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Autore: _Lisbeth_    25/01/2019    12 recensioni
Maylor (Brian May/Roger Taylor)
1969/1988
Dal primo capitolo:
- Roger, ti sei mai preoccupato per i sentimenti di qualcuno che non sia Tim? – lo interruppe Brian, calmo. Tranquillo, anche troppo, ma il suo cuore era sprofondato. Non riusciva più ad ascoltare le sue parole, le sue urla, i suoi attacchi e le autocommiserazioni. Per lui importava solo Tim. Era solo, lo aveva appena detto. Solo, senza Tim. E lui cos’era, allora?
Il ragazzo dagli occhi azzurri socchiuse la bocca, fermandosi. Deglutì. – Io… sì. Che razza di…
Brian gli si avvicinò, guardandolo negli occhi, toccandogli leggermente il petto con un dito magro. – Io invece penso proprio di no.
Lo scansò prendendolo per le spalle, facendosi spazio dietro di lui, uscendo dalla camera e chiudendo delicatamente la porta.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, John Deacon, Roger Taylor
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo 8 - Love of my life
 
1973.
 
- Basta, basta, questa cosa non mi convince per un cazzo. Fa schifo. – disse Freddie, ormai non più Bulsara, bensì Mercury, sbuffando e scuotendo la testa, aggiustandosi i capelli scuri. Roger strabuzzò gli occhi. – Mi prendi per il culo?
- Magari, tesoro. Magari stessi dicendo cazzate.
- Cristo! E tu me lo dici solo dopo che mi sono iniziate a sanguinare le corde vocali? – imprecò Roger, mettendosi le mani tra i capelli.
- Senti, innanzitutto non parlarmi con quel tono. E poi, non è colpa mia se oggi non hai voglia di cantare!
Erano ore, ore che cercavano di combinare qualcosa, e secondo lui ci stavano riuscendo anche bene. Il problema era che Freddie, quel giorno, era particolarmente insopportabile ed esigente, perciò, nonostante il povero Roger stesse cercando di fare quell’acuto in modo decente da più di due ore, il caro Freddie non ne era mai soddisfatto. E il biondo avrebbe voluto ucciderlo.
- Secondo me non è male, Fred. – li interruppe l’ultimo arrivato della band, sospirando e sedendosi accanto a Brian. John Deacon era l’unico davvero in grado di riportare la calma tra quei tre. Perché, sebbene Brian fosse un ragazzo tutto sommato calmo e che raramente perdeva le staffe, faceva anche lui discussioni. E certe volte metteva anche benzina nel fuoco.
Invece il bassista era tranquillo e posato, lo era sempre stato, dalla prima volta in cui, in discoteca, si erano conosciuti. Cosa che Freddie, Roger e Brian non erano assolutamente, quando si trattava di registrare e scrivere canzoni.
E la registrazione di “The March of the Black Queen” non era esattamente la più tranquilla che avessero cercato di fare.
- Cancelliamo tutto. – fece Freddie. – Tutto quanto!
- No, hai capito male, Bulsara.
- Prego? Come mi hai chiamato?
Roger respirò profondamente, alzando gli occhi al cielo. – Mercury. Senti, come cazzo ti pare. Bulsara, Mercury, se vuoi non ti chiamerò nemmeno per nome, ma io degli acuti del genere non te li faccio di nuovo.
- E va bene. Li farà Brian.
- Se May fa un acuto rischia di far venire un ictus a tutti e tre.
- Deacy?
- Sai che non so cantare. – disse il bassista, mentre Brian, al suo fianco, si massaggiava le tempie, al limite della pazienza. Freddie sbuffò, mentre Roger lo fissava con un sorrisetto sul viso.
- E va bene. Come vuoi tu. E non guardarmi in quel modo, mi fai sentire una puttana. Rifallo.
- Rifallo?!
- Vuoi diventare una Queen?
- No.
- Vabbè, vuoi diventare ricco e pieno di sesso?
Roger ci pensò un attimo. Poi alzò le spalle. – Sì.
- E allora fammi ‘sto cazzo di acuto e stai zitto.
Il biondo alzò gli occhi al cielo, avvicinandosi al microfono e tenendo una mano sulle cuffie, chiudendo gli occhi e concentrandosi. Prese un respiro profondo, mentre la voce di Freddie sulla prima incisione veniva accompagnata dalla sua, che si alzava sulle punte per, secondo lui, avere un risultato migliore.
Freddie lo guardava, attento e con le braccia incrociate, mentre Brian aveva degli occhi del tutto diversi. Aveva sempre trovato il falsetto di Roger uno dei più puliti e orecchiabili che avesse mai sentito. Non gridava mai, gli veniva quasi naturale e Brian riconosceva il fatto che il ragazzo avesse delle capacità polmonari incredibili. Prendeva fiato di tanto in tanto, mai in modo brusco o esagerato, solo quando necessitava per forza di riprendere aria. Come se cantare, per lui, fosse un po’ come respirare.
Era così anche quando suonava la batteria.
Brian credeva davvero tanto in lui, così tanto che aveva sempre la costante paura di deluderlo. E lo aveva già deluso più di una volta, perché da quel giorno, sebbene fossero passati ben tre anni e mezzo, il loro rapporto non era più lo stesso, ed era la cosa peggiore che gli fosse capitata. Non voleva perdere Roger, ma aveva capito che il ragazzo proprio non ce la facesse. Non riusciva a far finta di niente, a fingere di voler continuare ad essere il suo “migliore amico”, quando in realtà ciò che provava era ben diverso e non ricambiato. Almeno fino a poco tempo prima.
Infatti, i sentimenti che Brian provava erano completamente differenti da quelli di pochi anni prima, anzi, non c’entravano assolutamente nulla.
E lui si era comportato da vero stronzo, quel giorno. Aveva forzato Roger a confessare una cosa di cui lui non era pronto a parlare e poi, dopo la sua confessione, aveva fatto finta di niente, dimostrando per l’ennesima volta di essere un codardo. Anche se il suo unico scopo era quello di far spaziare i pensieri di Roger, per tirargli su il morale, per non perderlo.
Non provava nulla per lui. Eppure, in quel lasso di tempo in cui erano successe davvero tante cose nella band e nelle loro vite, lui aveva capito di essere così confuso da non capirci nulla. Non provava niente, quando a ventidue anni guardava gli occhi di Roger o lo sentiva cantare, o lo vedeva suonare, o ridere. Gli voleva bene, un bene dell’anima, quello sì. Ma il Brian ventiseienne, quando vedeva Roger Taylor, iniziava a sentire i pensieri mischiarsi e contorcersi, confondersi nella sua testa, chiedergli che cosa stesse succedendo. E la maggior parte delle volte di dava del cretino, quando guardava i suoi capelli biondi e morbidi, gli occhi grandi e blu e i denti dritti e bianchi. Quando sentiva la sua voce, la sua risata, o quando lo vedeva arrabbiarsi per nessun apparente motivo, trovandolo adorabile.
E non era stato mica l’unico ad accorgersene.
John, un giorno, gli si era avvicinato e gli aveva messo una mano sulla spalla, guardandolo negli occhi con uno sguardo comprensivo e tranquillo. – Guarda che non si vede assolutamente che per te sia solo amicizia, nei suoi confronti. – gli aveva detto, quando in realtà nemmeno Brian si era chiarito le idee.
Un giorno in cui John e Roger erano andati a fare la spesa, invece, Freddie era entrato nella sua camera, a braccia incrociate e con lo sguardo di chi pensa di sapere tutto in volto. – Vedo che il culo di Roger ti piace da morire, Brian “Roger è il mio migliore amico e non me lo porterei a letto per nessun motivo al mondo” May.
 

 
- Che… No! Non… Non è vero. Che ti salta in mente? – gli rispose Brian, fissandolo a occhi strabuzzati, incredulo.
- E dai, pensi che io sia stupido? Dalla a bere a qualcuno che non sia Freddie Mercury, caro mio! Perché anche se non si nota, lui capisce qualsiasi cosa e sa tutto di tutti. – gli disse il cantante, sedendosi sul suo letto e rizzando la schiena. Brian deglutì. In effetti, Freddie non aveva tutti i torti. Freddie scrutava, osservava, percepiva e capiva. Captava sguardi e movimenti, ne dava un’interpretazione e, quasi sempre, azzeccava. Il problema era che il riccio non capiva. Non si poteva dire che Roger non gli facesse provare nulla come anni prima, ma lui ancora non ne era convinto. Aveva bisogno di chiarirsi le idee.
- Fred… E’ così evidente?
- Cosa, che io sia una cazzo di diva?
- No.
Il più basso sbatté gli occhi. – Ma come no?
- Intendo… Sai… - iniziò a gesticolare, per poi respirare profondamente. – Roger.
- Be’, gli guardi i glutei come io guardo Mary.
- Lascia stare, Fred. – sospirò Brian, alzandosi. Freddie si piantò davanti a lui, allargando le braccia e puntandogli un dito sul petto. – Adesso raccogli un po’ di palle e mi parli del tuo disagio.
- Se continui a parlarmi di chiappe non andiamo da nessuna parte!
- Era un esempio!
- Lo hai fatto per due volte.
- Siediti, caro.
Brian sospirò pesantemente, sedendosi sul letto e appoggiando il mento sul palmo della mano, seguito dal maggiore, che gli si sedette affianco e iniziò a fissarlo. Lo irritò non poco. – Freddie. Sei inquietante.
- Lui ti piace. Pure tanto. Vorresti scopartelo a sangue e non vuoi ammetterlo. Lo riconosco dal tuo sguardo, Brian “Non voglio avere problemi perché altrimenti la band va a puttane” May.
- Sai che facendo così non risolvi nulla e mi metti solo in imbarazzo, giusto?
- Se non ti stimolo non mi dici nulla.
- Stimolami in altri modi.
Freddie strinse le labbra. Poi distolse lo sguardo, guardando la parete. – Che faresti per Roger?
- Tutto.
- Tutto tutto?
- Sì, Fred.
- Tipo, che ne so, mangeresti un pezzo di carne per Roger?
Brian lo guardò male. – Spiegami che cazzo di domanda è questa.
- Rispondimi.
- No, non lo farei!
- Allora, la riformulo. – Freddie giunse le mani e se le portò al petto, puntandole poi verso il chitarrista. – Se a Roger facesse soffrire il fatto che non mangi quella fetta di carne, la mangeresti?
Brian aggrottò la fronte. – Tu…
- Me la dai una fottuta risposta o devo farti toccare i bicipiti di Roger e vedere il tuo pene che, piano piano, diventa la tour Eiffel?
Il viso del chitarrista divampò e i suoi occhi si spalancarono. – Ma sei scemo?
- No, sto solo perdendo la pazienza.
- E poi dove li vedi ‘sti bicipiti?
- Non è colpa mia se per te esiste solo il suo culo.
Il riccio pensò di impazzire. – Ti prego, lasciami da solo.
- No, finché non mi risponderai a quella domanda.
- Sì, lo farei. Mangerei un pezzo di carne per Roger. Che hai dedotto, mentalista?
- Seconda domanda! – sbottò Freddie, saltando in piedi con l’indice puntato in alto. A Brian venne voglia di infilzarsi la cornea con una forchetta. – Oh Dio, perché?
- Cosa provi, quando gli guardi il cu… - Brian gli lanciò un’occhiataccia. Freddie si corresse prima che il riccio gli lanciasse la chitarra sulla testa. – Cosa provi, quando lo guardi?
Brian fece un respiro profondo e ci rifletté per un secondo. Cosa provava, quando lo guardava? Certamente si sentiva in modo diverso rispetto a quando guardava Freddie o John. Però aveva sempre pensato che fosse semplicemente perché gli mancasse il loro rapporto, che volesse tornare ad essere il suo migliore amico, non un semplice chitarrista nella sua stessa band. Se avesse davvero voluto quello, però, non avrebbe avuto senso il fatto che quando lo vedeva sorridere, o lo sentiva ridere, avvertisse un nodo alla gola che non si sapeva spiegare.
Quando guardava i suoi occhi si sentiva soffocare.
 Deglutì. – Non… Non provo niente.
- E dai, non le dire le stronzate. Almeno non quando arrossisci.
- Non sono arrossito.
- Di solito ‘sta tecnica con Deacy funziona, perché con te no?
- Perché Deacy ha ventidue anni e io ventisei, Freddie.
- O forse è solo ritardato. Allora, senti un groppo in gola? Mal di stomaco, tachicardia?
- Be’, mica deve venirmi un infarto. Però sento sempre il cuore battere così veloce... – riuscì ad aprirsi un po’ di più. Freddie lo metteva a suo agio, sebbene lo imbarazzasse leggermente.
L’altro ragazzo annuì e si alzò, iniziando a camminare per la camera. – Brian, a volte ripensi all’evento di tre anni fa?
Il riccio respirò profondamente. – I-io… Tutti i giorni. – ammise.
- Hai rimorsi?
- Com’è ovvio che sia.
- Ma i rimorsi li hai perché lo hai ferito, o perché ti sei pentito di aver detto di non ricambiare, quando in realtà te lo tromberesti come se non ci fosse un doma…
- Freddie.
- Scusa.
- Io… - il chitarrista deglutì. – Io penso che un po’ mi sia pentito.
- E da cosa lo capisci?
- Dal fatto che… Che mi manca, credo? – Brian si morse un labbro. – Io… Ogni volta che lui non c’è, sento un vuoto nel petto che non so descrivere, Freddie. Ho sempre bisogno di sentirlo vicino. E il fatto che lui ora mi respinga mi rende davvero triste. E ogni volta che lo vedo con qualcun altro, o commenta l’aspetto di qualche ragazzo per strada… Io provo…
- Rabbia?
- No.
- Ti rode talmente tanto l’ano che vorresti buttarti in un fiume?
- No, solo che… - fece una pausa. – Mi sento così stupido per averlo lasciato andare.
 

 
- Sei stato perfetto! Ora però vorrei che tu mi spiegassi perché prima ti fosse venuto quello schifo. – fece Freddie, una volta che Roger ebbe finito. Il biondo aggrottò la fronte e sollevò una cuffia. – Eh? – urlò.
I ragazzi nello studio strinsero gli occhi per l’urlo improvviso del ragazzo, che da lì si sentiva amplificato. John si girò verso Brian. – Non ha fatto questo casino mentre cantava, e lo deve fare adesso?
Freddie ripeté: – Farai bagnare milioni di ragazzine!
Roger strabuzzò gli occhi quando, per la seconda volta, non capì cosa Freddie avesse detto. – Cosa?
John fece un sospiro esasperato e Brian iniziò a battere ripetutamente la testa contro al bracciolo del divano. Freddie alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, facendogli segno di uscire dalla cabina di registrazione.
Il biondo aprì la porta e uscì, togliendo le cuffie e appoggiandole sul tavolo. – Come sono andato?
Il cantante gli si avvicinò, accostando le labbra al suo orecchio. – Benissimo! – strillò, facendolo sobbalzare e fare un passo indietro, con una mano a coprire il povero orecchio. – Ma sei scemo?
- Ora sai cosa si prova.
- A fare che?
- Lascia perdere. – sbuffò John, facendo sorridere Brian. Il biondo stiracchiò le braccia, respirando profondamente. – Ho la gola che implora pietà.
- Ma per favore, per un “Aaaah”. Sai che grande impegno che ci vuole. – disse Freddie, girando gli occhi nelle orbite.
- Se non ci fossero bambini, qui, ti strozzerei.
- Non ci sono bambini. – Fece Brian.
- No? E John che cos’è, un uomo maturo?
- Alla veneranda età di ventiquattro anni sei un vecchio saggio, eh, Taylor? -  rispose il bassista alla provocazione. Roger si limitò a sorridere compiaciuto.
Freddie batté le mani – Be’, bambini. Per me è il momento di lavare i piatti, perché col cazzo che Roger rispetta i turni in cucina!
Roger sollevò il dito medio.
- Acido. – fece Freddie, facendogli la linguaccia e uscendo, avviandosi verso la cucina. John prese il basso dal divanetto, mettendoselo in spalla e schiarendosi leggermente la gola, guardando i due ragazzi. – Vado a dargli una mano. Chissà che casino ci sarà, in quella stanza. Noi ci vediamo a cena, se Freddie non fa esplodere la cucina prima.
- Ciao, Deacy. – gli rispose Brian, mentre Roger lo salutava alzando il palmo.
Il riccio si rese conto che lui e il batterista, in quel momento, erano soli. Dopo mesi. Deglutì, e si accorse che anche Roger stesso lo aveva notato. Infatti lo vide alzarsi, con le mani in tasca. – Io vado a fumarmi una sigaretta.
Non poteva. Non poteva assolutamente farsi scappare quel momento. Lo prese per un braccio, guardandolo. – Aspetta. Resta qui.
Roger lo guardò. Guardò quei profondi occhi castani, deglutendo e socchiudendo la bocca. Non voleva. Non voleva rimanere da solo con lui, perché sapeva che si sarebbe sentito a disagio. Perché sapeva che avrebbe sofferto, e non voleva. Erano anni che non riusciva più a parlargli di qualsiasi cosa. Il loro rapporto si era sgretolato, stava pian piano andando a pezzi e se volevano mantenere un clima decente nella band, Roger non avrebbe dovuto assolutamente parlargli. Perché avrebbe fatto sicuramente danni. Respirò profondamente. – Io… Non posso.
- Perché?
- Devo fumare.
- Fumerai dopo. Però, per favore, resta qui.
Il biondo deglutì nel guardare quegli occhi che lo imploravano di rimanere. Sospirò, sedendosi accanto a lui, facendo però di tutto per non guardarlo. Si limitò a sbattere le lunghe ciglia. – Ecco… Come va?
- Come dovrebbe andare. – disse Brian, appoggiando il mento sulle mani. Che domanda era? Sembrava non si vedessero da anni, eppure vivevano nello stesso appartamento. – Tu come stai?
- Non fosse per la gola che mi sta urlando di smetterla di parlare, sto bene.
Il chitarrista sospirò. E poi pensò che quella fosse la conversazione più falsa che avessero mai tenuto. Guardò il ragazzo. – Perché, Roger?
- Perché ho cantato note altissime per due ore.
- No, io… Io intendo… - iniziò a gesticolare. Faceva così, Brian, quando era in imbarazzo. – Perché non siamo più gli stessi?
Il respiro di Roger si fermò. Aprì la bocca per dire qualcosa, poi scosse la testa. – Io pensavo che questo argomento fosse chiuso da anni.
- Non lo abbiamo mai aperto.
- Appunto. Continuiamo a non aprirlo.
- Quindi vorresti dirmi che tu riesci a dormire sereno la notte, sapendo di avere una persona per te importante nella tua stessa casa, che da tre anni e mezzo è come se fosse una sconosciuta?
- Sei tu quello che soffre d’insonnia.
- Sono serio.
- Anche io. Semplicemente non voglio parlare sempre della stessa cosa.
- Stai scherzando?
- Ti ho appena detto che sono serio.
Il più grande prese una boccata d’aria. – Non ne parliamo da anni.
- Forse perché è inutile farlo. – disse il biondo, alzandosi e iniziando ad uscire, prima di essere fermato dalla mano del riccio sul suo polso. Non sentiva quel contatto da quell’ultima volta. Il cuore iniziò a battergli forte e sperò che Brian non se ne accorgesse.
- Dobbiamo parlare, Roger. Ti ho perso una volta, perché sono stato un egoista, un codardo e un…
- Un coglione.
- Sì, un coglione. – ammise il riccio. - Ma ho bisogno di rimediare.
- Io non sono arrabbiato con te. – sospirò Roger. Allargò le braccia. – Non lo sono mai stato.
- E allora dimmi perché ti sei allontanato. Spiegamelo. Ti prego.
- Mettiti nei panni di una persona… - si sedette. – Di una persona che è innamorata di te, da tre anni, che sa di essere solo il tuo migliore amico, per te. Che fai? Continui a fingere, o ti allontani?
- Non vorrei perdere il mio migliore amico.
- E invece ti stai sbagliando. – gli puntò un dito contro, appoggiando la schiena allo schienale della poltrona. – Perché conoscendoti, ti allontaneresti anche tu come ho fatto io.
- Non mi conosci, evidentemente.
- Ascolta, io non voglio parlare di questa cosa. Te lo ripeterò all’infinito e non voglio saperne più niente.
- Perdonami.
Il biondo sbuffò. – Dammi solo un buon motivo per farlo.
- Mi manchi, Roger.
 

 
- Roger, mi spieghi che cazzo ti prende?! – sbottò Brian tornando dalla sala prove, mentre Roger si avviava verso l’Università. Non gli aveva nemmeno chiesto un passaggio come l’ultima volta. Il biondo strattonò il suo braccio quando la mano affusolata di Brian gli afferrò la spalla, continuando a camminare.
- Roger! – lo chiamò nuovamente il riccio. Il minore non si voltò nemmeno. – Devo andare all’Università.
- Non ci sei andato per due mesi, e casualmente ora devi andarci?
Il batterista si fermò, incrociando le braccia. – Perché, ora che sta succedendo?
- Succede che voglio sapere perché ti stai comportando così con me.
- Così come?
- Mi stai ignorando, Roger. Da tre giorni.
Roger sollevò le sopracciglia. – Solo perché sto vivendo a casa mia invece che fare il nomade nella tua, non significa che ti stia ignorando.
- Non mi hai parlato per tutto il tempo. Hai riso e scherzato con Freddie, e quando cercavo di parlarti facevi finta di non sentirmi o parlavi a monosillabi. Capisco che tu sia arrabbiato con me, ma…
Il biondo inclinò la testa in avanti. – Ma?
Brian sospirò, avvicinandosi a lui, allargando le braccia e cercando di abbracciarlo. Ma quando era a pochi centimetri da lui, il più piccolo indietreggiò. – Non ho bisogno della tua pietà.
- Non è pietà. Voglio solo… Provare a chiederti scusa. Davvero, ci sto provando in tutti i modi.
- Le tue scuse mi permetteranno di non provare più sentimenti per te?
Il riccio deglutì. Continuò a guardare gli occhi blu di Roger, che in quel momento erano colmi di delusione e amarezza. Non riuscì a rispondere.
- Non voglio perderti.
- Assumiti le tue responsabilità.
- Rog, ti prego. Non posso… Io non posso vivere con l’ansia di averti perso.
Il biondo scosse la testa. – Stammi bene.
Si girò, dandogli le spalle e coprendosi il viso con la sciarpa, iniziando a camminare.
Brian lo guardò, inseguendolo e prendendolo per il polso.
Non riuscì a dire nulla, che Roger si voltò di scatto, il viso contratto in una maschera di rabbia, le labbra serrate e gli occhi azzurri accesi di ira.
Gli sferrò un pugno dritto sul viso, colpendogli il naso e lo zigomo, facendolo indietreggiare, dolorante.
Il chitarrista sollevò la testa, fissandolo con occhi increduli mentre sentiva il sangue scendere copioso dalla narice. Avrebbe giurato che, per una di quelle rare volte in cui lo faceva, Roger stesse piangendo.
- Non mi toccare. – disse il biondo, con la voce tinta di rancore. – Non osare toccarmi mai più.
 

“Mi manchi”.
Roger aveva le labbra schiuse e gli occhi blu increduli. Dopo anni in cui a malapena si erano scambiati un “come stai?”, Brian gli aveva detto che gli mancava. E cazzo, se mancava anche a lui. Poi respirò profondamente. Scosse la testa. – Non ho bisogno di sentire stronzate. Parla chiaro. Dimmi che cazzo vuoi e finiamola qua.
Brian sospirò. Stava perdendo la pazienza. – Quante volte, Roger? Quante volte ancora dovrò ripeterti che mi dispiace, e che mi sento moralmente in colpa? Sono un bugiardo, un egoista, un codardo. Ma tu… - si fermò per prendere fiato. – Tu sarai sempre importante per me. E credo che… Che non riuscirò mai a dimenticarti. Non riuscirò mai a passare sopra a questa cosa che mi sta attanagliando da anni.
Il biondo strinse le labbra, facendo un respiro profondo. Il cuore gli stava battendo forte per le parole del ragazzo, ma non aveva voglia di farsi vedere vulnerabile. Lo guardò, dritto negli occhi. – Io voglio solo proteggermi.
- Da cosa, Roger? Da che cosa?
Il ventiquattrenne si morse la lingua. – Non voglio soffrire ancora.
Brian lo guardò. Sentì il cuore stringersi nel vedere quegli occhi blu così grandi e fragili. Deglutì, e scosse la testa. – Io non ti farò soffrire.
- E questo chi cazzo me lo garantisce?
Il riccio sorrise.
“Buttati, Brian. Non aver paura di cadere.” Questo gli aveva detto, Freddie. E Brian iniziò a pensare che non poteva avere più ragione di così. E quindi si avvicinò al biondo, si buttò.
Gli spostò una ciocca di capelli biondi dietro all’orecchio, mentre Roger lo guardava con gli occhi blu spalancati. – Che stai facen…
Gli appoggiò una mano dietro alla testa, attirandolo sulle sue labbra. E le sentì vivide contro le sue. Morbide, sottili. Non era come l’ultima volta. Riuscì a capire cosa gli stesse succedendo, e si chiese perché cazzo non lo avesse fatto prima.
Roger sentì una scossa partire dal petto e arrivargli allo stomaco. Non realizzò subito, non seppe cosa fare, per un momento. Era arrabbiato, da morire, avrebbe voluto insultarlo, ma la sensazione delle labbra del ragazzo sulle sue gli fece girare la testa e battere forte il cuore. La rabbia si sciolse e fece spazio alla soddisfazione e al piacere. Questa volta lo stava baciando sul serio. Non per colpa dell’alcool ma perché, evidentemente, voleva farlo. Le sue labbra non erano esattamente come le ricordava.
Erano più umide e più soffici e l’odore di alcool non c’era, questa volta. Schiuse la bocca, mentre lasciava che la timida lingua di Brian accarezzasse la sua. Le fecero giocare, danzare, unire. Si avvolsero a vicenda, mentre le mani di Brian sfioravano dolcemente il suo collo e le sue spalle.
Roger si staccò per un attimo, le guance rosse e gli occhi azzurri socchiusi. – Sei un coglione.
Il riccio fece toccare di nuovo le loro labbra, per poi allontanarsi leggermente, sentendo il fiato del ragazzo scaldargli il viso. Lo guardò e lo trovò meraviglioso. Il blu dei suoi occhi era annebbiato dal piacere, le labbra erano umide e rosse e i capelli crespi. – Tu sei bellissimo.
Il batterista deglutì. – Ti odio. - ansimò e cercò nuovamente il contatto con la bocca di Brian, che in tutta risposta scese sul suo collo, mordendolo e baciandolo. Roger rizzò la schiena respirando profondamente, mentre il contatto dei denti di Brian sulla sua pelle delicata gli inviò una scossa giù per la colonna vertebrale. I suoi pensieri erano annebbiati dall’eccitazione e dal piacere. Però, dopo tanto tempo, poteva ammettere a se stesso di aver fatto pace con ciò che lo circondava. E con il ragazzo che, in quel momento, lo aveva sollevato avvolgendo le sue gambe intorno alla sua vita, mentre lo baciava. Roger sentiva le braccia tremare e con esse circondò il collo di Brian, allontanandosi leggermente dalle sue labbra per respirare.
Sentì la schiena toccare il muro quando il riccio ce lo appoggiò dolcemente, continuando a tenerlo stretto, sostenendolo con le mani sotto alle sue gambe.
Brian sentiva che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Era come se, in quel momento, tutti i tasselli di un puzzle scombinato si stessero ricomponendo piano piano. Roger era più leggero di quanto ricordasse, e lui avrebbe voluto rimanere stretto al batterista per sempre. Finché il biondo si staccò leggermente, guardandolo e respirando velocemente. – Credo che… Uno studio di registrazione non sia il posto più adatto.
 
Brian guardò Roger chiudere gli occhi mentre il batterista si mordeva il labbro inferiore inarcando leggermente la schiena, sibilando tra i denti. Gli accarezzò una guancia, cercando di essere più delicato e dolce possibile. Non voleva fargli male, voleva che quella volta fosse migliore della precedente per lui, migliore della sua prima volta sprecata. Voleva fargli sentire tutto l’amore che percepiva, voleva fargli capire che quello che stavano facendo era amore in tutte le sue forme, non solo fisico. Lo baciò leggermente, appoggiò le labbra sulle sue come una farfalla si posa su un fiore.
- Come va? – sussurrò con tutta la dolcezza di cui disponeva, facendolo sorridere mentre apriva gli occhi, accarezzandogli i capelli ricci. Brian non si aspettava una vera e propria risposta, ma quel piccolo gesto gli fece capire che il ragazzo era a posto, stava bene. Lo baciò ancora, aumentando il ritmo delle spinte e facendogli socchiudere le labbra. Il fiato corto ne usciva in piccoli e rapidi soffi.
Roger guardò il ragazzo che era chino su di lui, accarezzandogli i capelli per poi aggrapparsi al suo collo quando lo percepì sempre di più dentro di lui. Il suo respiro aumentò mentre Brian gli stringeva dolcemente la schiena continuando a spingere. Il cuore gli batteva forte, e pian piano il dolore si trasformò in dolce e passionevole piacere che gli fece chiudere gli occhi. Ssentiva il respiro accelerato di Brian sul suo collo.
Era tutto così diverso, e la prima volta non la ricordava assolutamente così. Non aveva più fatto nulla con nessuno, dopo quella sera. Non era stata una bella sensazione. La ricordava dolorosa e aggressiva, violenta e priva di qualsiasi tipo di tenerezza. Invece Brian lo stava facendo sentire a casa, in pace.
Lo faceva sentire amato e accolto, la dolcezza con cui lo accarezzava gli scaldava il cuore e le guance, e mai si sarebbe aspettato di sentirsi così.
Di solito, Roger non amava quel tipo di attenzioni. Gli sembravano troppo sdolcinate e, a volte, forzate. E invece, in quel momento, la delicatezza di Brian era così semplice e naturale che lo fece sentire in paradiso.
Aveva desiderato quella situazione per anni.
Lentamente sentì il ragazzo uscire dal suo corpo guardandolo ansimante, gli occhi lucidi e i ricci increspati. Brian gli sorrise dolcemente, mentre il batterista riprendeva fiato accarezzandogli una guancia.
Il chitarrista sfiorò i capelli di Roger, giocando con le sue ciocche bionde sorridendogli e baciandolo, piano, mentre vedeva il ragazzo rilassarsi sotto al suo tocco respirando sempre più piano, regolarizzando la frequenza dei movimenti veloci del suo petto.
Si sdraiò al suo fianco, non smettendo di guardarlo nemmeno per un secondo. Osservò i suoi grandi occhi blu lucidi, le sue labbra arrossate e i suoi biondi e lunghi capelli che gli incorniciavano il viso facendolo assomigliare a qualcosa di molto simile alla perfezione. Gli baciò la fronte, accarezzandogli una guancia ancora vermiglia e delicata, sentendola calda sotto al suo tocco.
Vide Roger ridere, e il cuore ebbe un piccolo sussulto. – Non sei male come pensavo.
Brian scosse la testa, continuando a sorridere. – Ma smettila. – lo baciò ancora, passando una mano sulla sua schiena con delicatezza. Lo guardò. – Mi sei mancato.
Roger ridacchiò. – Non puoi proprio stare zitto e goderti i momenti, eh?
Il riccio spalancò gli occhi, incredulo. – Ma se hai iniziato tu.
Il batterista lo baciò, sorridendo. – Mi sei mancato anche tu.
- Com’è andata?
Roger gli accarezzò i capelli ricci.
- Magnificamente.
 
 

Lisbeth’s notes.

Ciao a tutti!
Ritorno con i miei angolini per spiegarvi un po’ di cosette riguardo al capitolo: sì, avete capito bene, sono andata avanti non di uno, non di due, non di tre, bensì di quasi quattro anni. Posso giurarvi che dei motivi ci sono.
Innanzitutto, volevo assolutamente inserire il nostro povero e poco considerato Deacy nella fanfiction, perché, diciamocelo, c’era proprio bisogno di uno come lui che portasse ordine ed equilibrio tra questi tre uragani che sono Freddie, Roger e Brian (anche se il mio sogno è quello che il nostro caro Mercury dia consigli anche a me).
Inoltre, volevo sfruttare l’occasione per inserire un po’ di carriera e storia musicale dei Queen, altrimenti la storia non avrebbe avuto senso. E dato che del loro percorso musicale The March of The Black Queen è il mio capolavoro preferito, al secondo posto sorpassata solo da Somebody To Love, era mio desiderio ardente e impellente canticchiarmela nella testa immaginando i falsetti di Roger in studio mentre scrivevo.
Il terzo punto, riguarda il fatto che, per non annoiare nessuno, ho voluto velocizzare un po’ il corso degli eventi, ma tranquilli, tutto ciò che è successo in questi quattro anni sarà raccontato attraverso i soliti flashback.
Spero di non aver turbato nessuno con questa mia scelta, perché davvero prima di farla ci ho pensato davvero, davvero tanto.
E’ stata inoltre la prima volta, in tutta la mia vita, che ho scritto qualcosa come la parte finale della storia, quindi non so come possa essere venuta, ma spero bene, sinceramente!
Fatemelo sapere, magari, in una recensione. Sarò felice di leggervi!
With love,
- Lis.
   
 
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