Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Carme93    31/01/2019    3 recensioni
Il diritto di sorridere dovrebbe essere riconosciuto a ogni bambino, ma spesso gli adulti se ne dimenticano; così talvolta tocca ai bambini stessi regalare un sorriso ai propri coetanei.
Ed è quello che farà Albus Potter con il suo amico Eddie.
Anche lontani dalle mure di Hogwarts, i Potter non dimenticano l'importanza dell'amicizia.
N.B. Questa storia si è classificata prima al contest “Nuovo anno, buoni propositi” indetto da MrMoony-94 sul forum di Efp.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa storia si è classificata prima al contest “Nuovo anno, buoni propositi” indetto da MrMoony-94 sul forum di Efp.
 


Prendi un sorriso, regalalo a chi non l’ha mai avuto (Mahatma Gandhi)
 
 

«Ehi, Al, hai comprato il regalo per Jade?».
«Sì, certo. Sono sicuro che le piacerà» replicò il ragazzino allacciandosi le scarpe. Avevano appena terminato la lezione di ginnastica e si stavano cambiando per tornare in classe. «Voi avete preso i vostri?». Lo Scambio dei Doni era ormai una tradizione nella piccola scuola elementare di Godric’s Hollow: ogni bambino, l’ultimo giorno di scuola, doveva portare un regalo per un compagno scelto a sorte dalla maestra.
«Sì, sì. Non potevo non prendere il regalo a Clarisse» sospirò Jacob Dearbs con un sorriso ebete stampato in volto.
Albus ridacchiò pensando a quanto il compagno si comportasse in modo sciocco in presenza di Clarisse Sullivan, la bambina più graziosa della classe.
«Io no» dichiarò invece Charlie Banks.
«Come no? Abbiamo tempo fino a domani» commentò Albus sorpreso, mentre si alzava e recuperava la giacca blu della tuta.
«Non ho intenzione di spendere soldi per lui. È sempre così scontroso. E poi con quella faccia…» disse Charlie.
Jacob e Charlie risero stupidamente.
«Infatti dovremmo regalargli un viso nuovo» rincarò il secondo.
«Andiamo? La maestra ci aveva dato dieci minuti» intervenne Maximillian, basso e occhialuto.
«Ma scusa, tu sei d’accordo?» sbottò Albus. «È terribile, sarà l’unico senza regalo!».
Maximillian apparve a disagio. «Ma è sempre cattivo con noi, Al. La settimana scorsa mi ha rotto gli occhiali apposta ed è stato sospeso. Mia mamma mi ha detto di lasciarlo perdere».
Albus non poteva negare le sue parole: Eddie Paulson aveva dato fastidio più volte anche a lui da quando era arrivato all’inizio dell’anno scolastico e non erano solo i compagni e la maestra a lamentarsi, ma anche gli abitanti di Godric’s Hollow, perché si comportava da teppista e aveva spaccato diverse vetrine di negozi a sassate. Albus si mise in fila per due insieme agli altri e seguì la maestra, miss Andrews, fino alla loro classe, osservando di nascosto Eddie: era un ragazzino alto, il più alto della classe sicuramente, era forte e ogni tanto si vantava di avere i muscoli. Però aveva un problema, che gli altri non mancavano di deridere: il suo volto era una maschera di brufoli. E non semplici puntini rossi, no: brufoli grossi e con il pus. Disgustosi. Ma Albus non se la sentiva di prenderlo in giro: mica era colpa sua! I suoi compagni, però, non erano cattivi e se reagivano in quel modo era anche perché Eddie per primo era scortese con loro.
Eppure Albus non credeva che fosse veramente cattivo e gli dispiaceva quando lo vedeva seduto da solo, vuoi perché nessuno voleva star seduto con lui -  ed erano dispari quindi avevano anche la scusa -, vuoi perché attaccava briga con chiunque o disturbava e quindi era la maestra a farlo sedere da solo. Inoltre Eddie non sorrideva mai e questo turbava parecchio Albus.
Una gomitata lo riportò alla realtà. «Rosie» si lamentò.
«La maestra ha iniziato a spiegare» sbuffò sua cugina Rose. «E tu fissavi il vuoto».
Albus arrossì e la ringraziò. Il resto della giornata trascorse normalmente, ma erano tutti un po’ distratti a causa dell’atmosfera natalizia che oramai dominava l’intero villaggio. Era così bello passeggiare nelle stradine luminose e colorate!
«Bambini» richiamò la loro attenzione miss Andrews poco prima che suonasse la campanella, «non vi dimenticate che domani è il giorno dello Scambio dei Doni».
«Sì, miss Andrews» risposero in coro i ragazzini e Albus colse la gomitata che Jacob tirò a Charlie accennando a Eddie. Sarebbero stati veramente così cattivi?
«Sì, può sapere che hai?» sbuffò Rose mentre si avviavano verso casa. «Non ti sei messo neanche il cappuccio e si muore di freddo!».
«Ah, sì, grazie» bofonchiò il ragazzino, osservando Eddie allontanarsi.
«Beh, Paulson ti ha fatto qualcosa?» gli chiese Rose.
«Chi ti dà fastidio?» domandò Lily bellicosa.
«Nessuno» sbuffò Albus, provando a darle la mano, ma ella si rifiutò. «Ehi, mamma e papà hanno detto che mi devi dare la mano!».
«No» strillò la bambina facendogli la linguaccia.
«Lo dico alla mamma» la minacciò Albus, ma fu bellamente ignorato.
«Lascia perdere, basta che non scendano dal marciapiede… Sentito Hugo?» disse Rose rivolgendosi al fratellino.
Albus si arrese sapendo di non avere molta altra scelta e, tentando di non perdere i più piccoli di vista, raccontò alla cugina la discussione avuta con gli altri ragazzi.
Rose lo fissò e sembrò sul punto di dire qualcosa di intelligente, ma poi trillò: «Siamo arrivati al negozio di dolciumi del signor Randalls!».
«Ma dobbiamo tornare subito a casa e…» poi tacque decidendo di risparmiare il fiato.
«Al, mi presti dei soldi?» domandò Lily.
«No. Il concetto di prestito prevede la restituzione. E comunque la mamma me li ha dati per comprarmi i fumetti».
«Ti pregoooo» lo supplicò Lily. «Ti prego, ti prego, ti prego, ti prego…».
Ok, avrebbe continuato in eterno, su questo non c’erano dubbi. «Va bene, va bene» concesse tirando fuori cinque sterline. «Però prenditi solo un paio di sterline così io…». Lily gli svuotò la mano e corse dentro il negozio senza ascoltarlo. Albus sospirò e si lasciò scivolare su una panchina. Addio fumetti per quella settimana, sua mamma aveva detto chiaramente di tornare subito a casa dopo la scuola e, specialmente, di non andare a comprare dolci, perciò non avrebbe neanche potuto richiedere i soldi ai suoi. E sperò che i tre si sbrigassero perché se fosse tornata prima sua mamma a casa sarebbero stati guai. Fortunatamente Rose era dotata di spirito di conservazione e Hugo sapeva bene che non era il caso di fare arrabbiare la propria madre.
La maestra non li aveva segnato compiti visto che il giorno dopo avrebbero festeggiato, così giocarono tutto il pomeriggio, ma né in compagnia dei cugini né a cena riuscì a dimenticarsi del brutto tiro che Jacob e Charlie volevano tirare a Eddie. Ci rifletté a lungo anche dopo essere andato a letto, ma alla fine ritenne che vi fosse una sola soluzione: comprare lui il regalo, così non sarebbe rimasto senza. La maestra ogni anno si raccomandava di non spendere più di dieci sterline, perché “conta più il pensiero”. Però Albus non aveva più un centesimo, visto che le ultime sterline le aveva spese tutte Lily dal signor Randalls. Vagliò le varie possibilità e decise che l’unica era quella di chiedere direttamente ai suoi genitori. Si alzò e scese al piano di sotto da dove proveniva il ronzio sommesso della tv; infatti trovò i suoi abbracciati sul divano.
«Ehi, Al, non riesci a dormire?» lo scorse per primo suo padre, proprio mentre metteva piede in sala.
«No, devo chiedervi una cosa» ammise andando subito al punto.
«Vieni qui» gli disse la madre. «Stai prendendo freddo». Albus si lasciò avvolgere mitemente nel plaid di lana.
«Che vuoi Al?» gli chiese Harry altrettanto diretto dopo aver abbassato ancora di più il volume della televisione.
«Mi dai dieci sterline?». Avrebbe potuto comprare a Eddie quel gioco di carte che andava tanto di moda a scuola quell’anno.
«Perché?» replicò suo padre sorpreso dalla richiesta, mentre sua madre sbuffò.
«Devo comprare un regalo per lo Scambio dei Doni» rispose sinceramente il bambino.
«Non l’abbiamo acquistato la settimana scorsa?» ribatté Ginny.
«Sì, ma è per un’altra persona. Ho scoperto che chi gli deve fare il regalo, non glielo farà per dispetto».
Ginny alzò gli occhi al cielo.
«Certo, Al, eccoti le dieci sterline» disse Harry mettendo le mani in tasca. Ginny avrebbe potuto scommetterci; scosse la testa: quanto aveva impiegato suo marito a dire sì? Meno di dieci secondi?
«Ginny, tesoro, è per una buona causa» si difese Harry percependo il suo sguardo addosso.
«Sì, ma ti ho chiesto di pensarci di più prima di esaudire le richieste dei tuoi figli».
«Ma non ha mica chiesto un pacco di petardi magici!».
«Ci mancherebbe!».
Albus sapeva che avrebbero potuto continuare per ore, perciò prese la banconota e abbracciò entrambi. «Vi voglio bene».
Il giorno dopo arrivò a scuola super eccitato poiché non vedeva l’ora che arrivasse il momento dello Scambio. Rose gli aveva consigliato di aspettare ed essere sicuro che Charlie non stesse soltanto scherzando il giorno prima.
Le decorazioni nei corridoi sembravano ancora più brillanti e colorate quel giorno, dalle classi si levavano lieti canti natalizi e i bambini chiacchieravano animatamente delle vacanze e dei regali che avrebbero ricevuto da genitori e parenti.
Lo Scambio dei Doni avveniva poco prima dell’ultima campanella, in modo che avessero il tempo di scartarli e di farsi gli auguri. Quando arrivò il momento tanto atteso, Albus con un ampio sorriso consegnò il suo dono a Jade, che gli diede un bacio sulla guancia vedendo il peluche a forma di delfino che aveva scelto per lei; ricevette un puzzle da Paula Jenkins e un romanzo di Roald Dahl dalla maestra come tutti gli altri bambini. Dopo un po’ cercò Eddie con lo sguardo e vide che era seduto in disparte e aveva ricevuto soltanto il regalo di miss Andrews; dall’altra parte dell’aula Jacob e Charlie ridacchiavano. Albus recuperò il pacchetto, riposto con cura nello zaino, prese un bel respiro e gli si avvicinò.
«Questo è per te. Buon Natale».
Eddie lo fissò sorpreso e prese il regalo. «Oh» commentò dopo averlo scartato.
«Ti piace?» domandò Albus imbarazzato. «Non ti ho mai visto giocarci con gli altri e ho pensato che non le avessi».
«Infatti… ehm, grazie…» bofonchiò Eddie.
«Senti, ehm, perché non diventiamo amici? Dopo le vacanze potremmo chiedere a miss Andrews di spostare il tuo banco vicino ai nostri, sono sicuro che dirà di sì».
«Ok, va bene, amici» acconsentì l’altro.
Albus gli strinse la mano tutto contento e gli augurò nuovamente di trascorrere un buon Natale con la sua famiglia.
 
 
Come ogni anno alla Tana vi era un gran caos e Albus aveva scelto di rintanarsi in un angolo del salotto, per non rischiare di essere coinvolto negli scherzi di Fred e James e, soprattutto, non essere presente quando la madre, zia Hermione e zia Angelina li avessero beccati, insieme a Rose, a scoppiare petardi magici nel capanno degli attrezzi del nonno. L’anno prima avevano mandato a fuoco un albero, perché vi si erano nascosti dietro per non essere visti. Accoccolato sulla poltrona davanti al fuoco, sicuro che nessuno l’avrebbe disturbato perché vicino a lui erano seduti il padre, il nonno e gli zii Bill e Percy, sfogliò per la milionesima volta il libro che la zia Hermione gli aveva regalato per Natale: un’edizione limitata de Le fiabe di Beda il Bardo con il commento del professor Silente e i disegni realizzati da un noto disegnatore austriaco. Bellissimo.
L’atmosfera di pace e tranquillità fu rovinata dalle urla di sua madre e della zia. Come volevasi dimostrare.
«Tuo figlio stava per dare fuoco al capanno!» gridò Ginny furiosa, entrando nel salotto e puntando un dito contro il marito.
Harry balbettò per la sorpresa, poi tentò di darsi un contegno: «Ginny, cara, lo dici sempre tu che dobbiamo darci il cambio nella sorveglianza dei bambini e io sto controllando Al in questo momento. Vedi, è qui e non ha incendiato nessun capanno». Si voltò verso di lui e con un sorriso tra il forzato e il supplichevole aggiunse: «Vero Al?».
Il ragazzino lo fissò scioccato per essere stato messo in mezzo a una situazione che aveva provato in ogni modo a evitare. Sua mamma non gli diede modo di replicare perché prese il papà per l’orecchio e sibilò: «Ora, tu, George e Ron rimettete tutto apposto. Prima di mezzanotte».
«Assolutamente sì, amore mio».
Al non invidiò per nulla il padre che fu trascinato in giardino sotto la neve. Per qualche secondo s’illuse di poter mettersi a leggere serenamente, ma i tre ‘piromani’ erano stati trascinati dentro da una furiosa zia Hermione che provvide a rimproverarli a voce tanto alta che ogni altra conversazione nella stanza fu tacitata. La zia arrabbiata non era un bello spettacolo e nessuno osò fiatare, neanche gli altri adulti.
«Insomma, sta cominciando un nuovo anno» sospirò nonno Arthur, quando Hermione si allontanò per controllare che il marito e i cognati stessero filando dritto - come se in presenza di Ginny Potter e Angelina Weasley avrebbero potuto fare diversamente -, «e voi non ci provate neanche a essere più buoni?».
«Mica è Natale, nonno. È l’ultimo dell’anno» replicò Freddie, con ormai dodici anni di pasticci e guai alle spalle, perciò imperturbabile alle sfuriate della zia Hermione.
«Proprio perché è l’ultimo dell’anno, dovreste fermarvi a riflettere su come vi siete comportati fino adesso, se avete raggiunto i vostri obiettivi, se avete fatto qualcosa di bello…».
«È rientrato papà. Dai venite, vediamo se ci fa scoppiare qualche Fuoco d’Artificio Tiri Vispi Weasley» strillò Fred ignorando palesemente il nonno, che sbuffò irritato, e corse dal genitore insieme a James e Rose.
«È come parlare con il muro» sbottò nonno Arthur. «I vostri genitori facevano almeno finta di essere interessati!».
«Io sono interessato» disse Al raggiungendolo. Quel discorso l'aveva incuriosito. «E come facciamo a sapere se siamo stati bravi o no?».
«Questo lo sa solo la tua coscienza» replicò il nonno. «Devi rifletterci bene. Puoi scegliere anche un proposito per il nuovo anno. Per esempio fare sempre i compiti o non fare arrabbiare la mamma. Devi provarci e dare il meglio di te».
Albus rimase in silenzio per un po’.
«Arthur, vieni a prendere la bottiglia per lo stappo. È quasi mezzanotte» lo chiamò nonna Molly.
A mezzanotte il piccolo salotto affollato fu un tripudio di auguri e brindisi, ma a quel punto Al aveva già deciso quale sarebbe stato il suo proposito per il nuovo anno. Vide i genitori baciarsi, dimentichi della precedente discussione, e quando la madre, cogliendo il suo sguardo, gli fece cenno di avvicinarsi le obbedì con un gran sorriso e diede un bacio a entrambi augurando loro buon anno. La mamma lo stritolò in un abbracciò e altrettanto fece subito dopo il padre. Sballottato da un parente all’altro, il bambino a un certo punto si ritrovò tra le braccia del nonno e ne approfittò per sussurrargli all’orecchio: «Aiuterò il mio nuovo amico Eddie! È questo il mio proposito per il nuovo anno».
 
Albus per il resto delle vacanze natalizie non aveva fatto altro che scervellarsi sul modo migliore di rendere felice Eddie: non era possibile che un bambino di dieci anni non sorridesse! Un’idea si era inesorabilmente insinuata nella sua mente: far sparire i brufoli. Una parte di lui era convinta che fosse quello il problema che tanto rattristava l’amico. Il punto era che non sapeva come muoversi perché gli sembrava strano che i genitori di Eddie non avessero tentato nulla fino a quel momento. Esistevano dei prodotti babbani abbastanza potenti? Tentò di trovare delle risposte chiedendo ai genitori della zia Hermione, quando andarono a Godric’s Hollow poco prima della fine delle vacanze, ma gli spiegarono che i metodi babbani spesso erano più lenti delle loro pozioni.
La mattina del sette gennaio Eddie si avvicinò a lui e Rose nel cortile della scuola con aria leggermente intimidita.
«Ciao».
«Ciao!» disse Albus allegramente. Aveva avuto paura di doverlo convincere a sedere con loro, invece era stato Eddie a fare il primo passo.
Rose salutò senza grande convinzione, poiché non si fidava del compagno.
Albus, invece, era molto speranzoso.
Da quel giorno Eddie sedette vicino a loro, sebbene gli altri compagni non ne furono molto felici e giocò con lui durante l’intervallo. Gli altri bambini continuavano a non volerlo e, per ripicca, Al litigò con loro e decise di non giocarci più, ignorando le lamentele di Rose.
Eppure Eddie continuava a non sorridere, sebbene fosse lui stesso a cercarlo la mattina in cortile prima dell’inizio delle lezioni e il pomeriggio per andare al parco.
Dopo qualche settimana, Albus decise di porgli qualche domanda. «Non hai mai usato qualcosa per far sparire i brufoli?».
Eddie si mise subito sulla difensiva e rispose bruscamente: «Per esempio?».
«Non lo so» rispose Albus, temendo di averlo offeso. «Esistono delle creme, credo» soggiunse ripensando a quanto gli avevano detto i signori Granger.
Ora lo sguardo dell’amico era diventato sospettoso. «Dici?».
«Sì, i tuoi genitori non…».
«Lascia stare i miei» lo interruppe di nuovo brusco. «E dove posso trovare queste creme?».
Albus si strinse nelle spalle. «Penso nella farmacia della signora Baker».
«Andiamo a vedere dopo la scuola?».
Dopo un attimo di titubanza, Albus assentì. Nel pomeriggio disse a Rose, Lily e Hugo che sarebbe tornato dopo a casa e si avviò con Eddie dalla parte opposta.
La signora Baker era ormai avanti con l’età, ma arzilla e molto cortese e nella gestione del negozio l’affiancava la figlia più grande, Juliet. Quando arrivarono i due bambini la signora Baker era impegnata a servire alcuni clienti, allora si rivolsero alla ragazza.
«Quell’acne è molto brutta» commentò, però, la ragazza scrutando criticamente Eddie, che s’incupì: odiava qualunque commento sul suo volto.
«Ma ci sono delle creme, vero?» chiese Albus perché ella desistesse dall’indagare oltre.
«Certo, sono in quello scaffale in fondo». Albus trionfante prese Eddie per un braccio e fece per condurlo verso l’espositore, ma Juliet li fermò: «Non vi venderò nulla senza l’approvazione di un medico».
«Ma perché?» si lamentò Albus.
In quel momento entrarono un paio di signori e Juliet andò a servirli, così i due bambini si avvicinarono da soli all’espositore.
«Gli adulti sono tutti stupidi» sbottò Eddie.
«Sicuramente c’è un motivo, Juliet è sempre gentile» mormorò Albus deluso. «Aspettiamo, sono sicuro che ci spiegherà come fare. Vedrai troveremo una soluzione».
«No» lo tacitò Eddie, osservando le varie medicine esposte.
«Come no? Fidati, sono sicuro che il tuo problema si può risolvere!» insisté Albus.
«Oh, sì. Ora ne sono sicuro anch’io» ribatté Eddie a sorpresa. «Mio padre e mia madre, però, non se ne sono mai curati. Passeranno» sibilò. «Solo questo hanno saputo dirmi e poi sono tornati a occuparsi degli affari loro».
Albus tacque non avendo idea di come replicare: i suoi genitori erano spesso presi dal lavoro – specialmente il padre in qualità di Capitano degli Auror aveva una responsabilità enorme -, ma non mancavano di ascoltarli e, quando proprio non ce la facevano, c’era un elenco infinito di zii e cugini più grandi a cui chiedere, per non dire dei nonni che erano sempre al primo posto per qualunque cosa.
«Prendo questo» decise Eddie a un certo punto.
«Ma hai sentito Juliet, non possiamo prenderlo e poi hai visto il prezzo? Hai preso il più costoso» replicò Albus perplesso.
«Se costa di più, è sicuramente ottimo» commentò Eddie. «E non m’interessa che cosa ne pensa quella».
«Torni con i tuoi?».
Eddie gli rivolse un’occhiataccia.
«Ragazzi, come vi stavo dicendo…» cominciò Juliet raggiungendoli, ma si bloccò di colpo. «Ehi!» disse indignata.
Albus rimase a bocca aperta vedendo l’amico intascare il pacchetto e correre via. Aveva rubato! Ma era impazzito?
«Allora?». La signora Baker, sopraggiunta, lo fissava con le mani sui fianchi, in un’imitazione terribilmente simile a quella della nonna Molly e della mamma.
Il ragazzino aprì la bocca, ma la richiuse completamente senza parole.
«È scappato» comunicò irritata Juliet tornando da loro. «Ma lo so chi è! È quel ragazzino nuovo che ha spaccato la vetrina del signor Randalls a ottobre».
«Non pensavo che ti accompagnassi a simili soggetti» esclamò la signora Baker rivolta ad Albus in tono di rimprovero.
«Posso pagare» sussurrò il bambino con un groppo in gola.
«Meglio così» ribatté arrabbiata Juliet. «Sono venti sterline o lo denuncio».
Albus appoggiò lo zaino a terra e cercò il portafoglio nella tasca interna, ma, nonostante le sue preghiere, le sei sterline che aveva al mattino non si erano moltiplicate per miracolo, meno che mai per magia.
«Ho solo queste» mormorò con il viso in fiamme per la vergogna. «Ma… entro domani vi porto le altre… quattordici…» soggiunse dopo un rapido calcolo a mente. «Per favore, non denunciateci».
«Conosco i tuoi genitori» dichiarò la signora Baker, tacitando con un gesto la figlia. «Non avevo intenzione di denunciare te, comunque hai tempo fino a domani mattina, dopodiché racconterò ai tuoi genitori quello che è successo. Non è bene che frequenti certe compagnie».
Quella sera Albus fu molto più silenzioso del solito a casa, incerto su come comportarsi: aveva pensato di chiedere i soldi in prestito a Rose e Hugo, ma non lo aveva ancora fatto. Avrebbe potuto alzarsi e chiamare Rose, sicuramente avrebbe destato un milione di sospetti ma avrebbe potuto tacitarli grazie al fatto che loro due erano molto amici e quindi si interpellavano per ogni cosa. Inoltre i suoi non frequentavano la farmacia babbana, visto che solitamente usavano rimedi magici, ma questa non era una certezza visto che abitavano nello stesso quartiere della signora Baker e, come ella stessa aveva sottolineato, conosceva i suoi e non mancava di scambiare quattro chiacchiere con loro o con i suoi zii.
Accese la lampadina sul comodino e con un sospirò lamentoso si alzò. Non comprendeva proprio perché Eddie dovesse comportarsi in quel modo. Per un attimo aveva creduto che avesse solo bisogno di un amico per cambiare, ma quel pomeriggio aveva dimostrato di essere proprio come lo descrivevano gli altri compagni. Non aveva raccontato nulla nemmeno a Rose che sicuramente non ne sarebbe stata sorpresa. Invece egli era deluso. Il nonno aveva detto che bisognava impegnarsi molto per portare a termine i buoni propositi. Provarci e riprovarci. Ma non aveva pensato che sarebbe stato così difficile.
In corridoio tirò un lieve sospiro di sollievo: dalla porta dello studio del padre fuoriusciva un fascio di luce, questo stava a indicare che il padre stava ancora lavorando, il che significava che avrebbe potuto parlare da solo con lui.
«Ciao» mormorò Albus, scivolando all’interno. Harry alzò gli occhi, arrossati per la stanchezza, dalle pergamene che stava leggendo. Il bambino, però, non gli diede tempo e, scoppiando in lacrime, si gettò tra le sue braccia raccontandogli quello che era accaduto.
 
Il mattino dopo Albus era ancora di cattivo umore quando fu raggiunto da Eddie che contro ogni previsione era furioso.
«Guarda che mi ha fatto quella roba!» gridò.
Albus lo fissò notando una chiazza rossastra sulla sua guancia.
«Che cavolo hai combinato?» sbottò Rose, fissandolo disgustata.
«Sta zitta tu» replicò l’altro.
«Non sapevo che avrebbe fatto quest’effetto» si giustificò allarmato Albus, mentre la rabbia cominciava a impadronirsi di lui senza che se ne rendesse conto.
«Beh, quelle me la pagheranno» dichiarò. «Vieni con me».
«Cosa?» replicò Albus basito.
«Te lo avevo detto» sbottò Rose, rifilandogli quelle tre parole che il giorno prima si era evitato di sentirsi rivolgere tenendola all’oscuro dell’intera vicenda.
«Non è colpa loro» sibilò allora Albus, punto sul vivo. «Se solo non fossi scappato in quel modo, Juliet ti avrebbe spiegato che cosa fare!». Ora la sua voce si stava alzando e stavano attirando l’attenzione degli altri bambini. Era furioso, quella mattina si era sentito molto umiliato quando aveva portato gli altri soldi alla signora Baker insieme al padre.
Albus ed Eddie si fissarono in cagnesco senza proferir parola. Il suono della campanella fece sobbalzare i bambini, che si affrettarono a entrare.
«Dai Al, lascialo perdere» lo sollecitò Rose prendendolo per mano e tirandolo.
Albus diede un’ultima occhiata affranta a Eddie e si lasciò condurre via.
Il ragazzino si mantenne di cattivo umore per il resto della settimana e anche nel week end non si unì ai giochi dei cugini alla Tana. La domenica dopo pranzo, raggiunse lo zio George, proprietario del più grande negozio di scherzi magici della Gran Bretagna e fornitore ufficiale di nipoti e figli, e gli chiese di parlargli.
«Non ho idea del perché di questo ‘colloquio’» esordì George virgolettando con le mani l’ultima parola, «ma hai decisamente molto da imparare dai tuoi fratelli».
«Perché che ho fatto?» chiese il ragazzino perplesso.
«Mi hai chiesto di parlarmi in privato davanti a tutti!» ribatté lo zio. «Suvvia, non hai colto le occhiate degli altri? Tua madre e tua nonna mi hanno incenerito!».
«Oh, io… scusa… te l’ho chiesto proprio per non farmi sentire da loro…».
«Avresti dovuto attirare la mia attenzione in modo più furbo» replicò George, per poi sorridere e scompigliargli i capelli. «Pazienza, imparerai. Dopotutto per diventare un fuorilegge ci vuole tempo ed esperienza».
«Non voglio diventare un fuorilegge» si affrettò a contraddirlo Albus.
«Ah, no? E cosa volevi chiedermi da non voler rischiare che i tuoi… o meglio, mia sorella, sentisse?».
Albus abbassò il capo, conscio che lo zio non lo stesse rimproverando, ma l’allusione alla madre era abbastanza chiara.
«Io non… Ho bisogno solo di una cosa, ma…».
«Lo so» lo sorprese lo zio. «Harry mi ha raccontato dell’amico che ti ha messo nei guai in quel negozio babbano. Hai già qualche idea per vendicarti? Personalmente sarei felicissimo di aiutarti».
«No, no» negò di getto. «Non voglio vendicarmi. Voglio solo il tuo Annullaforuncoli Garantito Dieci Secondi. Per favore, sono completamente al verde».
«Al lo sai che non mi faccio pagare dai miei nipoti».
«Ma Rose mi ha detto che quell’inchiostro magico che usa per prendere in giro zia Hermione, zio Ron l’ha pagato parecchi galeoni e l’ha preso da te».
George ghignò. «Non posso non far pagare Ron, potrebbe offendersi». Albus ridacchiò. «È un peccato, però. Pensavo che finalmente avessi deciso di unirti ai Magici Malfattori» sospirò in tono melodrammatico George.
«Mi dispiace deluderti» mormorò Albus, chiedendosi che problemi avesse a farsi un milione di scrupoli e a rispettare sempre le regole.
Lo zio ridacchiò. «Oh, non scusarti. Qualcuno con la testa sulle spalle serve sempre». Gli strizzò l’occhio e gli sorrise. «Entro stasera ti farò avere l’Annullaforuncoli».
«Grazie».
Una volta tornati nel salone, sua mamma gli chiese senza mezzi termini che cosa avesse in testa, ma Albus eluse la domanda e corse fuori dai cugini. Si rifiutò di raccontare alcunché anche tornati a casa e ignorò le minacce materne. Il giorno dopo, con il cuore in gola, appena arrivato a scuola, individuò Eddie e lo raggiunse. Non si parlavano da giorni ormai.
«Tieni, questo funziona, fidati». L’altro bambino lo fissò sorpreso. «Ero sincero quando ti ho chiesto di diventare mio amico» mormorò Albus deluso e senza dargli il tempo di replicare tornò da Rose che lo aspettava all’ingresso.
Il giorno successivo Eddie Paulson era un altro ragazzino: tutti i brutti brufoli che li trasfiguravano il viso erano spariti. Magicamente. Quel giorno in classe non si parlò d’altro, ma Albus minimizzò la cosa quando Rose gli fece notare che era stato un gesto azzardato consegnare qualcosa di magico a un babbano. In compenso Eddie lo cercò, ma Albus si rifiutò di parlargli. Allora il ragazzino, probabilmente per dispetto, raccontò a tutta la scuola che Albus Potter gli aveva fatto scomparire i brufoli con una magia.
Nei giorni seguenti Eddie tentò ancora e ancora di avvicinarlo, ma Albus era rimasto veramente ferito dal comportamento dell’altro e non voleva farsi maltrattare ancora, ma soprattutto aveva una paura incredibile per aver violato lo Statuto di Segretezza.
Febbraio lasciò lentamente il posto a marzo e alcune prime timide giornate primaverili presero ad allietare tutti i bambini di Godric’s Hollow. Tutti tranne due. Albus era sempre di cattivo umore, dimentico del proposito espresso mesi prima, vedeva soltanto che aveva fallito totalmente: i brufoli potevano anche essere spariti dal volto di Eddie Paulson, ma quello continuava a stare sempre da solo e rispondere male a tutti. Le paure di Rose erano scemate perché nessuno dava più credito alle parole di quel ragazzino, a maggior ragione se andava in giro a dire che Albus Potter distribuiva roba magica.


«Albus, c’è un tuo amico che ti cerca».
Era un sabato pomeriggio e Albus stava finendo di fare i compiti visto che suo padre aveva promesso di portarli da qualche parte; perciò lo fissò sorpreso, vedendolo apparire sulla porta. «Chi?» domandò.
«Eddie Paulson».
Albus sgranò gli occhi. Come aveva osato andare a cercarlo a casa?
«Non voglio vederlo. Dirgli di andarsene!» esclamò con veemenza.
Suo padre si accigliò, ma annuì. Con sua sorpresa poco dopo tornò nella sua stanza e si chiuse la porta alle spalle.
«Mi spieghi che ti sta succedendo?» chiese Harry a bruciapelo.
«Non so di che parli» borbottò Albus contrariato e tornando a fissare il libro di scienze. «Devo finire qui, non mi avevi detto di fare in fretta?».
Harry sbuffò, allungò una mano e gli chiuse il libro. «Guardami, Al. Mi aspetto una risposta o non andremo da nessuna parte».
«Ma che cosa vuoi sapere?» sbottò Albus, odiando che l’avesse messo con le spalle al muro.
«Perché sei così scontroso negli ultimi tempi, perché mi hai chiesto di mandare via un ragazzino che è venuto fino a casa…».
«Era Eddie Paulson, è un ladro, dovresti saperlo» lo interruppe con rabbia.
«Può darsi, ma questo non cambia il tuo comportamento. Che cos’hai, Al? Io e mamma siamo molto preoccupati. Ci ha persino chiamati miss Andrews».
«Cosa? Perché?» ribatté Albus, la cui rabbia si sgonfiò come un palloncino. «Non ho fatto nulla».
Harry sorrise probabilmente rendendosi conto che il figlio avesse definitivamente abbassato ogni barriera. «Perché a mensa non mangi quasi niente e perché stai sempre solo, l’unica persona alla quale permetti di avvicinarsi è Rose. Mi ha detto che al ritorno dalle vacanze ti sei intestardito a stare in compagnia di Eddie a costo di essere escluso da tutti gli altri compagni, poi all’improvviso non gli hai più parlato, ma ti sei isolato sempre di più».
«Non è vero» lo contraddisse Albus mesto. «Non ho evitato gli altri, semplicemente preferisco stare un po’ solo… succede, no?».
«Sì, succede» sospirò Harry. «Mi racconti che cos’è successo tra te ed Eddie?».
Albus annuì e raccontò ogni cosa come un fiume in pena, sentendosi molto meglio. «Sei arrabbiato perché ho portato un oggetto magico a scuola e l’ho dato a Eddie?» chiese alla fine.
«Non avresti dovuto, lo sai» sospirò Harry. «Ma era qualcosa di innocuo fortunatamente e l’hai fatto per una buona causa».
Il ragazzino gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò. «Ho avuto tanta paura» sussurrò. «Ho avuto anche gli incubi pensando che sarei finito ad Azkaban».
Harry rise. «Ma come ti vengono in mente certe cose? I bambini non vengono rinchiusi ad Azkaban, figuriamoci per certe cose!».
«Ma ho violato lo Statuto di Segretezza!».
«Eh, se il Ministero l’avesse scoperto io e la mamma avremmo pagato una costosissima multa, ma di certo non saresti andato in prigione. Perché non me ne hai parlato subito? Ti saresti risparmiato un sacco di incubi e settimane a tenere il muso al mondo».
«Avevo paura che ti saresti arrabbiato tantissimo» confessò il bambino.
«No, Al, sono molto orgoglioso di tutto quello che hai provato a fare da solo per aiutare il tuo amico».
«Sul serio?».
«Sì, ma credo che tu ti sia sbagliato. Il problema principale di Eddie non erano i brufoli, ma la convinzione di non poter fare amicizia a causa del suo aspetto».
«Come fai a saperlo?».
«Poco fa quando gli ho detto che stavi studiando, è rimasto molto male. Brufoli o meno è ancora molto infelice. Se ne renderebbe conto anche tuo zio Ron».
Al sorrise leggermente: suo zio Ron aveva la fama di avere la sensibilità di un cucchiaino. «E ora?» sospirò incerto.
«Ora, lo vai a cercare, chiarite e poi, dopo che avrà chiesto il permesso ai suoi, andremo tutti insieme al cinema a Bristol. Ok?».
«Sì» saltò su Albus, ma si fermò di scatto proprio mentre stava correndo fuori dalla camera. «Non ho finito i compiti».
Harry rise. «Li farai domani».
Albus, tempo di prendere il giubbotto, era già fuori di casa. Non aveva idea di dove abitasse Eddie perché non gliel’aveva mai detto. Così vago per un po’ lungo High Street e giunse vicino al parco, ma lì c’erano anche tutti gli altri ed era impossibile trovare anche Eddie. Interrogò alcuni ragazzini che conosceva e alla fine scoprì il suo indirizzo. Non impiegò molto a trovare la villetta in una stradina secondaria, in fondo il villaggio era piccolo e ormai lo conosceva a menadito.
Eddie era fuori in giardino che prendeva a calci un vecchio pallone di cuoio.
«Ehi» lo chiamò. Quello si voltò e lo fissò stupito. «Mio padre porta me e Lily al cinema, a Bristol. Se i tuoi ti danno il permesso, puoi venire» bofonchiò imbarazzato.
«Davvero?» replicò l’altro a occhi sgranati.
«Sì» ribatté Albus. «Mi dispiace per questi giorni. Mi sono spaventato molto quando sei andato in giro a dire che ti ho dato una cosa magica».
«L’ho fatto perché speravo che, ringraziandoti pubblicamente, mi avresti perdonato per come mi sono comportato in farmacia» spiegò Eddie.
«Beh, non lo fare più. L’ho fatto perché volevo essere realmente tuo amico, non per fare bella figura con gli altri».
«Vuoi ancora essere mio amico?».
«Sì» rispose Albus sorridendogli sinceramente.
E per la prima volta da quando lo conosceva sorrise anche Eddie. «Forte» disse soltanto.
E Albus comprese come le leggi sull’uso della magia, che gli aveva elencato zia Hermione, fossero incomplete: non si possono creare il denaro e il cibo dal nulla e non si può sconfiggere la morte con la magia; ma non si può neanche far sorridere sinceramente un amico. E quel sorriso gli fece capire di aver fatto la cosa giusta.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Carme93