Hershel Layton POV
Anche oggi
Angela non è venuta a scuola. E siamo a due settimane di
assenza. Due settimane dalla... scomparsa di Randall. Due settimane
da quando le nostre mani si sono perse per il sudore e per la paura.
L'ultima volta che ho visto Angela è stato quando sono tornato
da Akubadain. Poi, nulla: mi disse ciò che doveva dire e se ne
andò a casa sua. Erik mi ha guardato con fare caritatevole, ma
non mi ha rivolto la parola. Il signor Ascot... mi ha dato una
sberla. Avrebbe fatto molto di più se non fosse stato per
mamma. Un altro schiaffo lo meritavo. E anche altro...
Dopo
qualche giorno da... dall'incidente (almeno così lo
definiscono mamma e papà) sono tornato a scuola. Mi fa troppo
male stare qui: i miei compagni parlano male di me alle mie spalle,
ma non osano fiatare appena entro nei loro paraggi. Se chiedo
qualcosa agli insegnanti, mi rispondono controvoglia, con frasi
brevi, con un volto dove traspare la loro rabbia e frustrazione per
la mia presenza, come se fossi una punizione. Posso persino andare in
bagno senza chiedere, non battono ciglio! Vado spesso lì più
che altro per nascondermi: stare in mezzo a tutta quella gente mi fa
venire la nausea. Però il silenzio non mi dà conforto,
anzi: non è in grado di placare i miei... rimorsi. La caduta
di Randall, la disperazione di Angela, la furia del signor Ascot... è
successo tutto così in fretta.
Se solo fossi
riuscito a farlo ragionare. Se solo non fossi venuto con lui, non
avrebbe avuto accesso alle rovine. Mi avrebbe dato del guastafeste,
sì ma almeno Stansbury non mi avrebbe chiamato assassino... Se
solo non fossi mai venuto qui a Stansbury, non ci sarebbe tutto
questo dolore. Angela sta soffrendo più di tutti noi: i suoi
genitori la spronano a maritarsi, ma la perdita dell'amore è
troppo per lei. Si fidava di me. Le avevo promesso che l'avrei
protetto a ogni costo. Anche Erik sta penando amaramente: ha perso
colui che considerava un fratello. Per colpa mia. I miei- I Layton
soffrono per il mio silenzio. Se solo fossi stato più forte da
salvarlo, se solo non avessi attivato la trappola. Se solo... fossi
stato io al posto suo.
Angela ha ragione a odiarmi: non ho
versato alcuna lacrima. E ora...? Sono a scuola, di fronte allo
specchio e non vedo altro che una figura pallida, che si mimetizza
con le pareti, che piange fiumi di lacrime.
Ridicolo.
Guardo
le gocce cadere nel lavandino.
Si confondono. Voglio anch'io
essere trasparente come l'acqua.
Come
vorrei morire.
Non merito l'aria che respiro: appartiene a
Randall e agli altri.
Premo il rasoio nella
mano. Le dita sanguinano, ma le lacrime non sono dedicate al dolore;
il tremore, il sudore e la nausea indicano la vera causa: ho
paura.
Stupido, non sei altro che un vigliacco. Osi
versare lacrime per questo?! Mi punisco con uno schiaffo.
Ora
una macchia rossa è rimasta sulla guancia, ancora più
evidente per il pallore.
Poi sollevo la mano destra ed
estendo l'altro braccio. Inizio a tracciare alcune righe, poi altre e
altre ancora, più profonde e precise, più dolorose,
come per scrivere un testamento. La perdita di sangue va crescendo,
sporcando di sangue il bagno candido.
Era così chiaro
prima. Mi chiedo quanto tempo ci abbiano dedicato i bidelli per
pulirlo alla perfezione e quanto a-
Non distrarti.
Ora
mi dedico all'altro braccio. Mi è un po' difficile marchiarlo,
il braccio non vuole stare fermo, e con lui la mia mente. Riesco a
tracciare pochi tagli su quel braccio, voglio precipitarmi
immediatamente alla gola. Sono stanco, ansimo, ma questo non mi ferma
dall'atto finale. Elevo il braccio a livello della gola. Sì,
devo. Ma esito.
Che aspetti? Muoviti! Avvicino la
lama lentamente. Fa' un favore al mondo e
AMMAZZATI!
Aggredisco la gola subito, d'istinto. Tutto
si fa più lento, leggero e pesante allo stesso tempo. Mi manca
il respiro ma non ci faccio caso: non mi appartiene. Mi lascio
vincere, vittima delle forze esterne. Non oppongo resistenza. Il
mondo si capovolge e infine un tonfo. Un colpo alla testa che
scombussola tutti i nervi. Ho appena raggiunto il fondo. Non ho più
lacrime da versare, non me lo posso permettere.
Certamente
qualcuno avrà sentito la caduta, altrimenti non si spiegano i
passi che martellano le tempie. Chiunque sia si ritroverà con
uno spettacolo patetico: l'assassino ha avuto paura delle conseguenze
e ha deciso di farla finita. Codardo.
L'ombra alla soglia
della porta si accorcia, presentando il soggetto proiettato: Alphonse
Dalston.
Non sembra contento, anzi, puntando le pupille verso il
sangue si dilatano dall'orrore. Corre verso di me, non ferma alcune
lacrime che evadono dagli angoli degli occhi. Mi tasta il polso
rovinato e sente il battito.
«Hershel... cosa hai
fatto...»
Cosa
piangi?
«Hershel,
mi senti?»
Non voglio rispondere, ma anche se
volessi, il mio corpo è freddo, ogni movimento impossibile. Ma
stanno arrivando altri passi e altre figure: ci sono alcuni
studenti... o insegnanti, non distinguo quelle macchie confuse alla
soglia dell'uscio.
Alphonse si alza e si volta verso di
loro. «Chiamate un'ambulanza.» dice severamente.
Sento
vari bisbiglii indecifrabili provenire da l?
«Allora?!»
Prende un asciugamano e preme il mio collo. La superficie ruvida
gratta, la ferita mi fa più male.
Le figure si
dileguano. Le palpebre si fanno più pesanti, la luce troppo
accecante.
«Shh... andrà tutto bene. Si sistemerà
tutto.» mi rassicura con le stesse parole che mamma mi ha detto
due settimane fa, ma è inutile: il respiro è limitato e
instabile, le palpebre tendono verso l'inferno. Non faccio in tempo a
sentire le sirene che perdo i sensi.
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[Grazie
a chiunque abbia letto questa introduzione. Nonostante abbia letto
molte fanfiction, non sono molto pratica nello scrivere testi, però
sentivo il dovere di pubblicare questa... roba? A
ogni modo, per favore, recensitemelo, commentatelo: ogni correzione e
giudizio saranno accolte. Grazie e a presto!]
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