LA CASA SULLA
COLLINA
Sono in questa
cazzo di casa su questa collina da tre fottuti
giorni. Non riesco a dormire e sto iniziando a sragionare. Sono uno
scrittore,
un grande scrittore. Ho alle mie spalle libri, premi e tante altre
cazzate.
Scrivo di demoni, spiriti e creature sovrannaturali. Ma non credo a
tutto
ciò. Non
ci credevo neanche a sei anni. Sono
arrogante, nervoso e scorbutico. E non piaccio alla gente. Ma la cosa
è
reciproca. Però come scrittore sono dannatamente bravo.
Il problema
è che Ennio, il mio agente, mi ha dato una data
per dargli la prima stesura del nuovo romanzo e io, che non scrivo da
tre mesi,
mi sono rifugiato in questa casa economica e sperduta in questo posto
dimenticato da Dio per poter scrivere in santa pace.
Diventerò
pazzo.
Invece qui
succedono cose strane. Ieri notte ho fin sentito
un bambino piangere. Giuro. Ho cercato quel dannato bambino in tutta
casa e
sono anche uscito in giardino. Niente. Ho bevuto un sacco di whisky e
non ho chiuso
occhio. Sentivo gocce di pioggia inesistenti battere sul mio capo e
rumori di
passi calzanti e insistenti, nonostante in casa non ci fosse nessuno.
Avevo
pensato ad uno scherzo, magari il mio agente voleva spronarmi un
po’. Ho
cercato registratori e nuove tecnologie in tutta casa, ma non
c’è niente.
Niente microfoni, casse nascoste, diffusori. Niente di niente. E ho
esperienza
in questo campo. Tanta.
Sto
diventando pazzo.
Mi passo le mani
fra i capelli sporchi. Non mi lavo e non mi
faccio la barba da tre giorni. Sono inquieto. Bevo un altro sorso di
liquore camminando
lungo il corridoio. Ormai sono convinto di essere impazzito.
È notte e non
faccio più caso ai rumori. Così grido. Grido
forte “Ti sei divertito?
Dannazione, basta! Chiunque tu sia! Hai vinto tu!” Ho bisogno
di dormire e di
scrivere. E sarei disposto a tutto per farlo “Hai vinto, ho
detto! Hai vinto!
Ammetto che tu esista!” lancio il bicchiere contro il muro e
lo guardo
sfracellarsi in mille pezzi.
I rumori molesti
si interrompono. In un attimo, c’è silenzio.
Dannazione, è ancora peggio. Bevo direttamente dal collo
della bottiglia e mi
dirigo nello studio. Rido. Rido perché ho vinto io. Rido
forte e mi siedo alla
scrivania. Guardo la macchina da scrivere. Niente. Ora so perfettamente
che non
ci sono più rumori intorno a me, ma sento il pianto lo
stesso. Dentro di me. Lancio
anche la bottiglia e impreco.
Sono
diventato pazzo?
“Ciao,
Lillo.” Spalanco gli occhi e mi alzo in piedi. Solo
una persona mi chiamava così…
“Carlo.” Ecco chi era. Voleva attirare la mia
attenzione. Guardo il bambino davanti a me. Ha sei anni. Li aveva
quarant’anni
fa, quando è morto. Avrei preferito incontrare il diavolo in
persona. Tutti, ma
non lui. “Cosa vuoi, Carlo?” “Voglio che
scrivi.” E sì, fosse facile. “Voglio
che scrivi di me. Di noi. La nostra storia.” Lo guardo.
Cos’ho da perdere? Mi
siedo e scrivo.
Sono pazzo.
La mattina chiamo Ennio: “L’ho finito.”