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Autore: Shora    04/02/2019    3 recensioni
Marinette ha diciotto anni ed ha un solo nemico, il ragazzo più bello della scuola: Adrien Agreste. Tutto sembra andare per il meglio, ma quando sua nonna si ammala, i suoi genitori sono costretti ad andare in Cina, affidandola alla famiglia di Alya. Sarà proprio la sua migliore amica a dare una scossa alla sua vita, esagerando solo un po', ad un semplice gioco come obbligo o verità.
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Tutto si svolge in una realtà alternativa dove i due protagonisti non hanno mai ricevuto i loro Kwami.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Alya, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Nino
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo sei:
-Uno!- gridai sventolando la carta in aria.
-Dupein-Cheng, ti sento non c’è bisogno che gridi.- mi rispose Adrien, stizzito del fatto che stessi per vincere l’ennesima partita. Erano passate ormai due settimane da quando eravamo ammanettati e della chiave nemmeno l’ombra. A dire la verità, però, non ce la stavamo passando affatto male. Adrien aveva smesso di fare l’arrogante e l’antipatico per qualche ora al giorno e collaborava di più. Soprattutto durante le nostre capatine all’alimentari qui di fronte. Adrein mise giù un tre giallo. Senza nascondere il sorriso buttai la mia ultima carta: un sei giallo.
-Ho vinto.- annunciai. Lui mi mandò un’occhiataccia.
-Ho visto.-
-Siamo sette ad due. Facciamo a chi arriva prima ad otto?- lo provocai. Con un grugnito che poteva significare qualsiasi cosa, prese le carte e si mise a mescolarle.
-Allora vuoi proprio perdere.- ghignai. Distribuì il mazzo e riprendemmo a giocare. Ovviamente vinsi io e venni festeggiata persino da Tikki con un sonora strusciata alle mie gambe e un melodioso miagolio.

Quel pomeriggio stavamo oziando sul divano. Adrien faceva zapping interrompendo tutte le frasi sui diversi canali e ne imitava il suono che facevano quando li cambiava (zip, zap, ptiuu) e sembrava più di trovarsi in mezzo ad un guerra tra astronavi che in un salotto di una casa a Parigi.
-Prima che tu faccia saltare la mia TV, mi spieghi cosa stai cercando?- domandai.
-Qualcosa di interessante.- mi rispose. Con un sospiro, mi rimisi a leggere il mio Focus che stavo sfogliando da qualche ora.
-Tu te la ricordi la prima volta che ci siamo visti?- mi chiese di punto in bianco Adrien.
-Sì, ha decapitato il mio pupazzo.- risposi senza nemmeno alzare gli occhi dal giornaletto sulla mie gambe.
-Quella specie di papera?-
-Era un pecora! Nemmeno ti ricordi le tue vittime, assassino.- sorrisi, senza un perché e nascosi subito il viso dietro le pagine del giornalino, sollevandolo e facendo tintinnare la catenella.
-Ah già!- disse poi illuminandosi.
-Eravamo al parco e ci sono passato sopra con la bicicletta.-
-Sei stato davvero crudele.- gli rinfacciai.
-Non è colpa mia se lo avevi lasciato in mezzo al sentierino su cui passavano anche le biciclette.-
-Era sul bordo!-
-Sì e io avevo cinque anni e non sapevo ancora andare bene in bicicletta.- Rimanemmo in silenzio per un altro po’.
-Avevi davvero un bel vestito.- disse di nuovo dal nulla.
-Non mi ricordo.- dichiarai, mentre cercavo di girare pagina. Erano davvero incollate!
-Io sì. Era tutto rosso a pois neri. Sembravi un coccinella gigante.- rise leggermente, guardandomi con aspettativa, come se volesse inviarmi il suo ricordo telepaticamente. In effetti mi ricordavo di quel vestito. Era uno dei miei preferiti, solo che poi Tikki ci si fece le unghie sopra, stracciandolo tutto e dovemmo buttarlo. Piansi per un numero indefinito di giorni.
-Mmhh, può darsi.- non volevo dargli ragione, anche se per una volta era così.
-Io invece mi ricordo di te ad un carnevale quando avevamo sette anni.- dissi poi.
-Ti inseguivo per ricoprirti di stelle filanti.- rise lui.
-Sì ed eri anche vestito e truccato da adorabile gattino nero.- sogghignai malignamente. Sapevo che non gli piaceva essere ricordato nelle vesti di un adorabile micino.
-Mia madre mi aveva obbligato.- disse evitando il mio sguardo. Ah, ora non rideva più!
-Eri davvero carino!- rincarai la dose.
-Dici che si gratto l’orecchio fai le fusa?-mi allungai ridendo per fargli i grattini tra i capelli.
-Ma smettila, Dupien-Cheng!- ridacchiò anche lui, afferrandomi il polso prima potessi sfiorargli anche una sola ciocca bionda. Rimanemmo immobili un attimo, guardandoci negli occhi per qualche secondo, anche se a me sembrò qualche ora. Che begli occhi che aveva. Di un verde così profondo con qualche pagliuzza dorata. D’istinto trattenni il respiro. Né io né lui proferimmo alcuna parola. Il tempo sembrava essersi fermato. Pensai che forse avrei potuto baciarlo, dopotutto nei film succedeva questo no? Giusto per curiosità. Giusto per sentire quanto erano morbide quelle labbra che tante avevano già testato. Il suono di un clacson ci risvegliò da quello strano incantesimo che ci aveva pervaso, facendoci sobbalzare.  Mi allontani in fretta, come se improvvisamente con la sua vicinanza avrebbe potuto trasmettermi la peste. Rossa in viso ripresi il mio Focus e non rialzai gli occhi per una buona mezz’ora e anche quanto lo feci, Adrein fissava affascinato alcune televendite. Qualsiasi cosa fosse stata era passata e sperai non tornasse più. Non volevo di certo finire nel circolo vizioso in cui era entrata Chloè.

Con il procedere della giornata il caldo aveva scemato e ora, alle sette di sera, c’era la temperatura che preferivo in assoluto. Un caldo moderato, con una leggera brezza calda che portava il profumo dell’estate con sé. Avevamo cenato presto. Adrien aveva insistito per fare i croque monsieur e, nonostante gli avessi spiegato che ci volevano solo una quindicina di minuti, lui si era impuntato per cominciare a cucinare alle sei e mezza. Quindi, ci eravamo ritrovati a mangiare come le galline. Dopo cena, tra le due opzioni, cioè giocare ad Uno e guardare un po’ di TV, Adrein scelse la seconda. Che vigliacco! Avevo capito benissimo che aveva paura di perdere di  uovo contro di me. Miracolosamente diede a me il monopolio del telecomando e lo costrinsi, di conseguenza a guardare un film della Disney con me. Avevo infatti scovato, su uno dei tanti canali , Frozen, iniziato da circa cinque minuti. Lui si mostrò scocciato per i primi minuti, ma poi si fece prendere, che lo ammettesse in seguito o meno. Sono sicura che mai avrebbe mai confessato di aver cantato Let it Go con me, saltando intorno al divano e facendo le mosse che faceva Elsa con le mani. E mai avrebbe rivelato di ridere alle squallide battute che il film proponeva. Ma lo fece. Fece tutte queste cose. E non so perché, ma tutto ciò mi fece battere il cuore in un maniera che mai avevo provato. Quella sera, a letto, pensai che forse essere ammanettata al mio peggiore nemico non era stata un cosa così brutta se alla fine potevamo divertirci così. Mi voltai verso di lui, già tra le braccia di Morfeo, e lo fissai con un sorriso. Poi chiusi gli occhi e mi lasciai portare via dal sonno anche io.
  
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