei perdonarti, scusa!?-, la domanda era spontanea.

-Di aver dimenticato tua madre in così breve tempo-, la risposta fu schietta.

Adrien scosse il capo, sorridendo al padre: -Mamma era svanita ormai da anni, lo sappiamo entrambi. Tutti e due in oriente non cercavamo più lei, ma noi stessi: non è così?-

Gabriel non rispose, perché le parole di suo figlio lo avevano fulminato. Forse Adrien aveva ragione, forse, davvero, il loro viaggio era stato solo un’odissea attraverso quelli che erano i punti saldi nella loro esistenza, alla ricerca di qualcosa che, entrambi, avevano già.

-Grazie-, disse al figlio e lasciò che un po’ di sano silenzio calasse tra loro.

Esordirono quasi in simultanea: -E poi vorrei chiedere a Marinette di sposarmi, quando sarà il momento giusto-, -Chiederò a Nathalie di sposarmi, a breve.-

Risero, sorrisero, si abbracciarono, batterono palmi sulle spalle l’uno dell’altro, si lasciarono andare a battute goliardiche, presero altre due dita di cognac, brindarono, poi si fermarono un attimo e si guardarono negli occhi.

-A mamma-, disse Adrien.

-A Emilie, che avrebbe voluto che fossimo felici entrambi-, aggiunse Gabriel e una lacrima scivolò dietro ai suoi occhiali.

***

-Sorpresa!-, Alya si era presentata alla porta di Marinette dopo averla tempestata di messaggi su Whatsapp per tutto il giorno, cercando di capire i suoi spostamenti e carpire quando fosse in casa da sola. I medici le avevano dato il nulla osta a riprendere una normale vita da donna in piena forma e incinta e come prima uscita lei aveva deciso che doveva a tutti i costi andare a trovare la sua amica del cuore. Prima dei suoi genitori, prima delle sorelle, prima di tornare all’università o andare a fare finalmente la spesa da sola in modo da non dover ogni volta bacchettare Nino per averle comprato un sapone della marca sbagliata o il formaggio con le noci, quando lo voleva senza, oppure la cioccolata senza noci, quando a lei piaceva quella che le aveva.

Marinette si aprì in un gran sorriso vedendola dietro alla sua porta: l’amica non aveva suonato il campanello dabbasso, complice un mazzo di chiavi che era avanzato a Nino e che, non senza vari ripensamenti, lei aveva usato per aprire il portone sulla strada.

-Alya!-, Marinette la fece entrare immediatamente in casa, si affrettò a sistemarle il divano, spostò il poggia piedi in preda al terrore di farla attendere troppo, la aiutò col cappotto e si prodigò per lei, che, tra il serio e il faceto, si fece coccolare ancora un pochino, per l’ultima volta forse, dalla sua amica.

-Notiziona! Sono tornata funzionante al cento per cento!-, esclamò la giovane scattando in piedi e allargando le braccia.

-Ma è meraviglioso!-, trillò Marinette, noncurante dei servigi appena offerti, inutilmente, all’amica. L’importante era che lei stesse bene, che Fagiolino stesse bene e che tutto, ma proprio tutto, stesse andando finalmente a gonfie vele.

-Fammi un caffè come si deve-, chiese all’amica, in vena di stravizi, -e dopo…-, ammiccò, perché tra loro non c’era bisogno di troppe parole.

Alya volle sapere nel dettaglio se Marinette e Adrien avessero fatto sesso, quante volte, il livello di gradimento, la dotazione del giovane, la durata dei rapporti, la loro frequenza e cos’altro avessero fatto. Marinette glissò su quasi tutte le risposte, semplicemente annuendo alla prima e dilungandosi sulle cene a base di pizza surgelata a orari improbabili, sulle uscite al Mc Donald e sul fatto che avesse rivisto tutto Games of Throne su Netflix, perché Adrien non lo conosceva. Era anche andata all’Ikea per organizzare la stanza a Sun.

-A parte che sei bastarda a non condividere con me le informazioni che ti ho chiesto (io l’ho fatto, ricordi? Eh, ricordi, ingrata?), credo che guardarsi Games of Throne sia segno di vero amore reciproco, e la varietà dei vostri pasti serali mi dà già da sola l’idea delle risposte che hai omesso!-, Alya colpì con una gomitata l’amica e si rimpinzò di biscottini che Tikki guardò svanire uno dietro l’altro dalle sue scorte personali.

-Se Nino la scopre, sono guai-, spiegò Trixx alla kwami in punto di piangere. Alya aveva il valore della glicemia al limite e non avrebbe dovuto lasciarsi andare, anche se comprendeva l’euforia della sua portatrice.

Per cambiare discorso, Marinette pensò di mostrare all’amica i bozzetti che aveva preparato per lei; prese il blocco degli schizzi e, visibilmente emozionata, li mostrò uno ad uno ad Alya, descrivendo nel dettaglio tutte le cose a cui aveva pensato. La ragazza guardava le carte attenta, il viso serio, ma Marinette non scorgeva ancora nessun guizzo negli occhi nocciola dell’amica nel vedere quei modelli. Si sentiva colpevole per essersi assunta quel compito prendendo forse sottogamba la sua importanza; cercava di evidenziare i pregi di ciascun modello, ma niente: Alya non sembrava convinta. Si arrese all’evidenza che non era tagliata, forse, per disegnare abiti e, con la scusa di andare un attimo in bagno, si guardò allo specchio, disperandosi per la sua misera condizione di stilista immatura e piena di sé, incapace di interpretare perfino i gusti della sua più cara amica.

Si sforzò di mantenere la calma e si ripropose di chiedere ad Alya cosa avrebbe voluto per il suo giorno più importante, ma, quando tornò in salotto, la ragazza l’attendeva con un foglio spiegazzato in mano e gli occhi lucidi.

-È lui-, disse semplicemente, porgendo a Marinette il primo bozzetto che aveva disegnato e che era rimasto abbandonato da qualche parte. La giovane stilista guardò il disegno e poi l’amica, confusa.

-C’era questo foglio che spuntava tra i cuscini del divano, ecco… io l’ho tirato fuori e… è lui Marinette: è perfetto, è quello che sognavo-, la abbracciò con trasporto e Marinette pensò che quel bozzetto, il primo che aveva immaginato per l’amica e che aveva tracciato pensando a lei, alla sua personalità scoppiettante eppure romantica, alla sua condizione al momento del matrimonio e riuscendo a sentirlo come quello “giusto”, era rimasto incastrato tra i cuscini del divano su cui lei e Adrien si erano coccolati per giorni, su cui avevano mangiato gelato guardando la tv, ci si erano seduti sopra e lo avevano reso testimone di momenti di passione e di amore puro. Lo aveva dimenticato, pensando scioccamente che la prima idea, quella fatta di solo istinto, non potesse di certo essere quella giusta.

-Lo avevo rimosso…-, ammise grattandosi la nuca, poi sorrise ad Alya, -In totale onesta è quello che mi ha fatto più di tutti pensare a te, quello con cui ti vedevo meglio, ma… ero sicura che non avrebbe potuto piacerti: è abbastanza normale, non trovi?-, i suoi occhi erano due pozzi profondi di stupore e incertezza.

-È perfetto, Marinette, è lui!-, ribadì; le prese le mani e la guardò attraverso le lenti: i suoi occhi scintillavano: -Fidati del tuo istinto, tu mi conosci forse meglio di chiunque altro e hai disegnato tutto quello che sono, che vorrei essere, che vorrei apparisse nel momento in cui mi legherò a Nino per tutta la vita-, la abbracciò e la strinse a sé come qualcosa di prezioso di cui chiedere sempre grazie al destino per averla fatta incontrare.

Marinette sentì il suo cuore esplodere di gioia per aver fatto felice l’amica e di emozione per aver colto le sue più intime sfumature; -Adesso viene la parte difficile… realizzarlo!-, confessò ad Alya, che prontamente la rassicurò dicendole che avrebbe fatto un ottimo lavoro, come sempre.

Marinette le prese di nuovo le misure, sapendo che, nell’idea che aveva in testa, quel modello avrebbe potuto essere aggiustato anche all’ultimo minuto per adattarsi alla pancia che si sarebbe vista abbondantemente al momento del matrimonio: bastava regolare la stoffa del panneggio che aveva contemplato quasi fosse un lussuoso grembiule e sistemare le eventuali pinces per renderlo adatto a qualsiasi dimensione Fagiolino avesse deciso di assumere.

-Che stoffa vorresti per la parte dietro e le maniche?-, domandò ad Alya, segnandosi le ultime misure prese sul suo quaderno del cucito, che teneva nel laboratorio in terrazza, -Ci starebbero bene sia il pizzo, sia un lamé…-

-È una bella domanda…-, ammise Alya, che era stata tentata dal pizzo, ma aveva scorto tra gli scampoli che Marinette conservava nella sua cesta rosa varie altre opzioni altrettanto interessanti.

-Possiamo andare insieme al negozio di stoffe, se ti va, così puoi farti un’idea. Quest’anno va di moda il pizzo, ma io ci vedrei bene anche uno shantung o una seta dupion o qualcosa di sfumato… magari leggermente colorato. E ti direi di osare con l’arancio o l’oro, a questo punto!-, ammiccò indicando il ciondolo che Alya teneva al collo. La giovane strillò felicissima alla proposta e si trattenne dal saltellare euforica, poi, in un attimo, il suo sguardo si velò: -Sarò una balena per allora-, constatò mortificata. Marinette le prese una mano: -No, sarai bellissima e Nino impazzirà ancora e ancora per te. Vieni che ti faccio vedere qualcosa che ho buttato giù anche per lui!-

Rientrarono in casa e Marinette stabilì che avrebbe messo a fare un tè, perché si era infreddolita ad andare e venire dalla terrazza. Solo allora Alya notò un dettaglio che inizialmente non aveva notato: -Non fumi più?-, chiese, non vedendo in giro né posacenere né pacchetti di sigarette.

Marinette si fermò davanti a lei a bocca aperta, si lasciò cadere seduta sul divano abbandonando le braccia sulle ginocchia: era incredibile come non avesse fatto caso a quel dettaglio importante eppure insignificante della sua esistenza. -No, a quanto pare, no…-, rispose all’amica, scuotendo la testa per l’incredulità di quella notizia.

-Non me ne ero resa conto, sai?-, ammise, domandandosi se in qualche modo stesse perdendo il ben dell’intelletto. Semplicemente non ci aveva più pensato, da qualche giorno e non le era mai venuta la voglia di farlo. Alya sorrise: -Ah, l’amour!-, disse soltanto.

-Vado a fare il tè-, Marinette si alzò e corse in cucina, rimuginando su quel fatto inusuale, che l’aveva lasciata perplessa: sapeva che il fumare era strettamente legato al suo stato d’animo, ma l’aveva sempre considerato anche un piacere. Forse, a pensarci bene, non era così ed era esclusivamente il modo con cui lei si voleva fare del male, sapendo che nella sua sofferenza poteva convincersi, laddove il destino e il mondo crudele la stavano stritolando in una successione senza fine di eventi disastrosi, che anche lei poteva prendersi il lusso di partecipare a quella gara a chi potesse ferirla di più. Forse pensava che, se lo faceva da sola, avrebbe fatto un po’ meno male. Forse semplicemente non si voleva bene, non si credeva degna di poter essere libera da qualcosa di brutto. Ecco perché fumava: perché sapeva che le faceva male ed era il suo modo contorto per far sì che, almeno in quei momenti, fosse sua la mano del boia e non di altri. Scosse ancora la testa e decise di non pensarci più: stava bene, finalmente non aveva motivo per autoinfliggersi una pena maggiore di quella che aveva già patito. Adrien aveva fatto anche quel miracolo.

Mentre il vapore iniziava a far soffiare la valvola del bollitore, pensò a come la sua vita fosse cambiata da quando la speranza si era riaccesa nel suo animo e la presenza dolce e reale di Adrien la stesse curando piano piano da tutto il male che sentiva dentro.

-Lo ami tanto, non è così?-, le domandò Alya, comparsa sulla porta della cucina. Marinette annuì, sentendo che iniziava ad arrossire un po’, ma Alya era la sua amica del cuore, a lei si sarebbe potuta aprire in tutto e per tutto.

-Non so come faccia a resistere a tutto l’amore che sento… a volte… a volte credo che potrei scoppiare. Quando lo vedo, quando arriva da me o lo incontro fuori dalla facoltà io… mi viene un groppo in gola perché ripenso alle volte che immaginavo di vederlo per strada, o dentro qualche negozio e poi capivo che non era lui. Non sai cosa provi quando mi abbraccia, quando guardo nei suoi occhi e vedo la stessa libertà che sento adesso. Mi sento in pace, Alya… nemmeno a quindici anni mi sono mai sentita così in pace, a casa, come adesso…-, spense il gas sotto al bollitore e versò il tè nella teiera.

-La cosa strana è che non ho paura di perderlo, non più. So che lui è qua per me, che mi vuole, che ci tiene a me. So che sono il suo primo pensiero al mattino e l’ultimo alla sera e anche se è passato pochissimo tempo da quando l’ho ritrovato io… sento che voglio stare tutta la mia vita con lui, che voglio svegliarmi sempre accanto a lui, bisticciare con lui su cosa guardare in tv, scacciarlo dal bagno, se devo andarci io, rotolarmi con lui tra le coperte, guardarlo mentre gioca con suo fratello… mi sento esplodere il cuore nel petto dalla felicità. E non sento più quel vento gelido pronto a portarmi via ogni cosa, non ho più paura.-

Si sedette alla tavola e sospirò; Alya, imitandola, si lasciò scivolare su una sedia e non riuscì a trattenere una lacrima e poi un’altra e si lasciò andare ad un pianto liberatorio e quasi teatrale.

-Sono gli ormoni!-, ripeteva tra un singhiozzo e l’altro, mentre Marinette la teneva stretta a sé, abbracciandola come la sorella che era sempre stata per lei.

-Prendiamo il tè, che sistema tutto-, suggerì Marinette, sentendo il cuore più grande e più caldo di quanto già potesse esserlo.

Bevvero il tè, parlottarono ancora del più e del meno, occhi negli occhi che scintillavano complici da una vita, ma che finalmente condividevano una fetta di felicità ponendole sullo stesso magico piano. Sorelle e amiche, per sempre unite, per sempre fedeli.

-Fammi vedere i bozzetti per Nino-, riprese Alya, ricordandosi la promessa di Marinette e l’amica le mostrò quattro o cinque mise differenti che aveva pensato per il suo caro amico e padrone di casa.

-Questo l’ho chiamato: Nino non aumentare l’affitto- scherzò.

-Non te lo fa pagare l’affitto, che ti lamenti?-, la riprese Alya.

-Vedrai quando sarete sommersi da pannolini puzzolenti e cari un occhio della testa, se non verrete a battere cassa!-, la provocò Marinette, -Ad ogni modo, è un completo classico, ma dal taglio moderno con dettagli molto sui generis, come puoi vedere. Ha un farfallino al posto della cravatta, ma se devo essere sincera… non mi convince affatto!-, scoppiò a ridere strappando via dalle mani di Alya il primo foglio; -Questo va già meglio-, spiegò, mostrandole il secondo abito, dove non c’era un vero e proprio completo, ma uno spezzato nei colori preferiti dal ragazzo e un buffo cappello a metà tra un cilindro e un berretto da baseball.

-Marinette, buttalo via, ti prego!-, fu la reazione di Alya, che rise assieme alla sua amica, che ammise di non avere ben chiaro quale avrebbe potuto essere un abito adatto a un tipo come Nino.

-E poi c’è questo… è classico, ma cool e ha perfino il panciotto… ma è di felpa, inorridisco solo a dirlo… felpa e jeans…-, guardò Alya dal basso verso l’alto, come a cercare pietà per l’ultima idea che aveva avuto. La ragazza strinse la bocca, analizzò il bozzetto, chiese alcune delucidazioni e suggerì di metterci in ogni caso un cappello, magari un’idea geniale tipo la famosa “bombetta-piccione”, come la chiamava lei.

Marinette prese matita e gomma e recepì le modifiche richieste: -Ed ecco a voi Mr Cool Panciotto!-, esclamò.

-Mi piace…-, Alya unì tra loro le punte di tutte e dieci le dita e si lasciò affondare sulla sedia, incassando la testa tra le spalle. Risero di cuore entrambe, approvarono il modello scelto e sperarono che anche lo sposo avrebbe gradito. Come richiamato dal classico “si parla del diavolo”, Nino chiamò Alya sul cellulare.

-Pronto? Ciao Mr Cool Pancho!-, rispose trillante e, al ragazzo che giustamente non aveva capito nulla, disse un laconico, -Niente, niente, capirai…-, riprendendo a ridere con l’amica.

Si era fatto tardi e Alya doveva rientrare a casa per non esagerare con le prime giornate di libera uscita. Quella sera sarebbe andata a cena dai suoi e, anche se sarebbe stata coccolata e viziata, voleva passare da casa a riposare un po’.

Si salutarono sul pianerottolo dell’ultimo piano: -Sei un’amica preziosa-, disse a Marinette, -Non cambiare mai-, aggiunse e la baciò sulla guancia, prima di sparire in ascensore.

Marinette pensò che anche lei avrebbe potuto fare un salto dai genitori per vedere il grande albero di Natale che, come da tradizione, i suoi avevano già preparato. Era la prima volta che lo facevano senza di lei, ma Marinette aveva dovuto declinare l’invito perché era troppo presa dalle lezioni in facoltà e dal suo ritrovato amore. Indossò il cappotto e chiamò Tikki, che vide di buon grado, in quella uscita al freddo, l’occasione per recuperare un po’ di biscotti freschi alla boulanjerie. Adrien non sarebbe tornato prima di cena ed era un ottimo modo per ingannare l’attesa.

In realtà Marinette aveva un altro motivo per voler vedere i suoi: le frullava in testa già da qualche giorno l’idea di chiedere ad Adrien di trasferirsi da lei, ma voleva prima parlarne ai suoi e forse, anche se non era sicura di sentirsi pronta, presentare il suo fidanzato ai genitori. In fondo loro Adrien lo conoscevano già e sapevano tutto di quel che lei aveva provato e ancora provava per lui, ma non avevano avuto modo di parlare con il nuovo Adrien, che aveva sulle spalle sei anni in più e una marea di esperienze e sofferenze. Avrebbe anche dovuto affrontare con loro il discorso delle feste di Natale, che si avvicinavano inesorabilmente e, come ogni evento comandato, rischiavano di dividere le famiglie e ingarbugliare anche le situazioni apparentemente più normali.

Scese dalla metro e riemerse in una Parigi ormai avvolta dalla notte, anche se erano solo le cinque e mezzo del pomeriggio; tutto intorno poteva vedere già diverse decorazioni luminose fare mostra di sé dai balconi e dentro le case del vicinato, qualcosa di simile ad una malinconica euforia si annidò nel suo cuore, al ricordo di quando, da bambina, si faceva accompagnare dal papà a vedere tutte le decorazioni per fare poi l’elenco delle più belle. La vetrina della boulanjerie aveva sempre rispecchiato l’atmosfera festosa, riempiendosi di lucine lampeggianti e di decorazioni di vero abete e bacche rosse, che, con la mamma, Marinette raccoglieva a inizio dicembre, conservandole con cura e decorandole con neve spray o glitter dorati e argentati.

Quell’anno tutto sembrava uguale al solito, anche se stranamente il negozio era vuoto. Aveva aperto un grande supermercato, poco distante, con un bel banco forno e pasticceria e gli affari dei genitori di Marinette avevano subito un sensibile arresto. Tom non si era perso d’animo e aveva pensato a nuove creazioni del tutto originali che sfornava di continuo, per stare al passo con i prezzi più bassi del supermercato, offrendo ai suoi clienti più affezionati la sua originalità e la qualità di cui andava famoso.

-Oh oh oh!-, esclamò a gran voce Marinette entrando nella pasticceria e richiamando i suoi genitori, la mamma alla cassa e il papà nel retrobottega.

-Marinette!-, esclamò Sabine, che ormai contava le apparizioni della figlia sulle punte delle dita di una mano. Da quando Marinette si era fatta la sua casa, il vuoto che aveva lasciato nel suo nido era tangibile e a volte faceva male. Ma il ritorno di Adrien aveva avvolto i sonni dei coniugi Doupain-Cheng in quattro coperte, perché avevano potuto apprezzare la felicità che, finalmente, era tornata a illuminare il volto della loro bambina adorata.

-Ciao piccolo biscottino speziato!-, la salutò suo padre, uscendo imbiancato di farina, come suo solito.

-Stavo iniziando a dimenticare il profumino di questo posto… e adesso ho anche una gran fame!-, li stuzzicò Marinette e si fece offrire dalla mamma una fetta di tarte tatin, che in fondo rimaneva una delle sue preferite.

-Prova questo e dimmi che ne pensi-: Tom le mise davanti al naso un macaron all’aspetto molto simile ai soliti che preparava sempre, anche se arricchito con alcune decorazioni natalizie. Cosa poteva esserci di strano in un perfetto macaron di Monsieur Dupain!? Marinette lo azzannò con poca grazia e sgranò gli occhi: era semplicemente perfetto! La mandorla delicata si fondeva alla ganache bianca alla mela caramellata e la spolverata di cannella rendeva il tutto meraviglioso.

-Incartamene qualcuno, ti prego!-, esclamò leccandosi i baffi: Adrien li avrebbe adorati, ne era certa; -Mi fate vedere l’albero di Natale?-, domandò poco dopo, abbassando gli occhi in preda ai sensi di colpa per non aver contribuito a prepararlo assieme ai suoi.

-Oh, non è niente di che-, spiegò Sabine, -Quest’anno lo abbiamo fatto in miniatura-, si giustificò. Marinette salì in casa, lasciando scivolare la mano sul corrimano delle scale di cui conosceva a memoria ogni nodo, prevedendo le venature della pietra di ogni scalino, riconoscendone il suono, perché quella era stata e sarebbe sempre rimasta la sua casa.

Si sforzò di celare una leggera delusione quando effettivamente vide l’albero di Natale nel solito posto dove ogni anno veniva allestito, ma non occupava l’intera parete del salotto, come in passato, ma solo una piccola parte, perché in effetti era piccolo, anche se squisitamente decorato.

-È delizioso-, si sentì di dire alla mamma e si sfilò la sciarpa e il cappotto.

-Come stai?-, le domandò la donna, sedendosi vicina a lei, sul divano, -Vuoi un tè?-, e domandò, ma Marinette rifiutò gentilmente spiegando che lo aveva preso da poco assieme ad Alya, che era andata a farle visita.

-Fortunatamente lei e il bambino sono fuori pericolo e adesso Nino avrà una bella gatta da pelare in casa, con quella furia di Alya tra i piedi!-, si espresse la giovane, immaginando quanto fosse felice ed euforica l’amica. Aveva voluto che le lasciasse il foglio con il bozzetto dell’abito per Nino, perché, pur sapendo che lo avrebbe forzato a scegliere proprio quello che lei aveva già scelto per lui, voleva almeno apparentemente che il fidanzato si sentisse coinvolto nella decisione. Aveva chiesto a Marinette invece di conservare gelosamente il bozzetto del suo, perché voleva che fosse una sorpresa per tutti. “Ti concedo di farlo vedere solo ad Adrien”, le aveva detto sorridendo, perché tanto sapeva che a lui non avrebbe nascosto più nulla.

-Come stai?-, ripeté la mamma e Marinette le rispose aprendosi in un sorriso spontaneo. La donna la sfiorò con una carezza sul volto e a sua volta ricambiò il sorriso, grata al Cielo che la sua bambina avesse finalmente trovato la pace che meritava. E Ladybug? Aveva ritrovato il suo Chat Noir? Si morse la lingua per non fare quella domanda assolutamente fuori luogo e in un flash le apparvero alcuni commenti che, anni addietro, avevano fatto lei e Tom guardando il telegiornale. Sostenevano, un po’ come tutti, che quei due supereroi non potessero che essere una coppia nella vita reale, chiunque fossero davvero: ci avevano azzeccato, sebbene per anni quella situazione fosse venuta meno.

-Vorrei chiedere ad Adrien di venire a stare da me... Posso, mamma?-, Marinette guardò la donna con occhioni grandi e supplicanti a cui Sabine non poté che cedere, sentendo sulle spalle, per la seconda volta in pochi anni, tutto il peso dell’età.

-Non devi chiederlo a me, amore mio, ma al tuo cuore. E credo che anche lui ti risponderebbe lo stesso, oppure… “sciocchina, ovvio che sì!”-, le prese le mani e le strinse tra le sue, poi le domandò qualcosa di più imbarazzante: -Ma Adrien ci vorrà venire a stare nella tua umile dimora?-, era qualcosa a cui Marinette non era preparata.

Per quello che aveva interpretato del ragazzo… beh, sì… Aveva trovato Sunan in un orfanotrofio nel quale aveva vissuto lui stesso per qualche giorno, era stato sempre in bilico tra una vita in mezzo all’oro e un’altra vita derelitta sull’orlo della disperazione, sudore mischiato a fatica e a sacrifici.

-Penso di sì-, rispose dopo averci riflettuto qualche secondo, -Penso che a lui interessi stare con me, indipendentemente dal posto-, osservò e la mamma annuì convinta.

-E poi… vorrei… ecco… non proprio “farvelo conoscere” nel senso di fare la conoscenza, perché lo conoscete già, quanto… “presentarvelo di nuovo”, ok?, per quello che lui rappresenta adesso-, Marinette gesticolò imbarazzata, le sue guance erano diventate un po’ più rosse, per l’imbarazzo, oltre che per l’escursione termica tra fuori e dentro casa.

-E come vorresti farlo?-, Sabine non mutò espressione.

-Io… non saprei… forse… pensavo ad una cena qua a casa… Ma se la cosa vi mette in imbarazzo io allora…-, mise le mani avanti, agitandole nervosamente.

-Ho già in mente il menù, e tuo padre sa già quali dessert servire per fare colpo su Adrien!-, la stupì la donna, ancora una volta.

Marinette la guardò a bocca aperta: la mamma era… era… la abbracciò in uno slancio di affetto, poi si ricompose: -Guarda che papà non ha bisogno di fare colpo su Adrien, e nemmeno tu!-, volle chiarire, a scanso di equivoci, -Lui vi adora e vi adorava già ai tempi della scuola, anche perché lo avete preso per la gola la prima volta che è stato qua, ricordi?-, le due donne risero assieme e, quando Tom salì in casa, dopo aver affisso il cartello Torno Subito alla porta della boulanjerie, le trovò teneramente a chiacchierare e riuscì a cogliere distintamente almeno tre importantissime parole: Adrien, Natale, convivere.

-Frena frena frena!-, esclamò udendo la terza parola, -Chi vuole convivere con chi?-, domandò allarmato e Marinette sentì come un colpo in mezzo alle spalle. Lo guardò preoccupata e i suoi occhi da cucciolo fecero sorridere il genitore.

-Adrien da te, va bene, ma tu in quel lugubre palazzaccio tutto stucchi e ottone no!-, disse serio, incrociando le braccia al petto.

Sabine lo guardò stralunata: che idee balzavano in mente all’uomo, santoddio!?

-No, io… papà… non è che voglia… cioè…-

-Ma smettila con queste idiozie, vecchio pancione! Non lo vedi che Marinette entra in paranoia se esordisci in questo modo ignorante!?-, Sabine riprese il marito e lo colpì con l’asciughino, che aveva ancora tra le mani. Tom si fece piccino, per quanto fosse possibile per un uomo della sua stazza: -Ma non intendevo negare qualcosa o…-

-Intendevi mettere bocca nella vita di Marinette e tu sai come la pensi a proposito!-, abbaiò Sabine, inscenando una buffa lite senza senso.

-Ehi ehi ehi! Tranquillo papà… Non mi ha sfiorato neanche l’anticamera del cervello l’idea di trasferirmi a Villa Agreste, e poi non credo che ci sarebbe posto per me, adesso che c’è il bambino…-

Tom fu invitato a sedersi e Marinette, con tutta la delicatezza del caso, finalmente spiegò ai genitori la situazione di Sunan, Gabriel, la scoperta della morte della moglie e il nuovo legame con la sua assistente Nathalie,

-Io lo sapevo…-, disse tra sé e sé Sabine, in evidente segno di vittoria: si capiva lontano un miglio che tra quei due c’era un’attrazione profonda che andava ben oltre i loro ruoli ed era chiaro anche a un cieco che la donna si sentisse in tutto e per tutto la madre del bambino! Era facile come fare due più due: panna e cioccolato, mele e cannella, Marinette e Adrien, Monsieur Agreste e la sua segretaria!

Sarebbe stato un Natale bellissimo, Sabine se lo sentiva.

-Allora, ritorniamo alla domanda iniziale: quando vuoi venire qua a cena con il tuo Adrien e “ripresentarcelo” con tutti i crismi?-, domandò alla figlia, mentre Tom sgranò gli occhi in allarme e la sua mente rapida corse alla lista dei manicaretti e dei dolcetti che aveva già pensato di cucinare, per fare colpo sul ragazzo.

Marinette guardò i genitori, lentamente, prima uno e poi l’altra: -A giudicare da quanto voi teniate a fare bella figura… direi che aspetteremo un invito ufficiale quando avrete finito di concordare portate, vini, dolci, apparecchiatura, varie ed eventuali, così non vi stressate inutilmente, ok?-, fece l’occhiolino alla mamma e, allungando un braccio verso di lui, chiamò a sé il padre, per stampargli un bacio dolce al lucidalabbra gusto fragola sulla sua facciona infarinata.

-Quanti ne hai presi?-, Tikki si accertò che la sua umana avesse fatto abbondante scorta di biscottini al cioccolato.

-Tranquilla, vedrai che basteranno per un po’, se non torna Alya…-, Marinette rise e portò Tikki vicina al suo viso, guardò i suoi occhioni azzurri e le posò un bacino sulla testa.

-Grazie, amica mia-, le disse aprendosi in un sorriso.

-Di cosa?-, domandò l’esserino.

-Di esserci sempre stata, nel momento della gloria, in quello della disperazione e adesso, che finalmente sono felice.-

***

Le ultime settimane che precedettero il Natale furono frenetiche e cariche di avvenimenti importanti.

Adrien era stato invitato ufficialmente a cena dai genitori di Marinette e, dopo un primo momento di imbarazzo da parte di tutti, era stata Sabine a rompere il ghiaccio chiedendo scusa al giovane per non essere stata cordiale la prima volta che lo aveva rivisto, quando lui era tornato per cercare sua figlia. Adrien si era sciolto come un panetto di burro al sole e aveva confortato la donna dicendole che era evidente che lei avesse giustamente anteposto la figlia alle richieste di uno sconsiderato che era sparito tanti anni prima senza più farsi sentire, lasciando la povera Marinette in preda ad atroci sofferenze per tutto quel tempo.

“So che anche tu hai sofferto tanto”, le aveva detto Sabine e lui, senza rispondere nulla a parole, aveva abbassato lo sguardo, che si era di colpo fatto lucido. Aveva alzato appena le spalle e, dopo un attimo di riflessione, si era voltato verso la donna mostrandole un dolce sorriso: “Adesso siamo tutti insieme qua, godiamoci la cena, che sono certo sarà memorabile!” Avevano parlato del più e del meno, evitando argomenti spinosi e ogni tre frasi Adrien si era dilungato a tessere le lodi del cibo preparato dai genitori di Marinette e su come gli fosse mancata la cucina francese, negli ultimi anni. Si era infine commosso come un bambino la mattina di Natale quando Tom gli aveva messo davanti al naso un vassoio colmo di dolcetti e petit patisserie che aveva ideato apposta per l’occasione. Adrien sarebbe stato anche un ottimo cliente per le sue future creazioni, ma rimaneva il primo a cui Tom, che già si vedeva come un perfetto suocero per lui, avrebbe voluto chiedere un parere “maschile”, differentemente dalla sua usuale clientela.

Era stata una serata serena e gioiosa, che aveva lasciato nei cuori di tutti e quattro i commensali una profonda impronta positiva. Marinette e Adrien erano tornati a casa uscendo nella sera fredda tenendosi stretti a braccetto, avevano camminato per alcuni minuti per smaltire qualche caloria fino al lungo Senna, l’avevano percorso per un po’ e infine erano tornati verso luoghi a loro più familiari. A buio, la scalinata della Du Pont non sembrava così amichevole come era loro apparsa durante gli anni del Lycee, e perfino la “loro panchina” in Places Des Vosges non appariva più un posto così intimo e piacevole. Si erano guardati sorridendo dolcemente e Adrien aveva sussurrato alla giovane donna, con un bacio sulla testa coperta da un cappellino di lana, “Andiamo a casa”. Marinette aveva annuito e si era stretta a lui: “Sì, a casa”, aveva aggiunto sentendo in quel momento più che mai come avesse finalmente trovato la sua dimensione terrena.

I paparazzi ormai si erano abituati alle apparizioni del capellone rampollo Agreste assieme alla giovane donna dai tratti orientali e ormai tutti conoscevano il suo nome, la sua attività, quella dei suoi genitori e persino dove abitasse. Nino, con il quale si erano visti più volte, aveva detto che la sua vecchia casa non era mai stata così famosa e tenuta lustra dai vari condomini come nell’ultimo periodo. Nonostante ciò, fortunatamente, l’interesse del gossip su Adrien era presto scemato, e Marinette aveva ripreso a uscire di casa con più tranquillità.

Quando le prime foto su di lei erano trapelate, la giovane aveva subito da parte degli amici più intimi un bombardamento di messaggi e telefonate: chi voleva sapere come e quando fosse tornato Adrien, chi se stessero davvero insieme, Chloé l’aveva chiamata stizzita accusandola di essere a conoscenza del ritorno di Adrien anche prima della famosa festa e di non averlo invitato perché sapeva che ci sarebbe stata pure lei: “Avevi paura che te lo soffiassi sotto al naso, vero?”. Era evidente che fossero state vere le voci che la vedevano essersi separata dal chitarrista con cui aveva condiviso qualche mese di relazione e che la vera natura di Chloé, in un modo o nell’altro, era tornata fuori, sebbene magistralmente celata per anni e anni,

Nathaniel l’aveva attesa fuori dalla facoltà, un giorno in cui si era assicurato tramite non meglio note “spie segrete e rete di infiltrati” che non sarebbe andato Adrien a prenderla. Le aveva portato un fiore di calendula, talmente arancione da apparire accecante sullo sfondo del suo cappotto grigio e aveva esordito con un semplice “Perdonami”.

Avevano passato un po’ di tempo a parlare insieme davanti a una cioccolata calda in un bar vicino all’università e Nathaniel aveva fatto un solenne mea culpa  di tutto quello che riteneva aver sbagliato nei confronti della donna. “Voglio che tu sia felice, hai capito?”, le aveva intimato quasi con rabbia alla fine della sua confessione, “Che tu sia felice come io non sono mai stato in grado di renderti, sia come fidanzato che come amico. Voglio che tu acquisisca la forza di mandare a quel paese la gente egoista come me, quelli impiccioni come me e quelli che ti costringono a mantenere un filo invisibile come fosse un cordone ombelicale, quasi fosse qualcosa di dovuto. Come me.- Aveva fatto una pausa fissando silenzioso i residui della bevanda scura rappreso sui bordi della tazza, -L’ho capito solo dopo diversi giorni che la mattina dopo la festa, quando sono venuto da te, non eri sola, ma c’era lui. Dovevi farmi capire che ti stavo rompendo le scatole in maniera più esplicita, dovevi colpirmi, dirmi in faccia che la tua vita non era più affar mio e io avrei capito. Sono una persona che si impegna per non far del male agli altri, ma non ci riesco… Ti ho ferita troppo, ti ho umiliata e dopo ti ho costretta a rimanere amica mia e di Paul. Vola libera, Marinette, vola finalmente dall’unico che abbia il diritto di riempire il tuo cuore e di chiamarti tesoro. Tu rimarrai per sempre la mia unica e sola donna e io ci sarò sempre a proteggerti, qualunque cosa possa il futuro avere ancora contro di te”. Le aveva preso una mano e baciata silenziosamente, lasciando che una lacrima calda scendesse sulla sua guancia. Marinette gli aveva sorriso: forse non era mai davvero riuscita a comprendere appieno Nathaniel, i suoi fantasmi, il suo modo altalenante di comportarsi con lei, ma era certa che fosse realmente un amico, una persona che faceva parte della sua vita, un tesoro da non gettar via. Finita la parte drammatica, il lato goliardico del giovane aveva preso il sopravvento e aveva iniziato a tempestare Marinette di battutine a doppi sensi sul suo nuovo compagno fino a confessare che per la prima volta nella sua vita era davvero invidioso di lei: “Il fatto che in qualche modo io sia stato bisex e che adesso abbia un compagno non mi spalma automaticamente fette di prosciutto sugli occhi: non sai che fortuna tu abbia a godere di quel meraviglioso pezzo di uomo che è Adrien Agreste!!! Cioè… lui è… santo cielo com’è! È bello, è biondo, è muscoloso, è alto, è… Se per caso decideste di fare una cosa a tre, chiamami: Paul capirà e se non capirà... ne sarà valsa comunque la pena!!!”; si era guadagnato un pugno particolarmente violento su un braccio e si era strozzato con l’ultimo sorso freddo di cioccolata, ma era stato bene e con lui anche Marinette.

Se mai avesse voluto fare una cosa a tre, si sarebbe ricordata dell’offerta… aveva pensato tra sé e sé, tornando verso casa e, quella sera, aveva voluto prendersi del tempo per ammirare davvero quanto fosse bello Adrien: in condizioni normali, svestito, nudo, nel momento dell’amplesso, mentre dormiva. Era stata l’unica volta, forse, che le era tornata voglia di fumare una sigaretta, ma accucciarsi tra le braccia molli del suo uomo che ronfava placido accanto a lei era stata indubbiamente la scelta migliore e che avrebbe fatto per sempre.

L’unica nota stonata in quel coro angelico che sembrava essere diventata la sua esistenza era stata la bocciatura ad un esame che Marinette effettivamente non aveva affatto preparato: lì per lì si era sentita una fallita, aveva visto crollare la sua carriera prima ancora di poterla iniziare, ma poi, con più calma, aveva compreso che non le importava un granché, non in quel momento magico che stava vivendo. E poi, se si fosse messa a studiare a modo, sicuramente ce l’avrebbe fatta a prendere un buon voto, alla successiva sessione.

Infine era arrivato anche l’invito ufficiale a casa Agreste: non potendo più procrastinare, Adrien l’aveva convinta a partecipare a una cena nella villa del padre, pur sapendo che sarebbe stato un momento complicato per tutti. Marinette si era sentita morire, ma, per amor del suo amore, aveva accettato di affrontare quell’ultima, estenuante, prova. Adrien era andato a prenderla a casa sua dopo essere passato dalla boulanjerie di Tom: voleva portare un dolce “buonissimissimo” al fratellino e fare allo stesso tempo una sopresa all’amata, ma quel che più aveva fatto scalpore era stato il fatto di essersi presentato da lei con un nuovo look. Complice un pomeriggio di libertà in cui Marinette e Alya si erano recate a cercare la stoffa per l’abito da sposa, Adrien aveva trovato il tempo di andare dal parrucchiere per tagliarsi i capelli: finalmente aveva di nuovo un aspetto curato, più serio e rassicurante, ricordava molto il ragazzino del tempo passato e, nonostante sentisse freddo alla nuca, si era sentito immediatamente a suo agio con il nuovo taglio. Marinette l’aveva accolto a bocca aperta, elettrizzata dal rivedere davanti a sé la versione ufficiale di quello che Adrien rappresentava ai tempi della scuola. L’attrazione suscitata da quella novità aveva ritardato l’uscita di casa della coppia, ma, in qualche modo rocambolesco e complice, Marinette e Adrien erano riusciti comunque a prepararsi per tempo e presentarsi all’ora spaccata in cui erano stati attesi a Villa Agreste. Un po’ guidando, un po’ volando e saltando tra i tetti scuri di Parigi, mettendo a repentaglio l’incolumità della creazione di Tom Dupain e ridendo felici come ragazzini.

Erano stati accolti da Nathalie, che per la prima volta si era ritrovata a fare gli onori di casa non solo nelle vesti dell’assistente del proprietario, ma anche di sua compagna. La donna era stata allo stesso tempo precisa, altera ed efficiente, come anni prima, ma anche cordiale, radiosa e deliziosamente agitata per tutta quella strana situazione. Marinette ne era rimasta affascinata e aveva notato quanto la donna fosse cambiata, anzi trasformata, dall’ultima volta che l’aveva vista quasi rassegnata dare ordini ai traslocatori su come sistemare i giocattoli del bambino. In qualche modo aveva compreso che avrebbe dovuto prendere spunto da lei per riuscire a gestire il suo nuovo ruolo di ex-nemica e nuova amica-quasi parente di Monsieur Papillon, perché tutto stava cambiando, ma non doveva essere percebibile per non spaventare e non spaventarsi. Quando Gabriel aveva raggiunto Nathalie assieme a Sun, un forte silenzio era caduto nell’ingresso monumentale della villa in marmo e radica. Perfino il bambino aveva compreso a modo suo la solennità del momento e aveva smesso di strillare e torturare il padre. Marinette e Gabriel si erano a lungo guardati negli occhi senza parlare; un turbine di domande, emozioni, rancori, paure, aveva urlato nelle loro menti, poi, dopo poco, Gabriel aveva fatto scendere dalle sue braccia Sun e aveva porto una mano a Marinette, con un mesto sorriso di scuse e buoni propositi. La giovane donna aveva mantenuto la sua posizione per qualche istante, poi aveva ricambiato il gesto e si era aperta in un sorriso dolcissimo. La stretta di mano si era trasformata in un elegante baciamano e un lieve rossore si era dipinto sul viso della giovane, finalmente in imbarazzo, come avrebbe dovuto essere al primo incontro ufficiale con il genitore del suo fidanzato. Adrien si era lasciato sfuggire un silenzioso sospiro di sollievo e si era scambiato un’occhiata fugace con Nathalie. -Se puoi, perdonami-, aveva poi detto Gabriel a Marinette; -Se può, mi accetti come amica-, aveva risposto la giovane e, con un altro sorriso complice, vincendo l’imbarazzo, aveva accettato il braccio che l’uomo le aveva porto per condurla fino alla sala da pranzo. Pochi convenevoli per la cena meno formale che si fosse mai tenuta in quella austera sala: Nathalie si era fatta dare i cappotti da Adrien e Marinette e Gabriel aveva annunciato che, “per loro sfortuna”, quella sera la cena era stata preparata da lui e la nuova compagna. Adrien era stato travolto da qualcosa che non provava da anni e anni, un senso di aria familiare che aveva smesso di aleggiare nella sua abitazione da troppo tempo, anche prima che la madre avesse iniziato a viaggiare a est. Aveva sentito come non mai il sacrificio fatto dal suo unico genitore nel mostrarsi il più umano e abbordabile possibile, un sacrificio fatto per mettere a suo agio Marinette, ne era certo. E aveva anche scorto quella sottile tensione che a volte aveva colorato il viso del padre per i motivi più futili, ma genuini, ogni qualvolta aveva avuto paura di fallire in cose di poco conto, ma che per lui valevano come oro, abituato all’eccezionale più che al familiare: insegnare ad Adrien ad andare in bicicletta, riparare un suo giocattolo, comprare un regalo azzeccato per lui o sua madre. Nell’attesa di iniziare il pasto, mentre Nathalie, in cucina, tratteneva in maniera signorile le imprecazioni per qualcosa che era andato storto, accompagnato da un forte rumore di cocci infranti, Adrien aveva cercato un argomento di conversazione in cui sia suo padre che la sua fidanzata avessero potuto trovarsi coinvolti, ma era stato anticipato dalla battuta che l’uomo gli aveva rivolto circa il suo nuovo taglio: “Ho improntato una linea della nuova collezione sul modello dal capello lungo e ti presenti così?”. Adrien era arrossito, si era portato una mano alla nuca, si era sentito morire, anche se sapeva di aver fatto una scelta sacrosanta, poi aveva capito che l’uomo stava scherzando e aveva scorto il sorriso sornione di Marinette, mentre giungeva anche l’atteso il commento di Nathalie a riguardo. La donna aveva approvato il taglio che Adrien aveva scelto e presto aveva trovato in Marinette una ottima interlocutrice, con cui si era appartata in cucina, sebbene anche Gabriel fosse stato interessato ai discorsi delle donne e Sun avesse deciso che era l’ora di iniziare a rompere a tutti le scatole, piantando diverse grane su pupazzi, giochi, costruzioni, torte e cartoni animati.

Era stata una serata tranquilla e familiare come mai Adrien aveva pensato di poter trascorrere nella sua vecchia casa e con suo padre.

Prima di congedarsi, Marinette aveva voluto parlare da sola con l’uomo, instillando un profondo turbamento nell’animo del suo fidanzato, che non avrebbe mai saputo cosa Ladybug e Papillon si fossero detti. Aveva colto solo un deciso: “No”, del padre in risposta ad una domanda fattagli da Marinette e l’argomento era stato chiuso lì.

“Torneremo a trovarli, stai tranquillo”, gli aveva detto la giovane rientrando a casa, dopo la lunga cena: “Credo che la tua famiglia sia molto interessante da frequentare e non voglio dovermi pentire di non averlo fatto abbastanza…”, gli aveva posato un bacio sul petto e l’aveva abbracciato stringendosi a lui, mentre percorrevano i pochi metri tra l’auto, recuperata lungo la strada, e il portone di Avenue du Daumesnil.

La tua famiglia…

Adrien aveva provato un senso di caldo intenso a quelle parole, si era sentito per un attimo una persona normale, con una vita normale, e per quell’attimo aveva dimenticato tutte le sofferenze e le privazioni relazionali a cui era stato sottoposto per tutta la sua giovinezza.

Pensò a Gabriel, Nathalie e Sun: un’accozzaglia eterogenea di estrazione e inquadramento, tre persone che solo il destino aveva potuto riunire sotto lo stesso tetto, ed erano loro, ormai, la sua famiglia.

Almeno fino a quando non avrebbe deciso di farsene una propria con tutti i crismi…

Infilò le chiavi nella serratura dell’appartamento all’ultimo piano e aprì la porta: -Eccoci a casa-, dichiarò e mai sentì parole più vere uscire dal suo cuore.

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Questo capitolo avrebbe dovuto essere l’ultimo, ma mentre lo scrivevo, e scrivevo, e scrivevo, sentivo che dovevo dire ancora qualcosa su questa storia. Mi era stato consigliato di troncarla al precedente, ma io no, sono testarda, e ho voluto mettere fino all’ultima goccia di inchiostro virtuale per trasmettere ogni cosa mi frullasse in testa.

Probabilmente per qualcuno sarà un “di più”: se volete, stampate il capitolo precedente e scrivete a mano, in fondo, la parola FINE. Da me la vedrete scritta tra due capitoli. Ma l’ho scritta, eh! Incredibile, ma sono arrivata alla fine!

Sono giunta fin qua da sola, ho scritto di testa mia questa appendice, chiamiamola così, perché volevo dare spazio anche alla vita vissuta in coppia da Adrien e Marinette, non mi bastava farli incontrare di nuovo, volevo concedere loro un po’ di spazio in più.

Forse ho caricato troppo alcuni personaggi e altri mi sono sfuggiti di mano. Vi lascerò le mie considerazioni in merito alla fine della storia.

A stretto giro pubblicherò il capitolo 35 e infine l’epilogo e spero di soddisfarvi.

Grazie a tutti per l’attenzione.

   
 
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