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Autore: Carme93    07/02/2019    0 recensioni
Avete presente Conan, il piccolo e geniale detective?
Avete presente il film Seventeen again con Zac Efron?
Avete mai immaginato che cosa potrebbe accadere se anche il grande Harry Potter, il Salvatore del Mondo Magico, si ritrovasse un giorno a ritornare un ragazzino di dodici anni e calcare nuovamente i corridoi di Hogwarts in compagnia dei figli? E se questo li permettesse di conoscerli ancora meglio?
James e Albus sono pronti ad aiutare il padre a risolvere il nuovo caso e a farlo tornare adulto. Voi siete pronti a seguire le loro avventure?
(Storia ispirata proprio dal cartone e dal film sopracitati).
Genere: Fluff, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Ginny Weasley, Harry Potter, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Arthur/Molly, Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo quattordicesimo
 
«Signori, vi ringrazio di essere venuti» esordì Minerva McGranitt scrutando i volti dei presenti nel suo ufficio: Ronald Weasley, Vice Capitano degli Auror; Gabriel Fenwick e Rick Lewis, vice sotto Capitani; una decina di Auror alle spalle dei loro superiori; i professori McBridge, Paciock, Macklin e Vitious; Hermione Weasley e, naturalmente, Harry Potter in versione Barney Weasley. «Alcuni di voi sono già al corrente di quanto accaduto nell’ultimo mese e mezzo, ma a beneficio di tutti è necessario un breve e rapido riepilogo. Hermione, prego».
La giovane donna annuì e disse: «Innanzitutto la ringrazio a nome del Ministero per la collaborazione di queste settimane». La McGranitt chinò leggermente il capo. «Immagino che tutti voi abbiate letto sulla Gazzetta del Profeta della retata degli Auror avvenuta poco prima della fine delle vacanze natalizie». Hermione fece una pausa e attese che tutti i presenti assentissero. «Bene, per ovvi motivi, molto è stato taciuto. Il Capitano Potter non si trova all’estero, come il Ministro Schacklebolt e io stessa abbiamo lasciato credere alla stampa e alla comunità magica. Gli uomini che sono stati arrestati erano dei guardiamaghi al servizio di un pozionista particolarmente dedito a esperimenti di natura per lo più oscura. Il suo ultimo esperimento ha portato alla distillazione di una pozione che fa ritornare bambino colui che la beve». Fece una pausa, lasciando a ognuno il tempo per assimilare le informazioni. «I guardiamaghi durante la retata hanno fatto ingerire di forza la suddetta pozione al Capitano Potter; inoltre, a seguito di ripetuti interrogatori, hanno dichiarato che il loro capo si trovasse qui a Hogwarts».
«Qua?» replicò sorpreso il professor McBridge. «Intende forse Mcmillan?».
«Andiamo piano con le accuse» sbottò Neville.
«Professor McBridge ha motivi di dubitare della lealtà del suo collega?» domandò la McGranitt con un’occhiata di avvertimento.
«No, ma è lui il pozionista della Scuola».
«Se è per questo c’è anche Madama Chips» lo corresse la professoressa Macklin. «E comunque avete perquisito la Scuola prima che ricominciassero le lezioni» aggiunse rivolta a Hermione.
«Esattamente» riprese la parola quest’ultima. «Per questo motivo abbiamo creduto di dover procedere in maniera diversa. Il nostro colpevole evidentemente non era uno sprovveduto e sapeva ben nascondersi. A questo punto è entrato in gioco il Capitano Potter che, avendo bevuto la pozione, si è ritrovato ad avere fisicamente dodici anni pur mantenendo la sua mente di adulto». Hermione si avvicinò a Harry-Barney e gli pose un braccio sulle spalle. «Signori, Barney Weasley altri non è che il Capitano Potter. E ieri sera ha finalmente scoperto il colpevole».
Harry, che non aveva fiatato da quando aveva messo piede nell’ufficio circolare, sorrise in modo malandrino ai docenti che lo fissavano meravigliati.
«E di chi si tratta?» chiese il professor McBridge.
«Jaiden Brooks» rispose Harry, senza più sorridere: quel maledetto pozionista era stato appiccicato ai suoi figli per mesi! E più volte aveva rischiato di far male ad Albus!
«Impossibile. È un ragazzino del primo anno» sbottò McBridge.
«Da quando ha lasciato la squadra Auror, ha perso colpi professore» commentò Harry tagliante. Non era sua abitudine rivolgersi così agli altri, ma, per quanto McBridge avesse sofferto a causa di Voldemort, non riusciva a giustificare il modo in cui trattava i suoi allievi. E non era solo Scorpius, anni prima Teddy gli aveva raccontato come avesse preso di mira un suo compagno di Tassorosso.
Il professore lo guardò malissimo, ma la Macklin parlò prima di lui: «Lo sapevo che c’era qualcosa di strano in quel ragazzino. Sembra sempre pensare ad altro durante le spiegazioni, ma puntualmente riesce a eseguire gli incantesimi al primo tentativo! Con una sicurezza e una strafottenza che non ho mai visto in un ragazzino di undici anni!».
«Strafottente di sicuro» borbottò Neville.
«A questo punto non ci resta che arrestarlo» dichiarò Harry. «E per far ciò, in modo da non coinvolgere gli altri studenti, ho bisogno della collaborazione dell’intero corpo insegnanti».
«Hai già un piano?» chiese il professor Vitious, aprendo bocca per la prima volta.
«Sì, ho intenzione di attirare Brooks in una trappola, possibilmente dopo il coprifuoco» iniziò Harry che vi aveva riflettuto per tutta la notte. «Visti i trascorsi tra lui e mio figlio» e qui quasi ringhiò, «ho pensato di prendere le sembianze di Albus con la Polisucco».
«Perché?» gli chiese Hermione. Harry non aveva avuto tempo di metterla al corrente del piano.
«Albus scriverà di suo pugno un bigliettino per Brooks, con il quale lo sfiderà a duello. Credo che sia il modo migliore per attirare un ragazzino fuori dal Dormitorio dopo il coprifuoco».
I professori si accigliarono, a parte Neville che trattenne a stento un sorrisino e la McGranitt che commentò: «D’altronde sei un esperto in questo».
Harry la ignorò e riprese: «Gli Auror saranno pronti e verrà arrestato».
«E dove dovrebbe avvenire questo duello? Sarebbe il caso che noi lo sapessimo in modo da tenere lontani gli altri studenti indisciplinati, i Prefetti e i Capiscuola» intervenne la Macklin.
A questo Harry non aveva pensato e si voltò a guardare i suoi colleghi.
«Sala Trofei?» buttò lì Ron.
La proposta riportò alla mente diversi ricordi ai due amici, ma Harry acconsentì non avendo motivo di rifiutare. «Perfetto, lo attireremo nella Sala Trofei. La zona sarà controllata dai miei uomini, mentre gli insegnanti si occuperanno degli altri studenti».
«Harry» lo chiamò Hermione meditabonda.
«Che c’è? È un ottimo piano» ribatté Harry.
«Sì, ma… credo che qualcuno debba prendere le tue sembianze, a meno che tu non voglia che le tue attuali condizioni vengano scoperte…».
«Perché mai? Io sono all’estero, ricordi Hermione? Ron guiderà l’operazione. Nessuno avrà nulla da ridire».
 
Conclusasi la riunione, Harry raggiunse i figli in Sala Grande. James lo salutò con entusiasmo e tornò a chiacchierare animatamente della prossima partita di Quidditch con Tylor Jordan e Danny Baston. Albus gli rivolse un lieve sorriso e Harry si sedette nel posto vuoto vicino a lui.
«Hai delle occhiaie enorme… cioè ha…». Alastor tacque imbarazzato e si mise a fissare le salsicce nel suo piatto. Albus gli aveva raccontato ogni cosa poiché era il suo migliore amico. Harry gli sorrise e gli disse di non preoccuparsi, invitandolo a trattarlo proprio come Barney Weasley. Aveva visto Alastor crescere e gli era affezionato, quasi fosse uno dei suoi nipoti.
«Mamma ti ha scritto?» chiese Harry indicando una lettera che il figlio aveva ripiegato vicino al piatto.
«Già» mormorò il ragazzino giochicchiando con le uova strapazzate anziché mangiarle. «Grazie per averle parlato, pensavo che mi avrebbe mandato una strillettera».
«Figurati, in fondo è anche colpa mia».
«Tua?».
«Beh, ti ho spinto a farlo e me ne sono pentito. Scusami».
Albus lo fissò a bocca aperta. «Non ho capito» ammise dopo qualche secondo.
«La McGranitt ha ragione: la violenza non risolve un bel nulla» replicò Harry iniziando a servirsi. Aveva molta fame e in più la giornata si prospettava lunga.
Il ragazzino annuì e rimase in silenzio per il resto della colazione. Harry decise di non disturbarlo, ma, poco prima del suono della campanella, fece cenno a entrambi i figli e li condusse in un’aula vuota.
«Allora, quando lo arrestiamo?» proruppe James appena furono da soli.
«Arrestiamo? No, no, toglitelo dalla testa» ribatté all’istante Harry. «D’ora in avanti se ne occuperanno i miei uomini».
«Cosa?! Ma non è giusto! Ti abbiamo aiutato, ci tocca!».
«Ma neanche per idea!» replicò Harry irritandosi. James diventava sempre più incontrollabile.
«Scusate, sta per suonare la campanella» sussurrò Albus.
«Zitto, non ora» lo tacitò il fratello. «Piuttosto dammi una mano».
«Non è necessario» sbottò Harry. «Non cambierò idea».
«E quindi perché ti sei preso la briga di informarci?» replicò James a tono.
Harry gli lanciò un’occhiataccia. «Ne riparleremo quando sarò tornato adulto».
«Oh, che paura! Ora siamo della stessa taglia, non fare il codardo» lo provocò James.
«Non era una minaccia» esclamò Harry. «In queste condizioni non hai il minimo rispetto di me, perciò Barney Weasley non ha nient’altro da dirti. Fuori da qui».
«Cosa?».
«Ho detto fuori da quest’aula. Vai a lezione. Non ti aiuterò se finisci nei guai perché sei arrivato in ritardo».
James lo fissò arrabbiato, recuperò lo zaino che aveva gettato sul pavimento e se ne andò, sbattendo con forza la porta.
«Bene, ora tutti sapranno che siamo qui» sibilò Harry furioso.
«Ehm, forse è meglio che vado anch’io» mormorò Albus. «Alla prima ora c’è Trasfigurazione».
«Ascoltami un attimo» lo fermò Harry. «Mi devi fare un ultimo favore».
Il figlio lo fissò sorpreso, ma assentì. «Che cosa?».
«Scrivi un bigliettino a Jaiden Brooks e sfidalo a duello. Stanotte alle undici e mezza».
«Stai scherzando?! Ma fino a prima mi hai detto che la violenza non serve a nulla! E mamma ha detto che se rifaccio a botte con qualcuno, mi mette in punizione fino alla fine dell’anno. E tu con me».
«Sì, lo so. Mi ha minacciato in modo simile ieri sera» bofonchiò Harry. «Comunque non ho intenzione di disobbedire a tua madre… non sia mai…».
«E allora?».
«È una trappola. Ci saranno i miei uomini ad attenderlo e io, assumendo le tue sembianze, mi presenterò all’appuntamento».
«Oh, ok. Ho capito. Gli farò avere il bigliettino in mattinata».
«Grazie» replicò Harry. «Ah, e non ti preoccupare per la mamma. Non è veramente arrabbiata con te. Da studentessa ha fatto di peggio, ma ritiene che almeno uno fra noi due deve fare il genitore serio».
Albus annuì, visibilmente sollevato. O almeno finché non suonò la campanella. «Oh, no. La Macklin mi ucciderà! Vieni anche tu, vero?».
Harry, in realtà, aveva pensato di saltare le lezioni della mattina facendo finta di star male e approfittarne per delineare gli ultimi dettagli del piano con i suoi uomini. «Va bene» rispose, però, prima di rendersi conto. Non poteva dire di no ad Albus in quel frangente: lo fissava come se solo lui avrebbe potuto salvarlo dall’ira della professoressa di Trasfigurazione. Decisamente lui e Ginny dovevano far quattro chiacchiere con il figlio circa la sua autostima: dopo quello che aveva combinato in poco più di un mese, la Macklin di certo sarebbe stata più accondiscendente con il diligente Albus, non con il sedicente Barney Weasley, noto per la sua negligenza e per i suoi atteggiamenti ribelli.
 
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«Gli uomini sono in posizione. Rick è rimasto con loro» gli comunicò Ron.
«Dovresti prendere la Pozione Polisucco» aggiunse Gabriel Fenwick porgendogli un calice pieno di un intruglio scuro, che Harry purtroppo conosceva bene.
Il Capitano tirò fuori la provetta nella quale aveva conservato un capello di Al e lo lasciò cadere nel calice. La pozione cambiò immediatamente colore. Harry arricciò il naso.
«È molto chiaro, sembra quasi acqua» commentò Ron dopo aver sbirciato.
«Beh, che ti credevi? Stiamo parlando di mio figlio, non di Tiger e Goyle».
Ron fece una smorfia al ricordo, mentre Harry bevve la pozione in unico lungo sorso.
«Tutto bene?» gli chiese Gabriel Fenwick, vedendolo rigido.
Harry annuì distrattamente: la pozione aveva un buon gusto dopotutto - chissà se qualcuno avesse condotto delle ricerche in merito a questa particolarità della Polisucco di cambiare sapore a seconda della persona -, ma percepire il mutamento repentino del proprio corpo non era certamente piacevole. Rimpicciolì di diversi centimetri, ma tutto sommato anche da questo punto di vista non gli andò tanto male, in fondo lui e Albus era quasi identici.
«Sei sicuro che Jaiden Brooks verrà? Ti ricordo che Malfoy fece la spia a Gazza?» disse Ron dando voce ai dubbi che lo arrovellavano da un po’.
«Albus è stato bravo. L’ha provocato di fronte ad altri compagni insieme a Rose. E Scorpius si premurerà di verificare che Brooks lasci realmente la Sala Comune. Brooks non è Draco Malfoy, Ron. Non è un ragazzino viziato che vuol mettere i compagni nei guai. Brooks è un adulto, che si diverte a fare il gradasso e non si preoccupa certo di essere beccato dagli insegnanti come qualsiasi altro undicenne».
«Sicuro che non vuoi che ti copriamo le spalle? Potremmo usare un incantesimo di Disillusione» intervenne Gabriel Fenwick.
«No, non è necessario. Non voglio correre rischi. Lo scontro, se ci sarà, avverrà nella Sala Trofei. Insegnanti e studenti non devono essere messi in mezzo, chiaro?».
«Sì, signore» replicò Fenwick. Ron si limitò a un cenno della testa.
«Bene, raggiungete gli altri. Sono le undici e dieci. Tra cinque minuti mi muoverò anch’io».
Ron e Gabriel si congedarono e si affrettarono a raggiungere gli altri Auror. Harry sospirò passandosi una mano tra i capelli. Non vedeva l’ora di mettere fine a quell’indagine e, possibilmente, tornare alle sue normali dimensioni. Il pensiero di James, però, continuava a turbarlo: la lite di quella mattina l’aveva lasciato amareggiato e non aveva avuto neanche il tempo di parlare con la moglie. Il figlio maggiore non gli aveva rivolto la parola per tutto il giorno, anzi aveva cercato di evitarlo in ogni modo.
Diede un’occhiata all’orologio che portava al polso e sospirò: era ora di andare. Lui, Ron e Gabriel si erano incontrati in un aula in disuso, perché temeva di attirare troppo l’attenzione degli altri Grifondoro, se fosse uscito dopo il coprifuoco. Nel pomeriggio si era premurato di vietare ad Albus di lasciare la torre di Grifondoro, non che con lui vi fosse realmente il rischio, ma il messaggio doveva arrivare chiaro e perentorio alle orecchie di James.
I corridoi erano deserti, a parte le consuete ronde serali di Prefetti, Capiscuola e professori. Il piano della Sala Trofei, però, era totalmente libero o almeno apparentemente: ben nascosti, i suoi uomini avevano la situazione sotto stretto controllo.
Giunse nella Sala Trofei alle undici e trenta in punto e attese. Il silenzio era totale e la luce della bacchetta guizzava su coppe, targhe e premi vari che qualche sventurato studente doveva aver lucidato di recente.
Jaiden Brooks non si fece aspettare, ma, appena varcò la porta, Harry comprese di aver compiuto un errore. Duello fra maghi aveva scritto Albus nel bigliettino e il Serpeverde l’aveva preso sul serio.
«Sei solo Potter?» disse Brooks con scherno. «Nessuno ha voluto farti da secondo?».
Harry s’irritò: quel delinquente aveva portato con sé un ragazzo di almeno quindici o sedici anni per fargli da secondo! Oh, l’avrebbe pagata eccome! Sapeva bene come sarebbe finita se l’appuntamento non fosse stata una trappola e Albus e un suo compagno, probabilmente Rose o Alastor, si fossero presentati: l’abilità di un mago adulto e la forza fisica di uno del quinto o sesto anno non sarebbero mai stati contrastati efficacemente da un paio di ragazzini a malapena capaci di disarmare un avversario. Harry impugnò la bacchetta e la puntò verso il Serpeverde.
«Non ho bisogno di un secondo» dichiarò. Effettivamente aveva dato ordine ai suoi uomini di non intervenire: non era mica sleale lui. Nella Sala Trofei celati nell’ombra e dalla magia vi erano soltanto Ron e Gabriel Fenwick.
«Oh, quanto siamo coraggiosi all’improvviso» ironizzò Brooks. «Pensavo che non sapessi fare nulla senza la tua guardia del corpo… Una femmina, io mi vergognerei se fossi in te!».
La ‘femmina’ in questione doveva essere Rose, in effetti sempre molto protettiva nei confronti di Albus, ma quella era una caratteristica delle donne Weasley: mai toccare i loro uomini, che siano padri, fratelli, cugini, mariti o fidanzati. Mai. E Rose non faceva eccezione: qualsiasi cotta infantile avesse avuto nei confronti del Serpeverde, era sparita nel momento in cui i suoi amici era stati toccati. Harry, però, si disse che era meglio non raccontare a Ron che l’istinto protettiva della figlia fosse scattato in aiuto di Scorpius Malfoy. No, meglio lasciare i ragazzi in pace. Con rammarico Harry si rese conto che forse non avevano tutti i torti a nascondere delle cose agli adulti, sebbene egli si sforzasse di essere per i figli quel punto di riferimento che lui non aveva mai veramente avuto.
«Come vedi, ti sei sbagliato» ringhiò in risposta.
Brooks lo fissò stranito. «Sembri un altro stanotte, Potter».
«Duelliamo» ribatté Harry, poco intenzionato a recitare ancora.
«Come vuoi, inchiniamoci. Kinnins tu stanne fuori, per ora».
L’altro ragazzo grugnì e si fece da parte.
I due avversari si inchinarono leggermente senza mai distogliersi gli occhi di dosso. Al tre Brooks iniziò per primo e mostrò immediatamente di non aver alcuna intenzione di scherzare: Harry evocò uno scudo magico appena in tempo per deviare l’incantesimo non verbale dell’altro.
Il Serpeverde sgranò gli occhi. Harry si era tradito, non avendo pronunciato a sua volta la formula ad alta voce.
«Tu non sei Albus Potter» sbottò Brooks, indietreggiando verso la porta.
Il Capitano degli Auror non si scompose: da quella stanza non sarebbe potuto scappare, visto che la porta era stata incantata dall’esterno.
«Neanche tu sei chi dici di essere» ribatté Harry a tono.
Brooks gli scagliò contro una serie di maledizioni con una sorprendente rapidità. Diverse coppe saltarono in aria, vittime della furia del ragazzo.
Harry rispose con altrettanta veemenza, tanto che l’urto di una fattura fece cadere il Serpeverde. Kinnins si avvicinò per aiutarlo. «Stanne fuori» urlò.
Persino Brooks lo scacciò e si rimise all’in piedi. «Chi sei che ti preoccupi dell’incolumità degli studenti?».
«Non sono affari tuoi» replicò Harry tentando di disarmarlo. Il duello non era alla pari, l’Auror percepiva la stanchezza e la mancanza di allenamento dell’avversario, che avrebbero avuto presto la meglio. Ciò che non aveva calcolato fu la lealtà, decisamente più stolta di quella dei Grifondoro, di Kinnins. Il Serpeverde più grande, che Harry aveva considerato solo per tenerlo al sicuro ed evitare che fosse colpito per sbaglio, gli tirò addosso una targa molto spessa e lo prese in testa.
Per un attimo il respiro gli si mozzò e Harry non ci vide bene. Brooks ne approfittò per disarmarlo.
«E adesso, vediamo chi sei» sibilò Jaiden Brooks.
Harry sapeva di non doversi preoccupare perché Ron e Gabriel erano lì con lui, ma il sangue gli si gelò quando riconobbe la voce che intervenne.
«Stupeficium!».
L’Auror faticosamente rimise a fuoco la sala già di per sé fiocamente illuminata e con un fiotto di rabbia riconobbe la figura che si stagliava su un Jaiden Brooks privo di sensi: «James Sirius Potter!» gridò con voce strozzata.
«Capitano, hai preso una bella botta in testa, forse dovresti…».
«Dovrei che cosa!?» strillò Harry scacciando la mano di Gabriel e rimettendosi in piedi con un movimento brusco. Pessima idea: le coppe iniziarono a girargli intorno.
«Harry, tranquillo» s’intromise Ron. «I ragazzi stanno ammanettando Brooks. Piuttosto cosa dobbiamo fare con l’altro Serpeverde?».
Harry gli lanciò un’occhiata di sbieco, mentre tentava di far smettere la stanza di girare. Gabriel gli porse un bicchiere d’acqua. «Grazie» mormorò riprendendo il controllo, nonostante la testa gli pulsasse terribilmente. Chiuse gli occhi per un attimo. Forse aveva solo sognato e James non era mai entrato in quella sala. Aprì gli occhi, ormai convinto che fosse stata la botta in testa.
James, però, lo fissava con un ghigno malandrino e le braccia incrociate.
Non era stata un’allucinazione! «Che cosa ti è saltato in mente?!» urlò ignorando gli altri Auror.
«Oh, bella questa» sbottò il ragazzino. «Dovresti ringraziarmi visto che ho schiantato Brooks e ho permesso il suo arresto».
Harry non credeva che potesse essere così sfrontato. «Avevo ordinato a te e Al di stare ben lontani dal pericolo! Tuo fratello non te l’ha detto?».
«Può darsi, ma Al dice tante di quelle cose».
Gli occhi di Harry lampeggiarono e quasi ringhiando chiamò Ron: «Porta via di qui tuo nipote o farò quello che non ho mai fatto in tredici anni!».
Ron capì l’antifona e trascinò via un James quanto mai indignato.
«Ehm, Capitano, l’altro ragazzo?» tentò Gabriel Fenwick.
«Se è minorenne consegnatelo alla McGranitt; se è maggiorenne dovrà rispondere delle sue azioni al processo, ma nel frattempo consegnatelo alla McGranitt».
«Sì, signore».
 
La nottata trascorse frenetica e non allenì di certo il malumore e la rabbia di Harry. Jaiden Brooks si rifiutava di confessare la sua vera identità e rimase in un ostinato silenzio per gran parte del tempo. Alla fine gli Auror lo trasferirono nelle celle del Ministero, ritenendo che un po' d’isolamento gli avrebbe sciolto la lingua. Harry ne dubitava fortemente.  L’unica soluzione era il Veritaserum e ordinò a Ron di somministraglielo già il pomeriggio seguente.
La mattina chiese e ottenne un colloquio con il Guaritore, Anthony Goldstain.
«Allora che notizie mi porti?».
«Credo che l’antidoto sia a buon punto, ma vorrei conoscere gli ingredienti della pozione per essere sicuro che funzioni. Ho sentito che c’è stata un po’ di confusione qui a Hogwarts stanotte».
«Dirò ai miei uomini di farti assistere all’interrogatorio di Brooks questo pomeriggio, così potrai avere tutte le informazioni che ti servono» si limitò a rispondere Harry.
«Ottimo» replicò Goldstain. «Ti faccio sapere appena so qualcosa di preciso».
Harry lo ringraziò e sospirò decidendo che fosse ora di riposare un po’.
 
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Alla fine il Veritaserum aveva fatto il suo lavoro, Jaiden Brooks aveva confessato ogni cosa: il suo vero nome era Alain McCarthy ottimo pozionista e buon duellante ed era stato espulso dalla Società dei Pozionisti britannica a causa dei suoi esperimenti poco etici; dopo l’espulsione si era avvicinato ad alcune organizzazioni criminali di Notturn Alley, creandosi, nel frattempo, non pochi debiti; infine Hogwarts gli era sembrata la soluzione migliore per vivere in pace e sfuggire alle richieste pressanti dei suoi creditori e dei suoi soci per nulla contenti degli esperimenti nei quali aveva buttato i loro soldi.
Il medimago Goldstain, grazie alle indicazioni avute da McCarthy si era già messo a lavoro e promesso a Harry l’antidoto entro un paio di settimane al massimo.
A questo punto Harry aveva lasciato a Ron il compito di sbrigare tutte le pratiche burocratiche e aveva deciso di godersi quegli ultimi giorni a Hogwarts con i figli. O almeno queste erano le intenzioni, ma visto che James non solo si ostinava a non rivolgergli la parola, ma gli tendeva numerose trappole e dispetti, i suoi buoni propositi stavano andando a rotoli.
«Papà» sussurrò Albus una sera, avvicinandosi.
«Che c’è?» replicò Harry. Da quando Brooks-McCarthy aveva levato le tende, Albus era molto più tranquillo e sereno.
«Zio Neville vuole vederti nel suo ufficio».
Harry saltò giù dalla poltrona ed eccitato disse: «Vuoi vedere che la pozione è già pronta?».
Albus assunse un’aria preoccupata. «Temo si tratti di James» borbottò in risposta.
L’entusiasmo di Harry sparì all’istante e sconsolato annuì. Si avviò verso il buco del ritratto interrogandosi su che cosa avesse potuto aver combinato il figlio maggiore quella volta. Scese velocemente i vari piani e raggiunse l’ufficio di Neville con il fiato grosso. Bussò ed entrò.
«Eccoti» sbuffò Neville vedendolo e alzandosi dalla sedia dietro la scrivania su cui era stato seduto fino a quel momento. «Chiaritevi o scrivi a Ginny» dichiarò uscendo dall’ufficio.
James sedeva a braccia conserte e fissava un punto indistinto sulla parete.
Per qualche secondo regnò il silenzio, alla fine Harry proruppe: «Che cosa dovrei dirti? Complimenti? E questo che vuoi sentirti dire?».
«Perché non me lo merito?» scattò James, finalmente voltandosi verso il padre.
«No. Se vuoi fare l’Auror è bene che inizi a imparare: gli ordini devono essere rispettati. Tuo zio e Gabriel Fenwick erano pronti a intervenire. Non avevano bisogno dell’aiuto di un dodicenne disubbidiente! Un gesto avventato come il tuo avrebbe potuto mandare a monte l’intera operazione. In questo caso non ci sono state conseguenze, per fortuna, ma avrebbero potuto esserci. Per questo l’obbedienza è fondamentale in una squadra! Se ognuno di noi facesse quello che vuole, gli avversari se ne approfitterebbero! Ho rischiato persino di scoprirmi con Kinnins e non era mia intenzione!».
James lo fissò turbato. «Volevo solo aiutarti» mormorò.
Harry espirò forte tentando di calmarsi. «Pensavi che fosse assolutamente necessario e  che i miei uomini mi avrebbero lasciato senza protezioni o volevi solo dimostrare di poterlo fare?» chiese tagliente.
«Volevo dimostrare di poterlo fare». Il ragazzino teneva gli occhi bassi e appariva sinceramente dispiaciuto.
«Riaffronteremo l’argomento quando sarò della taglia giusta per avere un minimo di autorevolezza su di te» sbuffò Harry avvicinandosi al figlio.
«Sei autorevole anche così» disse James. «Solo è più facile far finta che tu sia veramente uno dei miei cugini».
«Più comodo, direi» lo corresse Harry. James fece spallucce.
«Quindi qual è la mia punizione?» domandò il ragazzino a bruciapelo.
«Non lo so» rispose Harry. «Ne parlerò con la mamma quando tornerò a casa. Goldstain mi ha assicurato che la pozione sarà pronta a breve, nel frattempo che ne dici se io, te e Al trascorriamo un po’ di tempo insieme? Tranquillamente».
«Quidditch?».
«Anche» assentì Harry.
«Quindi non ci sarai per il mio compleanno?».
«No, non credo» replicò gentilmente Harry arruffandogli i capelli. «Ma potremmo organizzare comunque qualcosa. Hagrid sarebbe felice di mettere a disposizione casa sua come ha fatto per Al oppure posso chiedere alla McGranitt di farti tornare a casa per un paio di giorni insieme ad Al, così ci sarà anche Lily».
«Tornare a casa non mi sembra una buona idea» bofonchiò James. «Darei la possibilità a mamma di uccidermi».
«Risolveremo la questione prima, stai tranquillo».
«Uh, tranquillissimo» borbottò James.
«Piuttosto che hai combinato adesso tanto da far perdere la pazienza a Neville?».
James assunse un’aria colpevole. «Ehm… Hai presente la professoressa McKlin…».
«No, fermati. Non voglio sapere nulla. Godiamoci questi ultimi giorni».
James sorrise. «Mi sembra un’ottima idea».
Harry sospirò e ricambiò il sorriso: l’avrebbero fatto impazzire. Come aveva fatto sua suocera a crescere Fred e George? Doveva assolutamente chiederglielo
   
 
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