He swore by grass, he swore by corn
(that his true love had never been born)
- QUARTO CAPITOLO –
Condividere i sedili anteriori con quella massa gigante accartocciata accanto a
sè non è facile, ma riesce comunque a trovare un modo per farsi bastare lo spazio
ricavato, e guidare.
La testa di Sam sul suo grembo è calda, e nel suo peso c’è qualcosa di
stranamente confortante. È certo che quando arriverà a Storey si ritroverà un’imbarazzante chiazza di bava sui jeans, ma non sarà la cosa più disgustosa che vi sia finita durante la giornata, quindi non è il caso di crucciarsene. Di tanto in tanto, Dean lascia che la sua mano destra abbandoni
il volante per sfiorare la carotide di Sam, o la sua fronte, o quei fili
castani tornati ad appiccicarsi sulle tempie sudate, o qualsiasi altra cosa
offra una scusa che confermi la presenza di suo fratello lì. Ancora lì.
Se non distogliesse di tanto in tanto lo sguardo dalla strada, potrebbe
persino far finta di avere di nuovo dodici anni, di essere ancora quel
ragazzino la cui unica missione era proteggere il suo fratellino, e nient’altro. Quello a cui suo padre
non aveva ancora rivelato la seconda parte del suo lavoro, il piano B.
Vi è un’area di servizio (una vera,
area di servizio) self-service a circa cento miglia da Storey, Dean decide di
fare rifornimento.
I neon che trova lì sono impietosi: non nascondono nulla delle orrende occhiaie
livide apparse sotto gli occhi di Sam, gli zigomi incavati e aguzzi, le labbra
completamente andate.
Dean storce il naso, ricerca sulla figura di Sam un’alternativa, una ragione
per poter guadagnare ancora del tempo, ma no, non c’è: deve riuscire a farlo
bere, ed è imperativo.
Passa un braccio sotto le scapole di suo fratello, porta la testa sull’incavo
del suo avambraccio, lo avvicina al suo torace.
“Hey-“ sussurra piano il suo nome, quasi colto da un’improvviso timore.
“Sammy.” È poco più di un suono rauco, ma sembra riuscire dove i richiami di
prima hanno fallito.
Anche la mano che passa tra i suoi capelli pare aver attivato qualcosa. Sam
corruga le palpebre, schiude leggermente gli occhi, li batte più volte. Sono
lucidi e fissi come quelli di una bambola, sembrano osservare un punto lontano
disperso da qualche parte tra il volto preoccupato di Dean e l’etere.
Dean non sa dire se sia davvero sveglio o meno, e non crede sia il caso di
rischiare. Bagna con dell’acqua una nuova bandana recuperata da una tasca, la
stringe in un pugno. Le gocce d’acqua che colano sono della giusta grandezza,
cadono al ritmo giusto tra le labbra di Sam, che in un primo momento sembra
infastidito, ma non è dolore quello che contrae il suo volto, bensì lo stupore
del suo cervello che sembra registrare la presenza di ciò di cui ha davvero
bisogno. Ci mette un attimo a cambiare espressione; Sam vibra, sboccia come una
pianta al sole, sembra come rianimarsi, riprendere vita. L’avidità con con cui
comincia a deglutire è una sorpresa inaspettata.
“Eccolo il mio fratellino” mormora Dean con un ghigno soddisfatto, ripetendo il
gesto ancora e ancora. Si riappropria del proprio buon senso quando delle gocce
gli vanno di traverso e Sam comincia a tossire.
Non ha idea di quanto tempo impieghi la medicina per fare effetto e, nel
dubbio, preferisce essere prudente. Riadagia Sam sui sedili quando la crisi si
allevia; questo si lecca le labbra alla ricerca di qualche goccia d’acqua
sfuggita, prima di tirare un profondo respiro contro il suo addome, e
riaddormentarsi
La bandana è adesso sulla sua fronte insieme a quella precedente; Dean fa
velocemente benzina per poi rimettersi in marcia.
–
“Cristo,”
Mettere a letto Sam si rivela più difficile del trascinarlo fuori dall’auto.
Forse è stata la gioia di aver finalmente trovato un motel ad aver dato
momentaneamente a Dean la spruzzata di adrenalina di cui ha bisogno per
districare gli arti di quella sorta di enorme bestia ferita (la cui testa aveva
ormai reso insensibile parte della sua coscia) e fargli compiere quella
manciata di passi necessari per coprire la distanza dal parcheggio alla camera.
Sono gli unici ospiti dell’hotel. La donna alla reception, impegnata ad
accendere quella che con molta probabilità era la centesima sigaretta della
giornata guardando i Red Sox contro gli Yankees in differita, non gli chiede
neanche i documenti: fa scivolare un registro sul bancone senza distogliere lo
sguardo dalla televisione, porge una chiave a caso tra quelle appese ai quadri,
e quando Dean avanza la domanda ‘C’è una
farmacia ancora aperta nei paraggi?’ questa lo guarda come fosse stupido o
pazzo. O forse entrambe le cose.
Fatto sta che sì, mettere a letto Sam, si rivela un’impresa.
Probabilmente dovrebbe semplicemente abbandonarlo su di esso così com’è, ma
qualcosa dentro di sé gli ricorda che è talmente sporco di vomito, sudore e
quant’altro, che togliergli di dosso quel ricettacolo di batteri e schifezze,
rientra sicuramente tra gli obblighi di legge espressi in qualche postilla del
codice costituzionale, per cui no – ha già un curriculum recondito, non può
permettersi di infrangere ancora la legge. Non per non aver adempiuto ai suoi doveri fraterni, per lo meno.
“Puzzi come un fottuto pastore del Montana, Sam,”
Le scarpe vengono via relativamente in fretta, i pantaloni un po’ meno – ci
mette un po’ a convincere Sam a star dritto e soprattutto fermo mentre li fa scivolare via dalle sue cosce.
Sarà il letto, sarà il fatto che possa finalmente trovarsi in orizzontale su
qualcosa di comodo (sarà il fatto che il suo inconscio rammenti fin troppo bene
cosa è accaduto l’ultima volta che gli ha abbassato i pantaloni, ma no, no –
non si parla di questo!), la mancata collaborazione di Sam tenta più volte di
farlo desistere, ma non lo fa fino in fondo. Quindi insiste, Dean. A carponi
sul letto, riesce a bloccargli finalmente un braccio e far scivolare via la
manica della maglietta. L’altra, riesce in qualche modo a strapparla via dal
pugno chiuso dopo un lungo tira e molla.
Il compenso di tanto disturbo, è un asciugamano umido e tiepido con cui Dean
comincia a ripulire la sua schiena, il suo petto, il suo collo. Dall’espressione
del suo volto, anche Sam sembra adesso apprezzare il gesto. Il non avere più
addosso chiazze di vomito ribollite nel sudore, pelle irritata da quel mix
disgustoso, quell’odore acre a cui entrambi sembravano essersi assuefatti, fa
una bella differenza.
Quando gli rimbocca le lenzuola, Sam emana un vago aroma di fiori sintetici
(gentile concessione del sapone offerto dal motel), e sembrerebbe quasi tornato
in salute, visto il colorito porpora che gli colora le guance.
Gli basta toccargli la fronte, adesso limpida, per rompere qualsiasi illusione:
la febbre continua a divorarlo come lo divorerebbe uno di quei demoni infernali
a cui danno la caccia.
Dentro il suo stomaco, Dean sente un mostriciattolo mordicchiarlo e sogghignare
divertito.
Tira un sospiro, guarda l’orologio: manca ancora un’ora.
Recupera un bicchiere dal cucinino, solleva lentamente la nuca di Sam.
“Sammy, devi bere un po’–” Sam, che ha di nuovo schiuso gli occhi in seguito a
tutto lo smanacciamento, lo guarda con sguardo vacuo, e sembra implorargli
pietà. Sembra implorarlo di smetterla.
Torna ad adagiarlo ancora al suo petto, gli avvicina il bicchiere tra le
labbra, lo inclina un po’.
“Solo un bicchiere. Dopo ti lascerò dormire in pace,” almeno per un’ora, ma si
interrompe prima di annunciarlo a Sam. Non è un dettaglio su cui deve
soffermarsi.
La sensazione dell’acqua tra le labbra si rivela, ancora una volta,
irresistibile. Sam beve, e lo fa con una foga preoccupante. “Piano,” gli
rammenta Dean, frizionando la mano con cui lo sorregge per le spalle – cazzo,
ha davvero preso ad accarezzare suo fratello?
“Non voglio raccogliere ancora il tuo vomito”, questo aggiusta
decisamente il tiro.
Torna a riadagiargli la testa sul cuscino quando il bicchiere è vuoto; lo
assicura con dei cuscini su un fianco, perché non si sa mai; perché Sam
potrebbe non aver preso davvero in considerazione la sua richiesta, e vederlo
soffocare nel suo vomito due volte in un giorno sarebbe quantomeno esagerato,
dunque meglio evitare.
Ascolta nel silenzio il respiro di suo fratello risuonare come un piccolo
motore difettoso, le palpebre tornare a calare sugli occhi lucidi, le membra
abbandonarsi esauste al letto.
Poggia l’asciugamano bagnato sulla sua fronte, fa in modo che aderisca bene
agli angoli e non scivoli giù, guarda ancora l’orologio: sì, ha giusto il tempo
di farsi una doccia.
Fine quarto capitolo
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Un grazie
infinitissimo a Spoocky, per aver betato davvero AL VOLO questo capitolo!
Grazie davvero tantissimissimo! <3
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Se non vi
siete ancora stancati di veder tormentare il povero Sammy, ci vediamo la
prossima settimana ;) Grazie di cuore per aver letto! <3