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Autore: Duncneyforever    03/02/2019    1 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
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Nessuno si è preso il disturbo di entrare nelle camere per verificare la nostra effettiva presenza all'interno: tutto è filato liscio come l'olio e la notte è passata tranquilla e silenziosa, come se nell'enorme villa non vi abitasse anima viva. 

Le nostre valigie sarebbero arrivate solo in mattinata ( prelevate appositamente dalla " casa nel bosco " da un suo subalterno ) e abbiamo dovuto accontentarci dei vestiti che avevamo indosso, per fortuna, ancora freschi e puliti. 

Reiner mi ha presa tra le braccia con la prerogativa di scaldarmi la schiena ma, di fatto, ha approfittato dell'occasione per esplorare ciò che non aveva mai osato toccare, stimolato dalle coccole precedenti. 

È stato strano, perché non ha nemmeno sfiorato ciò che la credenza comune farebbe supporre: si è soffermato particolarmente sulla linea dei fianchi, sulla curva morbida del fondoschiena ( senza, tuttavia, intaccare le due solide semisfere ) e sul ventre, ritirato per via della posizione contorta. 

Cercavo di prendere sonno, sopportando i fremiti e lottando contro gli impulsi che mi avrebbero spinta ad agire secondo natura, ma non ho più potuto fingere quando lui, accarezzandomi il grembo, ha confessato di desiderare un bambino con i miei occhi e il mio temperamento combattivo. 

- Dormi, Reiner; gli effetti dell'alcol iniziano a farsi sentire. - Ho spostato la sua mano, riportandola sul fianco. Non ho chiuso le immediatamente palpebre, perché non ci riuscivo: ciò che mi aveva detto mi turbava, eppure il sapere che non provava vergogna nell'immaginare un futuro insieme mi rassicurava. 

Alle mie orecchie, aveva sfatato il mito della razza " nordica " privilegiata, dimostrandosi più aperto rispetto alla ristrettezza mentale delle altre SS. 

Nonostante questo, l'odio per i " subumani " persiste e continuerà, forse per sempre, ad influenzare il suo pensiero. 

Animata dall'orribile visione del suo viso deturpato da un'espressione brutale, ho tentato di distanziarmi e di strisciare via, venendo sovrastata dal suo corpo al primo accenno di movimento. 

- Era solo una mia considerazione... Non significa niente. - Ha ritrattato, imprigionando la clavicola tra le labbra, solleticandomi la guancia con i capelli sciolti. 

La morbidezza di quei capelli! 

Appena ho torto il braccio per toccarli, ho affondato le dita in una nuvola bionda, carezzevole come velluto. 

- Niente? Davvero? - 

- Non esattamente. - Ha replicato, piegandosi a cucchiaio per abbracciarmi. - A cosa mi servirebbe resistere ad una tentazione così grande? Se ti resistessi, la mia anima morirebbe per il rimpianto di essersi negata ciò per cui avrei potuto e dovuto combattere. La mente si spezza, l'orgoglio svanisce in una tensione spasmodica di emozioni... Una resa piacevolissima. - Ho sorriso nel buio, voltandomi e poggiando la testa sul suo petto, finalmente in pace. 

- Gute Nacht, mein Ritter. / Buonanotte, mio cavaliere. - 

- Gute Nacht, meine Prinzessin. - 

Non c'è dubbio che il risveglio sia stato la " ciliegina sulla torta ": non solo Reiner ha permesso ad Ariel di entrare in camera con la colazione, ma lui stesso è tornato a letto, tenendo fede alla sua parola. 

E adesso, con un baffo di schiuma sul labbro superiore e un croissant nella mano destra, mi sento felice; una felicità di quelle più semplici e pure, le sole che Auschwitz consente di provare. 

- Li hai fatti tu? Sono perfetti! Sembrano preconfezionati! - Ariel assente, lusingato, segnandosi mentalmente la richiesta di Reiner, ossia di farcirne un'altro con crema di lamponi, visto che, a quanto sembra, è quella che più preferiamo. 

- Subito, Herr Kommandant. - 

- Due; uno è per te. - Aggiungo, pregandolo di metter su peso. 

Pur essendo una sorta di " prigioniero speciale ", Rüdiger lo affama, (mal)trattandolo alla stregua dei comuni Häftlinge. 

- Non pensi di esagerare? - Chiosa il biondo, afferrandomi il mento e leccando via il rimasuglio di schiuma. 

- Affatto. - Replico, paonazza in volto. - Oggi devo tornare al campo... - Inizio, riscontrando ferma opposizione da parte sua. - Puoi sempre accompagnarmi, se non vuoi che ci vada sola. - 

- Non ti avrei mai lasciata sola. - 

- Dunque è un sì? Loro mi aspettano, Reiner. Non posso tradirli. - Penso al fratello minore di Ariel, Samuele, coperto di fuliggine nella miniera di carbone e ad Isaac, il ragazzino dalla voce prodigiosa costretto a subire i soprusi delle SS, dei Kapò e persino dei suoi stessi compagni di sventura, terribilmente crudeli nei suoi confronti. 

Sono in debito anche con Zeno e, perciò, sento l'esigenza di parlargli e di riprendere pian piano il rapporto che l'improvvisa morte di Friederick aveva spezzato. 

- Non davanti alle guardie: non puoi intrattenerti con dei prigionieri, per giunta ebrei, o troveranno il pretesto per farti internare. A quel punto, non potrei più oppormi alla volontà generale, ma solo mobilitarmi per sottrarti ad un destino peggiore della morte... Piccola e innocente come sei, saresti un facile bersaglio per coloro che sono insofferenti a causa dell'astinenza. Ti consumerebbero e questo distruggerebbe anche me. - 

- Dimentichi che già lo sanno! Hanno paura di te; ecco perché mi hanno sempre lasciata stare... - 

- È pericoloso! Io non potrò sorvegliarti giorno e notte, lo capisci questo?! Ho dei doveri, degli obblighi verso il Führer, verso il Reich! Per quanto tu possa essere speciale e importante, non sarai mai la mia unica priorità. - 

Posso trasformarmi in una tigre, in un avvoltoio se necessario, ma ciò non toglie che dentro pigoli come un passerotto ferito, le cui ali sono rimaste impigliate nel filo spinato. 

Il suo cuore è inaccessibile. 

Quella barriera di convinzioni, invalicabile. 

Appena mi convinco che i tempi siano maturi per poter spodestare il suo credo ( e quindi occupare il primo posto tra i suoi pensieri ) lui smentisce, dando prova della sua ormai indiscussa lealtà verso la Germania. 

- Ciò non toglie che farei qualunque cosa pur di vederti sorridere. Non posso saperti infelice a causa di una mia scelta. - Si sbilancia, rischiando di rovesciare la tazza di latte caldo sulla coperta. 

- Fa piano! - Lo ammonisco, spostando il vassoio sul comodino. 

Quando mi giro, lui è a un soffio dal mio naso, tant'è che sussulto, stringendomi la maglia all'altezza del petto. 

- Non dovresti sentirti a disagio con me. - Mi dice, vedendomi in difficoltà. - Perchè non mi guardi mai negli occhi quando ti sono vicino? - 

- Lo sai perché. - Rispondo, alzando lo sguardo. - Sei bello, Reiner. - Non ho idea di come mi sia potuta uscir di bocca una sciocchezza simile ma, sta di fatto, che mi vergogno infinitamente di averla detta. 

- Perciò mi respingi... - La frase è incompiuta, come se spettasse a me il compito di completarla. 

Io, però, non so cosa ribattere: è giusto cedere alla voluttà, se l'alternativa è vivere nel castigo? 

Sono io che sto manipolando lui, o è lui che sta manipolando me? E se questo gioco lo facessimo entrambi? E se, invece, non lo stesse facendo nessuno dei due? 

Non amo prendere ordini, ma adesso vorrei davvero che qualcuno mi dicesse cosa fare e come mi devo comportare. 

- Ti respingo perché mi rendo conto di provare qualcosa per te, tuttavia, quel sentimento, per quanto forte sia, deve morire. Ti prego, non rendermelo più difficile di quanto già non sia... Mi fa male... - Aggiungo, in un singulto, chiudendogli il cuore. 

Tremo ad occhi chiusi, confinando le lacrime all'interno delle palpebre. 

Lui mi accarezza la schiena, passando un dito sulla colonna vertebrale in evidenza. 

- Sono sempre stata magra sulle spalle; non sono deperita. - 

- Ciò che avanzi lo dai a lui? - Io annuisco, convinta che non sia un'accusa contro ciò che ho fatto per aiutare un amico. - La persona che desideri non esiste; è un'idea, non è reale. Non sono come tu mi vorresti, ma ciò che sento, le emozioni che il tuo tenero viso mi suscita, sono reali. Non sei un ostacolo per il mio cammino... Fai parte di un disegno più grande. - 

- Non potrai tenermi in eterno, Reiner. La tua famiglia e l'Ufficio Centrale per la Razza hanno un disegno diverso per te. Io non vado bene; devi allontanarti. - Lui, carico di una rabbia indefinita, mi spinge sul materasso, torreggiando sul mio corpicino inerme. 

- Ich bin die Ausnahme. / Io sono l'eccezione. - Assevera, serioso, corrucciando la fronte. - Schau mich an. / Guardami. - Scosta le mani dal mio viso, prendendomi i polsi e portandoli ai lati del capo, come fossero stecchini. 

Ad aspettarmi c'è un mare d'acqua calma, su cui è riflesso il più caldo, il più luminoso raggio di sole; nei suoi occhi torna il sereno e il nostro primo e unico bacio affiora alla mia mente come una conchiglia, che viene trasportata a riva dalle onde di quell'infinito, meraviglioso mare.  

Non era neppure un vero bacio ma, quando mi risvegliai, pensai d'esser scivolata nel sonno eterno e d'avver toccato il cielo etereo del paradiso. 

Nell'aria c'è il suo profumo, mentre la croce celtica, sempre attorno al collo, ciondola invitante, tant’è che io, gattina curiosa, gli dedico attenzione, distraendomi volutamente da globi azzurrini ancora più invitanti. 

" Galeotta fu la croce e chi gliela conferì " riscriveranno, nei tempi a venire. 

Un bacio. 

Soffice e delicato, sebbene rubato, che pecca di presunzione, ma non di avidità. 

Un mondo, anzi, diversi mondi diametralmente diversi che si incontrano; un proiettile che mi preme sulla bocca e perfora il cuore, inondandomi di una scarica di sangue caldo in tutto il corpo. 

Mi bacia tremante, come avevo visto fare a certi scolaretti alle prime armi, facendo tremare anche me. 

Le sue labbra sono zucchero, morbide; si poggiano per un tempo incalcolabile, poichè non troviamo il coraggio di approfondire il bacio, nè di separarci. 

Le labbra di un nazista, che dovrebbero infettarmi con il loro putridume, mi squarciano l'anima, conquistandomi. 

Ci consumiamo, cercando di imprimere per sempre il nostro marchio sulle labbra dell'altro/a. 

Lui si separa per primo da me, lasciandomi la bocca arida, assetata dei suoi baci. 

Mi appiglio alla croce di ferro, attirandolo verso il basso, alla scoperta di nuove e travolgenti sensazioni.

Reiner mi asseconda, diligente, incapace di sottrarsi a me.  

Sospiriamo, entrambi impacciati, attenti a non trasformare un innoquo contatto fior di labbra in un divoramento selvaggio e violento. 

Sono io, questa volta, a staccarmi.

Ricado stremata tra le lenzuola, boccheggiando, umettandomi la bocca gonfia, sapida di lui. 

Potrei morire dalla contentezza, così come potrei seppellirmi viva, macchiata dal disonore. 

- Du bist ein Traum... / Sei un sogno... - 

- Tu sei un incubo... - Protesto, afflitta dai rimorsi. - ... Nonostante questo, sei dannatamente buono. - Sfioro le labbra con le dita, fantasticando ad occhi aperti, ma lucidi. 

- Perdonatemi, Herr Kommandant, c'è stato un inconveniente... La confettura deve averla presa il colonnello e... - Ariel piega la testa di lato, confuso, ritrovandomi tutta rossa, distesa scompostamente tra il materasso e le gambe di Reiner. 

- Quel ragazzetto che cerca, è tuo fratello, no? - Lo interrompe, ricevendo una risposta affermativa. - Gut. Ha qualche abilità particolare? Un talento, qualcosa che lo renda distinguibile dalla massa. Non posso prelevare due prigionieri senza una motivazione precisa: l'ungherese canta, ad esempio; tuo fratello cosa sa fare? - 

- Io non saprei, signore. Ecco... Lui... - 

- Entro sera, magari. - Lo riprende, spazientendosi. 

- Lui parla bene il russo. - Ammette, all'ultimo, non sapendo se l'informazione possa essere rilevante o meno. 

- Questo può essere utile - replica Reiner, probabilmente pensando ai prigionieri russi catturati sul fronte orientale. - Ma dovrei comunque essere io ad interrogarli, dal momento che non sa parlare tedesco. - 

I brividi. 

Mi si è già presentata una situazione in cui il comandante ha dovuto eseguire il " lavoro sporco " e, ciò che vidi quel giorno, mi terrorizza tutt'oggi.  

Le punizioni inflitte da Reiner vengono annunciate da una sentenza devastante, ma è l'azione, svolta con una dedizione e un'inflessibilità disumana, a far tremare anche gli stomaci più forti. 

- Me lo farò bastare. - Si alza, scattante come una gazzella; si pone indosso la giacca della divisa e il Totenkopf, infila la cintura tra i passanti e, infine, gli stivali, trovandosi vestito di tutto punto in meno di due minuti. - Non vuoi vedere i tuoi giudei? - Ariel si ritira e, a me, è sufficiente mettere le scarpe per essere pronta. 

- Ma i denti? Come ce li laviamo, dal momento che non abbiamo le nostre cose? - Lui si gira verso di me, sorridendo. 

- Rüdiger ha già provveduto. - 

- Praticamente hai rubato due spazzolini - e quell'espressione furbesca conferma la mia ipotesi.

- Li ho trovati nel mobile; tanto ne ha una scatola piena! Non se ne accorgerà neppure. - 

- Se se, si vede che non lo conosci bene. A Rüdiger non sfugge nulla; c'è fissato con l'ordine e la pulizia. - 

Insomma, un tedesco in tutto e per tutto il colonnello! 

Ho perso il conto di quante volte alla settimana faccia lavare i pavimenti e spolverare i mobili; un lavoraccio per il quale Ariel è stato picchiato ripetutamente, reo di non aver lustrato a fondo dettagli realmente trascurabili ( come il chiavistello di una porta ) o di non aver scotolato una tenda o un tappeto, in un angolo remoto della casa.

- In ogni caso, vedo che non hai perso tempo. -  

- Non ho tempo da perdere. - Mi trascina nel bagno in questione, uno dei tanti, attendendo che mi posizioni davanti allo specchio per mettermi al collo la croce celtica, simile alla sua. 

L'acciaio freddo mi fa rabbrividire, ma mai quanto il pensiero di dover sfoggiare un simbolo del potere nazista in un campo di morte. 

- Non devi vergognarti, Sara. Loro sanno chi sei; sanno che il tuo cuore è buono, aperto a tutti, indistintamente. È solo una precauzione. - Lui mi tiene tra le sue braccia, mi consola ed io non mi pento più di avergli regalato il primo bacio. 

Lo meritava. 

Più di Rüdiger e, forse, più di chiunque altro. 

Scendiamo al piano di sotto, incrociando il colonnello e Hoffmann, a torso nudo, spaparanzati sulle sedie della sala da pranzo, intenti spalmare la confettura di lampone su del pane bianco.

La mia confettura di lampone. 

- Tesoro... La volevi tu? - Rüdiger addenta una fetta di pane, dondolandosi sulla sedia. 

- Spero che tu cada e ti rompa il collo. - Sibilo, scatenando, da parte sua, una risata irridente. 

Il riso di una iena, accompagnato da quello più gutturale del suo amico biondo, a cui è stata tradotta la mia " battuta ". 

Il rosso non ci ostacola in alcun modo e noi siamo liberi di partire per Auschwitz, dimenticata dalla morte stessa, in cui l'opera della mietitrice è stata rimpiazzata dalle smanie di superiorità degli uomini. 

- Userai veramente Maxim per estorcere informazioni a quegli uomini? - Ricordo ancora il lungo ed estenuante interrogatorio di Samuele, la violenza con cui venne percosso da Rüdiger, il sangue sul suo viso, sulle mani del colonnello e sul pavimento chiaro, cosparso di schizzi scarlatti.

- Vorresti impedirmelo? - 

- Solo pregarti di non ucciderli. - I comunisti dell'Armata Rossa non furono affatto teneri con i tedeschi che capitarono nelle loro mani: molti vennero internati nei loro gulag in Siberia, altri vennero seviziati e uccisi sul posto. 

Per quanto possa considerarlo barbaro e inumano, era una pratica pressoché comune e non posso rimproverarlo solamente al comandante in quanto nazista, bensì a tutti coloro che adottarono questa pratica per ottenere con la forza ciò che si pretendeva sapere. 

- Non permettere che io ti odi, perché tu sei la mia unica speranza. Io mi sono affidata a te... Io ho fiducia in te. - Confesso, cercando il suo sguardo. 

- Mi stai dicendo che non è stato un errore? - Mi chiede, riferendosi a quanto accaduto prima. 

- No, non è stato un errore. - Persino il sole impallidirebbe davanti alla radiosità di quel sorriso... 

Se qualcuno mi avesse detto che, un giorno, avrei reso una persona così felice, non ci avrei creduto, anzi, ci avrei come minimo scherzato su. 

La felicità si esaurisce nel vedere le colonne fumanti di Birkenau: sono un'ingenua a supporre che Max e Isaac, in quanto giovani e sani, siano al sicuro ma, per motivi personali, mi conviene sperarlo. 

Nessuno ha la garanzia di potersi salvare, tantomeno due ebrei ai lavori pesanti. 

Ci precipitiamo a cercarli e a Reiner spetta il compito di contenermi, di sedare gli animi dei soldati increduli. 

Basandomi sullo spirito di osservazione, ho imparato a riconoscerli, ma come individuare una manciata di persone tra le centinaia che vi lavorano? Beh, dal loro comportamento, anche nei miei confronti. 

Ad esempio, un uomo particolarmente sfacciato lo si riconosce sempre: una sentinella diligente non dovrebbe distrarsi per fissarmi il fondoschiena, specialmente in presenza di un superiore, eppure la guardia che mi chiamò " topolina ", mangiandomi con lo sguardo, persiste nel commentare con il collega imperturbabile, ignorando gli avvertimenti di quest'ultimo. 

- Non sprecare fiato... Coglioni si nasce. - Procedo a passo di marcia, pregandolo di non fermarsi a discutere con lui. 

Sarà anche un " coglione ", così come l'ho definito, ma non è tra i più spietati, nè tra i più sadici. 

Particolarmente malevolo è un altro crucco e, procedendo verso uno squadrone di prigionieri ( nella speranza che Isaac possa trovarsi tra loro ), intravedo una guardia che mi pare conosciuta, intenta a gustarsi una mela a due passi dalle loro bocche affamate. Lancia lontano la mela smangiucchiata e questa ruzzola fino ai piedi di un detenuto in visibile deperimento; gli intima di raccoglierla e, non appena questo poverino si piega, ecco che la guardia libera il cane ringhiante, ridendo di gusto nel vederlo cadere per terra, terrorizzato. 

Prima che possa morderlo, urlo al tedesco di richiamarlo, mettendomi io stessa a fischiare e schioccare le dita.

Mi dico di dover individuare qualcosa che possa interessargli e lanciarglielo, ma non ho nulla con me che il cane possa addentare in sostituzione del suo braccio o della sua gamba.

Reiner si arrabatta con la pistola, sparando un colpo verso l'alto e spaventando l'animale, che scappa via con la coda tra le gambe. 

Gli altri prigionieri raddrizzano la schiena curva, testimoni di una clemenza incomprensibile. 

- Wolltest du ihr, vielleicht, diese Gottlosigkeit zeigen? / Volevi forse mostrarle quell'empietà? - Il soldato mormora qualche parola, a bassa voce, non sforzandosi neppure di renderla comprensibile. 

- Du bist nicht hier, um Spaß zu haben. / Non sei qui per divertirti. - Sottolinea, sdegnoso, ordinando ai detenuti di riprendere il lavoro. 

Perché scavano, poi? È un pozzo? Una latrina all'aria aperta? Una fossa comune? 

Non è chiaro, quindi non escludo nulla a prescindere. 

- Wo ist der Ungern? Ich brauche ihn. / Dov'è l'ungherese? Mi serve. - L'uomo lo guarda ancora più spaesato, alzando le spalle. 

- Sie werden es nicht glauben, Kommandant, aber Sie ist der zweite, der mich fragt. / Non ci crederete, comandante, ma voi siete il secondo che mi chiede di lui. - 

Cosa?! Chi mai potrebbe aver chiesto di lui e, soprattutto, perché? Per la sua voce? 

E se qualcuno lo avesse prelevato per fargli del male? 

Ho gli occhi lucidi; il comandante non sa nè cosa fare nè cosa dire per confortarmi. 

Ho paura, così paura di scoprire, magari, che sia stato ammazzato o ridotto in fin di vita dai suoi aguzzini! 

- Du solltest sprechen. / Ti conviene parlare. - 

Il soldato ci indica una direzione non ben definita, che porta ad una fila di baracche in muratura, vuote per via dell'assenza dei prigionieri. 

- È in una di queste? Come facciamo a sapere quale? Non possiamo perquisirle tutte! Potrebbe essere troppo tardi! - Lui mi fa un cenno con la mano, indicandomi di fare silenzio. 

Cammina in avanti, arrestandosi a lato di un Block. A distanza di un paio di baracche, riesco a vederlo distintamente, ma non a sentirlo. 

- Cosa c'è? - Gli domando, dopo aver raggiunto la suddetta casetta. 

- Non senti? - Le pareti sono spesse, eppure anche io riesco a distinguere dei suoni ovattati. Se sono percepibili dall'esterno, non oso neppure immaginare quanto forti siano all'interno. 

Un urlo, chiaramente riconoscibile come tale, mi inonda il viso di lacrime: è lui, è Isaac, lo capisco dalla bella voce di cantante, rovinata, resa più acuta dall'intensità della sofferenza. D'improvviso vedo morte, il sole tingersi di rosso e il silenzio circostante, fatta eccezione per quella voce che grida anche quando dovrebbe tacere, mi sbatte in viso la nuda realtà su quanto il mondo che amo sia marcio e corrotto. 

Senza pensarci, corro fino al portone chiuso, sulla parete opposta: lo apro lentamente, attenta a non dare nell'occhio, venendo subito pervasa dal puzzo fetido e ristagnante dei letti a castello, i cui pagliericci, in particolar modo quelli dei ripiani più bassi, sono pregni dell'odore dei fluidi corporei, forse colatici su persino dal secondo e dal terzo pareggio. 

La seconda sensazione che mi travolge, come un fiume in piena, è una forte, fortissima angoscia nel sentire quelle urla farsi più vivide e più vicine, quasi potessero artigliare il mio cuore e fissarci indelebilmente il dolore della memoria. 

I passi sul pavimento sono appena percettibili e, mentre avanzo, le prime figure iniziano a delinearsi ed emergere dall'assetto delle cuccette. 

Due uomini ridono, Isaac continua a gemere e lamentarsi dal male. 

La visuale ora è libera e ciò che vedo mi mozza il respiro: un singhiozzo da parte mia, un altro e un altro ancora. 

Il soldato sulla destra se ne accorge e mi guarda impietrito; l'altro, che stringeva in una mano i capelli riccioluti di Isaac, si allontana con uno scatto repentino, aggiustandosi malamente i pantaloni della divisa. 

Il ragazzino cade sulle ginocchia, accasciandosi per terra, nudo e impaurito. 

Il suo corpo magro lacrima sangue, i suoi occhi spenti sono il riflesso della vergogna. Avvicina le ginocchia al petto, piangendo, vittima innocente di una colpa che non avrebbe dovuto espiare. 

Ecco perché i suoi compagni lo insultavano, ecco perché lo maltrattavano... 

La sua verità non è stata creduta e, pertanto, è costretto a scontare una pena più amara del castigo fisico...

Egli subisce sulla propria pelle l'odio delle persone che avrebbero dovuto sostenerlo e rassicurarlo e, questo, lo rende incredibilmente simile a me...

Incredibilmente fragile.

Irrimediabilmente senza destino.

 




Nota: il titolo " Sorstalanság " è in ungherese e deriva dall’omonimo romanzo di Imre Kertész, tradotto poi in italiano con il titolo: " Essere senza destino ". 






 

  
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