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Autore: _Lightning_    03/02/2019    6 recensioni
L’unica reazione di Tony è un respiro leggermente più sonoro del normale, ma i suoi occhi sembrano solidificarsi in due lastre scure e opache.
Contemporaneamente Thor si avvicina ancora, passando da osservatore esterno a potenziale partecipante, e Rhodey scatta a sua volta in piedi con fare allarmato. Nataša scruta i presenti con sguardo attento, come un felino in agguato, e Bruce non abbandona il suo atteggiamento ostile e incupito.
Steve sente la situazione precipitare.
La percepisce quasi sfuggirgli tra le dita come sabbia mentre cerca freneticamente un modo, una frase, un’azione che possa arrestarne la caduta inesorabile.

Dopo lo schiocco, Steve si trova alle prese con una squadra distrutta dalle perdite, spezzata dall'interno e incapace di far fronte unito. Toccherà a lui radunare i pezzi, suoi e degli altri, per prepararsi allo scontro finale. E molti di quei pezzi sono rimasti in Siberia, in un bunker gelido.
[post-Infinity War // Introspettivo // PoV Steve // Civil War fix-it // scritto prima di Endgame]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Schegge'
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7. Ogni granello, un macigno
 
 
It's getting dark darling, too dark to see
And I'm on my knees
And your faith in shreds it seems
 
 
 
Le squillanti note rock della suoneria spezzano in modo paradossale la tensione, creando un secondo sospeso di interdetto silenzio. Tony sobbalza quasi avesse ricevuto una scossa, per poi portare una mano alla tasca posteriore dei pantaloni; si lancia un’occhiata attorno e prima di estrarre il congegno si fa largo fuori dalla piccola arena creatasi attorno a lui, Thor e Steve, voltando loro le spalle.

Anche così, Steve nota distintamente il modo in cui si fa quasi sfuggire il telefono dalla mano tremante nel metterne a fuoco lo schermo, e come gli servano due o tre tentativi per far scorrere il tasto di risposta con le dita sudate. Si porta il telefono all’orecchio quasi con foga, e se prima sembrava intenzionato a uscire dalla stanza per guadagnarsi un po’ di privacy, adesso è indifferente agli sguardi colmi di apprensione che gli si sono appuntati addosso.

Steve si trova a trattenere il respiro per lui, momentaneamente dimentico del loro diverbio quasi sfociato in rissa, perché qualunque notizia si stia per abbattere su di lui influenzerà tutti, e non possono permettersi di perdere del anche la mente di Tony, oltre a quella di Banner.

«Happy?» chiama nella cornetta, affannato, riprendendo la sua marcia verso la porta, ed è come se con quel nome escludesse il resto del mondo. «Pepper è lì?»

Steve vorrebbe dire qualcosa, riavviare il loro discorso e sovrastare quella conversazione per ora a senso unico, così da schermare quel momento che non è evidentemente inteso per essere ascoltato da loro, ma il ricordo di una voce amata frammentata dalle scariche statiche mentre si precipita contro i ghiacci lo frena, rendendolo muto. Gli altri tendono visibilmente le orecchie, altrettanto tesi e a disagio.

Solo Thor sembra impassibile e osserva con occhi consapevoli ciò che sta accadendo. Steve incrocia il suo sguardo di sfuggita, e si sente raggelare leggendovi la cupa risposta alla domanda di Tony; vorrebbe quasi strappargli il cellulare di mano per impedirgli di sentirla, ma estendere il dubbio che lo consuma da una settimana sarebbe solo più crudele.

L’ingegnere inchioda al centro della stanza, perdendo quasi l’equilibrio, col telefono premuto con troppa forza contro l'orecchio e lo sguardo improvvisamente vacuo. Muove le labbra, ma non ne esce alcun suono, sembrano solo tentare di afferrare delle parole nell'aria. Steve ha la netta percezione dell’anima che gli scivola nei talloni, ma non gli riesce di reagire.
È il non detto a parlare, e non c’è bisogno di esplicitarlo.

«Ho capito,» dice infine Tony, e non ha mai sentito la sua voce così sottile.

Abbassa il telefono con un movimento lento, innaturale, e chiude la comunicazione. La sua postura è composta, ma lo sguardo si fa vitreo. Si volta verso di loro e per un istante sembra ignorare dove si trova, forse anche chi è lui stesso e cosa stia facendo. I suoi occhi li oltrepassano, si appuntano lontano da lì, persi. Poi si riscuote, come a comando. Un guizzo passa sul suo volto, rianimandolo, e si schiarisce la gola riprendendo a parlare col solito brio:

«Tornando a noi… Ziggy1 ha ragione,» afferma indicando Thor, «Lasciamo il passato dov’è e pensiamo a far funzionare il mio piano in modo decente.»

La sua voce non vacilla, ma si fa velata, quasi fosse attutita dai suoi stessi pensieri. Steve si limita a fissarlo di rimando, cercando qualcosa con cui replicare, ma gli è difficile distogliere l'attenzione dai due solchi di lacrime che ora rigano il volto di Tony. Lui sembra non esserne neanche consapevole, e non fa alcun gesto per asciugarle né per nasconderle.
La sua espressione diventa interrogativa, poi confusa nel realizzare come tutti lo stiano fissando a metà tra il contrito e l’esterrefatto.

«Ehi, potreste dimostrarvi un po’ più partecipi, dopotutto sto cercando di…»

«Tony...»

È Rhodes a farsi avanti e a rompere il silenzio, e la sua voce traballa, sfiorando la rottura. Si avvicina a Tony, che fa per ritrarsi, ma prima che lui o chiunque altro abbia modo di realizzare cosa stia accadendo, Rhodes lo abbraccia senza dire una parola, frapponendosi tra l’amico e i Vendicatori.
Tony non oppone resistenza; chiude gli occhi, rimane inerte e si lascia stringere, accettando la mano di Rhodey sulla nuca che lo spinge contro la propria spalla per nascondere il suo volto alla loro vista.sIl silenzio si espande, si posa sulle loro spalle come un sudario, a ricordare loro ancora una volta che hanno perso.

«La riunione è sospesa,» si sente dire Steve, atono, distante. «Riprendiamo domattina,» aggiunge, con un'occhiata eloquente agli altri, che si riprendono dallo shock e iniziano a uscire discretamente dal laboratorio in fila indiana, in una processione muta.

Rhodes gli indirizza un cenno d'assenso, gli occhi lucidi. Non lascia neanche per un istante la presa su Tony, ancora immobile, lontano da lì. Forse a New York, forse a Malibu, o in chissà quale altro luogo sicuro in cui abbia scelto di rifugiarsi.
Nataša esita un istante nel passare accanto ai due, come trattenendo un gesto nei confronti del compagno, poi li supera rapidamente, sfuggendo il suo sguardo nel lasciare la stanza.

Steve è l'ultimo a uscire, con un peso nei piedi che lo spinge a voler rimanere e che lo fa esitare sulla soglia. Un singhiozzo soffocato raggiunge le sue orecchie e si affretta a lasciar chiudere la porta alle proprie spalle.
 
***
 
L’aria fuori dal laboratorio non è meno opprimente e, anzi, si fa viscosa e irrespirabile. A Steve sembra di essere di nuovo in piedi nella piazza centrale della capitale wakandiana, ascoltando la lunga lista dei caduti che non è mai davvero finita e continua ad allungarsi.
Si riunisce agli altri, aggregati in un salottino d’attesa in corridoio e intenti a parlottare tra loro; si interrompono all’istante nel vederlo, ma Steve si sente troppo esausto per indagare sull’argomento in corso, anche se nota l’ennesima occhiata sbieca di Nataša.

«Domattina?» chiede subito Shuri, incredula ma con una traccia di colpevolezza, come se temesse di risultare troppo dura con quell’accusa inespressa.

Steve scuote la testa, senza neanche sforzarsi di trovare una risposta adeguata. Ha agito d’istinto nel concedere quella pausa forse esagerata, ma ha il presentimento che Tony non sarà il solo ad averne bisogno. Tenta nuovamente di intercettare lo sguardo di Thor, ma lui lo tiene fisso in un punto indefinito dietro di loro.

«Ti sembra che adesso Stark sia nelle condizioni di ragionare?» interviene al suo posto Nataša, apparentemente impassibile, ma Steve la conosce troppo bene per non notare la ruga di preoccupazione tra le sue sopracciglia.

La ragazza incrocia le braccia, stringendo le labbra con fare pentito.

«Lo so. Lo so, ma più tempo perdiamo…»

«Importa davvero quanto tempo perdiamo?» interviene Bruce, alzando le spalle. «Mezzo universo è morto, e a questo punto non credo che aspettare un giorno di più cambierà le cose.»

«Soprattutto senza un piano,» concorda Rocket, appollaiato sullo schienale di una poltrona e guadagnandosi un’occhiataccia da lui e Shuri. «Ehi, non venitemi a dire che quello che avete elaborato voi tre genietti è un piano,» si difende, indicando i due scienziati, «Ne so qualcosa, di piani, e questo è uno dei peggiori che abbia mai sentito.»

Bruce sospira pesantemente, ma non replica, mentre Shuri china il capo in una tacita ammissione.
Steve non prende parte al discorso, che si rianima con Bruce che erge una tenue difesa a quel “piano”. Continua a fissare Thor, che dal canto suo continua altrettanto attivamente a non rivolgersi verso di lui.

«Thor,» lo richiama infine, e il breve battibecco si esaurisce all’istante.

L’asgardiano volta appena la testa, invitandolo a continuare.

«Tu lo sapevi,» afferma semplicemente Steve, senza intenderla come un’accusa.

Thor non dà cenno di voler rispondere, al che Steve punta semplicemente l’indice verso la porta da cui sono appena usciti.

«Lo sapevi,» ripete, stavolta con più durezza, e coglie gli sguardi sorpresi degli altri farsi improvvisamente angosciati.

«Huginn me l’ha riferito,» conferma lui, scandendo le parole con insolita lentezza.

Steve non commenta, accettando quella confessione e potendo quasi sentire il peso del manto che Thor si è appuntato sulle spalle; non lo biasima per non aver informato Tony personalmente, ma sente un soffuso senso di disagio che lo prende alla gola, sapendo che quella non è l’unica perdita che hanno subito.
Prima che possa porre quella domanda che preme per uscire, Nataša prende parola con inaspettata veemenza:

«Sapevi di Pepper e non gliel’hai detto?» lo accusa, e sotto la patina di gelida compostezza, Steve avverte la sua rabbia, una rabbia che, si rende conto, potrebbe essere ipoteticamente indirizzata anche contro di lui e che gli fa contrarre lo stomaco.

«Lo so da appena un’ora. Non era mia intenzione nasconderglielo,» replica lui, pacatamente, e la donna sembra quietarsi almeno in parte, anche se quella piega sulla sua fronte non si distende. «Ma quello non mi sembrava il momento per annunciare altri caduti.»

Il plurale fa tendere tutti, minacciando di spezzare il rassicurante filo d’incertezza a cui sono appesi.

«Chi altri è scomparso?» riesce finalmente a chiedere Steve, e quella domanda si abbatte tra di loro come una sentenza inespressa.

Thor incurva le spalle, per poi raddrizzarle in un moto regale, fissando ognuno di loro a testa alta quasi avesse preso parola a un’udienza in una delle sale dorate di Asgard.

«Nick Fury e Maria Hill,» esordisce, stentoreo ma con una nota di tristezza ad addolcire il suo annuncio.

Steve contrae ogni muscolo del suo corpo, e vede Nataša che quasi si accartoccia su se stessa, nel chiaro sforzo di non lasciar trapelare una singola emozione.

«I tuoi compagni,» continua gravemente Thor, rivolgendosi a Rocket, che scuote solo la testa in un muto diniego. «Quill, Mantis e Drax sono scomparsi su Titano. Gamora è stata uccisa da Thanos per la Gemma dell’Anima,» conclude, abbassando il capo.

Rocket serra gli occhi e si accartoccia le orecchie con le zampe in un moto sofferente, raggomitolandosi poi su se stesso e sprofondando nel silenzio.

«Anche Hank e Hope Pym sono scomparsi.»

La lista di Thor continua, inesorabile, scavando dentro di loro con ogni nome.

«Notizie di Scott Lang?» chiede flebilmente Shuri, ma Thor nega col capo.

«Non sono riuscito a rintracciarlo. Sembra fuori dalla mappa,» aggiunge, corrugando le sopracciglia.

«Clint dov’è?» sbotta al contempo Nataša, di nuovo sfiorando la collera, di nuovo col volto di un animale ferito messo all’angolo, come se fosse pronta a fare a pezzi il mondo nonostante si senta disfatta lei stessa.

«Non lo so,» replica subito Thor, e Steve sente il proprio petto aprirsi un poco come a una ventata d’ossigeno, per poi avvizzire nel rendersi conto del cipiglio duro dell’asgardiano.

«E i Barton?» interviene, esprimendo la domanda che pende dalle labbra di Nataša.

Thor esita, e anche quella è una risposta sufficiente, come lo è stato poco prima il silenzio di Tony.

«Tutti?» annaspa la donna, stringendosi con così tanta forza le braccia che le unghie si conficcano nella pelle.

Thor fa un unico, grave cenno del capo, e Steve si sente mancare la terra sotto i piedi mentre lo sfondo di una Londra sventrata dalle bombe si riapre davanti ai suoi occhi, velando la realtà. Si rende a malapena conto di Nataša che si allontana di scatto, di Bruce che si accosta esitante a Rocket in un tentativo di conforto, di Shuri che piange in silenzio lì accanto, con lo sguardo perso nel vuoto.
Thor rimane immobile, composto e austero, vegliando silenziosamente su quella bolla di sofferenza.

Steve si sente tirar via di lì e asseconda i propri passi che sembrano volerlo portare lontano, come se potesse così allontanarsi anche dal dolore e come se il mondo intero non si stesse sgretolando a poco a poco ovunque si posino i suoi piedi.
Avanza calpestando le macerie polverizzate, la terra friabile delle trincee, la cenere nella giungla, e ad ogni passo affonda sempre di più.
 
***
 
Non raggiunge mai la sua stanza, o almeno così gli sembra: i corridoi gli sembrano improvvisamente storti e si deformano ad ogni metro, allungandosi all’infinito, con le vetrate ora tempestate dalla pioggia che offrono illusorie vie d’uscita.
Sente la testa pulsargli così forte da fargli credere di avere uno squarcio sulla tempia, ma ogni volta che va a tastarlo, incontra solo i suoi capelli madidi e la sua pelle bollente.

I nomi gli ronzano in testa in un brusio che lo riporta nell’aereo sull’Artico, con la radio che gli gracchia nei timpani, o nella foresta tedesca con la ricetrasmittente che impartisce ordini lontani. Si guarda attorno, disorientato: dove sono Jim e Dum Dum? Perché Falsworth e Gabe non sono davanti a lui?
Sente i mitra nemici a pochi passi, con le detonazioni che si infrangono sui tronchi e i bossoli che tintinnano attutiti sul fogliame, e le scie dei proiettili gli sfiorano gelide il viso accaldato. Perché non c’è Bucky a coprirgli le spalle?

Il grigio della cenere gli ferisce gli occhi, scaraventandolo di nuovo nella realtà in cui lui è solo e Bucky nient’altro che polvere persa nel suolo.
Accelera il passo, scuotendo la testa a liberarla da quei flash violenti e così reali da fargli percepire l’odore di cuoio della sua prima, obsoleta divisa, l’umidità del bosco che gli penetra nelle ossa e il peso dello scudo che gli batte sulla schiena. Aumenta ancora il passo, quasi in una fuga, consapevole che il mondo gli sta crollando addosso e non ha più quello scudo per proteggersi.

Sta iperventilando e non riesce a stabilizzare il respiro, perché lui quelle sedute che gli ha consigliato Fury non ha mai voluto farle, e gli incubi e i flashback li ha sempre tenuti a bada a suon di corse notturne al Lincoln Memorial; ma adesso è al chiuso e non può correre, e sente quegli stretti corridoi che si restringono come i cunicoli di un bunker ghiacciato, privandolo di aria e luce.
Non si ferma e tira un singolo respiro completo, cedendo per un istante ai ricordi.

Davanti a sé vede il sorriso ampio, contagioso e un po’ vacuo di Bucky dopo qualche bicchiere di troppo in caserma; vede gli occhi dolci e fermi di Peggy guardarlo col medesimo affetto a settant’anni di distanza; vede la sua squadra che festeggia una vittoria mentre Tony e Pepper ballano insieme un po’ in disparte, Nataša e Clint bisticciano scherzosi riguardo al nome del prossimo Barton e Fury li osserva tutti con aria burberamente paterna; vede Clint con un bambino per spalla mentre stringe a sé Laura col terzo tra le braccia.
 
“Steve…?”
 
Quel richiamo interviene a rompere quella successione di immagini, che sembrano sfaldarsi come cenere che gli va negli occhi, annebbiandoli.
È a metà corridoio quando quel bruciore si fa insopportabile, costringendolo a fermarsi e a risucchiare un altro respiro tremolante.
Butta fuori l'aria, deglutisce cercando di riprendere il controllo, ma ormai gli argini hanno ceduto e si ritrova a inghiottire una scia salata.
Si appoggia al muro a pochi passi dalla sua camera e si lascia scivolare a terra, coi palmi premuti sul volto bagnato e la pioggia che batte sui vetri a smorzare ogni altro rumore.
 
***
 
Quando sente dei passi che si avvicinano non ha bisogno di alzare lo sguardo per capire chi sia: riconoscerebbe quell’andatura lieve e felpata ovunque. Non si muove, né scopre il volto, e rimane semplicemente in attesa.
Gli sembra che sia tutto ciò che può fare: attendere, sperando che qualcuno faccia quello che lui non è più in grado di fare da quando ha visto disintegrarsi la sua unica certezza in quel mondo troppo estraneo.

Nataša si inginocchia di fronte a lui, rompe con fermezza lo scudo delle sue braccia e lo stringe a sé senza dire una parola, come ha fatto al funerale di Peggy. Non ha la forza di respingerla, né vuole davvero farlo, e accetta quel contatto ricambiandolo esitante.

«Anche stavolta non volevi lasciarmi da solo?2» mormora fiaccamente, in un vano tentativo di ricomporsi e di far finta che il simbolo dell’America sia ancora integro e intonso.

Nataša libera un sospiro, e Steve avverte il tremito che lo attraversa.

«Forse stavolta non volevo rimanere sola neanch’io,» replica schiettamente, e Steve le passa una mano sulla schiena in un tenue gesto di conforto, sentendosi stringere più saldamente in risposta.

«Non abbiamo ancora perso,» afferma poi, irremovibile nonostante la voce instabile, nonostante le lacrime inequivocabili che continuano a scorrergli sul volto.

Nataša si scosta appena da lui per guardarlo negli occhi: i suoi sono lucidi, ma il volto è pulito, segnato solo sotto la superficie da un dolore che non fa però traboccare.

«Ci credi davvero?» gli chiede a bruciapelo, ed è la prima volta che la vede dubbiosa, e la prima in cui gli pone una domanda così vaga, priva di appigli reali.

Steve tentenna, mentre una fitta d'emicrania si interpone tra le sue parole e i suoi pensieri.
Un tempo aveva affermato di essere disposto a pagare il prezzo della libertà, qualunque esso fosse3. Credeva fermamente in quel concetto spacciato per effimero, che per lui aveva invece contorni definiti e reali, e non aveva mai esitato a pagare il prezzo per salvaguardarlo, anche quando quella libertà era risultata tale solo ai suoi occhi.

Non era mai indietreggiato da ciò che riteneva giusto, nonostante il grigio informe tra il bianco e nero fosse diventato spesso invitante; non aveva mai rinnegato quei suoi ideali, anche quando lo obbligavano a dover mettere la vita degli altri davanti alla propria; non aveva esitato neanche nel voler proteggere una singola vita, perché anche una singola vita dovrebbe fare la differenza.
Ma adesso si trova a pensare amaramente che il prezzo da pagare per quegli ideali sia stato troppo alto, e sa che quella che stanno vivendo rimane una sconfitta su tutti i fronti, che pesa su di loro con ogni fardello di cenere.

«Sì,» mente comunque, sostenendo il suo sguardo, e sa che lei può leggervi la bugia. «Ci credo,» afferma poi, combattendo contro la propria voce in frantumi.

Nataša non lo contraddice e lo stringe di nuovo a sé, lasciandosi stringere a sua volta. Steve chiude gli occhi, cercando di allontanarsi dai flash presenti e passati che gli invadono la mente, e dal mal di testa che lo tormenta.
Realizza che forse le ha detto una mezza verità, perché in fondo vuole continuare a crederci.
Se smettesse di farlo, ha l’impressione che finirebbe per diventare cenere anche lui.
 

 

Note:

1Ziggy:
uno dei soprannomi di David Bowie, famoso per la sua eterocromia riconducibile agli occhi di Thor.
2Ripresa di una battuta tra Steve e Nat in Civil War, appunto al funerale di Peggy.
3Riferimento al discorso che Steve fa allo SHIELD in Captain America: The Winter Soldier.

Note Dell'Autrice:

Buonasera, cari lettori e... allegria!
Seriamente, che ci crediate o no, la genesi di questa storia parte proprio da questo capitolo, in particolare dalla prima scena, e solo successivamente ho deciso di contestualizzarla in forma più ampia. Giuro che questo era il "fondo", più o meno: ci sono altri scossoni in vista, ma decisamente meno devastanti.
Precisazioni del caso: non l'ho mai detto, ma il modo in cui i personaggi si chiamano tra loro o si riferiscono agli altri (per nome, cognome etc.) è piuttosto importante, ed è studiato a tavolino. Oltre a questo, mi sento in dovere di specificare che il rapporto di Steve e Nat, nel contesto di questa storia, è da intendersi in senso puramente amicale.

Ringrazio tantissimo _Atlas_, shilyss e T612 per aver commentato l'ultimo capitolo, e serica per aver recuperato il precedente, oltre a tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra le seguite/ricordate/preferite <3

Vi lascio in attesa del nuovo trailer di Endgame (che dovrebbe essere presentato stasera al Superbowl), e del prossimo capitolo, sperando abbiate apprezzato questa dose di angst in endovena <3

-Light-

 
   
 
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