Capitolo 4
Amici
Novembre
1836, Hogwarts
«Ti
fa’ male lo stomaco?» chiese Nathaniel gettando
un’occhiata casuale a Johnny, semidisteso nella poltrona
accanto alla sua.
«Un
po’. Colpa di Allam e della sua
stupidità» borbottò Johnny
massaggiandosi lo stomaco con fare annoiato; l’attimo dopo
ruotò nuovamente il capo fingendo di controllare il tempo
fuori dalle finestre ma osservando invece Cornelia Menelli, comodamente
seduta su un divano fra Lucretia Paciock e, ovviamente, Lucille Nott.
«Eppure
non hai avuto difficoltà col pranzo»
puntualizzò Marcus prendendolo in giro e sorridendo
soddisfatto a Vincent e Nathaniel.
«Ho sempre
mangiato, a prescindere dai dolori allo stomaco»
spiegò Johnny con voce impersonale prima che un sorriso
diabolico facesse capolino sul suo volto. «Anche quando avevo
la nausea».
«Che
schifo!» esclamarono Vincent e Nathaniel contemporaneamente
mentre la medesima espressione disgustata appariva sui loro volti
così simili.
«Avete
iniziato voi» ghignò Johnny, compiaciuto per
quella piccola e rapida vittoria. «A proposito, non credi sia
arrivata l’ora della tua lezione?»
Nathaniel si
rizzò sulla poltrona con uno scatto improvviso, cercando
subito Lucille con lo sguardo e maledicendosi per la propria
distrazione; lei infatti era già in piedi e portava sotto il
braccio il libro di Difesa contro le Arti Oscure mentre lo osservava
con un’espressione dubbiosa che palesava chiaramente la
mancanza di fiducia in lui e nelle sue capacità di
insegnante.
Nathaniel
scattò a sedere, inciampò nel piede della
poltrona scatenando le risate dei suoi amici, e infine si
avviò verso Lucille e Catherine, rosso di imbarazzo ma
deciso a mantenere un minimo di dignità.
«Sei
pronto, Greengrass?» lo salutò Lucille con voce
neutra, eppure Nathaniel era certo di aver scorto un piccolo sorriso
sul suo visetto, segno che la sua figuraccia non era stata poi
così terribile.
Meravigliose furono
invece le due ore successive, nonostante Nathaniel dovesse fare forza
su stesso ogniqualvolta toccava a lui maledire Lucille; Catherine
Macmillan non era stata molto d’aiuto, preferendo passare la
maggior parte del tempo seduta a leggere in un angolo
dell’aula, distogliendo gli occhi chiari dal libro solo per
controllare cosa Nathaniel volesse far fare a Lucille.
«Ce
l’ho fatta!» trillò Lucille entusiasta
dopo il terzo successo consecutivo, perforando i timpani dei presenti
con la sua vocetta acuta. «Catherine, sono riuscita a
sconfiggere l’Imperio!»
La gioia di Lucille
era contagiosa e per un momento Nathaniel desiderò essere
lui quello che veniva abbracciato e quasi travolto
dall’allegria della ragazza.
«Grazie
Greengrass, sei stato molto gentile a rinunciare al tuo pomeriggio
libero per me» disse Lucille una mezz’ora dopo
mentre Nathaniel sigillava la porta e quasi lasciava scivolare a terra
la bacchetta per la sorpresa. «Inoltre non mi hai mai
costretta a fare nulla che potesse apparire sconveniente e anche di
questo ti sono grata».
Nathaniel
fissò gli occhi grandi e verdi di Lucille, sforzandosi di
rispondere qualcosa prima che lei lo giudicasse un mentecatto.
Finì con lo schermirsi come faceva sempre, borbottando
confusamente sull’importanza della concentrazione e della
volontà.
«Immagino
che domani Lydia incontrerà minori difficoltà
nell’apprendere la maledizione» osservò
Lucille, intenta a sistemare le pieghe del mantello e per nulla turbata
dal ritrovarsi sola con lui dopo che Catherine, stanca di aspettarli,
si era diretta verso la Torre di Grifondoro. «Dopotutto i
suoi voti sono più alti dei miei».
«I voti
non hanno tutta questa importanza nella Difesa contro le Arti Oscure;
bisogna avere una predisposizione certo, ma anche il carattere della
persona e la sua risolutezza sono fondamentali» disse
Nathaniel con un sorriso. «E tu hai indubbiamente
più carattere di tutta Hogwarts messa insieme, Lucille
tesoro».
Lucille non disse
nulla e nemmeno si adirò per il modo in cui lui
l’aveva apostrofata, ma si limitò a sorridere
dolcemente prima di avviarsi lungo il corridoio, perché non
era opportuno distanziarsi così tanto da Catherine.
Nathaniel la seguì senza protestare, mascherando il
nervosismo per Lydia e la loro lezione dell’indomani annuendo
incessantemente alla sfilza di chiacchiere di Lucille.
*
Febbraio
1837, Hogwarts
«Greengrass!»
Il sibilo acuto di
Lucille fendette l’aria con la mortale precisione di una
freccia e Nathaniel sussultò proprio come se
l’avessero colpito, prima di girarsi a controllare il
corridoio che fino ad allora aveva creduto vuoto.
La figura minuta di
Lucille sbucò da una nicchia che ospitava una grossa statua
e si diresse verso di lui con la calma e la tranquillità di
chi non riesce a vedere l’assurdità delle proprie
azioni.
«Lucille
tesoro!» esclamò Nathaniel ignorando
l’occhiata di rimproverò scoccatagli dalla
fanciulla, che non gradiva essere apostrofata in quel modo.
«Ehm… che cosa ci facevi lì
dietro?»
La domanda di
Nathaniel non era affatto oziosa, non se si considerava il recente
attacco a Cornelia e il suo aggressore misterioso che si aggirava per
la scuola, sulla cui identità e sui cui metodi regnava
l’ignoranza più assoluta.
«Ti stavo
aspettando…» iniziò Lucille, subito
interrotta dal sorriso dell’altro e dal torrente di parole
che provò a riversarle addosso.
«Davvero?
Stavi aspettando me? E come
sapevi…».
«Ti stavo
aspettando per parlare della situazione che si è venuta a
creare fra Nelia e il tuo rozzo amico» spiegò
Lucille troncando sul nascere le speranze del ragazzo e sistemando le
pieghe del vestito, sgualcitosi nel passaggio dalla nicchia al
corridoio. «Questo è il percorso più
breve che, dall’aula di Antiche Rune, porta alla Torre di
Grifondoro e ho fatto in modo che Lucretia distraesse Cornelia,
così da poter parlare da soli».
«Sono
sicuro che tutto si risolverà, ma dobbiamo concedere a
Johnny il tempo necessario capire che quello di Cornelia è
stato solo uno sbaglio».
«Ma non le
rivolge la parola!» protestò Lucille con la solita
vocetta acuta e sbattendo un piedino a terra per
l’irritazione. «È stato Malfoy a baciare
Cornelia, non capisco perché Christensen debba prendersela
con lei!»
«Be’,
ecco, probabilmente perché…».
«E che
senso ha andare a trovarla di nascosto in Infermeria come tu stesso mi
hai detto – e che non ti nasconderò mi ha
inquietata parecchio – se poi non le parla e non ha
intenzione di perdonarla? Così la fa’ solo
soffrire di più, illudendola con delle false
speranze».
Nathaniel
alzò le braccia in segno di resa e sperò con
tutto sé stesso che potessero indurre Lucille al silenzio,
affinché lui avesse modo di pensare a una replica
convincente; stranamente funzionò e Lucille si astenne anche
dal mostrare segni di impazienza, guardandolo invece con qualcosa che
poteva benissimo essere fiducia.
L’ultima
volta che l’aveva guardato così, confusa e
disposta ad accettare il suo aiuto, Nathaniel aveva finito col baciarla
con la furia di un cavernicolo e col provocarle una crisi isterica,
senza contare la successiva decina di giorni che gli erano occorsi per
convincerla di quanto effettivamente si fosse pentito per quel gesto
impulsivo.
Pensò
così di arretrare di un passo, onde evitare il ripetersi di
una simile scena, ma Lucille lo seguì senza rendersene
conto, minando la sua stabilità mentale e costringendolo a
ricordarsi della promessa che le aveva fatto ovvero di restare amici
mentre lei provava a capire se c’era per loro la
possibilità di diventare qualcosa di più in
futuro.
«Johnny
è andato in Infermeria per sincerarsi che Cornelia stesse
bene, non per farle del male. Le è rimasto accanto per
accertarsi che fosse al sicuro» ribatté Nathaniel
con una punta di gelo, perché quel genere di accuse erano
quanto di più lontano ci si potesse aspettare dal giovane
danese. «In quanto al resto, è passato troppo poco
tempo; ti assicuro però che Johnny non è uno
sciocco e prenderà la decisione più
giusta».
«È
quasi San Valentino» mormorò Lucille con fare
distratto, sganciando e riallacciando il bottoncino che chiudeva il
guanto sinistro. «Potrebbe approfittare
dell’occasione e scegliere proprio quel giorno per fare pace,
non credi Greengrass?»
Ci era cascato di
nuovo, sospirò Nathaniel, proprio come qualche giorno prima
quando Lucille, fingendosi pensierosa a quel modo, aveva finito con
l’estorcergli tutte le informazioni su Johnny e
l’Infermeria che desiderava.
«Non lo
so, a me non ha detto niente» precisò avendo cura
di scandire per bene le parole. «Credo che lei gli manchi, ma
è difficile farlo parlare di questi argomenti. Johnny non
è una persona molto loquace».
«Assolutamente
no» concordò subito Lucille senza farsi sfuggire
l’occasione di criticare Christensen. «Quel ragazzo
ha così poche qualità positive e dei modi davvero
terribili».
La sua sincera
disperazione fece ridere Nathaniel, che tornò ad avanzare di
un passo.
«Sono
certo che la penserai diversamente dopo che avrai avuto modo di
conoscerlo» scherzò il ragazzo portandosi la mano
di Lucille alle labbra e baciando il guanto che la fasciava.
«Che ne diresti adesso di tornare nella nostra Sala Comune?
In questo corridoio si gela, è pieno di spifferi».
Con le guance rosse
e insolitamente silenziosa, Lucille accettò di buon grado il
braccio che le veniva porto, rimuginando sul porre o meno un ulteriore
quesito.
«Hai
preparato molti biglietti per questo San Valentino?»
chiocciò infine senza riuscire a tenere a freno la
curiosità, ma imponendosi di mantenere
un’espressione impassibile e neutrale.
«Solo uno,
Lucille tesoro» disse Nathaniel con sicurezza.
«Come ogni anno».
A quel punto,
persino Lucille trovò impossibile rifiutarsi di sorridere.
*
Marzo
1837, Hogwarts
«Sono solo
confuso!» esclamò Nathaniel, provando a non
mostrarsi esasperato. «È così strano?
Non vi siete mai sentiti a questo modo?»
Marcus sorrise
cercando di mostrarsi comprensivo mentre Johnny e Vincent si limitarono
a scuotere la testa con indifferenza. Era uno splendido pomeriggio di
fine marzo con un cielo freddo ma limpido che sapeva già di
primavera, e i quattro Grifondoro erano appena rientrati nel loro
dormitorio dopo aver passato qualche ora all’aperto.
Nathaniel si era
divertito e aveva scherzato con gli altri come sempre, eppure non era
riuscito a dimenticare l’incontro avvenuto la settimana
precedente a Hogsmeade né la discussione che aveva avuto con
Lucille il giorno seguente. La donna misteriosa che aveva incontrato
nella piccola farmacia del paese, e gli occhi azzurri identici ai suoi
della bambina che portava in braccio, lo avevano turbato più
del previsto, spingendolo a chiedersi più volte se non si
trattasse della figlia di suo fratello.
Aveva parlato dei
suoi sospetti solo con Johnny, preferendo non dare false speranze a
Vincent e sentendo il bisogno della ferrea logica di cui il ragazzo
danese era sempre provvisto. Naturalmente, dopo averci ragionato a
mente fredda, anche Nathaniel si era reso conto
dell’assurdità della sua teoria: nessuno aveva
visto Michael negli ultimi tre anni – probabilmente
perché era morto o perché aveva lasciato il Paese
– perciò era impossibile che fosse rimasto
nascosto a Hogsmeade trovando anche il tempo e la
possibilità di metter su famiglia.
Eppure
quella bambina aveva i suoi stessi occhi.
Dal modo in cui
Johnny lo guardava, Nathaniel si rese conto che doveva aver intuito il
corso dei suoi pensieri e la ragione del suo nervosismo, e per la prima
volta in sei anni fu infastidito dalla lungimiranza del suo migliore
amico.
«Perché
non hai chiesto a Lydia di accompagnarti a Hogsmeade la scorsa
settimana?» esordì invece Vincent, riportandolo a
questioni più semplici ma non meno pressanti.
Perché
sono interessato solo a Lucille: questo era quello
che Nathaniel avrebbe risposto fino a un mese prima, quando Lydia non
gli aveva ancora inviato il cartoncino di San Valentino e lui aveva
potuto minimizzare quel supposto interesse come semplice riconoscenza
per le ripetizioni di Difesa contro le Arti Oscure.
Quella
però non era più la verità,
perché Lydia era stata la prima ragazza a impressionarlo
dopo Lucille; era bella e altera come tutti dicevano, quasi fredda nei
modi sbrigativi con cui trattava la maggior parte degli studenti,
eppure in lei c’era molto altro, più di quanto non
si potesse intuire con una conoscenza superficiale. Lydia era
intelligente e determinata, nonché più matura
rispetto a molte sue coetanee, priva di gesti affettati ed elegante
nella sua semplicità.
«Non
voglio far soffrire nessuno, perciò non mi
sbilancerò fino a quando non avrò preso una
decisione» rispose infine Nathaniel crollando sul proprio
letto con un sospiro stanco. «Se anche mi concentrassi su
Lydia, non credo che riuscirei a dimenticare Lucille nel giro di
qualche mese. Non riesco nemmeno a tollerare il pensiero di lei che si
trova a suo agio con qualcun altro, non ora che le cose fra noi erano
migliorate ed eravamo finalmente amici».
«L’amicizia
non ti porterà molto lontano» disse Johnny
suonando talmente lapidario e definitivo da far barcollare Nathaniel
sull’orlo del baratro della disperazione.
«Ma Lydia
ti piace, non è vero? Insomma non puoi negare che sia
bella» insistette Marcus.
«Bella ma
fredda» puntualizzò Vincent.
«Non mi
piace quanto Lucille» spiegò Nathaniel
stringendosi nelle spalle e giocherellando col bordo della coperta.
«Probabilmente perché non la conosco allo stesso
modo; prima di quest’anno non mi aveva mai rivolto la parola
e non abbiamo mai passato del tempo insieme».
«Motivo in
più per invitarla a Hogsmeade» ripeté
Vincent, testardo come un mulo. «Potrebbe stupirti e tu non
penseresti più a Lucille oppure capiresti che Lydia non
è la ragazza giusta e lei sarebbe libera di rivolgere le sue
attenzioni a qualcun altro».
Nathaniel
annuì stancamente, consapevole che l’unico modo
per far cessare quella conversazione consisteva nella sua resa. Marcus
e Vincent si alzarono pronti per la cena, mentre Johnny finse di
cercare la bacchetta e aspettò che gli altri uscissero prima
di far valere la sua opinione.
«Non
immaginavo che l’avrei mai detto, ma preferisco
Lucille» disse con una gelida calma che per poco non
provocò un brivido in Nathaniel. «Quantomeno
sappiamo per certo che lei non è affiliata con quella banda
di criminali né ci sono indizi che potrebbe esserlo in
futuro. Magari dovresti riflettere su questa cosa, anziché
preoccuparti della bellezza e di quanto approfondita sia la conoscenza
dell’una e dell’altra».
«Giusto»
ribatté Nathaniel con una punta di asprezza,
perché l’accurata scelta di parole da parte di
Johnny conteneva del vero e lo tacciava di superficialità.
«Dopotutto per te la bellezza non è mai stato un
fattore importante, non è così?»
«Certo che
sì, infatti esco con la ragazza più bella di
tutta Hogwarts che, accidentalmente, è anche intelligente e
non si diverte a passare il suo tempo libero in compagnia di ladri e
assassini» disse Johnny con un’ironia che fu presto
smentita dal luccichio dei suoi occhi, infastidito come sempre quando
qualcuno si permetteva di criticare Cornelia. «Rifletti su
questo».
*
Maggio
1837, Infermeria di Hogwarts
Lucille
ascoltò distrattamente le rassicurazioni di Madama Wilson,
sentendosi ancora piuttosto scossa per quanto accaduto poco prima nella
Foresta Proibita quando Josephine Sutherland aveva rivelato la sua vera
natura e le aveva lanciato una pericolosa maledizione. Da quel poco che
aveva capito, aveva rischiato di non risvegliarsi più e il
tempismo col quale Greengrass e gli altri l’avevano portata
in Infermeria era stato vitale.
«Ci sono
svariate persone qui fuori che attendono di vederti» disse
l’Infermiera dopo essersi assicurata che Lucille bevesse la
decima ed ultima fiala della pozione curativa. «Per una volta
mi sento di incoraggiare queste visite, perché è
bene che tu non ti rimetta a dormire prima di questa notte.
C’è poco da scherzare con la Maledizione del Sonno
Eterno».
Lucille
acconsentì con un semplice cenno del capo, avendo cura di
coprirsi le spalle con lo scialle e rassettando il più
possibile le coperte, perché non voleva che i suoi amici
pensassero che fosse completamente incapace di badare a sé
stessa – cosa che sicuramente già credevano data
la facilità con la quale Josephine l’aveva battuta.
Quando Madama Wilson
tirò le tende attorno al suo letto, Lucille fece in tempo a
scorgere le sue amiche sul fondo della sala girarsi verso di lei, ma
furono subito oscurate dalla sagoma di Nathaniel Greengrass che si
precipitò al suo capezzale con una velocità tale
da farle credere che fosse ricorso a un incantesimo.
«Lucille
tesoro!» esclamò con gioia quando la vide,
sedendosi sulla sedia posta accanto al suo letto e rischiando di
rovesciarla per l’entusiasmo. «Sapevo che Madama
Wilson sarebbe riuscita a farti svegliare, ma per un po’ ho
temuto che fossi arrivato troppo tardi. Sia tu che Johnny siete stati
feriti e io sono stato così sciocco da andare a cercarlo
dalla parte opposta del castello, lasciando te e Cornelia alle prese
con Josephine e…».
Nathaniel scosse il
capo, apparentemente incapace di proseguire mentre Lucille si
ritrovò colpita dal suo sincero rimorso e da quanto fosse
amareggiato per loro. Era incredibile che si sentisse in colpa, lui che
non aveva rapito Christensen né maledetto lei né
minacciato Cornelia, eppure era lì a chiedere perdono per
qualcosa che non aveva
fatto.
«Non
è stata colpa tua» rispose Lucille mettendosi un
po’ più dritta. «Nessuno di noi avrebbe
mai potuto immaginare che la colpevole fosse Josephine».
Nathaniel
annuì un paio di volte e tornò a sorridere,
guardando Lucille con evidente affetto. Una ciocca di capelli neri gli
oscurò che per un momento la fronte, e la ragazza
sentì lo strano impulso di rimetterla al suo posto prima che
fosse lui stesso a farlo. Contrasse la mano una volta e si
affrettò a congiungerla all’altra, posandole
entrambe sul proprio grembo e riacquistando rapidamente la calma.
«Ti senti
meglio, vero?» chiese Nathaniel sistemando i capelli con un
gesto distratto. «Non hai più
sonnolenza?»
Lucille scosse la
testa con fare elegante e accennò un sorriso, ma il ragazzo
riprese la parola prima che lei potesse avere l’occasione di
rispondere.
«Non avevo
idea che esistesse una maledizione così potente e
pericolosa, non finché Johnny non l’ha menzionata
e ovviamente lui è più informato di me su queste
cose» spiegò Nathaniel senza quasi respirare.
«Volevo chiedere a Madama Wilson se ci fosse qualcosa che
potessi fare nel frattempo, ma era così impegnata a
destreggiarsi fra te e Johnny che non me la sono sentita di
interferire, pensando che le sarei stato
d’impaccio…».
«Non
dovevi fare niente…» provò Lucille ma
ancora una volta non riuscì a interrompere il monologo del
giovane; si limitò a sospirare piano e a sfiorarsi
leggermente una tempia, perdendo così il filo del discorso.
«…E
sei stata geniale nel
lasciare i tuoi guanti lungo il percorso senza che Josephine se ne
accorgesse» blaterò Nathaniel osservandola con
evidente orgoglio. «Purtroppo si sono sporcati con la terra e
le foglie del bosco, e nonostante abbia provato a pulirli non ci sono
riuscito molto bene. Non mi sono mai dedicato agli incantesimi
domestici, ma ho pensato che ti avrebbe fatto piacere riaverli
indietro».
Nascondendo a fatica
l’imbarazzo evidente, estrasse da una tasca della giacca i
guanti di Lucille e li porse all’attonita ragazza,
piacevolmente sorpresa da tutte quelle premure. Infatti, da quando lei
e Nathaniel erano diventati amici, Lucille aveva preso a guardarlo in
maniera diversa, accorgendosi pian piano che sotto la maschera del
ragazzo perennemente allegro e dedito agli scherzi c’era
molto di più, ovvero un giovane uomo attento ai bisogni
degli altri e pieno di considerazione verso i suoi amici e la famiglia.
Ben lungi
dall’essere distratto e pasticcione, Nathaniel era piuttosto
una persona modesta e gentile, che non negava mai il suo aiuto e che
cercava sempre di rendersi utile come poteva.
Le loro mani si
sfiorarono quando lui le consegnò i guanti che fino a
qualche ora prima erano stati di un bianco immacolato, e Lucille si
stupì dell’improvviso entusiasmo che
provò nel sentire le sue dita accostarsi alle proprie. Un
vago nervosismo si diffuse in lei e assecondò
d’impulso il bisogno di mettere Nathaniel alla prova, quasi a
volersi accertare che i suoi sentimenti per lei non fossero cambiati
durante quei mesi.
Era dal mese di
febbraio che Lucille sapeva con certezza dell’interesse di
Lydia Turpin per Nathaniel, e il modo deciso col quale lui
l’aveva difesa al rientro dalle vacanze pasquali, arrivando
addirittura a litigare col suo migliore amico, John Christensen,
l’aveva persuasa a tal punto da farle credere che Nathaniel
ricambiasse l’affetto per Lydia e avesse ormai dimenticato
lei, Lucille, che del resto non gli aveva mai dato una risposta
definitiva, contenta com’era di quell’amicizia
rassicurante e per nulla vincolante.
«Dunque mi
sono sbagliata sull’identità della persona che
aggrediva Cornelia, tuttavia avevo ragione nel ritenere Lydia una
possibile complice di quei malfattori» affermò
infine Lucille con prudenza, memore dell’ultimo confronto con
Nathaniel e del modo col quale aveva difeso la loro compagna di studi.
«Lydia non
si è alleata con loro, Lucille» disse Nathaniel
aggrottando la fronte ma senza perdere la calma. «Ha
rifiutato quell’offerta e ha provato ad avvertire
Cornelia».
Lucille ridusse gli
occhi a due sottili fessure e strinse le labbra, trattenendo a stento
la rabbia.
«Ha
mentito a Christensen quando lui le ha chiesto se fosse stata
avvicinata da qualcuno che faceva parte di quel gruppo, negando
più volte l’evidenza…».
«Be’,
Johnny non ha certo scelto il modo migliore per far sì che
Lydia decidesse di confessare una cosa così pericolosa a
quello che, a tutti gli effetti, è un estraneo per
lei..».
«…E
se avesse dato a Cornelia un nome, io non mi troverei in Infermeria
adesso» sibilò Lucille, ignorando completamente
quanto affermato dal ragazzo. «Greengrass, ti rendi conto che
se noi avessimo saputo di Josephine saremmo riusciti a catturarla e io
non sarei in fin di vita? Credevo avessi detto di essere sconvolto per
quanto mi è accaduto, ma a quanto pare devo averlo
immaginato mentre dormivo».
«Sono
sconvolto, Lucille tesoro!» esclamò Nathaniel con
un’espressione pietosa che avrebbe mosso a compassione anche
una roccia e riuscendo a far sparire il broncio di Lucille e parte del
suo scetticismo. «Dobbiamo però considerare le
minacce che Lydia ha ricevuto riguardo la sua famiglia; se la vita dei
tuoi fratelli e sorelle fosse stata in pericolo, tu avresti confessato
tutto?»
Rimasero entrambi in
silenzio per un po’, scambiandosi delle occhiate furtive e
indecisi su come proseguire. Lucille sapeva che, trovandosi al posto di
Lydia, non avrebbe fatto nulla che potesse intaccare
l’incolumità della propria famiglia, eppure era
convinta che bisognasse avere coraggio e dimostrare a quelle persone
che non tutti erano disposti a sottostare alle loro imposizioni.
«Io sono
d’accordo con te, ma non siamo tutti uguali» disse
Nathaniel inaspettatamente, spingendo Lucille a chiedersi se per caso
non avesse parlato ad alta voce.
«Oh,
questo lo so, ma…».
«E sono davvero dispiaciuto
e scosso per quello che ti è successo: ho creduto di morire
quando ti ho vista stesa lì con Johnny che farneticava
qualcosa sulla necessità di portarti subito in Infermeria,
prima che la maledizione avesse effetto e tu non ti svegliassi
più» aggiunse infine Nathaniel con trasporto,
sporgendosi in avanti e stringendo la mano di Lucille che giaceva
abbandonata sul copriletto.
Lucille
sussultò sorpresa per quel contatto imprevisto, ma non
sentì il desiderio di allontanare la propria mano da quella
calda e rassicurante di Nathaniel; nonostante si fosse mostrata
impavida nel confronto con Josephine, la consapevolezza di quanto fosse
andata vicina a mettere a repentaglio la propria vita l’aveva
spaventata, e il conforto discreto ma presente del ragazzo la aiutava a
non sentirsi più così vulnerabile.
Lucille
ricambiò la stretta di Nathaniel quasi senza rendersene
conto, osservando poi affascinata lo stupore che prendeva posto sul suo
volto e si faceva strada nei suoi occhi azzurri. Infine, come era
prevedibile, il giovane mise su quel sorriso che lo faceva apparire un
ebete senza speranze e che fece ridacchiare Lucille, compiaciuta per
quell’effetto che ancora riusciva a produrre su di lui.
«Volevo
chiederti una cosa, giacché siamo qui»
esordì Nathaniel, palesemente in difficoltà, dopo
essersi schiarito la voce un paio di volte. «Non parlo di
oggi o domani, naturalmente avrai bisogno di tempo per riprenderti, ma
magari una volta guarita…».
«Sì?»
«Ecco,
magari vorresti prendere in considerazione l’idea di una
piccola…» ma Lucille non seppe mai cosa Nathaniel
volesse proporle – ammesso che ci fosse mai riuscito
– perché la porta dell’Infermeria si
spalancò con decisione per far entrare i suoi fratelli e le
sue sorelle, scortati dalla professoressa Doge che doveva averli
avvertiti del suo infortunio.
Quasi avesse le
molle sotto ai piedi, Nathaniel scattò immediatamente a
sedere e lasciò andare la mano di Lucille, seppur con
evidente rimpianto.
«Cosa
volevi dirmi?»
«Non ha
importanza adesso» bisbigliò Nathaniel con un
sorriso di scuse. «Sarà meglio che lasci il posto
alla tua famiglia; saranno stati molto in pensiero per te».
Nathaniel
sgattaiolò via rapidamente e nessuno dei fratelli Nott,
escluso Oliver, se ne accorse, seguendolo per un lungo attimo con lo
sguardo prima di dedicare la sua attenzione alla sorella,
momentaneamente sommersa dagli abbracci dei più piccoli.
Nonostante
affermasse di sentirsi ancora piuttosto stanca e debole, Lucille
manifestò di star tornando nel pieno delle proprie forze
quando la voce di John Christensen risuonò
nell’Infermeria, inducendo tutti i presenti a voltarsi e a
fissarlo sconcertati.
«Hai
intenzione di rimanere laggiù ancora per molto?»
sbottò il giovane danese facendo sussultare Nathaniel.
«Sembri l’angelo della morte che aspetta che io
tiri le cuoia».
Seppur contenta al
pensiero che i rapporti fra Nathaniel e John tornassero a essere
distesi, Lucille non poté esimersi dal commentare
sfavorevolmente la maleducazione di quest’ultimo e la sua
ostentazione in pubblico di modi tanto sgarbati. Quando Marcus le fece
notare che non appariva poi così diversa dal solito, Lucille
minacciò di torturarlo con la Maledizione Cruciatus per i
prossimi due o tre mesi, con buona pace dell’educazione e di
quell’ideale di signorilità al quale aspirava.
*
Estate
1837, Hogsmeade
Le ultime due
settimane di giugno erano trascorse fra il ripasso delle lezioni
apprese durante l’anno e lunghi pomeriggi passati nel grande
parco che circondava Hogwarts a scherzare e a perdere tempo con i
propri amici. Durante uno di quei pomeriggi, mentre Nathaniel si era
incantato a osservare Lucille che giocava con le sue amiche nei pressi
del Lago, Marcus spiegava di come suo fratello maggiore e sua cognata
stessero considerando la possibilità di vivere lontano da
Godric’s Hollow almeno per i primi tempi.
«Sia la
mia famiglia che quella di Imelda risiedono a Godric’s Hollow
e, nonostante siano sicuramente mossi da buone intenzioni, continuano
ad interferire un po’ troppo nella loro vita»
spiegò Marcus con un sorriso. «Un collega di
Imelda le ha parlato di Hogsmeade e di come sia il posto ideale per
crescervi dei bambini, soprattutto nella zona al limite sud del
villaggio, dove le case sono distanziate le une dalle altre e
circondate da giardini».
A quel punto
l’attenzione di Nathaniel era stata attirata e, seppur a
malincuore, distolse lo sguardo dalla schiena di Lucille per prestare
ascolto alla conversazione.
«Ci sono
delle case alla fine del villaggio dove poter crescere dei
bambini?» chiese.
«I bambini
possono crescere ovunque» sbadigliò Johnny
sventolando una mano con fare annoiato e distendendosi
sull’erba morbida.
«È
una zona più tranquilla» disse Marcus scrollando
appena le spalle. «Il collega di Imelda è sicuro
di non conoscere con esattezza i nomi di tutti i suoi vicini proprio
perché le case sono ben distanziate e ognuno bada ai propri
affari».
«Non credo
che un posto del genere farebbe al caso mio»
borbottò Vincent. «Se uno ha bisogno di aiuto deve
camminare per quanto, un miglio o più prima di incontrare
qualcuno?»
«Non so
tu, ma io sono un mago» ghignò Johnny con un
sorriso felice, lieto di avere un’opportunità per
punzecchiarlo. «Che bisogno hai di camminare, quando puoi
Smaterializzarti o usare la Polvere Volante?»
«La
comunità è sempre unita e disposta ad
aiutare» disse Marcus in fretta, prevenendo la mordace
replica di Vincent. «Solo che, essendo composta
esclusivamente da maghi e streghi, non sente il bisogno di riunirsi con
la stessa frequenza di quella di Godric’s Hollow».
«E si
riesce a passare inosservati?» insistette Nathaniel.
«Be’
suppongo di sì, se è ciò che si
vuole» tentennò Marcus. «Non credo
però sia necessario stabilirsi a Hogsmeade per farlo;
Benjamin Abbott abitava a Godric’s Hollow eppure frequentava
pochissima gente».
«Sì,
ma tutti sapevano che viveva lì».
Un silenzio sorpreso
aleggiò sul piccolo gruppo e Nathaniel seppe automaticamente
di essersi spinto troppo in là; Johnny si sollevò
sui gomiti e prese a squadrarlo con attenzione, facendogli temere che
potesse aver indovinato il corso dei suoi pensieri.
«Hai
intenzione di rapire Lucille e farla vivere in una casa isolata
affinché nessuno vi scopra?»
Tutti, Nathaniel
compreso, scoppiarono a ridere per quella battuta e
l’atmosfera tornò distesa; convinto di essersela
cavata, il ragazzo sdrammatizzò rimproverandosi per la sua
eccessiva curiosità e non si accorse di come invece,
l’unico a sospettare che ci fosse dell’altro, era
proprio Johnny.
Era una pessima
idea, pensò Nathaniel per la centesima volta, avanzando a
fatica sotto il sole torrido del primo pomeriggio e per le vie
semideserte di Hogsmeade. Non erano passati che dieci giorni dalla fine
delle lezioni e dall’inizio del mese di luglio che
già lui aveva fatto visita al villaggio per ben tre volte,
assecondando un pericoloso pensiero innescato dal commento casuale di
Marcus sulla riservatezza offerta da quel piccolo paese.
Durante le ultime
due visite aveva scorto un’anziana strega scrutarlo con
sospetto mentre si aggirava per le stradine in terra battuta che
portavano al limitare del villaggio, circondate da case isolate con
grandi giardini più o meno curati. Non volendo chiedere in
prestito il Mantello dell’Invisibilità a Marcus,
Nathaniel aveva provato ad usare l’Incantesimo di
Disillusione onde evitare che quella megera lo denunciasse alla Squadra
Speciale Magica.
Benché
non perfetto, l’incantesimo riuscì comunque a
proteggerlo mentre camminava con cautela di fronte alla casa
dell’anziana strega seduta in veranda, cercando
disperatamente di non fare rumore. Solo gli occhi gialli del gatto lo
seguirono, invece quelli della sua padrona rimasero ben fissi sul libro
aperto in grembo.
Nelle occasioni
precedenti Nathaniel aveva provato a indovinare chi potesse celarsi
dietro le tende chiare e ben tirate che ornavano la maggior parte delle
finestre, soffermandosi di tanto in tanto ad osservare i bambini che
giocavano e le loro mamme, sperando sempre di incontrare la donna
bionda che aveva visto nella farmacia e la sua bambina con gli occhi
azzurri dei Rosier.
Anche quel
pomeriggio vide bambini dai capelli biondi, bruni e rossi rincorrersi
allegramente da un giardino all’altro o giocare con la sola
compagnia dei rispettivi fratelli e sorelle man mano che le case si
allontanavano sempre più le une dalle altre, ma nessuna di
quelle madri era la donna che Nathaniel aveva intravisto quattro mesi
prima.
Gli mancavano ormai
tre o quattro case davanti alle quali sostare e a ogni passo le sue
certezze vacillavano sempre più, inducendolo a chiedersi se
per caso non stesse impazzendo. Una traccia dell’antico
livore che provava nei confronti del fratello fin da quando era
scomparso riaffiorò in lui senza preavviso, costringendolo a
fermarsi e a respirare profondamente nel tentativo di calmarsi.
L’Incantesimo
di Disillusione svanì, ma Nathaniel non se ne
preoccupò perché non c’era
più nessuno che potesse vederlo e l’unico rumore
che si udiva era il frinire delle cicale. Poi, lentamente e
inaspettatamente, una voce di bambina intonò una
filastrocca, proveniente probabilmente dal retro di
un’abitazione vicina.
Cercando di non
apparire come un criminale, Nathaniel si diresse verso quel punto
ostentando indifferenza e stava già per tornare indietro
quando scorse i riccioli biondi della bambina che rimbalzavano a ogni
suo saltello. Con un tuffo al cuore, riconobbe immediatamente la bimba
della farmacia e ne ebbe la conferma quando lei si voltò e
alzò il visino per guardarlo.
Occhi azzurri
identici ai suoi lo fissarono e, senza rendersene conto, Nathaniel si
inginocchiò sull’erba per osservare meglio la
bambina e il sorriso dubbioso col quale ricambiava il suo interesse. A
giudicare dall’altezza e dal modo non proprio preciso col
quale aveva pronunciato qualche strofa della filastrocca, Nathaniel
pensò che non poteva avere più di due anni e che
forse poteva davvero essere la figlia di Michael.
Ma Michael ne era a
conoscenza? Oppure era lui, Nathaniel, che stava perdendo la ragione
dietro a quella storia?
Una manina rosea e
cicciotta si mosse verso di lui e afferrò una ciocca dei
capelli di Nathaniel, tirandoli leggermente.
«Papà?»
chiese la piccola mentre un broncio adorabile le incurvava le labbra.
«No»
disse Nathaniel trovando a fatica la forza per pronunciare quelle
parole e sperimentando un giramento di testa paragonabile a quello che
si ha dopo un’eccessiva bevuta. «Come ti
chiami?»
La bambina non
rispose ma continuò ad osservarlo con attenzione, quasi
stesse decidendo se fidarsi o meno di lui. Nonostante cercasse di farsi
venire in mente qualcosa da dire, qualunque cosa che non spaventasse la
piccola o non la facesse piangere, la testa di Nathaniel rimase
penosamente vuota, persa com’era in un vortice di ricordi ed
emozioni contrastanti.
«Tesoro,
dove sei?»
La voce morbida e
dolce di una donna, la voce di una mamma, fece sussultare entrambi e
riportò Nathaniel al presente, rammentandogli ancora una
volta l’assurdità della situazione. Era, a tutti
gli effetti, un estraneo inginocchiato nel giardino di una famiglia che
non conosceva e pericolosamente vicino a una bambina indifesa.
Se la donna avesse
deciso di schiantato in quel momento, lui non l’avrebbe di
certo biasimata.
«Mamma!»
esclamò la bambina con gioia, correndo verso la madre con i
ricci che rimbalzavano come molle sulla sua schiena e lanciandosi fra
le braccia accoglienti che l’aspettavano.
«Stavi
giocando qui fuori?»
Nathaniel
ponderò una rapida Materializzazione come via di fuga, ma
ovviamente gli occhi castani della donna lo individuarono subito e ogni
traccia di calore scomparve, lasciandovi affiorare la paura e il
sospetto che lui vi aveva già scorto in passato. Non
c’era dubbio che fosse la stessa giovane che aveva incontrato
per la prima volta nella farmacia, e anche lei sembrò
riconoscerlo all’istante.
«Mi
dispiace» disse Nathaniel alzandosi di scatto e arretrando
velocemente. «Non volevo fare nulla di male, ho solo visto la
bambina giocare qui e la sua somiglianza con…. Insomma ha
gli stessi occhi di mio fratello».
«Io non vi
conosco» sibilò la donna spostando la piccola
dietro di sé e facendo comparire la bacchetta fra le proprie
mani. «Non siete stato invitare ad entrare in questa
proprietà privata, perciò
andatevene e non fate ritorno».
Nathaniel
serrò le labbra in una linea dura, consapevole di essere
dalla parte del torto ma sentendosi comunque offeso dal tono della
giovane madre che lo stava trattando alla stregua di un criminale
incallito.
Non aveva ferito
quella bimba innocente, non lo avrebbe mai fatto; si era recato
lì nel vano tentativo di risanare quelle ferite che lui
stesso aveva subito quando era poco più di un bambino.
Un
ragazzino costretto a diventare un giovane uomo nel giro di una
settimana.
«Mi
è sembrato di ravvisare nel volto di vostra figlia gli occhi
di mio fratello» spiegò provando a mantenere la
calma, cosa che negli ultimi mesi non gli era riuscita molto bene.
«Forse mi sbagliavo».
«Sicuramente vi
sbagliate. Non vi conosco e non ricordo di avervi mai incontrato
prima» ribadì la madre prima di rivolgersi alla
figlia e indicare la porta sul retro con un rapido cenno del capo.
«Entra in casa, tesoro».
Per la prima volta
nella vita, Nathaniel decise di prestare attenzione a ciò
che gli stava davanti agli occhi e di usare la logica per
interpretarlo, proprio come Johnny gli aveva suggerito più
volte di fare.
Si accorse allora
della semplice fede dorata che ornava l’anulare di quella
donna e tornò a maledirsi per la propria
stupidità; ci mancava solo che il marito tornasse a casa e
decidesse di mostrarsi meno comprensivo della moglie, schiantandolo e
consegnandolo direttamente alla prigione di Azkaban.
«Chiedo
scusa; non vi disturberò più»
mormorò Nathaniel chinando il capo e per un attimo gli parve
che un lampo di dispiacere e comprensione attraversasse quei grandi
occhi castani che non lo avevano mai perso di vista.
Scosse la testa come
a volersi schiarire le idee e si girò, pronto a tornare a
casa e maledicendo mentalmente Michael per tutta la sofferenza e le
domande senza risposta che aveva lasciato dietro di sé. Lui,
Nathaniel, non poteva permettersi di impazzire o di finire in prigione
per la determinazione con la quale si ostinava a inseguire una mera
illusione; doveva prendersi cura dei suoi genitori e meritava di vivere
la sua vita.
Doveva fare le sue
scelte, comprese, proprio come aveva fatto Michael quasi quattro anni
prima.
«Papà
è tornato da Grace» disse la voce acuta della
bambina tutto d’un tratto, giungendo fino a lui dalla porta
ancora aperta che dava sul giardino.
La donna si
arrestò sulla soglia, lanciando un breve sguardo spaventato
a Nathaniel e chiudendo subito la porta alle proprie spalle.
Il ragazzo invece
rimase immobile al centro del cortile, con gli occhi sbarrati che
guardavano i primi alberi che delineavano l’ingresso alla
foresta circostante senza vederli veramente e la mente in subbuglio,
attraversata da una sola parola.
Grace.
Il nome di sua madre.
A stento consapevole
delle proprie azioni, Nathaniel si ritrovò a picchiare col
pugno sulla piccola porta in legno, domandando che gli fosse consentito
l’accesso. Non se ne sarebbe andato prima di vedere con i
suoi stessi occhi il padre della bambina, stabilì, a costo
di finire veramente schiantato o maledetto.
«Vi ho
già detto di andarvene!» gli fu risposto dalla
stessa voce femminile di prima. «O preferite terminare la
giornata in una cella ad Azkaban?»
«Ci sono
troppe coincidenze perché io possa permettermi di
ignorarle» disse Nathaniel col cuore in gola, sperando con
tutto sé stesso che si decidessero ad aprirgli.
Ma se anche fosse
entrato in quella casa, trovandovi Michael, che cosa avrebbe potuto
fare? Riportarlo a casa come se niente fosse, come se quei quattro anni
non fossero esistiti? Oppure ignorarlo e lasciarlo alla sua nuova vita?
La porta si
aprì mostrandogli ancora una volta la madre di Grace. Non
sembrava più arrabbiata, ma in compenso aveva
un’espressione stanca e spaventata che fece vergognare
Nathaniel della furia con la quale aveva percosso l’uscio di
quella casa.
«Andate
via, per favore» mormorò a testa bassa, badando a
non rivelare molto della stanza alle sue spalle fattasi improvvisamente
quieta e silenziosa. «Non c’è nessuno in
questa casa che sia imparentato con voi».
«Ma vostra
figlia ha gli occhi dei Rosier e il nome di mia madre!»
insistette Nathaniel, testardo come un mulo, rifiutandosi
categoricamente di abbandonare la soglia di casa. «Non ditemi
che è una coincidenza, vi prego, perché non posso
credervi».
Un rumore di passi
giunse dall’interno di quella che, immaginò
Nathaniel, doveva essere la cucina. Erano passi adulti ben diversi
dallo scalpiccio prodotto in precedenza dalla bambina, passi di un uomo
che tuttavia non risvegliarono in lui alcun ricordo.
«È
un nome come un altro! Spero non crediate che ogni persona di nome
Grace sia imparentata con voi!»
Nathaniel
arrossì ma non si scompose, fermo nel suo proposito e
determinato a conoscere l’ultimo componente di quella
famiglia.
«Tornate a
casa, vi prego» lo implorò la donna trattenendo a
stento le lacrime che si erano fatte strada nei suoi occhi.
«Non
importa Aislinn, lascialo entrare» disse improvvisamente una
voce calma e profonda, seguita da una grande mano bianca che si posava
sulla spalla sottile di lei.
Nathaniel
impiegò qualche minuto per riconciliare l’immagine
del fratello che serbava nei suoi ricordi col volto che si
ritrovò davanti. Il ragazzo che conosceva era svanito per
lasciar posto a un uomo pieno di responsabilità e doveri che
lui poteva a stento concepire.
Un
padre e un marito.
Probabilmente
Nathaniel si sarebbe mosso di più se fosse stato colpito da
un Petrificus Totalus, tanta era la sorpresa che lo
paralizzò sul posto nel rivedere il fratello che credeva
scomparso. Riusciva solamente a far scorrere lo sguardo su di lui,
notando ciò che era cambiato e ciò che invece non
lo era, tentando di assorbire quanti più dettagli nel minor
tempo possibile. La sua mente era un turbine di pensieri e sensazioni
che si rincorrevano senza alcun senso, mentre l’eccitazione
lasciava il posto a un gelido stupore a sua volta soppiantato da un
senso di stordimento talmente forte che Nathaniel temette seriamente
che sarebbe finito con lo svenire lì come l’ultimo
degli sciocchi.
Michael
era vivo.
«Ciao
fratellino» disse Michael col sorriso sghembo che Nathaniel
ben conosceva e ricordava. «È da un po’
che non ci vediamo».
Note
dell’autrice.
Finalmente riesco a
pubblicare il quarto capitolo, dove ho cercato di inserire quegli
episodi accennati ne ‘Il Leone e la Fenice’ e di
rimettere in pari questa storia con la principale.
Allora, tanto per
dare dei punti di riferimento, vi elenco in ordine cronologico i
capitoli ai quali si fa cenno qui – ovviamente non ho
ricopiato gli episodi narrati nella storia principale o avrei finito
col pubblicare a Pasqua o giù di lì.
La prima scena si
ricollega al capitolo decimo de ‘Il Leone e la
Fenice’ con la lezione di Nathaniel e Lucille che
lì menzionavo e basta, mentre la seconda va’ a
collocarsi all’interno del capitolo quindicesimo, per la
precisione prima che Lucille rassicuri Cornelia su una fantomatica
sorpresa in arrivo per San Valentino.
La terza invece
espone i sentimenti che Nathaniel prova sia per Lucille che per Lydia,
e può essere letta come un ampliamento del capitolo
diciassette, mentre la quarta descrive il dialogo fra Lucille e
Nathaniel che avevo omesso nel capito venti.
Forse la comparsa di
Michael sembrerà un po’ prematura, ma vorrei
rendere lui e la sua famiglia partecipi della storia, perciò
era necessario cominciare ad introdurli; secondo voi come
reagirà Nathaniel nel prossimo capitolo? E Michael
vorrà tornare subito a casa o preferirà rimanere
a Hogsmeade?
Spero di leggere
qualche commento e qualche vostro pensiero sul capitolo!
A presto,
Selena