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Autore: The Blue Devil    02/02/2019    4 recensioni
Eccomi qua, ci son cascato pure io, in una noiosissima Candy/Terence con Albert nell'ombra... davvero?
Chi è il misterioso individuo che si aggira nei luoghi tanto cari alla nostra eroina? Qual è la sua missione? La sua VERA missione? Cosa o chi, alla fine di essa, sarà in grado di trattenerlo a Chicago? Quante domande, le risposte stanno all'interno...
Il titolo è un omaggio a tutti i ''se'' con cui si apre la storia.
dal 3° capitolo:
... Non ne ho parlato con lei, ma io sono sempre rimasto in contatto, in maniera discreta, con Terence. E non le ho neanche mai raccontato di averlo cacciato, quando lo trovai ubriaco da queste parti, anni fa. Vi chiedo di vegliare sempre su di lei, con discrezione, poiché la vedo felice, forse troppo, e non vorrei subisse un’altra delusione".
"Perché parlate così?", chiese, dubbiosa, Miss Pony.
"Non so, ho una strana sensazione, come se stesse per accadere qualcosa di molto spiacevole. E lo consiglio anche a voi: state attente e tenete gli occhi aperti".
"Così ci spaventate, Albert", osservò Suor Maria.
"Non era mia intenzione spaventarvi", asserì Albert, "Forse sono io che mi preoccupo per niente; sì, forse è così...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), Terrence Granchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buona lettura


Capitolo 33
La fine di due coppie?

"Come hai potuto? Come?".
Annie non la smetteva di piangere e, tra un singhiozzo e l’altro, continuava a ripetere quella domanda, quasi a volersi convincere che ciò che aveva appreso non fosse vero. Non poteva essere vero.
Archie, sedutole di fronte, si toccava la guancia, proprio nel punto in cui la sua fidanzata, poco prima, gli aveva stampato cinque dita.
La prima reazione della ragazza, al racconto del fidanzato, era stata divertita: aveva pensato ad uno scherzo, ma poi, capita la serietà della situazione, si era alzata di scatto e gli aveva mollato uno schiaffo, per poi ricadere sulla sedia e cominciare a singhiozzare.
Archie si accarezzava la guancia: nonostante il bruciore iniziale, mai aveva ricevuto uno schiaffo più dolce, uno schiaffo d’amore. Afferrò le mani di Annie, con le quali lei si copriva il volto, e se le portò alla bocca:
"Annie, ho sbagliato, lo so; e se non vorrai perdonarmi, lo capirò; ma…".
La ragazza si sentiva terribilmente in colpa: in fondo era anche a causa sua se era accaduto tutto quel pasticcio.
"Niente ma Archie: in fondo sono colpevole quanto te".
"No, Annie, ho fatto una cosa orribile", insistette lui, "Non so come sia potuto accadere, ma quando ti ho vista con Tom, alla festa…".
"Hai equivocato, ma ti capisco; Archie io ti amo, non avrei mai potuto tradirti, anche se…".
Archie le impedì di terminare la frase:
"No, Annie, non dire altro; ho sbagliato io a lasciarti sola; ho sbagliato io a dubitare del tuo amore; e ho sbagliato a… non riesco neanche a dirlo! Ti prometto che le cose cambieranno, io cambierò. Ho intenzione di raccontare tutto ad Albert, è giusto che lui sappia".
"Archie…", intervenne lei, ma lui non si fermò:
"Ho intenzione di finire i mei studi all’Università del Massachusetts e poi di mettermi a lavorare seriamente; ripagherò tutti i danni e voglio partecipare al piano di ristrutturazione della Casa di Pony che hanno in mente Albert ed Harrison. Inoltre non mi interesserò più dei due Legan… se non costituiranno più un pericolo per noi. Ma vorrei che tu capissi che ti amo, che ti voglio sposare, che ti chiedo perdono per averti indotta a dubitare di tutto questo".
"Oh, Archie! Ma io ti ho già perdonato! Sei tu che mi devi scusare per non essere stata forte, all’altezza nella difesa del nostro amore. Anch’io cambierò, sarò più forte d’ora in poi: ti amo, amo solo te, e ti voglio sposare… ti amo, Archie".
I due ragazzi si abbracciarono e si baciarono con passione. Almeno per quel momento si dimenticarono di tutte le tristezze e le sciocchezze che avevano commesso negli ultimi tempi.
 
Giunto dinanzi alla porta della stanza di Iriza, Harrison la spalancò senza tanti complimenti e cerimonie, in modo brusco.
"Però, questo McFly sarà pure un conte, ma a me pare che le buone maniere le abbia  dimenticate da qualche parte, venendo qui...".
Indovinando i pensieri della padrona di casa, Harrison pensò a sua volta:
"Non è più tempo di buone maniere, quella che si sta per giocare qui è una partita troppo importante".
Nonostante gli desse le spalle, Iriza aveva intuito l'identità del visitatore: non capiva il perché, ma la presenza di Harrison la percepiva e la metteva in agitazione.
"Che sei venuto a fare? Che vuoi da me? Hai portato gli agenti?".
"Gli agenti? Che significa?", chiese la signora Legan, al colmo dello stupore.
"Signora, vorrei restare solo con vostra figlia, se non vi dispiace".
"Oh! Ma è sconveniente. Non capisco... che sta accadendo?".
"Ecco, brava mamma, anch’io non capisco; non c’è niente che questo signore abbia da dirmi che tu non possa ascoltare. Per me puoi restare", sibilò Iriza.
"Vi prego, signora, accomodatevi fuori", la incalzò il ragazzo, accompagnandola fuori della stanza e chiudendole la porta in faccia.
La ragazza non si era ancora voltata; aveva il cuore in tumulto, tanto che ebbe paura di fare un infarto; era sola, sola con lui, e non riusciva a capire cosa volesse da lei. Tuttavia trovò il coraggio di aprire il discorso:
"Immagino che sarete tutti contenti di aver trovato la colpevole; ma se non sei venuto per farmi arrestare, cosa vuoi?".
Harrison, osservandola bene, notò che stava tremando. O almeno così gli parve:
"Ma smettila con questa commedia, lo so benissimo che tu non c’entri e anche gli altri lo sanno".
"E chi te lo dice?", chiese lei, che davvero non capiva.
"Me lo dicono i fatti, me lo dici tu stessa, il tuo comportamento; me lo dice quel fazzoletto dal quale non ti stacchi mai; e l'altro giorno ti è sfuggita una frase, Ho fatto una cosa orribile, mi hai detto".
"S-sì... l’incendio...", balbettò lei.
"No, non ti riferivi all’incendio, anche se, lo ammetto, per un momento l’ho pensato anch’io, per via del guanto e della tua mano... il tè bollente può essere micidiale".
"Dorothy", pensò Iriza, accarezzandosi la mano in questione.
"Ti riferivi al maglioncino per Daisy", proseguì lui, al quale non sfuggì il tremito che percorse il corpo di Iriza.
"Sì, so del maglioncino e sappi che Dorothy l’ha conservato", aggiunse.
Dopo aver udito queste parole, che l’avevano fatta trasalire, un leggero sorriso si disegnò sulle sue labbra: almeno la piccola, quell’inverno, avrebbe avuto di che proteggersi dal freddo.
"A-allora?".
"Allora ho indagato e ho scoperto chi ha appiccato l’incendio... ha confessato e mi vergogno per non averti creduta; tu mi hai detto di non averli più visti e io avrei dovuto crederti: quei maledetti guanti te li hanno presi".
"Hai indagato? Nonostante io ti avessi detto di essere la colpevole? Nonostante avessi tutte le prove contro di me? Nonostante io fossi la colpevole perfetta? Nonostante tu mi abbia preso in giro per tutto questo tempo? Perché, Harrison, perché?".
Mentre tutti questi interrogativi affollavano la sua mente, le prime lacrime cominciarono a rigarle il viso. Harrison non le poteva vedere, ma, dal movimento di una mano della ragazza, intuì che stava piangendo.
"N-non vuol dire niente... c-chi ti dice che non mi abbia fatto p-piacere?", chiese infine, con voce rotta.
"Chi me lo dice? Tu, sei tu a dirmelo. Quando hai saputo dell’incendio, quali sono stati i tuoi primi pensieri? Per chi sono stati? E non parliamo della bambina, poi... sì, ho indagato, perché avevo fiducia in te, e ce l’ho ancora: Iriza, tu non sei un mostro, lo vuoi capire? Magari lo sei stata, ma sei cambiata".
"Ah sì? E per cosa? Per chi?", gridò lei, mentre le lacrime rompevano gli argini per riversarsi copiose sulle sue gote.
Era giunto il momento ed Harrison non indugiò oltre: in un attimo l’afferrò per le spalle e la fece voltare verso di sé; poi, sempre tenendola per le spalle, disse:
"Per l’amor del Cielo Iriza! Per te, sei cambiata principalmente per te stessa".
Al contatto con Harrison un fremito, percepito anche da lui, l’aveva percorsa da capo a piedi; aveva sperato, ma quell’ultima frase le aveva tolto ogni illusione: lui non la voleva.
"Per me stessa...", disse fra sé, sconsolata.
"Sì, per te stessa", riattaccò Harrison, "Tu non sei cambiata per me o per chissà chi; non sono stato io a farti cambiare, semmai ti ho aiutata; sei cambiata perché l’hai voluto tu, ti è venuto da dentro, dall’anima, dal cuore; se tu non avessi avuto un’anima, un cuore e se non avessi voluto cambiare, né io, né nessun altro, sarebbe riuscito nell’impresa... tu non puoi aver provato piacere nell’apprendere dell’incendio alla Casa di Pony, non dopo la visita al mio orfanotrofio, non dopo Daisy... non dopo averle fatto confezionare un maglioncino! E lo sai anche tu, in fondo al tuo cuore lo sai anche tu. E io...".
"E tu, cosa? Perché, perché mi stai facendo questo? Perché mi torturi così? Smettila ti prego, lasciami in pace", proruppe Iriza, tra i singhiozzi.
"Io... io mi sono... mi sono innamorato di te!".
Iriza, che aveva tentato vanamente di divincolarsi, si paralizzò all’istante: i suoi occhi si accesero; ma fu solo per un secondo, poiché tornarono a spegnersi.
Lui si era innamorato di lei!
No, non era vero. Harrison era una persona speciale, capace di tirar fuori il meglio dalle persone... anche da lei. Le piaceva e non solo perché era carino, perché sapeva essere gentile e rude, allo stesso tempo, ma perché era speciale, aveva un grande cuore, e lei aveva imparato ad apprezzare queste qualità.
Lui si era innamorato di lei!
No, lo aveva detto apposta; essendo speciale, lui voleva salvarla certo, ma non l’amava. Harrison l’aveva frequentata per controllarla, per impedirle di fare del male; aveva capito che anche lei aveva un cuore e aveva tentato di farlo uscire alla luce del sole. C’era riuscito? A quanto pareva sì. Ma non l’amava. Essendo speciale, non avrebbe mai potuto unirsi ad un essere come lei, che era stato un mostro di cattiveria per troppi anni.
Sicuramente avrebbe continuato a frequentarla per qualche tempo, poi, una volta accertatosi di averla messa sulla giusta via, avrebbe trovato una scusa, una qualsiasi, e l’avrebbe lasciata. Sì, lui era speciale, ed è per questo che lei non sarebbe sopravvissuta a tutto ciò: una volta assaporata la felicità, è difficile ripiombare nella disperazione; una volta usciti dall‘Inferno è difficile ritornarvi senza impazzire. E Iriza stava impazzendo, tutto ciò l’avrebbe fatta impazzire. Molto meglio tagliare subito, molto meglio tornare a rintanarsi nel buio finché era in tempo. Ma chi voleva prendere in giro? Senza di lui non sarebbe più riuscita a vivere, neanche nel buio... ormai era tardi, lui era entrato nella sua testa, nel suo cuore, e non sarebbe più riuscita a scacciarlo...
"No, non è vero… mi sono illusa…", sbraitò Iriza, tornando ad agitarsi per liberarsi dalla stretta di Harrison.
In realtà non era troppo convinta di sottrarsi all’abbraccio di lui; aveva bisogno di quel contatto, aveva bisogno di sentirsi protetta.
"Ti sei illusa…", sussurrò lui, pensando:
"Questo vuol dire che anche tu provi qualcosa d’intenso per me… non ne ero sicuro".
"Sì, mi sono illusa, ma tu non hai mai…".
Non riuscì a terminare la frase: la stretta di Harrison si fece più serrata, rimanendo dolce, e le sue labbra si posarono su quelle di lei; la sua lingua non ebbe difficoltà ad aprirvisi un varco e ad avviare una frenetica danza con quella di lei, dopo averla trovata al termine di una piccola esplorazione. Harrison, che non era certo un novellino in fatto di donne, provò qualcosa di nuovo, di diverso dal solito. Quanto si era trattenuto, e come ci fosse riuscito, lo sapeva solo lui!
Quel contatto di bocche e lingue fu uno schock per lei: sgranò gli occhi e poi li chiuse, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi di lui, abbandonandosi al suo abbraccio.
"Dunque è questo che si prova a baciare un ragazzo? Un ragazzo che ti piace? È questo l’amore?".
Il bacio sulla guancia ricevuto da Daisy, che tanto l’aveva sconvolta, non era nulla in confronto a questo; le emozioni, i fremiti che le procurava erano indescrivibili. In breve, ritrovato il fiato, cominciò a ricambiare e a cercare, con la propria, la lingua di Harrison; le sue braccia si rianimarono e le sue mani si abbarbicarono al collo del ragazzo.
Aveva atteso tanto ma ne era valsa la pena: tutto intorno a lei era scomparso, tutto era diventato leggero, lei compresa – e non solo perché lui, baciandola, l’aveva sollevata da terra.
Tutto per Iriza era nuovo e meraviglioso, tanto meraviglioso da farle esclamare, in un momento di pausa:
"Stringimi Harrison, stringimi forte… e non lasciarmi più".
La disperazione che fosse tutta una finzione, che potesse perderlo sul serio, non era svanita: desiderò con tutta sé stessa che quell’abbraccio e quel bacio non finissero più. In un attimo capì cosa dovessero aver provato Candy, in tutti quegli anni di separazione da Terence – anche per colpa sua –, e Patty, alla notizia della morte di Stear. Solo Neal rimaneva un rebus.
"Non ne ho nessuna intenzione, non ci penso proprio a lasciarti", rispose Harrison, mentre le baciava il lobo di un orecchio – sussurrandole: "Ti amo Iriza, ti amo" – e il collo, facendole piegare la testa da un lato, prima di riattaccare la sua bocca.
"Anch’io ti amo, Harrison… ora non ho dubbi".
Continuando a baciarsi caddero sul letto: lei sotto, lui sopra. Iriza poté sentire il dolce peso di lui, il calore del suo corpo e la sua… eccitazione premere su di lei.
"Ora che ti ho ritrovata non ti lascerò più fuggire da me; ma non voglio forzarti, se non vuoi".
"Lo voglio… voglio essere tua...".
Continuarono a baciarsi a toccarsi, ma non andarono oltre; non potevano dimenticarsi di trovarsi nella stanza di una ragazza, con la mamma di lei, presumibilmente ancora dietro la porta, e in "ascolto".
C’erano ancora diverse cose da chiarire tra i due ragazzi; avrebbero avuto tempo e modo, in un altro momento, per dirsi tutto quello che avevano ancora da raccontarsi.
Per ora nulla avrebbe potuto guastare la loro felicità.











CONSIDERAZIONI DELL’AUTORE:

Questo capitolo è uscito dopo una grave crisi di voglia, più che ispirazione: ho già detto che è difficile rendere per iscritto, in maniera completa e soddisfacente, ciò che un autore ha nella testa. La parte su Iriza e Harrison mi è uscita così, all’improvviso, di getto e quasi senza interruzioni. Mi auguro di avervi soddisfatti.

The Blue Devil









Ringrazio tutti i lettori che vorranno imbarcarsi in quest’avventura, che neanch’io so dove ci porterà (se ci porterà da qualche parte)...
   
 
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