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Autore: Saylat    25/01/2019    0 recensioni
"L'improvviso rumore del batacchio che urtava la parete di rame ormai ammuffita ed arrugginita fu come se la caduta di un sasso avesse infranto la magia di quel luogo, e contemporaneamente l'eterna pace di chi vi risiedeva."
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La gelida bufera soffiava sulle case fatiscenti che ospitavano il corpi ormai quasi privi di volontà di coloro che, reietti del mondo esterno, avevano trovato riparo e calore nel glaciale mondo del dipinto. Il freddo sembrava aver congelato anche il tempo, come fosse acqua di un lago che in inverno si solidifica in una perfetta e fragile lastra di cristallo.


Dong. La campana suonò.
L'improvviso rumore del batacchio che urtava la parete di rame ormai ammuffita ed arrugginita fu come la caduta di un sasso che infranse la magia di quel luogo, e contemporaneamente l'eterna pace di chi vi risiedeva.
La fanciulla aprì gli occhi e si sollevò di scatto, sorpresa da quel suono che aveva udito solo un'altra volta, molto tempo prima. Un senso di ansia la pervase, ma il suo istinto non riuscì bene a definire se all'origine di esso vi fosse curiosità, o paura. La neve sulla quale aveva deciso di riposare si mescolava con la sua candida figura, avvolta in una bianca pelliccia che rappresentava, assieme al suo vestito di seta azzurra, l'unica cosa che la volesse proteggere dal freddo; ma lei ormai da troppo tempo aveva smesso di percepire tale sensazione, grazie ad una fiamma che sembrava scaldarla dal centro del suo petto.
Lei stessa, in passato, aveva cercato di comprenderne l'origine, ed arrivò alla conclusione che essa si potesse trovare in quel legame formatosi inconsciamente verso coloro che con lei condividevano lo stesso destino: quello di essere ripudiata dalle persone responsabili della sua esistenza, per il semplice fatto che vedessero in lei un orrendo errore.
Era figlia di un drago ed una dea: una bastarda della famiglia reale, la cui sola presenza avrebbe potuto causare la rovina della sua dinastia. Per tale motivo ella venne allontanata dal dio del Sole, per trovare conforto nella sua figura opposta: Gwyndolin, il dio della Luna Oscura e suo zio, la accolse e decise di sigillarla nel mondo del dipinto al fine di proteggerla e darle un posto che avrebbe potuto finalmente chiamare casa.
Lentamente si alzò, aiutandosi con il manico della sua falce maledetta. Essa la accompagnava nella sua vita da più tempo di quanto la mezza draghessa non potesse ricordare e la natura stessa di quell'oggetto lasciava intendere che non fosse altro se non la manifestazione fisica dell'animo della fanciulla: un'arma dal colore scuro e dagli intagli complessi, che all'occhio umano appariva come il capolavoro in ebano di un mastro fabbro. L'arma era seconda in bellezza solo a quella della sua proprietaria, ed il colore nerastro contrastava nettamente con la nivea pelle e gli argentati capelli, simbolo di discendenza reale; ma, nel profondo, questo magnifico oggetto nascondeva un potere terribile: essa infliggeva mortali danni a coloro che ne venivano feriti, ma allo stesso tempo provocava atroci dolori a colei che la brandiva, come ad elogiarne la pacifica natura. Si era dunque ripromessa di evitarne l'utilizzo se non per difendere i vacui abitanti del mondo che aveva deciso di proteggere.


Dong. La campana spezzò il silenzio per la seconda volta.
Il ripetersi di quel suono era segno che qualcuno era riuscito ad accedere nel dipinto e stava procedendo verso l'unica uscita da esso, che la giovane donna sorvegliava. In lontananza iniziò a sentire il fossile del drago, guardiano del ponte che collegava la zona rurale allo spiazzo dove lei aveva preso dimora, animarsi ed agitarsi in quella che pareva essere una lotta nel tentativo disperato di impedire l'avanzata dell'intruso. Presto, però, il tremore del terreno generato da quella violenta lotta cessò, riportando nell'aria un'inquietante pace.


Dong. La campana suonò per l'ultima volta, mentre un rumore metallico di armatura fendeva la delicata nebbia che aleggiava a segnare l'accesso allo spiazzo. Una figura camminava verso la fanciulla, un passo lento e sicuro. Un brivido attraversò la schiena della donna e d'istinto le scaglie immortali sul suo collo vibrarono. I passi si fermarono a pochi metri dall'esule. Con magnificenza regale, celata in parte dalla voce giovane e malinconica della mezza draghessa, esclamò al suo ospite: -Tu, che non appartieni a questo mondo, sei arrivato portando con te dolore e distruzione a coloro che chiamano questa landa gelida e desolata “casa”. Non ti farò del male, ma procedi oltre e lascia questo posto per sempre, ti prego. Se invece cerchi me, sappi che non sarai ricambiato.-
L'armatura dunque ricominciò a muoversi di nuovo, e di nuovo i suoi passi erano decisi.


Ma, questa volta, in essi si sentiva il suono sordo della morte che reclamava a sé l'anima di Priscilla.
   
 
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