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Autore: LadyoftheSea    19/07/2009    2 recensioni
Dopo aver letto il libro Death Note: Another Note, sono rimasta affascinata da BB e ho deciso di scrivere una storia su di lui e di L. Spero vi piaccia!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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3 - Beyond


Beyond Birthday si annoiava da morire. Non era ancora riuscito ad escogitare un piano per sfuggire a L. E come avrebbe potuto? Era sorvegliato a vista, anche quando si faceva una doccia le telecamere installate ovunque lo tenevano d'occhio, e quelle dannate manette non gli davano nemmeno più fastidio, si era abituato a portarle. Ma la mancanza di libertà era troppo, troppo opprimente. Rischiava di perdere il senno a furia di stare rinchiuso tra le mura di un hotel... o quello che era.
"Perchè non chiami qualche ragazza? Potremmo ammazzare un po' il tempo. O perlomeno io potrei. Tu sei troppo impegnato a fissare il tuo computer."
L non lo degnò di una risposta, ma B non si diede per vinto. "Almeno potremmo andare a farci un giro. La mancanza di sole provoca carenza di vitamina D. Tu, in particolare, sei così pallido che potresti essere scambiato per un vampiro."
Il detective continuò a ignorare il ragazzo che sedeva poco distante da lui. Era troppo concentrato a scavare nel passato di B. Sì, perchè da quando si erano incontrati, da quando era comparso al suo cospetto, il suo desiderio più impellente era divenuto quello di risalire alle origini di quella persona così fisicamente somigliante a lui. "B... i tuoi non sono morti." annunciò, con il suo solito tono impassibile.
Beyond Birthday rimase calmissimo. "Forse tutti quegli zuccheri che ingurgiti da mattina a sera ti hanno procurato seri danni al cervello, ma se ben ricordi io ho vissuto in un orfanatrofio, il tuo stesso orfanatrofio, da quando avevo dieci anni."
"Certo, ma non è stato perchè i tuoi famigliari erano tutti deceduti... in effetti, penso che anche tu sappia il motivo. Sai perchè sei stato portato lì."
B credeva di aver rimosso. Quella spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco, col passare degli anni, era sparita, e aveva dimenticato, aveva voluto dimenticare. Ma sebbene gli fosse stato detto che i suoi genitori erano periti in un incidente stradale, sapeva che non era così. Sapeva che avevano voluto sbarazzarsi di lui. Sapeva che, fin da quando era stato in grado di parlare, fin da quando aveva manifestato la sua diversità, i suoi genitori avevano atteso il giorno in cui se lo sarebbero tolto di torno. Avevano compilato pratiche, parlato con legali, fatto il possibile per accelerare il processo, probabilmente. E c'erano riusciti, e si era ritrovato in orfanatrofio proprio il giorno del suo decimo compleanno, e aveva cercato di giustificarli nel profondo di sè. Aveva finto... negato la verità. Dopotutto, era un bambino. I bambini non sono così intelligenti, non capiscono tutto quello che accade intorno a loro. O questo era quello che cercava di credere fermamente, dentro di sè, che si era ripetuto giorno dopo giorno.
"I tuoi ti hanno portato lì per un motivo. Perchè eri diverso. Li spaventavi. Eri un bambino fuori dal comune, diciamo pure che eri più intelligente di un adulto, e tua madre e tuo padre non riuscivano a gestire la situazione. Avevano paura."
"No." ribattè B, fiocamente. "Non è vero."
"Facevi cose strane. Una volta hai cercato di soffocare un bambino perchè volevi poi tentare di rianimarlo, volevi vedere la vita sfuggire dal suo corpo e riportargliela. Volevi capire cos'era la vita."
"No. I miei genitori non mi avrebbero mandato via." replicò B, pur sapendo che negare era inutile. Come diavolo faceva L a sapere tutte quelle cose?
"Tuo padre non ti voleva. Sospettava che tu non fossi suo. Tua madre credeva di amarti, ma più crescevi più era combattuta. Non voleva mandarti via, ma non voleva nemmeno tenerti con sè. Non sapeva cosa fare. Avrebbe tanto voluto che tu fossi normale, come gli altri bambini..." proseguì L, implacabile.
Aveva tre anni e mezzo quando, per la prima volta, i suoi genitori capirono realmente che il figlio aveva capacità incredibili. Aveva da poco imparato a leggere e sua madre lo portò al centro commerciale con sè, a far spese.
"Mamma, perchè hanno tutti quei nomi scritti in rosso sopra le loro teste?"
"Che dici, piccolo?" sua madre rise. Sapeva che il bimbo aveva una fervida immaginazione. Era da quando era in grado di parlare che ripeteva di vedere segni rossi sopra le teste delle persone, ma non sapeva cosa fossero.
"Tu hai il tuo nome scritto sopra di te!" esclamò il piccolo B. "E anche tutte queste persone hanno i loro nomi!"
"Fai il bravo, non abbiamo tempo per giocare ora."
"Ma è vero, mamma! Quella signora si chiama Christiane Campbell! Chiediglielo!" protestò, indicando una signora poco distante.
"Falla finita, ti ho detto che non abbiamo tempo!" sua madre lo strattonò perchè non rallentasse il passo, ma B si divincolò e chiamò a gran voce: "Signora Campbell! Christiane Campbell!"
La signora si girò e guardò il bambino con sorpresa. Non lo conosceva, nè conosceva la madre.
La madre di B rimase perplessa, ma pensò che la signora si fosse voltata per caso. Proseguendo il giro del centro commerciale, però, suo figlio iniziò a pronunciare i nomi di tutti quelli che incrociavano e tutti quanti si giravano a guardarlo. Possibile che... "Tesoro, sai dirmi il nome di questa persona?" la donna prese una foto dal portafoglio. Era la foto di suo fratello, viveva all'estero e non lo vedeva da anni. Non ne aveva mai parlato a suo figlio, era troppo piccolo, e lui non l'aveva mai visto prima in foto, ne era certa. "Si chiama Sebastian Searle."
La donna ebbe un sussulto. Come poteva saperlo? Una cosa era sicura... "Non devi mai dire a tuo padre che sei in grado di leggere i nomi delle persone vedendole, mi hai capito? E' molto, molto importante."
B annuì sorridendo. "E' il nostro segreto!"
Ma era pur sempre un bambino di nemmeno quattro anni e un giorno si era tradito. Il padre si era infuriato con la madre. L'aveva chiamato Quel mostriciattolo. L'aveva picchiato e gli aveva detto che non doveva leggere i nomi delle persone. Ma quando B aveva capito che quei numeri che fluttuavano sulle teste della gente corrispondevano alla loro durata vitale, era stato anche peggio. Suo padre l'aveva picchiato ancora di più, sua madre aveva pianto cercando di fermarlo, era solo un bambino, non era colpa sua, non era cattivo.
Ma suo padre non le aveva dato retta e aveva continuato a picchiarlo, e gli aveva rotto il naso, il sangue scorreva ovunque, a fiotti, e nonostante il dolore, B pensò che era bello. Era dello stesso colore dei numeri sulla testa di suo padre. I numeri che segnalavano la sua morte. Non gli restavano molti anni. B sorrise per un attimo, tra le lacrime. Ben gli stava.
"Tua madre non poteva lottare contro tuo padre, era stanca. Non voleva più vederti, voleva eliminare tutti i problemi dalla sua vita. Tu eri una seccatura."
"Chiudi quella bocca!" B scattò in piedi e fece per colpire L, ma si trattenne. Strinse i pugni fino a che le nocche diventarono talmente bianche da essere traslucenti. "Hai sbagliato persona!" L sapeva degli occhi? Sapeva della sua dote? Certamente no... l'avrebbe menzionata.
"No... io non credo. Certo, non capisco cosa abbia spaventato i tuoi talmente da allontanarti definitivamente da loro..." ragionò il detective, portandosi un pollice alla bocca. "Ma... sei fortunato. Tua madre è ancora in vita. Potresti rivederla."
"Prima hai detto che i miei erano vivi entrambi."
"Parlavo in generale della tua famiglia. E poi, tua madre ha parenti in vita. Hai uno zio."
"Io non ho nessuno." Beyond Birthday scandì le parole con cura. "Indaga sulla tua famiglia, invece di preoccuparti della mia."
L si alzò in piedi. "Credo che tu abbia dei segreti. Anzi, un solo segreto, molto grande. Forse ti verrà voglia di parlarmene." Il detective si allontanò e lasciò la stanza con calma. B, annebbiato dal flusso di sentimenti che minacciava di sopraffarlo, rimase fermo per qualche minuto, dopodichè afferrò la sedia più vicina e la scagliò contro il muro, salvo lasciarsi cadere a terra. Quella maledetta catena alla caviglia lo bloccava lì. Lo bloccava, solo coi suoi pensieri.

  
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