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Autore: ToscaSam    28/01/2019    1 recensioni
La solita storia di una ragazza che si iscrive all'università e incontra dei ragazzi.
Più o meno.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VIII
 
Il lunedì fu per Tullia una specie di risveglio da un incubo. Si svegliò di soprassalto, sapendo che non avrebbe passato una giornata orribile come la precedente. Aveva le lezioni, avrebbe visto i suoi amici almeno per un po'.
Paolo le aveva mandato un messaggio con una marea di cuori, scrivendole “buongiorno”. Lei non gli aveva ancora risposto.
Si vestì a casaccio, prese la borsa e fuggì verso il dipartimento. L'aria gelida di Pisa non riusciva a schiarirle i pensieri. Un turbine nero vorticava all'interno della sua testa senza darle tregua.
Pensò che durante la settimana Paolo non avrebbe avuto occasione di essere così invadente e che loro due avrebbero potuto frequentarsi come qualcuno che si è baciato da un giorno. Famiglia, nonni e nipoti potevano benissimo aspettare.
Decise di scrivergli un messaggio, in cui lo invitava a pranzo a Mensa Centrale. Gli scrisse che le aveva fatto piacere mangiare con la sua famiglia (menzogna totale) ma che non vedeva l'ora di stare un po' da sola con lui, per stare insieme, per parlare.
Lui rispose con un “ok” e nient'altro.
Tullia si diresse così a lezione di Cartografia, dove l'aspettava il suo solito posto fra Rocco, Angelo e Bruno. Si sentiva una traditrice, non sapeva come fare a dire ai suoi amici che adesso lei era fidanzata.
La lezione passò in un battibaleno e Tullia non capì niente. Quando fu il momento di andarsene, Angelo disse:
« Si va a mensa?»
« Io oggi no» rispose lei « ci vado con una persona».
Tutti e tre i suoi amici la guardarono con tanto d'occhi. Angelo molto curioso, Rocco sconvolto, Bruno con gli occhi affilati.
Pazienza, dissero. Dal Macchi però ci vediamo? Credo di si. A dopo. A dopo.
Furono molto discreti. Fecero finta di rimanere indietro, permettendole di dileguarsi e raggiungere il suo appuntamento totalmente da sola.
Paolo era già davanti la Mensa Centrale.
Tullia, però, si sentì di nuovo cadere verso il basso e nel suo petto risuonò un tonfo cupo: insieme a lui c'era anche Giulia.
Cosa diavolo ci faceva quella? Paolo non aveva capito il senso del messaggio? Non potevano mangiare da soli, loro due, una buona volta?
Giulia non mostrò segni di sconfitta e si comportò con l'insolenza di sempre.
Parlò moltissimo con Paolo e non gli dette il tempo di dedicarsi a Tullia. Blaterava dei corsi, imitava i loro professori, lo faceva ridere, si lamentava dei programmi degli esami imminenti.
Non chiese mai un'opinione a Tullia, che per tutto il pranzo fu totalmente ignorata. Vide con la coda dell'occhio i suoi amici, seduti a un tavolo molto lontano. Chissà se anche loro l'avevano vista. Quanto avrebbe voluto essere là.
Il cibo della mensa era scialbo e pian piano a Tullia passò la voglia di mangiare. Giulia la guardava di sottecchi e rideva.
Da sotto il tavolo, Tullia cercò la mano di Paolo. Lui l'afferrò, ma non fece né disse nient'altro.
Quando ebbero finito, si diressero verso il nastro a scorrimento su cui andavano lasciati i vassoi vuoti. Si misero in fila. Giulia spinse indietro Tullia per posizionarsi vicino a Paolo. Tullia era incredula.
Uscirono dalle scale di ferro. In un attimo furono fuori e il pallido pomeriggio nuvoloso li accolse.
« Facciamo due passi?» chiese Paolo rivolto a Tullia.
Lei si rischiarò e gli prese la mano: « Si!».
Giulia la guardò con disgusto.
Passeggiarono in tre e si ritrovarono presto in Piazza dei Cavalieri. C'era un signore che vendeva i libri usati dal cassone di un apino. Tullia esclamò: « Ooh!» e si avvicinò. Spulciò a lungo i volumi. C'era un'edizione dei Canti di Leopardi del 1950. Chiese al venditore quanto costasse e quello rispose: quindici euro. Tullia guardò il proprio borsello e vide che ne aveva solo dieci. Pazienza, disse all'omino. Lui rispose che tanto sarebbe ritornato nei prossimi giorni.
Paolo e Giulia erano rimasti indietro a parlottare fra loro.
Quando Tullia riemerse dai libri, la guardarono e risero sfottenti:
« Hai finito?»
Tullia era troppo bendisposta per aver scoperto un venditore così affascinante, che la buttò sullo scherzo:
« Io son fatta così. Se ti piaceva diversa, ne avevi a prendere un'altra!».
Paolo scosse la testa, ridendo.
Si voltarono per andarsene e in quel momento, per la prima volta, Tullia notò la lapide affissa nel palazzo della biblioteca della Normale:
Qui sorgeva la torre dei Gualandi. La tragica morte del Conte Ugolino della Gherardesca le diè il titolo della fame e suscitò nel divino Alighieri lo sdegno e il canto onde il ricordo del miserando caso si eterna”.
Tullia rimase incantata. Balbettò:
« Ma … quindi … questa … questa è la torre della fame?»
Paolo e Giulia non risposero e la guardarono a occhi spalancati.
« Qui è morto il Conte Ugolino!» esclamò Tullia, sempre più emozionata. Non sapeva che fosse lì, che quella torre esistesse ancora. La scoperta inaspettata le diffuse un'aura di gioia che si ruppe subito.
« Chi è il Conte Ugolino?» chiese Paolo con un sopracciglio alzato.
Lui e Giulia si guardarono, poi scoppiarono a ridere.
Tullia aveva sempre l'aria stupita, ma adesso per la delusione.
« Il Conte Ugolino!» insistette: « quello della Divina Commedia, santo cielo … quello che mangia i figli!».
Paolo e Giulia risero ancora:
« Tullia, queste cose le sai solo te!» apostrofò Giulia, marcando il te finale con un forte accento di scherno.
« Ma non è possibile che non l'abbiate mai sentito» continuò Tullia.
Paolo le dette un buffetto sula testa, un pat pat come si fa ai cani.
« Io non ho idea di cosa tu stia parlando».
Quando uscirono da Piazza dei Cavalieri, si diressero verso una caffetteria che non era il bar Macchi. Ordinarono tutti qualcosa e, al momento di pagare, Tullia vide che Paolo aveva molti soldi nel portafoglio, tra cui figuravano diverse banconote da cinque euro. Si impermalì. Pensò che Paolo avrebbe dovuto offrirsi di pagarle il libro di Leopardi, dopotutto le mancavano solo cinque euro per raggiungere il prezzo d'acquisto. Lei l'avrebbe fatto, per lui. Forse non c'era abituato, pensò. Forse non sapeva come ci si doveva prendere cura di una fidanzata.
« Possibile che non ci siano mai i cornetti alla marmellata d'arance?» si lamentò Paolo, con le labbra molli e gli occhi sporgenti, mentre fissava l'espositore del bar.
Che cosa stupida da dire, pensò Tullia, mentre Giulia si profondeva in moine d'assenso.
La loro pausa caffè finì quando era ormai ora di ricominciare le lezioni. Tullia non fece in tempo a raggiungere i suoi amici al Macchi (per un po' aveva sperato di sottrarsi alla compagnia di Paolo e Giulia per andare da loro). Li ritrovò nell'aula del dipartimento. Le avevano tenuto il posto. Non le fecero nessuna domanda.
 
*
 
La settimana passò molto più in fretta di quanto Tullia avrebbe voluto.
I suoi amici si abituarono all'idea che lei non mangiasse più con loro e non prendesse più i caffè al Macchi. Tullia se ne doleva tantissimo.
Si doleva anche del fatto che Giulia, la compagna di università, l'amica, l'odiosa, fosse una presenza costante ai suoi pranzi con Paolo.
Perché Tullia doveva rinunciare ai suoi amici per stare con un'amica di Paolo, che tra l'altro odiava?
Perché lui non capiva che Tullia voleva pranzare da sola con lui? E lui perché non lo voleva?
Arrivata a fine settimana, sapeva che l'inevitabile sarebbe accaduto di nuovo: Paolo la invitò di nuovo alla messa e a pranzo a casa sua.
Ormai le sue coinquiline avevano saputo di quanto era accaduto fra i due e Clarissa non faceva che lanciare a Tullia frecciatine.
« Come vi siete conosciuti, voi?» le chiese Tullia una volta.
« Beh, Paolo per un po' è uscito con Ilaria, poi però sono rimasti amici. Lei viene da un paese poco distante da quello di Paolo».
Quest'informazione la lasciò del tutto indifferente. Anzi, le dette un barlume di speranza. Forse Ilaria avrebbe potuto aiutarla ad uscire da quella situazione scomoda.
Si rese subito conto che quello che stava pensando significava voler lasciare Paolo. Se ne vergognò e si decise a non parlare con Ilaria.
Arrivò il fine settimana. Il clima si faceva sempre più rigido.
Paolo passò a prenderla e si diressero di nuovo insieme verso San Leonardo.
Stavolta Paolo era in vena di parlare. Rispose alle domande di Tullia con frasi abbastanza lunghe.
« Come si chiamano i tuoi nipoti?»
« Ma come! Non te lo ricordi?»
« No»
« Gemma e Giada, le figlie di Giovanni. Roberto, Michele e Anna, i figli di Giulio»
« Quanti anni hanno i tuoi fratelli?»
« Giovanni ventinove e Giulio trentacinque»
« Ma sono giovanissimi!»
« È ovvio, no? Si sono fidanzati alla nostra età. Mamma non permette mica che si facciano vacanze insieme, che si dorma insieme, prima di sposarsi»
Tullia assunse un'espressione sorpresa e contrariata. Non aveva idea di come rispondere a un'affermazione simile. Davvero esistevano sempre persone che impedivano ai figli di dormire insieme alle fidanzate prima del matrimonio?
« Ma … perché?» Tullia non riuscì a trattenersi.
« Perché è molto credente»
« Anche tu sei molto credente?»
« Certo. Però credo anche che dormire con qualcuno non sia un crimine. In realtà anche Giulio lo credeva. Prima di sposarsi con Emma si era fidanzato con una donna divorziata. Mamma non gli ha rivolto la parola finché non si sono lasciati».
Tullia era senza parole.
Arrivarono alla villa, dove furono accolti dalla solita masnada di persone. C'erano di nuovo gli zii, i fratelli, le mogli, i figli.
A Tullia tornò a girare la testa. Tutti la trattavano come se si conoscessero da una vita.
« Per Natale sei con noi, vero?» disse la madre di Paolo, sottintendendo che non ammetteva repliche.
Tullia si ritrovò a fare i conti con molte paia di occhi ridenti che la fissavano in attesa del suo si.
« Certo che c'è!» rispose Paolo per lei.
« Bene! Così ti presentiamo anche alle mie cugine romane e allo zio Alberto. Loro non ti hanno ancora vista. Sai, noi siamo tanti. Tutti ti vogliono vedere».
Tullia sentì che la sedia sotto di lei era diventata floscia e dovette reggerla con una mano. Con l'altra, invece, si serrò la testa, perché sentiva che stava per esplodere.
La tortura si avviò alla conclusione solo verso le cinque del pomeriggio. Tullia contava le ore che la separavano da Pisa e non vedeva l'ora di dormire nel suo letto, da sola, confidando nella lunga settimana che la separava dal ripetersi di quell'inferno.
Credeva di non poter sopportare oltre quella situazione, anche perché uno dei bambini aveva continuato a chiamarla “zia” per tutto il tempo. Si sentì quasi felice, quando Paolo disse che era ora di riportarla a Pisa. Tullia riuscì persino a sorridere con calore, mentre salutava le persone; gioiva nell'allontanarsi, sorrideva perché si stava togliendo dal supplizio.
Doveva parlare con Paolo, dovevano chiarirsi. Eppure quando lo osservò, beato, al volante della sua macchina senza odore, Tullia capì che sarebbe stato come fargli sbattere la faccia contro un muro.
Paolo viveva in un mondo diverso dal suo. Erano due frequenze diverse che per puro caso si erano trovate a trasmettere sulla stessa linea.
Temette di ferirlo troppo e si trattenne. Anche questo, fu uno dei suoi grandi errori.


 

  
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