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Autore: Ylenia42    12/02/2019    1 recensioni
Tutto ha inizio con l'omicidio. Lydia Reyes a soli 16 anni vede morire di fronte a sé il giovane Matthew. Un caso inspiegabile, avvolto nel mistero che sta per essere svelato dopo ben due anni, quando Lydia, dovrà tornare a fare i conti col suo passato. A rendere ancora più fitto il mistero vi sarà la presenza di Clayton, affascinante studente universitario e lo psicologo Noah Baker, dallo sguardo immutabile e serioso. Tra sviluppi inattesi, ingiustizie e incomprensioni, Lydia scoprirà che la morte del giovane Matthew va ben oltre la realtà che conosciamo. E ben presto dovrà essere in grado di capire da chi dover fuggire e di chi potrà fidarsi
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Era l’anno 2015. A Louisville la nebbia stava scendendo giù a capofitto quella sera. Non ricordo molti dettagli di quella nottata, se non il freddo gelido che mi penetrava dentro le ossa ed il suono della voce di una giovane ragazza. Lydia, appena sedicenne, si trovava a Sud di Downtown, nella zona di Old Louisville, quando mi ritrovai a pensare “cosa ci farà una ragazzina così giovane da sola a guardare per terra nel bel mezzo della notte?”. Ma poi mi avvicinai. I miei occhi si focalizzarono meglio sull’espressione del suo volto. Terrorizzata; scioccata dovrei dire. E poi guardai nella sua stessa direzione. Naturalmente non era l’asfalto della strada che stava fissando con così tanto spavento, bensì il corpo di un ragazzo disteso a terra dissanguato. Uno come me non si cura minimamente di questo genere di cose…il dolore umano non è in men che minima parte compreso da noi immortali. Anzi, oserei dire che dovetti addirittura sforzarmi solamente per immaginare in maniera a dir poco lontana le emozioni che quella creatura dai capelli corvini potesse provare in quel istante. Ad un tratto la sentii gridare. Ancora e ancora. Si portò le mani alle tempie mentre io restavo lì impalato a guardarla delirare. Ero imbambolato, mentre cercavo di capire la complessità dei sentimenti umani nel loro genere. Io che avevo il cuore fermo da secoli, immutabile come la mia età, io che tenevo i piedi ben saldi al marciapiede, senza muovere un muscolo, senza aiutarla. La sua disperazione, le lacrime che scendevano dal suo viso con un’eccessiva spontaneità ed il modo incontrollato che aveva di guardarsi intorno in cerca d’aiuto, mi affascinavano e per anni ne ero rimasto ignaro. Dopo pochi minuti andai ad aiutarla, senza sapere bene che cosa dire o che cosa fare. Le porsi una mano in maniera gentile. Lei singhiozzava, esternava le sue emozioni sfogandole irrazionalmente su di me, un totale e perfetto sconosciuto. Tremante, accettò la mia mano, anch’essa bagnata dalle lacrime e non riuscendo a parlare, tentò di comunicare attraverso i suoi occhi scuri che faticava ad aprire per via del troppo pianto. -Andiamo dalla polizia.- Dissi con tono freddo. Non rispose, mi seguì solamente. La feci salire nella mia auto e trovai sorprendente l’ingenuità che quella ragazza dimostrava dopo essere salita sulla macchina di un estraneo. Evidentemente non aveva nessuno a casa che la stesse aspettando, pensai. Erano anni che non mi imbattevo in un episodio del genere. La morte di una persona mi lasciava totalmente imperturbato, ma quella ragazza quella dannata sera, mi lasciò una strana sensazione a cui non so dare un nome. Forse gli umani saprebbero spiegare meglio che mai che cos’era quell’impressione di irrisolto che avevo. D’altronde loro sentono il bisogno irrimediabile di dare una definizione ad ogni cosa.
***
Anno 2017. Sono le 7.00 del mattino. La luce filtra dalle finestre della mia camera ricordandomi che se voglio arrivare a scuola puntuale devo sbrigarmi. Ho sempre detestato non avere delle tende che oscurino un pochino il mio terrazzo. Mi rannicchio di nuovo sotto le coperte sperando che il tempo si fermi. Almeno per altri 30 minuti. Provo a chiudere gli occhi e concedermi altri dieci minuti di intenso riposo quando la voce di mia cugina mi riporta alla triste, devastante realtà. -Lydia, hai scuola! Smettila di dormire, alzati!- Scendo giù frastornata dai suoi schiamazzi delle 7.02 precise. -Posso prendere l’auto?- Lei mi guarda sbuffando. -Io devo andare a lavoro.- Rimarca senza tentare di nascondere che le scoccia andare da Star Buck a piedi. -Per favore, non hai tanta strada da fare. Ci metterai al massimo dieci minuti. Sai che detesto dover prendere l’autobus scolastico.- Lei sbuffa. -E va bene. Tieni le chiavi e sparisci.- Mi dice seccata. Le do un bacio sulla guancia e scappo via prima che cambi idea. Salgo in macchina e parto. Accendo la Radio a tutto volume e godendomi le prime canzoni che vengono trasmesse, tento di rimediare un sorriso per affrontare la giornata. Questo è il mio ultimo anno al Liceo, ho da poco compiuto 18 anni e come tutte le ragazze della mia età, voglio solo pensare a divertirmi. La giornata parte stranamente bene, fuori il sole regna sovrano e non c’è un solo accenno di pioggia. Piuttosto strano dato che qui in Kentucky piove spesso persino in estate. Ed ecco che entra l’insegnante di letteratura Inglese, la mia materia preferita. -Buon giorno a tutti ragazzi.- Un quarto della classe ricambia il saluto in un coro, mentre il resto dei miei compagni sono troppo impegnati a tirarsi palline di carta con disegnini sconci ed infantili tra di loro, oppure a ripassare le ultime cose per il test di un’altra materia. La Professoressa non fa caso all’indifferenza di circa 15 alunni e si siede altezzosa sulla cattedra. -Ragazzi, un attimo di attenzione per favore.- Tutti si girano a fissarla. -Quest’oggi avremo il piacere di parlare con il Giovane Clayton Carter, uno dei migliori studenti Universitari della facoltà di legge di Harvard.- Nessuno esita a guardarsi attorno, si sentono i bisbigli di alcuni ragazzi che chiedono al compagno di banco “tu ne sapevi qualcosa?” e nessuno sembra dare una risposta affermativa. In effetti nessuno era al corrente di niente, la notizia ci viene detta senza alcun preavviso, immagino che siamo tutti un po’ disorientati. Alcuni sbuffano e dicono sotto voce “che palle, chi ci vuole andare ad Harvard?”. Io mi limito a stare zitta e assimilare la cosa. In tutta onestà non mi dispiace affatto poter avere delle informazioni in più su un’Università lontana. Alloggiare lì dev’essere sicuramente una bella avventura. Mi scagiono dai miei pensieri quando la Professoressa Gomez dice: -questo significa che non potremo fare lezione oggi.- Ed ecco che dice le parole magiche e tutta la classe scatta sull’attenti. È allora che la Gomez fa entrare l’appena menzionato Clayton Carter. Un ragazzo alto e dalla corporatura robusta si presenta a noi. Ha il viso piuttosto pallido, mi appresto ad osservare i particolari dei suoi occhi, color verde chiaro e la sottigliezza delle sue labbra, fini e di un rosa scuro. Certo, con un viso e un corpo del genere non voglio essere biasimata se lo fisso come fossi una Stalker. Per non parlare dei suoi…“Signorina Reyes…” dice all’improvviso una voce inizialmente lontana nella mia testa, che mano a mano si fa sempre più insistente. -Signorina Reyes!- Urla la Professoressa Gomez. Qui dentro non è permesso distrarsi neanche un minuto, santo cielo. -Ah, si?- Stavo dicendo, per non parlare dei suoi meravigliosi capelli biondi! -Non si distragga per favore. Stavo giusto dicendo al signor Carter che lei è una delle studentesse migliori nel nostro istituto. Magari sarebbe interessata a fargli qualche domanda.- -Oh, ma certo. Dunque, mi può parlare della domanda d’ammissione?- Lui annuisce e inizia a parlare. Bene, questa domanda lo terrà occupato per altri 7-8 minuti circa. Ora posso tornare a contare gli addominali che ha sotto la maglietta. Al termine dell’ora, l’insegnante e il giovane Universitario si dileguano lasciandomi tutto il tempo per realizzare che mi sono appena giocata l’opportunità di avere informazioni più che rilevanti su una delle Università più prestigiose dell’America. Ma che dico? Del mondo intero! E il tutto per regalarmi un’ora di puri (e decisamente piacevoli) filmini mentali. Quando arriva la tarda mattinata esco fuori in cortile per mangiare qualcosa e finalmente accendo il cellulare. È a quel punto che trovo una curiosa chiamata persa da un numero sconosciuto. Ignoro di averlo visto, dato che non mi fido mai di rispondere ai numeri non inseriti nella mia rubrica. La maggior parte delle volte si tratta di scherzi di pessimo gusto, o peggio, degli operatori telefonici. No, grazie. La giornata prosegue tranquillamente. I soliti eventi sportivi pomeridiani, le partite di football a cui non ho mai partecipato, il gruppo di cheerleader che muoiono dalla voglia di mettere in mostra le proprie forme e le proprie rotondità in maniera civettuola…in poche parole, una giornata come tante, niente di speciale. Io, mi avvio verso il club di teatro, che frequento regolarmente una volta alla settimana. Mi inoltro nella sala, dove le solite facce mi fissano in modo strano e inquietante. La professoressa dà inizio alla lezione. -Bene, sono felice di vedere che ci siete tutti. Oggi continueremo le prove di “Grease” e assegnerò le parti per lo spettacolo.- A qualcuno sudano le mani dall’emozione, sperando di ottenere la parte principale, quelli che invece sono qui più per costrizione che per altro, faticano a tenere gli occhi aperti e a trattenere degli sbadigli. In quanto a me? Sono qui per pura noia. Non sono una di quelle ragazze disperatamente emarginate, senza un minimo di chances di essere notate da un ragazzo. O perlomeno non lo ero. Ma negli ultimi tempi devo ammettere di aver faticato a trovare delle persone che osassero avvicinarsi a me e non ne ho ancora capito il motivo. Dunque, considerando che la mia vita sociale attualmente è in bilico, devo tenermi occupata. E poi dovevo in ogni caso iscrivermi ad un club, che non prevedesse muovere i fianchi e i glutei tutto il tempo, che non mi facesse stare a contatto con dei nerd fissati con l’informatica e nemmeno farmi prendere a calci in una partita di football. Così eccomi qui. -Dunque, la parte di Sandy, verrà assegnata a Lucy Clark.- Scatta un applauso generale a cui mi sento moralmente obbligata ad unirmi. -Mentre la parte di Danny, la farà Derek Coleman.- Il ragazzo si alza in piedi. L’insegnante va avanti a dire un’altra serie di ruoli, finché non tocca il mio. -Lydia, tu sarai Betty Rizzo.- Per quanto mi gasi l’idea di interpretare una troietta che rischia di rimanere in cinta, il mio sorriso appare stranamente forzato. Cominciamo le scene, ci viene dato il copione e nei minuti successivi, proviamo le battute. L’ora scorre fin troppo lentamente, chiedo il permesso di andare velocemente al bagno per potermi concedere qualche minuto di pausa. Quando mi allontano, la prima cosa che faccio è guardare quanto manca alla fine della lezione, sul cellulare, che mi accorgo, sta di nuovo riprendendo a squillare. Il numero è lo stesso di prima; lascio che continui per un po’, ma vedo che chiunque stia chiamando, insiste. Piuttosto strano. Riattacco e faccio finta non sia mai accaduto. Uscendo dal bagno vedo delle ragazze che mi osservano e bisbigliano qualcosa tra loro. Le riconosco, sono entrambe al corso di Storia Americana insieme a me. -Non fissarla. È la ragazza di cui ti dicevo…- sento dire una di loro. -Quella che ha subito un lutto?- Ribatte l’altra non facendo caso ai miei sguardi. Ma di che stanno parlando? Le lascio perdere e rientro in classe. Quando finalmente la lezione finisce, come se non bastasse, la professoressa mi chiede di fermarmi qualche secondo in più. A quanto sostiene, deve parlarmi. -Lydia, volevo chiederti come stai.- Sono un po’ perplessa. Perché dimostra tanto interesse nei miei confronti? Suona tutto leggermente bizzarro. -Sto benissimo, grazie.- -Mi fa piacere sentirtelo dire. Ho saputo che hai avuto un brutto periodo e ti sei ritirata dalle lezioni l’anno scorso.- -Ero molto stressata. Ma ora sto meglio.- Cerco di liquidirla e per mia fortuna, riesco nel mio intento. Finalmente, sono libera di prendere la macchina e mi avvio verso la strada del ritorno. Mi compiaccio di vedere che le strade sono praticamente deserte, così do un lieve colpo di gas per accelerare e arrivo a casa più velocemente. Stanca della lunga giornata, mi getto a capofitto sul letto. È allora che il mio cellulare riprende a suonare, e a provare a contattarmi è il solito numero che comincia a tormentarmi. Esasperata, rispondo, e una voce adulta, maschile, mi rimbomba all’orecchio. -La signorina Reyes?- -Si, sono io. Con chi sto parlando?- -Qui è l’agente di polizia Benjamin Parker che la chiama. Avremmo bisogno di vederla in commissariato per farle qualche domanda.- Resto scioccata. Le mie mani cominciano a sudare. Sono sempre stata una cittadina onesta e rispettabile, che cosa mai potrò avere combinato? -Mi scusi ma qui dev’esserci stato un errore. Perché la polizia dovrebbe volermi vedere?- -Nessun errore. Si presenti domani mattina alle 9.00 in punto. Le spiegheremo tutto.- Dice senza lasciarmi libertà di risposta, e riattacca. Mille pensieri mi passano per la testa. Che sta succedendo?
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