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Autore: Selena Rose    03/02/2019    1 recensioni
[Spin-off della storia "Il Leone e la Fenice"]
Hogwarts, secolo XIX.
Nella scuola di Magia e Stregoneria più famosa del mondo tutti sono a conoscenza dell'interesse di Nathaniel Greengrass per Lucille Nott, ma cosa succederebbe se, proprio quando Lucille sembrerebbe disposta a ricambiare i suoi sentimenti, si facesse avanti una ragazza di Corvonero dagli occhi di ghiaccio?
La storia di Nathaniel e Lucille, dal loro primo incontro da bambini alla prima volta in cui, nel bel mezzo della Sala Grande, Nathaniel urlò "Lucille tesoro!"
E' necessaria la lettura della storia principale al fine di comprendere meglio le dinamiche qui narrate.
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Lion and the Phoenix'
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Capitolo 4

Amici

Novembre 1836, Hogwarts

«Ti fa’ male lo stomaco?» chiese Nathaniel gettando un’occhiata casuale a Johnny, semidisteso nella poltrona accanto alla sua.

«Un po’. Colpa di Allam e della sua stupidità» borbottò Johnny massaggiandosi lo stomaco con fare annoiato; l’attimo dopo ruotò nuovamente il capo fingendo di controllare il tempo fuori dalle finestre ma osservando invece Cornelia Menelli, comodamente seduta su un divano fra Lucretia Paciock e, ovviamente, Lucille Nott.

«Eppure non hai avuto difficoltà col pranzo» puntualizzò Marcus prendendolo in giro e sorridendo soddisfatto a Vincent e Nathaniel.

«Ho sempre mangiato, a prescindere dai dolori allo stomaco» spiegò Johnny con voce impersonale prima che un sorriso diabolico facesse capolino sul suo volto. «Anche quando avevo la nausea».

«Che schifo!» esclamarono Vincent e Nathaniel contemporaneamente mentre la medesima espressione disgustata appariva sui loro volti così simili.

«Avete iniziato voi» ghignò Johnny, compiaciuto per quella piccola e rapida vittoria. «A proposito, non credi sia arrivata l’ora della tua lezione?»

Nathaniel si rizzò sulla poltrona con uno scatto improvviso, cercando subito Lucille con lo sguardo e maledicendosi per la propria distrazione; lei infatti era già in piedi e portava sotto il braccio il libro di Difesa contro le Arti Oscure mentre lo osservava con un’espressione dubbiosa che palesava chiaramente la mancanza di fiducia in lui e nelle sue capacità di insegnante.

Nathaniel scattò a sedere, inciampò nel piede della poltrona scatenando le risate dei suoi amici, e infine si avviò verso Lucille e Catherine, rosso di imbarazzo ma deciso a mantenere un minimo di dignità.

«Sei pronto, Greengrass?» lo salutò Lucille con voce neutra, eppure Nathaniel era certo di aver scorto un piccolo sorriso sul suo visetto, segno che la sua figuraccia non era stata poi così terribile.

Meravigliose furono invece le due ore successive, nonostante Nathaniel dovesse fare forza su stesso ogniqualvolta toccava a lui maledire Lucille; Catherine Macmillan non era stata molto d’aiuto, preferendo passare la maggior parte del tempo seduta a leggere in un angolo dell’aula, distogliendo gli occhi chiari dal libro solo per controllare cosa Nathaniel volesse far fare a Lucille.

«Ce l’ho fatta!» trillò Lucille entusiasta dopo il terzo successo consecutivo, perforando i timpani dei presenti con la sua vocetta acuta. «Catherine, sono riuscita a sconfiggere l’Imperio

La gioia di Lucille era contagiosa e per un momento Nathaniel desiderò essere lui quello che veniva abbracciato e quasi travolto dall’allegria della ragazza.

«Grazie Greengrass, sei stato molto gentile a rinunciare al tuo pomeriggio libero per me» disse Lucille una mezz’ora dopo mentre Nathaniel sigillava la porta e quasi lasciava scivolare a terra la bacchetta per la sorpresa. «Inoltre non mi hai mai costretta a fare nulla che potesse apparire sconveniente e anche di questo ti sono grata».

Nathaniel fissò gli occhi grandi e verdi di Lucille, sforzandosi di rispondere qualcosa prima che lei lo giudicasse un mentecatto. Finì con lo schermirsi come faceva sempre, borbottando confusamente sull’importanza della concentrazione e della volontà.

«Immagino che domani Lydia incontrerà minori difficoltà nell’apprendere la maledizione» osservò Lucille, intenta a sistemare le pieghe del mantello e per nulla turbata dal ritrovarsi sola con lui dopo che Catherine, stanca di aspettarli, si era diretta verso la Torre di Grifondoro. «Dopotutto i suoi voti sono più alti dei miei».

«I voti non hanno tutta questa importanza nella Difesa contro le Arti Oscure; bisogna avere una predisposizione certo, ma anche il carattere della persona e la sua risolutezza sono fondamentali» disse Nathaniel con un sorriso. «E tu hai indubbiamente più carattere di tutta Hogwarts messa insieme, Lucille tesoro».

Lucille non disse nulla e nemmeno si adirò per il modo in cui lui l’aveva apostrofata, ma si limitò a sorridere dolcemente prima di avviarsi lungo il corridoio, perché non era opportuno distanziarsi così tanto da Catherine. Nathaniel la seguì senza protestare, mascherando il nervosismo per Lydia e la loro lezione dell’indomani annuendo incessantemente alla sfilza di chiacchiere di Lucille.

*

Febbraio 1837, Hogwarts

«Greengrass!»

Il sibilo acuto di Lucille fendette l’aria con la mortale precisione di una freccia e Nathaniel sussultò proprio come se l’avessero colpito, prima di girarsi a controllare il corridoio che fino ad allora aveva creduto vuoto.

La figura minuta di Lucille sbucò da una nicchia che ospitava una grossa statua e si diresse verso di lui con la calma e la tranquillità di chi non riesce a vedere l’assurdità delle proprie azioni.

«Lucille tesoro!» esclamò Nathaniel ignorando l’occhiata di rimproverò scoccatagli dalla fanciulla, che non gradiva essere apostrofata in quel modo. «Ehm… che cosa ci facevi lì dietro?»

La domanda di Nathaniel non era affatto oziosa, non se si considerava il recente attacco a Cornelia e il suo aggressore misterioso che si aggirava per la scuola, sulla cui identità e sui cui metodi regnava l’ignoranza più assoluta.

«Ti stavo aspettando…» iniziò Lucille, subito interrotta dal sorriso dell’altro e dal torrente di parole che provò a riversarle addosso.

«Davvero? Stavi aspettando me? E come sapevi…».

«Ti stavo aspettando per parlare della situazione che si è venuta a creare fra Nelia e il tuo rozzo amico» spiegò Lucille troncando sul nascere le speranze del ragazzo e sistemando le pieghe del vestito, sgualcitosi nel passaggio dalla nicchia al corridoio. «Questo è il percorso più breve che, dall’aula di Antiche Rune, porta alla Torre di Grifondoro e ho fatto in modo che Lucretia distraesse Cornelia, così da poter parlare da soli».

«Sono sicuro che tutto si risolverà, ma dobbiamo concedere a Johnny il tempo necessario capire che quello di Cornelia è stato solo uno sbaglio».

«Ma non le rivolge la parola!» protestò Lucille con la solita vocetta acuta e sbattendo un piedino a terra per l’irritazione. «È stato Malfoy a baciare Cornelia, non capisco perché Christensen debba prendersela con lei!»

«Be’, ecco, probabilmente perché…».

«E che senso ha andare a trovarla di nascosto in Infermeria come tu stesso mi hai detto – e che non ti nasconderò mi ha inquietata parecchio – se poi non le parla e non ha intenzione di perdonarla? Così la fa’ solo soffrire di più, illudendola con delle false speranze».

Nathaniel alzò le braccia in segno di resa e sperò con tutto sé stesso che potessero indurre Lucille al silenzio, affinché lui avesse modo di pensare a una replica convincente; stranamente funzionò e Lucille si astenne anche dal mostrare segni di impazienza, guardandolo invece con qualcosa che poteva benissimo essere fiducia.

L’ultima volta che l’aveva guardato così, confusa e disposta ad accettare il suo aiuto, Nathaniel aveva finito col baciarla con la furia di un cavernicolo e col provocarle una crisi isterica, senza contare la successiva decina di giorni che gli erano occorsi per convincerla di quanto effettivamente si fosse pentito per quel gesto impulsivo.

Pensò così di arretrare di un passo, onde evitare il ripetersi di una simile scena, ma Lucille lo seguì senza rendersene conto, minando la sua stabilità mentale e costringendolo a ricordarsi della promessa che le aveva fatto ovvero di restare amici mentre lei provava a capire se c’era per loro la possibilità di diventare qualcosa di più in futuro.

«Johnny è andato in Infermeria per sincerarsi che Cornelia stesse bene, non per farle del male. Le è rimasto accanto per accertarsi che fosse al sicuro» ribatté Nathaniel con una punta di gelo, perché quel genere di accuse erano quanto di più lontano ci si potesse aspettare dal giovane danese. «In quanto al resto, è passato troppo poco tempo; ti assicuro però che Johnny non è uno sciocco e prenderà la decisione più giusta».

«È quasi San Valentino» mormorò Lucille con fare distratto, sganciando e riallacciando il bottoncino che chiudeva il guanto sinistro. «Potrebbe approfittare dell’occasione e scegliere proprio quel giorno per fare pace, non credi Greengrass?»

Ci era cascato di nuovo, sospirò Nathaniel, proprio come qualche giorno prima quando Lucille, fingendosi pensierosa a quel modo, aveva finito con l’estorcergli tutte le informazioni su Johnny e l’Infermeria che desiderava.

«Non lo so, a me non ha detto niente» precisò avendo cura di scandire per bene le parole. «Credo che lei gli manchi, ma è difficile farlo parlare di questi argomenti. Johnny non è una persona molto loquace».

«Assolutamente no» concordò subito Lucille senza farsi sfuggire l’occasione di criticare Christensen. «Quel ragazzo ha così poche qualità positive e dei modi davvero terribili».

La sua sincera disperazione fece ridere Nathaniel, che tornò ad avanzare di un passo.

«Sono certo che la penserai diversamente dopo che avrai avuto modo di conoscerlo» scherzò il ragazzo portandosi la mano di Lucille alle labbra e baciando il guanto che la fasciava. «Che ne diresti adesso di tornare nella nostra Sala Comune? In questo corridoio si gela, è pieno di spifferi».

Con le guance rosse e insolitamente silenziosa, Lucille accettò di buon grado il braccio che le veniva porto, rimuginando sul porre o meno un ulteriore quesito.

«Hai preparato molti biglietti per questo San Valentino?» chiocciò infine senza riuscire a tenere a freno la curiosità, ma imponendosi di mantenere un’espressione impassibile e neutrale.

«Solo uno, Lucille tesoro» disse Nathaniel con sicurezza. «Come ogni anno».

A quel punto, persino Lucille trovò impossibile rifiutarsi di sorridere.

*

Marzo 1837, Hogwarts

«Sono solo confuso!» esclamò Nathaniel, provando a non mostrarsi esasperato. «È così strano? Non vi siete mai sentiti a questo modo?»

Marcus sorrise cercando di mostrarsi comprensivo mentre Johnny e Vincent si limitarono a scuotere la testa con indifferenza. Era uno splendido pomeriggio di fine marzo con un cielo freddo ma limpido che sapeva già di primavera, e i quattro Grifondoro erano appena rientrati nel loro dormitorio dopo aver passato qualche ora all’aperto.

Nathaniel si era divertito e aveva scherzato con gli altri come sempre, eppure non era riuscito a dimenticare l’incontro avvenuto la settimana precedente a Hogsmeade né la discussione che aveva avuto con Lucille il giorno seguente. La donna misteriosa che aveva incontrato nella piccola farmacia del paese, e gli occhi azzurri identici ai suoi della bambina che portava in braccio, lo avevano turbato più del previsto, spingendolo a chiedersi più volte se non si trattasse della figlia di suo fratello.

Aveva parlato dei suoi sospetti solo con Johnny, preferendo non dare false speranze a Vincent e sentendo il bisogno della ferrea logica di cui il ragazzo danese era sempre provvisto. Naturalmente, dopo averci ragionato a mente fredda, anche Nathaniel si era reso conto dell’assurdità della sua teoria: nessuno aveva visto Michael negli ultimi tre anni – probabilmente perché era morto o perché aveva lasciato il Paese – perciò era impossibile che fosse rimasto nascosto a Hogsmeade trovando anche il tempo e la possibilità di metter su famiglia.

Eppure quella bambina aveva i suoi stessi occhi.

Dal modo in cui Johnny lo guardava, Nathaniel si rese conto che doveva aver intuito il corso dei suoi pensieri e la ragione del suo nervosismo, e per la prima volta in sei anni fu infastidito dalla lungimiranza del suo migliore amico.

«Perché non hai chiesto a Lydia di accompagnarti a Hogsmeade la scorsa settimana?» esordì invece Vincent, riportandolo a questioni più semplici ma non meno pressanti.

Perché sono interessato solo a Lucille: questo era quello che Nathaniel avrebbe risposto fino a un mese prima, quando Lydia non gli aveva ancora inviato il cartoncino di San Valentino e lui aveva potuto minimizzare quel supposto interesse come semplice riconoscenza per le ripetizioni di Difesa contro le Arti Oscure.

Quella però non era più la verità, perché Lydia era stata la prima ragazza a impressionarlo dopo Lucille; era bella e altera come tutti dicevano, quasi fredda nei modi sbrigativi con cui trattava la maggior parte degli studenti, eppure in lei c’era molto altro, più di quanto non si potesse intuire con una conoscenza superficiale. Lydia era intelligente e determinata, nonché più matura rispetto a molte sue coetanee, priva di gesti affettati ed elegante nella sua semplicità.

«Non voglio far soffrire nessuno, perciò non mi sbilancerò fino a quando non avrò preso una decisione» rispose infine Nathaniel crollando sul proprio letto con un sospiro stanco. «Se anche mi concentrassi su Lydia, non credo che riuscirei a dimenticare Lucille nel giro di qualche mese. Non riesco nemmeno a tollerare il pensiero di lei che si trova a suo agio con qualcun altro, non ora che le cose fra noi erano migliorate ed eravamo finalmente amici».

«L’amicizia non ti porterà molto lontano» disse Johnny suonando talmente lapidario e definitivo da far barcollare Nathaniel sull’orlo del baratro della disperazione.

«Ma Lydia ti piace, non è vero? Insomma non puoi negare che sia bella» insistette Marcus.

«Bella ma fredda» puntualizzò Vincent.

«Non mi piace quanto Lucille» spiegò Nathaniel stringendosi nelle spalle e giocherellando col bordo della coperta. «Probabilmente perché non la conosco allo stesso modo; prima di quest’anno non mi aveva mai rivolto la parola e non abbiamo mai passato del tempo insieme».

«Motivo in più per invitarla a Hogsmeade» ripeté Vincent, testardo come un mulo. «Potrebbe stupirti e tu non penseresti più a Lucille oppure capiresti che Lydia non è la ragazza giusta e lei sarebbe libera di rivolgere le sue attenzioni a qualcun altro».

Nathaniel annuì stancamente, consapevole che l’unico modo per far cessare quella conversazione consisteva nella sua resa. Marcus e Vincent si alzarono pronti per la cena, mentre Johnny finse di cercare la bacchetta e aspettò che gli altri uscissero prima di far valere la sua opinione.

«Non immaginavo che l’avrei mai detto, ma preferisco Lucille» disse con una gelida calma che per poco non provocò un brivido in Nathaniel. «Quantomeno sappiamo per certo che lei non è affiliata con quella banda di criminali né ci sono indizi che potrebbe esserlo in futuro. Magari dovresti riflettere su questa cosa, anziché preoccuparti della bellezza e di quanto approfondita sia la conoscenza dell’una e dell’altra».

«Giusto» ribatté Nathaniel con una punta di asprezza, perché l’accurata scelta di parole da parte di Johnny conteneva del vero e lo tacciava di superficialità. «Dopotutto per te la bellezza non è mai stato un fattore importante, non è così?»

«Certo che sì, infatti esco con la ragazza più bella di tutta Hogwarts che, accidentalmente, è anche intelligente e non si diverte a passare il suo tempo libero in compagnia di ladri e assassini» disse Johnny con un’ironia che fu presto smentita dal luccichio dei suoi occhi, infastidito come sempre quando qualcuno si permetteva di criticare Cornelia. «Rifletti su questo».

*

Maggio 1837, Infermeria di Hogwarts

Lucille ascoltò distrattamente le rassicurazioni di Madama Wilson, sentendosi ancora piuttosto scossa per quanto accaduto poco prima nella Foresta Proibita quando Josephine Sutherland aveva rivelato la sua vera natura e le aveva lanciato una pericolosa maledizione. Da quel poco che aveva capito, aveva rischiato di non risvegliarsi più e il tempismo col quale Greengrass e gli altri l’avevano portata in Infermeria era stato vitale.

«Ci sono svariate persone qui fuori che attendono di vederti» disse l’Infermiera dopo essersi assicurata che Lucille bevesse la decima ed ultima fiala della pozione curativa. «Per una volta mi sento di incoraggiare queste visite, perché è bene che tu non ti rimetta a dormire prima di questa notte. C’è poco da scherzare con la Maledizione del Sonno Eterno».

Lucille acconsentì con un semplice cenno del capo, avendo cura di coprirsi le spalle con lo scialle e rassettando il più possibile le coperte, perché non voleva che i suoi amici pensassero che fosse completamente incapace di badare a sé stessa – cosa che sicuramente già credevano data la facilità con la quale Josephine l’aveva battuta.

Quando Madama Wilson tirò le tende attorno al suo letto, Lucille fece in tempo a scorgere le sue amiche sul fondo della sala girarsi verso di lei, ma furono subito oscurate dalla sagoma di Nathaniel Greengrass che si precipitò al suo capezzale con una velocità tale da farle credere che fosse ricorso a un incantesimo.

«Lucille tesoro!» esclamò con gioia quando la vide, sedendosi sulla sedia posta accanto al suo letto e rischiando di rovesciarla per l’entusiasmo. «Sapevo che Madama Wilson sarebbe riuscita a farti svegliare, ma per un po’ ho temuto che fossi arrivato troppo tardi. Sia tu che Johnny siete stati feriti e io sono stato così sciocco da andare a cercarlo dalla parte opposta del castello, lasciando te e Cornelia alle prese con Josephine e…».

Nathaniel scosse il capo, apparentemente incapace di proseguire mentre Lucille si ritrovò colpita dal suo sincero rimorso e da quanto fosse amareggiato per loro. Era incredibile che si sentisse in colpa, lui che non aveva rapito Christensen né maledetto lei né minacciato Cornelia, eppure era lì a chiedere perdono per qualcosa che non aveva fatto.

«Non è stata colpa tua» rispose Lucille mettendosi un po’ più dritta. «Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare che la colpevole fosse Josephine».

Nathaniel annuì un paio di volte e tornò a sorridere, guardando Lucille con evidente affetto. Una ciocca di capelli neri gli oscurò che per un momento la fronte, e la ragazza sentì lo strano impulso di rimetterla al suo posto prima che fosse lui stesso a farlo. Contrasse la mano una volta e si affrettò a congiungerla all’altra, posandole entrambe sul proprio grembo e riacquistando rapidamente la calma.

«Ti senti meglio, vero?» chiese Nathaniel sistemando i capelli con un gesto distratto. «Non hai più sonnolenza?»

Lucille scosse la testa con fare elegante e accennò un sorriso, ma il ragazzo riprese la parola prima che lei potesse avere l’occasione di rispondere.

«Non avevo idea che esistesse una maledizione così potente e pericolosa, non finché Johnny non l’ha menzionata e ovviamente lui è più informato di me su queste cose» spiegò Nathaniel senza quasi respirare. «Volevo chiedere a Madama Wilson se ci fosse qualcosa che potessi fare nel frattempo, ma era così impegnata a destreggiarsi fra te e Johnny che non me la sono sentita di interferire, pensando che le sarei stato d’impaccio…».

«Non dovevi fare niente…» provò Lucille ma ancora una volta non riuscì a interrompere il monologo del giovane; si limitò a sospirare piano e a sfiorarsi leggermente una tempia, perdendo così il filo del discorso.

«…E sei stata geniale nel lasciare i tuoi guanti lungo il percorso senza che Josephine se ne accorgesse» blaterò Nathaniel osservandola con evidente orgoglio. «Purtroppo si sono sporcati con la terra e le foglie del bosco, e nonostante abbia provato a pulirli non ci sono riuscito molto bene. Non mi sono mai dedicato agli incantesimi domestici, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere riaverli indietro».

Nascondendo a fatica l’imbarazzo evidente, estrasse da una tasca della giacca i guanti di Lucille e li porse all’attonita ragazza, piacevolmente sorpresa da tutte quelle premure. Infatti, da quando lei e Nathaniel erano diventati amici, Lucille aveva preso a guardarlo in maniera diversa, accorgendosi pian piano che sotto la maschera del ragazzo perennemente allegro e dedito agli scherzi c’era molto di più, ovvero un giovane uomo attento ai bisogni degli altri e pieno di considerazione verso i suoi amici e la famiglia.

Ben lungi dall’essere distratto e pasticcione, Nathaniel era piuttosto una persona modesta e gentile, che non negava mai il suo aiuto e che cercava sempre di rendersi utile come poteva.

Le loro mani si sfiorarono quando lui le consegnò i guanti che fino a qualche ora prima erano stati di un bianco immacolato, e Lucille si stupì dell’improvviso entusiasmo che provò nel sentire le sue dita accostarsi alle proprie. Un vago nervosismo si diffuse in lei e assecondò d’impulso il bisogno di mettere Nathaniel alla prova, quasi a volersi accertare che i suoi sentimenti per lei non fossero cambiati durante quei mesi.

Era dal mese di febbraio che Lucille sapeva con certezza dell’interesse di Lydia Turpin per Nathaniel, e il modo deciso col quale lui l’aveva difesa al rientro dalle vacanze pasquali, arrivando addirittura a litigare col suo migliore amico, John Christensen, l’aveva persuasa a tal punto da farle credere che Nathaniel ricambiasse l’affetto per Lydia e avesse ormai dimenticato lei, Lucille, che del resto non gli aveva mai dato una risposta definitiva, contenta com’era di quell’amicizia rassicurante e per nulla vincolante.

«Dunque mi sono sbagliata sull’identità della persona che aggrediva Cornelia, tuttavia avevo ragione nel ritenere Lydia una possibile complice di quei malfattori» affermò infine Lucille con prudenza, memore dell’ultimo confronto con Nathaniel e del modo col quale aveva difeso la loro compagna di studi.

«Lydia non si è alleata con loro, Lucille» disse Nathaniel aggrottando la fronte ma senza perdere la calma. «Ha rifiutato quell’offerta e ha provato ad avvertire Cornelia».

Lucille ridusse gli occhi a due sottili fessure e strinse le labbra, trattenendo a stento la rabbia.

«Ha mentito a Christensen quando lui le ha chiesto se fosse stata avvicinata da qualcuno che faceva parte di quel gruppo, negando più volte l’evidenza…».

«Be’, Johnny non ha certo scelto il modo migliore per far sì che Lydia decidesse di confessare una cosa così pericolosa a quello che, a tutti gli effetti, è un estraneo per lei..».

«…E se avesse dato a Cornelia un nome, io non mi troverei in Infermeria adesso» sibilò Lucille, ignorando completamente quanto affermato dal ragazzo. «Greengrass, ti rendi conto che se noi avessimo saputo di Josephine saremmo riusciti a catturarla e io non sarei in fin di vita? Credevo avessi detto di essere sconvolto per quanto mi è accaduto, ma a quanto pare devo averlo immaginato mentre dormivo».

«Sono sconvolto, Lucille tesoro!» esclamò Nathaniel con un’espressione pietosa che avrebbe mosso a compassione anche una roccia e riuscendo a far sparire il broncio di Lucille e parte del suo scetticismo. «Dobbiamo però considerare le minacce che Lydia ha ricevuto riguardo la sua famiglia; se la vita dei tuoi fratelli e sorelle fosse stata in pericolo, tu avresti confessato tutto?»

Rimasero entrambi in silenzio per un po’, scambiandosi delle occhiate furtive e indecisi su come proseguire. Lucille sapeva che, trovandosi al posto di Lydia, non avrebbe fatto nulla che potesse intaccare l’incolumità della propria famiglia, eppure era convinta che bisognasse avere coraggio e dimostrare a quelle persone che non tutti erano disposti a sottostare alle loro imposizioni.

«Io sono d’accordo con te, ma non siamo tutti uguali» disse Nathaniel inaspettatamente, spingendo Lucille a chiedersi se per caso non avesse parlato ad alta voce.

«Oh, questo lo so, ma…».

«E sono davvero dispiaciuto e scosso per quello che ti è successo: ho creduto di morire quando ti ho vista stesa lì con Johnny che farneticava qualcosa sulla necessità di portarti subito in Infermeria, prima che la maledizione avesse effetto e tu non ti svegliassi più» aggiunse infine Nathaniel con trasporto, sporgendosi in avanti e stringendo la mano di Lucille che giaceva abbandonata sul copriletto.

Lucille sussultò sorpresa per quel contatto imprevisto, ma non sentì il desiderio di allontanare la propria mano da quella calda e rassicurante di Nathaniel; nonostante si fosse mostrata impavida nel confronto con Josephine, la consapevolezza di quanto fosse andata vicina a mettere a repentaglio la propria vita l’aveva spaventata, e il conforto discreto ma presente del ragazzo la aiutava a non sentirsi più così vulnerabile.

Lucille ricambiò la stretta di Nathaniel quasi senza rendersene conto, osservando poi affascinata lo stupore che prendeva posto sul suo volto e si faceva strada nei suoi occhi azzurri. Infine, come era prevedibile, il giovane mise su quel sorriso che lo faceva apparire un ebete senza speranze e che fece ridacchiare Lucille, compiaciuta per quell’effetto che ancora riusciva a produrre su di lui.

«Volevo chiederti una cosa, giacché siamo qui» esordì Nathaniel, palesemente in difficoltà, dopo essersi schiarito la voce un paio di volte. «Non parlo di oggi o domani, naturalmente avrai bisogno di tempo per riprenderti, ma magari una volta guarita…».

«Sì?»

«Ecco, magari vorresti prendere in considerazione l’idea di una piccola…» ma Lucille non seppe mai cosa Nathaniel volesse proporle – ammesso che ci fosse mai riuscito – perché la porta dell’Infermeria si spalancò con decisione per far entrare i suoi fratelli e le sue sorelle, scortati dalla professoressa Doge che doveva averli avvertiti del suo infortunio.

Quasi avesse le molle sotto ai piedi, Nathaniel scattò immediatamente a sedere e lasciò andare la mano di Lucille, seppur con evidente rimpianto.

«Cosa volevi dirmi?»

«Non ha importanza adesso» bisbigliò Nathaniel con un sorriso di scuse. «Sarà meglio che lasci il posto alla tua famiglia; saranno stati molto in pensiero per te».

Nathaniel sgattaiolò via rapidamente e nessuno dei fratelli Nott, escluso Oliver, se ne accorse, seguendolo per un lungo attimo con lo sguardo prima di dedicare la sua attenzione alla sorella, momentaneamente sommersa dagli abbracci dei più piccoli.

Nonostante affermasse di sentirsi ancora piuttosto stanca e debole, Lucille manifestò di star tornando nel pieno delle proprie forze quando la voce di John Christensen risuonò nell’Infermeria, inducendo tutti i presenti a voltarsi e a fissarlo sconcertati.

«Hai intenzione di rimanere laggiù ancora per molto?» sbottò il giovane danese facendo sussultare Nathaniel. «Sembri l’angelo della morte che aspetta che io tiri le cuoia».

Seppur contenta al pensiero che i rapporti fra Nathaniel e John tornassero a essere distesi, Lucille non poté esimersi dal commentare sfavorevolmente la maleducazione di quest’ultimo e la sua ostentazione in pubblico di modi tanto sgarbati. Quando Marcus le fece notare che non appariva poi così diversa dal solito, Lucille minacciò di torturarlo con la Maledizione Cruciatus per i prossimi due o tre mesi, con buona pace dell’educazione e di quell’ideale di signorilità al quale aspirava.

*

Estate 1837, Hogsmeade

Le ultime due settimane di giugno erano trascorse fra il ripasso delle lezioni apprese durante l’anno e lunghi pomeriggi passati nel grande parco che circondava Hogwarts a scherzare e a perdere tempo con i propri amici. Durante uno di quei pomeriggi, mentre Nathaniel si era incantato a osservare Lucille che giocava con le sue amiche nei pressi del Lago, Marcus spiegava di come suo fratello maggiore e sua cognata stessero considerando la possibilità di vivere lontano da Godric’s Hollow almeno per i primi tempi.

«Sia la mia famiglia che quella di Imelda risiedono a Godric’s Hollow e, nonostante siano sicuramente mossi da buone intenzioni, continuano ad interferire un po’ troppo nella loro vita» spiegò Marcus con un sorriso. «Un collega di Imelda le ha parlato di Hogsmeade e di come sia il posto ideale per crescervi dei bambini, soprattutto nella zona al limite sud del villaggio, dove le case sono distanziate le une dalle altre e circondate da giardini».

A quel punto l’attenzione di Nathaniel era stata attirata e, seppur a malincuore, distolse lo sguardo dalla schiena di Lucille per prestare ascolto alla conversazione.

«Ci sono delle case alla fine del villaggio dove poter crescere dei bambini?» chiese.

«I bambini possono crescere ovunque» sbadigliò Johnny sventolando una mano con fare annoiato e distendendosi sull’erba morbida.

«È una zona più tranquilla» disse Marcus scrollando appena le spalle. «Il collega di Imelda è sicuro di non conoscere con esattezza i nomi di tutti i suoi vicini proprio perché le case sono ben distanziate e ognuno bada ai propri affari».

«Non credo che un posto del genere farebbe al caso mio» borbottò Vincent. «Se uno ha bisogno di aiuto deve camminare per quanto, un miglio o più prima di incontrare qualcuno?»

«Non so tu, ma io sono un mago» ghignò Johnny con un sorriso felice, lieto di avere un’opportunità per punzecchiarlo. «Che bisogno hai di camminare, quando puoi Smaterializzarti o usare la Polvere Volante?»

«La comunità è sempre unita e disposta ad aiutare» disse Marcus in fretta, prevenendo la mordace replica di Vincent. «Solo che, essendo composta esclusivamente da maghi e streghi, non sente il bisogno di riunirsi con la stessa frequenza di quella di Godric’s Hollow».

«E si riesce a passare inosservati?» insistette Nathaniel.

«Be’ suppongo di sì, se è ciò che si vuole» tentennò Marcus. «Non credo però sia necessario stabilirsi a Hogsmeade per farlo; Benjamin Abbott abitava a Godric’s Hollow eppure frequentava pochissima gente».

«Sì, ma tutti sapevano che viveva lì».

Un silenzio sorpreso aleggiò sul piccolo gruppo e Nathaniel seppe automaticamente di essersi spinto troppo in là; Johnny si sollevò sui gomiti e prese a squadrarlo con attenzione, facendogli temere che potesse aver indovinato il corso dei suoi pensieri.

«Hai intenzione di rapire Lucille e farla vivere in una casa isolata affinché nessuno vi scopra?»

Tutti, Nathaniel compreso, scoppiarono a ridere per quella battuta e l’atmosfera tornò distesa; convinto di essersela cavata, il ragazzo sdrammatizzò rimproverandosi per la sua eccessiva curiosità e non si accorse di come invece, l’unico a sospettare che ci fosse dell’altro, era proprio Johnny.

 

Era una pessima idea, pensò Nathaniel per la centesima volta, avanzando a fatica sotto il sole torrido del primo pomeriggio e per le vie semideserte di Hogsmeade. Non erano passati che dieci giorni dalla fine delle lezioni e dall’inizio del mese di luglio che già lui aveva fatto visita al villaggio per ben tre volte, assecondando un pericoloso pensiero innescato dal commento casuale di Marcus sulla riservatezza offerta da quel piccolo paese.

Durante le ultime due visite aveva scorto un’anziana strega scrutarlo con sospetto mentre si aggirava per le stradine in terra battuta che portavano al limitare del villaggio, circondate da case isolate con grandi giardini più o meno curati. Non volendo chiedere in prestito il Mantello dell’Invisibilità a Marcus, Nathaniel aveva provato ad usare l’Incantesimo di Disillusione onde evitare che quella megera lo denunciasse alla Squadra Speciale Magica.

Benché non perfetto, l’incantesimo riuscì comunque a proteggerlo mentre camminava con cautela di fronte alla casa dell’anziana strega seduta in veranda, cercando disperatamente di non fare rumore. Solo gli occhi gialli del gatto lo seguirono, invece quelli della sua padrona rimasero ben fissi sul libro aperto in grembo.

Nelle occasioni precedenti Nathaniel aveva provato a indovinare chi potesse celarsi dietro le tende chiare e ben tirate che ornavano la maggior parte delle finestre, soffermandosi di tanto in tanto ad osservare i bambini che giocavano e le loro mamme, sperando sempre di incontrare la donna bionda che aveva visto nella farmacia e la sua bambina con gli occhi azzurri dei Rosier.

Anche quel pomeriggio vide bambini dai capelli biondi, bruni e rossi rincorrersi allegramente da un giardino all’altro o giocare con la sola compagnia dei rispettivi fratelli e sorelle man mano che le case si allontanavano sempre più le une dalle altre, ma nessuna di quelle madri era la donna che Nathaniel aveva intravisto quattro mesi prima.

Gli mancavano ormai tre o quattro case davanti alle quali sostare e a ogni passo le sue certezze vacillavano sempre più, inducendolo a chiedersi se per caso non stesse impazzendo. Una traccia dell’antico livore che provava nei confronti del fratello fin da quando era scomparso riaffiorò in lui senza preavviso, costringendolo a fermarsi e a respirare profondamente nel tentativo di calmarsi.

L’Incantesimo di Disillusione svanì, ma Nathaniel non se ne preoccupò perché non c’era più nessuno che potesse vederlo e l’unico rumore che si udiva era il frinire delle cicale. Poi, lentamente e inaspettatamente, una voce di bambina intonò una filastrocca, proveniente probabilmente dal retro di un’abitazione vicina.

Cercando di non apparire come un criminale, Nathaniel si diresse verso quel punto ostentando indifferenza e stava già per tornare indietro quando scorse i riccioli biondi della bambina che rimbalzavano a ogni suo saltello. Con un tuffo al cuore, riconobbe immediatamente la bimba della farmacia e ne ebbe la conferma quando lei si voltò e alzò il visino per guardarlo.

Occhi azzurri identici ai suoi lo fissarono e, senza rendersene conto, Nathaniel si inginocchiò sull’erba per osservare meglio la bambina e il sorriso dubbioso col quale ricambiava il suo interesse. A giudicare dall’altezza e dal modo non proprio preciso col quale aveva pronunciato qualche strofa della filastrocca, Nathaniel pensò che non poteva avere più di due anni e che forse poteva davvero essere la figlia di Michael.

Ma Michael ne era a conoscenza? Oppure era lui, Nathaniel, che stava perdendo la ragione dietro a quella storia?

Una manina rosea e cicciotta si mosse verso di lui e afferrò una ciocca dei capelli di Nathaniel, tirandoli leggermente.

«Papà?» chiese la piccola mentre un broncio adorabile le incurvava le labbra.

«No» disse Nathaniel trovando a fatica la forza per pronunciare quelle parole e sperimentando un giramento di testa paragonabile a quello che si ha dopo un’eccessiva bevuta. «Come ti chiami?»

La bambina non rispose ma continuò ad osservarlo con attenzione, quasi stesse decidendo se fidarsi o meno di lui. Nonostante cercasse di farsi venire in mente qualcosa da dire, qualunque cosa che non spaventasse la piccola o non la facesse piangere, la testa di Nathaniel rimase penosamente vuota, persa com’era in un vortice di ricordi ed emozioni contrastanti.

«Tesoro, dove sei?»

La voce morbida e dolce di una donna, la voce di una mamma, fece sussultare entrambi e riportò Nathaniel al presente, rammentandogli ancora una volta l’assurdità della situazione. Era, a tutti gli effetti, un estraneo inginocchiato nel giardino di una famiglia che non conosceva e pericolosamente vicino a una bambina indifesa.

Se la donna avesse deciso di schiantato in quel momento, lui non l’avrebbe di certo biasimata.

«Mamma!» esclamò la bambina con gioia, correndo verso la madre con i ricci che rimbalzavano come molle sulla sua schiena e lanciandosi fra le braccia accoglienti che l’aspettavano.

«Stavi giocando qui fuori?»

Nathaniel ponderò una rapida Materializzazione come via di fuga, ma ovviamente gli occhi castani della donna lo individuarono subito e ogni traccia di calore scomparve, lasciandovi affiorare la paura e il sospetto che lui vi aveva già scorto in passato. Non c’era dubbio che fosse la stessa giovane che aveva incontrato per la prima volta nella farmacia, e anche lei sembrò riconoscerlo all’istante.

«Mi dispiace» disse Nathaniel alzandosi di scatto e arretrando velocemente. «Non volevo fare nulla di male, ho solo visto la bambina giocare qui e la sua somiglianza con…. Insomma ha gli stessi occhi di mio fratello».

«Io non vi conosco» sibilò la donna spostando la piccola dietro di sé e facendo comparire la bacchetta fra le proprie mani. «Non siete stato invitare ad entrare in questa proprietà privata, perciò andatevene e non fate ritorno».

Nathaniel serrò le labbra in una linea dura, consapevole di essere dalla parte del torto ma sentendosi comunque offeso dal tono della giovane madre che lo stava trattando alla stregua di un criminale incallito.

Non aveva ferito quella bimba innocente, non lo avrebbe mai fatto; si era recato lì nel vano tentativo di risanare quelle ferite che lui stesso aveva subito quando era poco più di un bambino.

Un ragazzino costretto a diventare un giovane uomo nel giro di una settimana.

«Mi è sembrato di ravvisare nel volto di vostra figlia gli occhi di mio fratello» spiegò provando a mantenere la calma, cosa che negli ultimi mesi non gli era riuscita molto bene. «Forse mi sbagliavo».

«Sicuramente vi sbagliate. Non vi conosco e non ricordo di avervi mai incontrato prima» ribadì la madre prima di rivolgersi alla figlia e indicare la porta sul retro con un rapido cenno del capo. «Entra in casa, tesoro».

Per la prima volta nella vita, Nathaniel decise di prestare attenzione a ciò che gli stava davanti agli occhi e di usare la logica per interpretarlo, proprio come Johnny gli aveva suggerito più volte di fare.

Si accorse allora della semplice fede dorata che ornava l’anulare di quella donna e tornò a maledirsi per la propria stupidità; ci mancava solo che il marito tornasse a casa e decidesse di mostrarsi meno comprensivo della moglie, schiantandolo e consegnandolo direttamente alla prigione di Azkaban.

«Chiedo scusa; non vi disturberò più» mormorò Nathaniel chinando il capo e per un attimo gli parve che un lampo di dispiacere e comprensione attraversasse quei grandi occhi castani che non lo avevano mai perso di vista.

Scosse la testa come a volersi schiarire le idee e si girò, pronto a tornare a casa e maledicendo mentalmente Michael per tutta la sofferenza e le domande senza risposta che aveva lasciato dietro di sé. Lui, Nathaniel, non poteva permettersi di impazzire o di finire in prigione per la determinazione con la quale si ostinava a inseguire una mera illusione; doveva prendersi cura dei suoi genitori e meritava di vivere la sua vita.

Doveva fare le sue scelte, comprese, proprio come aveva fatto Michael quasi quattro anni prima.

«Papà è tornato da Grace» disse la voce acuta della bambina tutto d’un tratto, giungendo fino a lui dalla porta ancora aperta che dava sul giardino.

La donna si arrestò sulla soglia, lanciando un breve sguardo spaventato a Nathaniel e chiudendo subito la porta alle proprie spalle.

Il ragazzo invece rimase immobile al centro del cortile, con gli occhi sbarrati che guardavano i primi alberi che delineavano l’ingresso alla foresta circostante senza vederli veramente e la mente in subbuglio, attraversata da una sola parola.

Grace.

Il nome di sua madre.

A stento consapevole delle proprie azioni, Nathaniel si ritrovò a picchiare col pugno sulla piccola porta in legno, domandando che gli fosse consentito l’accesso. Non se ne sarebbe andato prima di vedere con i suoi stessi occhi il padre della bambina, stabilì, a costo di finire veramente schiantato o maledetto.

«Vi ho già detto di andarvene!» gli fu risposto dalla stessa voce femminile di prima. «O preferite terminare la giornata in una cella ad Azkaban?»

«Ci sono troppe coincidenze perché io possa permettermi di ignorarle» disse Nathaniel col cuore in gola, sperando con tutto sé stesso che si decidessero ad aprirgli.

Ma se anche fosse entrato in quella casa, trovandovi Michael, che cosa avrebbe potuto fare? Riportarlo a casa come se niente fosse, come se quei quattro anni non fossero esistiti? Oppure ignorarlo e lasciarlo alla sua nuova vita?

La porta si aprì mostrandogli ancora una volta la madre di Grace. Non sembrava più arrabbiata, ma in compenso aveva un’espressione stanca e spaventata che fece vergognare Nathaniel della furia con la quale aveva percosso l’uscio di quella casa.

«Andate via, per favore» mormorò a testa bassa, badando a non rivelare molto della stanza alle sue spalle fattasi improvvisamente quieta e silenziosa. «Non c’è nessuno in questa casa che sia imparentato con voi».

«Ma vostra figlia ha gli occhi dei Rosier e il nome di mia madre!» insistette Nathaniel, testardo come un mulo, rifiutandosi categoricamente di abbandonare la soglia di casa. «Non ditemi che è una coincidenza, vi prego, perché non posso credervi».

Un rumore di passi giunse dall’interno di quella che, immaginò Nathaniel, doveva essere la cucina. Erano passi adulti ben diversi dallo scalpiccio prodotto in precedenza dalla bambina, passi di un uomo che tuttavia non risvegliarono in lui alcun ricordo.

«È un nome come un altro! Spero non crediate che ogni persona di nome Grace sia imparentata con voi!»

Nathaniel arrossì ma non si scompose, fermo nel suo proposito e determinato a conoscere l’ultimo componente di quella famiglia.

«Tornate a casa, vi prego» lo implorò la donna trattenendo a stento le lacrime che si erano fatte strada nei suoi occhi.

«Non importa Aislinn, lascialo entrare» disse improvvisamente una voce calma e profonda, seguita da una grande mano bianca che si posava sulla spalla sottile di lei.

Nathaniel impiegò qualche minuto per riconciliare l’immagine del fratello che serbava nei suoi ricordi col volto che si ritrovò davanti. Il ragazzo che conosceva era svanito per lasciar posto a un uomo pieno di responsabilità e doveri che lui poteva a stento concepire.

Un padre e un marito.

Probabilmente Nathaniel si sarebbe mosso di più se fosse stato colpito da un Petrificus Totalus, tanta era la sorpresa che lo paralizzò sul posto nel rivedere il fratello che credeva scomparso. Riusciva solamente a far scorrere lo sguardo su di lui, notando ciò che era cambiato e ciò che invece non lo era, tentando di assorbire quanti più dettagli nel minor tempo possibile. La sua mente era un turbine di pensieri e sensazioni che si rincorrevano senza alcun senso, mentre l’eccitazione lasciava il posto a un gelido stupore a sua volta soppiantato da un senso di stordimento talmente forte che Nathaniel temette seriamente che sarebbe finito con lo svenire lì come l’ultimo degli sciocchi.

Michael era vivo.

«Ciao fratellino» disse Michael col sorriso sghembo che Nathaniel ben conosceva e ricordava. «È da un po’ che non ci vediamo».

 

 

 

 

Note dell’autrice.

Finalmente riesco a pubblicare il quarto capitolo, dove ho cercato di inserire quegli episodi accennati ne ‘Il Leone e la Fenice’ e di rimettere in pari questa storia con la principale.

Allora, tanto per dare dei punti di riferimento, vi elenco in ordine cronologico i capitoli ai quali si fa cenno qui – ovviamente non ho ricopiato gli episodi narrati nella storia principale o avrei finito col pubblicare a Pasqua o giù di lì.

La prima scena si ricollega al capitolo decimo de ‘Il Leone e la Fenice’ con la lezione di Nathaniel e Lucille che lì menzionavo e basta, mentre la seconda va’ a collocarsi all’interno del capitolo quindicesimo, per la precisione prima che Lucille rassicuri Cornelia su una fantomatica sorpresa in arrivo per San Valentino.

La terza invece espone i sentimenti che Nathaniel prova sia per Lucille che per Lydia, e può essere letta come un ampliamento del capitolo diciassette, mentre la quarta descrive il dialogo fra Lucille e Nathaniel che avevo omesso nel capito venti.

Forse la comparsa di Michael sembrerà un po’ prematura, ma vorrei rendere lui e la sua famiglia partecipi della storia, perciò era necessario cominciare ad introdurli; secondo voi come reagirà Nathaniel nel prossimo capitolo? E Michael vorrà tornare subito a casa o preferirà rimanere a Hogsmeade?

Spero di leggere qualche commento e qualche vostro pensiero sul capitolo!

A presto,

Selena

   
 
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